3.7│Teeth

now playing:
Teeth,
5 Seconds of Summer

0:58 ━━❍───── 3:39
↻ ⊲ Ⅱ ⊳ ↺
volume: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%

Fight so dirty, but you love so sweet
Talk so pretty, but your heart got teeth
Late night devil, put your hands on me
and never, never, never ever let go

Denki adorava le serate così. Lui e i suoi amici a sbronzarsi insieme da qualche parte, non importava dove o con quale pretesto anche perché spesso di motivi validi non ce n'erano, se non svuotarsi la mente per un po'; la cosa più impegnativa diventava riuscire a mettere un piede davanti all'altro e non contavano più i suoi stupidi pensieri.

Come quella sera di fine aprile. Nel giardino di Hanta, su quelle scrause sedie di plastica bianca da bar. La brezza leggera addosso, per cui dovette stringersi nel giubbotto di pelle sopra al top giallo troppo corto, qualche buona bottiglia della sua vodka alla frutta preferita. I discorsi da improvvisati filosofi, dai problemi esistenziali ai fatti più idioti, e di tanto in tanto i silenzi mentre ammiravano le stelle. Prima che qualcuno dovesse essere portato in bagno o nel luogo più simile per vomitare l'anima.

Sì, Denki adorava le serate così.

Un po' meno se l'interlocutore e l'oggetto stesso della conversazione erano un Katsuki parecchio provato.

«Bakubro, secondo me basta che ne parlate e-»

«No».

«Perché non torniamo dentro e provi a-»

«No».

«Ok, sono volate un po' di parole brutte però, dai, non è niente di irrisolvibile-»

«Ho detto no! E voi che cazzo ne sapete, hah?!»

Eccolo che scoppiava, eppure in modo meno impetuoso del solito. Non era merito dell'alcol in circolo, dato che lo sfiorava adesso per la prima volta della giornata, piuttosto della discussione con Izuku di poco prima che lo aveva lasciato in quello stato. Sembrava sul punto di esplodere ma senza mai raggiungerlo davvero, frenato da qualcosa di più grande che invisibile lo tormentava dall'interno e quindi saggiamente se ne stava lì sulla sedia perso nella sua testa a tracannare la vodka rubata a Denki come se potesse annegare quel qualcosa.

Per la cronaca, neanche gli piaceva, quella vodka. Amava spesso dirgli che aveva dei gusti di merda e gli serviva qualcosa di dannatamente più forte per sopravvivere alle loro uscite.

Ma questa volta non arrivò nessuna battuta, né nessun affettuoso insulto randomico su quanto Denki e Hanta fossero idioti o simili. «Voi non sapete niente, perciò...» soltanto un mormorio, che gli morì in gola. Prese un altro lungo sorso.

Il biondino si scambiò uno sguardo con Hanta, all'altro fianco dell'amico in paranoia in mezzo a loro. Apprensivo e anche fin troppo consapevole. «Sappiamo più di quanto pensi».

«E questo che cazzo dovrebbe significare» Katsuki sbottò a quella serietà che non gli apparteneva. «Sono giorni che fate così i criptici. Mi date sui nervi. A meno che potete entrare nella mia testa e vivere quello che vivo io e queste stronzate, non potete sapere proprio niente... No? O mi sbaglio?» Si fermò da solo dallo straparlare quando gli altri due deglutirono a vuoto contemporaneamente con fare colpevole, e allora la consapevolezza sembrò colpire anche lui.

Denki sapeva già cosa stava per dire. Uno dei suoi "Cosa sapete, idioti? Parlate. Ora, prima che vi ammazzi" o qualcosa del genere. Non gliene diede il tempo. Era ora di prendersi le proprie responsabilità, una volta tanto. «Hanta, è il momento».

Il moro sbarrò gli occhi. «Adesso? Sicuro bro?» obiettò, con la voce più alta di un'ottava da far invidia ai suoi acuti. «Cioè, non ci tengo proprio tanto a essere ucciso...»

«Oi, di cosa state-»

«Neanch'io, fidati. Ma ricordi cosa ci siamo detti? E sarebbe comunque venuto fuori prima o poi, anzi è un miracolo che l'abbiamo tenuto nascosto fino ad adesso, quindi... Mostriamogliela e basta».

Hanta prese un respiro grave, quindi sfilò il cellulare dalla tasca della felpa. Aveva la cover di quelle con disegnata una foglia di marijuana e la scritta "keep calm and smoke weed" che faceva molto anni 2010. Ci smanettò un po' e, con le dita tremanti, lo sottopose a Katsuki.

Per diversi secondi, il gelo.
Solo loro tre con i fiati sospesi, per motivi diversi, e la foto incriminata a tutto schermo a illuminare i loro visi.
Solo Katsuki e Izuku tra le coperte di un anonimo letto d'hotel, il volto del primo nascosto contro il collo dell'altro e quello del secondo così in pace, persino con un rivoletto di bava, aggrovigliati l'uno all'altra e accarezzati dai primi raggi dell'alba che entravano timidi dalla finestra.

Già, anche per Denki era stato abbastanza uno shock, la prima volta che l'aveva vista.

Il fatto era che, la mattina dell'ultimo giorno di gita a Berlino, Hanta aveva abbandonato i suoi amici sbronzi da Hitoshi, che aveva avuto la premura di ospitarli, per cercare il suo prezioso accendino. L'aveva prestato a Denki, il quale l'aveva dimenticato nella stanza condivisa con Eijiro, Katsuki e Izuku. Non si era posto problemi ad andarci, tanto doveva solo fare dentro e fuori, e pregando di non svegliare Katsuki dato che il biondo teneva molto al suo sonno e lui alla propria pelle, si era prefissato di fare il più presto possibile. Solo che, beh, si era ritrovato quella scena. Allora era andato nel panico. Aveva recuperato l'accendino dal comodino di Denki, per qualche motivo assecondato l'istinto che gli urlava di fare una foto ed era scappato da lì.

Per lungo tempo si era tenuto tutto dentro. Non aveva idea di come gestire la situazione. Sicuramente se Katsuki lo avesse scoperto l'avrebbe fatto fritto, perché... Non aveva idea, del perché, ma andava su tutte le furie quando si trattava del "nerd" e dei propri sentimenti e quello era due in uno, per cui era decisamente molto, molto pericoloso. Tipo mettere la menta nella coca cola: un'esplosione di proporzioni bibliche, anzi no, la santa apocalisse.

Ecco, non poteva assolutamente permettere che Katsuki sapesse che lui sapeva. Ma allo stesso tempo aveva troppo bisogno di parlarne con qualcuno, anche solo per condividere il fardello, perché non scopri proprio tutti i giorni che il tuo migliore amico di quelli che non sanno avere a che fare con gli altri esseri umani e pensi rimarrà single a vita in realtà ha una tresca con il suo nemico giurato e chissà da quanto tempo e di che tipo e mille altre domande. Così, dopo qualche settimana Hanta non ce l'aveva più fatta e aveva preso Denki in disparte.

Ora, il biondino non era esattamente la persona più indicata per mantenere un segreto, era risaputo. Non per nulla tutti lo conoscevano come quello pappa e ciccia con Mina, regina dei gossip dello U.A. e dintorni. Però, se si trattava degli amici più stretti e di problemi delicati, problemi che lui stesso aveva vissuto a proprie spese e ancora viveva in famiglia, di Denki ci si poteva fidare.

Infatti, per quanto fosse forte la tentazione, una volta messo al corrente serbò la curiosa quanto sconvolgente scoperta per sé. Non fu indiscreto, non lanciò frecciatine esplicite. Adesso aveva tutto più senso ma rimaneva pur sempre una cosa privata tra quei due. Si limitò a lasciare che facesse il suo corso, mentre ne discuteva con Hanta che ormai si era altrettanto appassionato alla vicenda e si complimentavano per la loro rara maturità. Addirittura tenersi aggiornati di nascosto divenne uno dei loro passatempi preferiti, roba che Mina sarebbe stata orgogliosa di loro, se solo momentaneamente non avessero dovuta tenerla all'oscuro perché dirlo a lei avrebbe causato davvero una strage.

A questo punto però non era più possibile fare finta di niente. Un conto era il discorso ambiguo che Izuku aveva fatto a lui stesso ed Eijiro in gita, o i periodi in cui li beccavano sempre a litigare oppure che passavano a ignorarsi; un altro l'accaduto di quella sera per cui era tutto così evidente e, nonostante l'enorme affetto che provava per Katsuki, Denki avrebbe tanto voluto prendere la sua testa e sbatterla da qualche parte. Possibilmente contro quella del verdino.

Insomma, avevano deciso di non interferire, eppure non potevano continuare all'infinito a contenere commenti in gruppo e sclerare in segreto con a loro volta la paura di essere scoperti. Rivelare ogni cosa era un suicidio ma, in fin dei conti, stavano solo anticipando coraggiosamente la loro morte per mano del biondo esplosivo. Approfittando che attualmente sembrava non proprio padrone della sua capacità di intendere e volere e arrabbiarsi e ponendola per il verso giusto, potevano anche trasformarla in un'occasione per farlo ragionare.

Le iridi color ambra oscillarono tra Hanta, con ancora il telefono nella mano tremolante e gli occhi chiusi forte in attesa della punizione divina, e Katsuki che al contrario teneva i suoi ancora sgranati sullo schermo, senza emettere una parola, quasi neanche un respiro.

Se non fosse stato per il soggetto, sarebbe scoppiato a ridere. Manco gli stessero mostrando lui che uccideva qualcuno. Oppure Hanta lo avesse beccato in un momento ancora più intimo ma non era sicuro di voler pensare a lui e Izuku in quel senso. Non che gli facesse schifo perché, andiamo, lui era Denki Kaminari guru supremo del sesso e tra donne e uomini e altro non faceva distinzioni e tutto il resto, ma perché era... strano. Passavano il tempo a scannarsi e invece in privato erano così, quando avrebbero potuto semplicemente amarsi senza bisogno di nascondersi, di negarsi l'un l'altro.

Ma non era la persona più adatta nemmeno per giudicare, in effetti. Non conosceva tutti i retroscena e in ogni caso ognuno portava avanti una relazione a modo suo, per quanto discutibile. Denki era l'esempio opposto, non si nascondeva affatto e anzi era fin troppo affettuoso e intenso con chiunque. Eppure, si ritrovò a chiedersi, quella non era un po' la stessa cosa che faceva lui? Quel non scavare troppo in profondità nei propri sentimenti, per paura di legarsi e rovinare tutto?

Scosse la testa per scacciare il pensiero di Kyoka. Con cui, sempre per la cronaca, aveva fatto circa pace dopo la sua uscita stupida ad "Hai mai" sul fatto che è meglio non mettersi con i propri amici, compagni di scuola o band e riconosceva era stata davvero, davvero stupida perché per atteggiarsi da diva l'aveva ferita. Ecco, era stato più o meno perdonato, o così aveva presupposto quando lei l'aveva strattonato a sé senza troppe cerimonie al primo giro del gioco della bottiglia e gli aveva sussurrato che avrebbero continuato dopo.

Quindi, anche se la sua soglia dell'attenzione stava venendo messa a dura prova, aveva cercato di rimanere partecipe del gioco e tutto quanto in attesa che si realizzasse quella promessa che ancora gli pareva non essere vera, di averla sognata.

La discussione tra Izuku e Katsuki, come detto, era stata la goccia che fece sboccare il vaso della sua pazienza o come si diceva nei confronti dell'amico che ok, poteva avere tutti i problemi relazionali del mondo però non poteva essere così tanto stupido, e se lo diceva lui. Anche senza il piccolo fondamentale dettaglio della foto era tutto così ovvio che si era stupito nel vedere il volto di Mina illuminarsi e collegare tutti i pezzi solo allora.

Comunque, aveva deciso che era il momento di fare qualcosa. Di essere un buon amico proprio per il bene di Katsuki e anche di Eijiro che non poteva sempre caricarsi su quelle forti spalle il problema.

Coinvolgendo Hanta, perché dopotutto era o no il suo compagno di avventure e sventure, avevano lasciato che il biondo sbollisse un po' per conto suo di fuori. Per fortuna così si era perso il bacio tra Shoto e Izuku di cui tra tutti e due non si poteva dire chi fosse il meno andato. Poi Denki e il compare erano usciti da Katsuki. Non l'avevano trovato nel migliore degli stati, a soffocare delle grida e trattenersi dallo spaccare qualcosa che non fosse un qualcuno, limitandosi, per così dire, a calciare l'erba e le sedie. Il tutto con somma preoccupazione di Hanta, che dopo il tappeto non voleva veder rovinato anche il giardino, specie l'angolo dedicato alle sue preziose piantine dall'aspetto poco legale.

In qualche modo l'avevano fatto calmare. Nel corso degli anni avevano imparato a gestire i suoi scatti di rabbia. Da allora non aveva più mosso un dito o spiccicato parola. Erano stati parecchio in silenzio, fino a che avevano azzardato a proporgli di rimediare con Izuku e quella era stata la reazione. Quindi eccoli lì a fissare la famosa foto, da buone decine di secondi ormai.

«Su, non fare quell'espressione d'abete» disse la prima cosa stupida che gli venne in mente.

Katsuki sembrava improvvisamente così... vulnerabile, oltre che sotto shock, pure se non c'era nulla per cui preoccuparsi, nulla di sbagliato. E Denki lo capiva, lo avevano fatto sentire così tante volte ingiustamente che aveva perso il conto e non voleva che a nessun altro capitasse, men che meno a un suo caro amico.

Si alzò per posargli una mano sulla spalla. Il contatto fisico era il modo per lui più facile di comunicare, dato che con le parole tendenzialmente faceva più confusione che altro. Katsuki era di pietra. Nemmeno lo respinse o corresse con uno dei suoi complinsulti.

Ci pensò Hanta, pazientemente: «Si dice espressione ebete». Almeno riuscì a sbuffare una risatina, che risuonò nell'atmosfera tesa a prova di coltello.

«È quello che ho detto» Denki mosse in aria le unghie, laccate di quel fantastico smalto giallo glue prestato da Mina, come a minimizzare. Ok che era stupido, ma non così tanto. Forse. Insomma, aveva sbagliato apposta. Per quanto nell'ultimo periodo si stesse sforzando di essere serio nelle questioni che contavano, quello era il suo fare l'idiota a fin di bene a cui non avrebbe rinunciato, se era utile per consolare qualcuno in difficoltà. Poi altre volte sbagliava per davvero e questo era un altro discorso.

«Ehi, ma...!» Hanta non fece neanche in tempo a finire la frase. Si bloccò a bocca aperta, così come la sua mano destra: in un movimento repentino, Katsuki gli aveva preso il cellulare e adesso era tutto concentrato su di esso. «Bro che fai?!»

«La cancello, mi sembra ovvio».

«No, perché?!» Denki si sporse oltre la sua spalla e tentò di rubarglielo, innescando una piccola lotta. «Dai! Non eliminarla, ti prego! Siete così carini!»

Lui si bloccò solo per guardarlo storto, con una delle sue smorfie sempre più stranita di come se gli avesse fatto ingoiare un limone intero. «Faccia da Scemo, non dire mai più una cosa del genere».

Il soprannome, il fatto che per i suoi standard fosse più loquace e lo sguardo non proprio alla Bakubro versione omicida erano già dei buoni segnali. In più, nonostante il buio lo vide, come le sue guance avevano preso un po' colore.
«Ma è la verità...»

Stavolta fu ignorato. Katsuki finì con il telefono di Hanta, dopo essere passato per la sua galleria, il suo WhatsApp, Instagram, Telegram e persino le app più insulse. Soltanto allora glielo restituì. O meglio, lo lanciò e l'altro lo prese male, gli rimbalzò tra le mani e pur di non farlo finire a terra si gettò con esso, dritto spiaggiato sull'erba.

«Ma che problemi hai» lo si sentì borbottare. Almeno sembrava star tornando in sé, il solito Bakubro brontolone e insultatore. Sempre che esistesse questa parola, Denki non ne aveva idea, ma comunque.

Non ebbe tempo di pensarci. La mano fu aperta anche di fronte a lui e purtroppo far finta di non capire non funzionò. Abbattuto, gli consegnò il suo cellulare, cui toccò lo stesso destino dell'altro.

Non era del tutto lucido Katsuki, però, o piuttosto si illudeva se pensava di essersi sbarazzato così facilmente di ogni prova della sua relazione segreta. Giusto due istanti prima, in un lampo di genio, Denki era riuscito a mandare l'immagine ad "AlienPinkyQueen" ovvero Mina su Instagram ed eliminare il messaggio, così che non comparisse riaprendo la chat. In ogni caso dopo quella sera il tutto sarebbe stato condiviso nella Bakusquad quindi se la migliore amica, per il tempo necessario affinché si calmassero le acque, l'avesse conservata senza guardarla e fare domande come l'aveva pregata in un furioso sgrammaticato messaggio, allora sarebbe filato tutto liscio. Perché non si batteva Denki al suo stesso gioco, mai.

Hanta riemerse da per terra baciando nel mentre il telefono, grato che non si fosse rovinato. Ritornò sulla sedia e Denki lo imitò.

Passarono un altro po' in silenzio, tra sguardi di sottecchi a Katsuki, i sospiri di quest'ultimo, sorsi alla bottiglia ormai finita ma che ebbe la gentilezza di condividere. Era il suo modo per dire che andava bene così, non era davvero arrabbiato con loro. Forse tutto quello lo destabilizzava più perché gli ricordava il complicato rapporto con il compagno dagli occhi verdi e in questo loro non avevano colpe se non aver scoperto qualcosa che prima o poi sarebbe venuto a galla.

«Allora, ne vuoi parlare?» riprovò.

«Non c'è molto da dire. Avete visto».

«Non di quello. Di Izuku e... Sai, di come ti senti, queste cose».

Katsuki non si sforzò neanche di fissarlo male, come al solito quando si invischiavano in quei discorsi. Poggiò la bottiglia vuota sul tavolino per rannicchiarsi su sé stesso, gomiti sulle ginocchia e mani tra i capelli, e abbandonarsi all'ennesimo respiro profondo.

Di nuovo, era semplicemente un ragazzo fragile. Era anche un maledetto incasinato e non lo si poteva giustificare per il suo caratteraccio o le sue brutte azioni, questo no, ma lo si poteva comprendere e quella sera Denki gli si sentì vicino come forse mai.
«Ok» gli disse rassicurante «Non devi se non vuoi. Vogliamo solo farti sapere che noi ci siamo sempre».

«Lo so» bofonchiò lui.

«E non è un problema la tua sessualità, né per noi né per te». Non aveva scordato quella specie di coming out di prima ad "Hai mai" e come si fosse impegnato per non farlo sembrare tale, o le varie uscite negli anni che gli avevano sempre dato un po' l'impressione che nascondesse una sorta di omofobia interiorizzata. Magari erano solo suoi viaggi mentali, comunque l'importante era chiarirlo. Gli aveva sempre detto che lui era la persona più aperta dell'universo e avrebbero potuto parlare di qualsiasi cosa, anche perché, insomma, bastava guardarlo, e non si sarebbe mai stancato di ripeterglielo.

«Lo so».

«Ma non è questo il problema, vero?»

«Sì...»

Quella conferma sussurrata bastava e avanzava. Era che si trattava di Izuku e basta, immaginò. Non che dovesse accettare il suo orientamento quanto che a piacergli fosse proprio lui, la persona con cui aveva la relazione più complicata di tutte, che aveva trattato male per una vita e da cui eppure non riusciva a stare davvero separato, come se il loro legame fosse da sempre e per sempre scritto nel destino.

Katsuki lo stava ammettendo, velatamente, stava elaborando i propri sentimenti confusi che spiegavano ogni cosa. Il comportamento che avevano visto dall'inizio delle superiori ma che già si protraeva da molto prima, il cambiamento di entrambi, quel cercarsi e allontanarsi e poi riprendersi, fino agli eventi della gita e di quella sera stessa.

Hanta tornò a chiedere, più delicato: «Perché non vuoi provare a parlarci?»

«Perché ci ho già provato» confessò piano. «Ci ho già provato così tante volte cazzo e ogni volta è andato tutto a puttane. Io... Io non so come- come farla funzionare. Non ci riesco ok?»
Gli amici potevano giurare che era la prima volta in anni che Katsuki il migliore del mondo in tutto Bakugo ammetteva di non essere capace in qualcosa.
«Io ho...» Un sospiro frustrato, lottando contro sé stesso per dirlo. «Ho paura di rovinare tutto. Ancora e ancora. È un mio problema. Sono io il problema. Deku non se lo merita e io non... non merito lui».

«Oh, ok» Denki ripeté, comprensivo, accogliente. Era una tattica che Hitoshi adottava spesso con lui, quando gli raccontava dei suoi problemi in famiglia o delle paranoie per la scuola e lo faceva sentire al sicuro.
«Ok, va bene se ti senti così. Ma lasciami dire che su una cosa sbagli. È un problema di entrambi e lo potete risolvere solo insieme. Soltanto se gli parli e sei sincero anche se fa paura». Sorrise al suo sguardo smarrito, per fargli forza. Questo invece lo aveva imparato da Eijiro. «Fidati, so quanto è difficile legarsi così tanto a qualcun altro, io sono il primo che scappa, ma... È anche un sacco stancante, non trovi?»

«Io non so niente di queste cose» intervenne Hanta. Non è che nella sua vita avesse grandi modelli di relazioni sentimentali, tra figura paterna e secolare cotta non corrisposta per l'amica dai capelli rosa. «Però, come si dice, non rinunciarci prima di provarci davvero. Non puoi sapere come andrà se non ti butti e buttarsi non è bello da soli, suppongo. Quindi parlagli di questo. Sono certo che capirà... Vero, Denki?»

Non poté evitare un altro sorriso. Sia perché non si stupiva mai abbastanza di quanto Hanta sapeva essere saggio, sotto la sua facciata da ragazzo ordinario e tossichello, sia perché sapeva a cosa si riferiva, quelle parole che al tempo non aveva capito ma adesso erano così chiare, e vere e dolci.
«Ehi Kat, sai cosa mi ha detto Izuku una volta? Che ti stava aspettando da tutta la vita. E alla fine, anche se faceva male, non avrebbe mai smesso».

«... Davvero?»

«Davvero davvero».

«È una cosa che direbbe il "nerd", no?» Hanta ammiccò, le dita che mimavano delle virgolette, per poi dare un pugnetto sul braccio di Katsuki.

Quest'ultimo si corrucciò. Scosse leggermente la testa su e giù, anche come annuendo a sé, come se non riuscisse a convincersi. «Ha detto così?»

«Ah-ah».

«Tch. Stupido, patetico, imbarazzante Deku sempre così... così...» il borbottio di Katsuki si perse nel vento mentre si rialzava per dissimulare e si avviava dentro.

Lui e Hanta lo seguirono, questa volta scambiandosi un'occhiata sollevata che fosse andato tutto per il meglio. Alla fine le scelte di Denki non si rivelavano mai così stupide e pazze come all'apparenza.

Katsuki si fermò prima di aprire la porta. Sembrava star cercando di dire qualcosa di importante, con lo sguardo che vagava qua e là e poi si posava con determinazione su di loro. Anzi, era più astio, come se fosse colpa loro anche se sapevano che non lo intendeva.
«Questo non...» mormorò infine «Non cambia niente tra noi, giusto».

Di nuovo, non credeva che l'avrebbe mai pensato del suo Bakubro, gli fece tenerezza. In realtà ci teneva, solo aveva paura di peggiorare le cose, di rovinare i rapporti con Izuku in primis e anche con i suoi amici. «Certo che no!» esclamò, al che l'altro annuì ancora piano.

«Beh, comunque siete dei coglioni» sentenziò poi.

Ah ecco, mancava un suo ringraziamento. Denki rise. «Infatti funzioniamo in due!» Uno sguardo complice con Hanta, un batti-cinque e uno sbuffo del biondo dopo, arrivò anche un suo piccolo, piccolissimo sorriso.

«Però vi...»

«Cosa?»

«Vi vo... bene».

«Come?»

«Vi voglio bene».

«Non ho capito, tu Hanta?»
«Nemmeno io, bro».

«Ho detto che vi voglio bene ok?!» esplose ad alta voce. Quando realizzò, arrossì tutto e puntò l'indice contro di loro: «E grazie di tutto, credo. Ma rimanete degli idioti, capito?»

«Aw, Bakubrooo!»

Commossi si fiondarono ad abbracciarlo. Addirittura li lasciò fare per qualche secondo. Prima di iniziare a dimenarsi come un ossesso, naturalmente.

«È stato bello sentirtelo dire tre volte» bisbigliò Denki contro la sua spalla. E fu quando si staccò e incontrò gli occhi furiosi della bestia, che capì di dover iniziare a correre se voleva sopravvivere.

«Hah?! Vuoi proprio morire, Pirlachu!»

Per fortuna, fu salvato dalla porta d'ingresso che si aprì all'improvviso, rivelando la figura di un Tenya accigliato. Il capoclasse li squadrò per diversi attimi, poi si limitò a pizzicarsi il ponte del naso con due dita, sospirare e invitarli a tornare dentro che iniziava a fare freddo. Hanta lo prese un po' in giro con un «Subito, papà» e così fecero.

«Ah, Denki» aggiunse lapidario Katsuki «Dopo voi due pettegole mi sentite».

Lo bloccò con una mano sul petto e gli mostrò il suo cellulare. Il biondino boccheggiò. Nella chat WhatsApp con "Oca n° 1 aka Occhi da Procione", nome discutibilmente lungo, campeggiava la foto di lui e Izuku, inviata da Mina, con la didascalia in caps lock "??? SPIEGAZIONI ORA!!!".

Oh, Mina avrebbe sentito anche Denki.

Per il momento, la priorità della sua mente fu un'altra, che portava il nome di Kyoka Jiro ed era al tavolino dei drink in salotto visibilmente ubriaca a biascicare una di quelle sue canzoni depresse in loop.

«Can you feeeel, can you feel my heaaaaart- Ehi Denkiii!»

In un attimo la raggiunse e si ritrovò con le sue braccia al collo, lei che gli si buttava addosso ridacchiando. In automatico la afferrò per le spalle per sorreggerla. «Kyoka! Quanto hai bevuto? Lo sai che-»

«Ahi! Mi hai dato la scossa, cattivo!»

Gli diede uno schiaffetto e si allontanò. Come per minimizzare la sua preoccupazione, piroettò su sé stessa, in modo molto pericolante. «Lo so che non reggo bene l'alcol, ma guarda, sto bene, alla grande!» Rise ancora. Così leggera e spensierata, un'immagine più unica che rara che nonostante tutto fece sorridere perso Denki.

Subito la piccoletta tornò a concentrarsi sulle varie bottiglie sul tavolo, come se da quella scelta sarebbe dipesa la sua vita. Che alla fine era un po' quello che era.

Le labbra arricciate che la rendevano più adorabile, bambina, la sua voce che continuava a canticchiare e non era possibile che fosse così brava anche da ubriaca marcia.
«I'm scared to get close, and I hate being alone
I long for that feeling to not feel at all
The higher I get, the lower I'll sink
I can't drown my demons, they know how to swim»

«Ok, direi che basta così. Da' qua». Denki si ripigliò e le sfilò il bicchiere dalle mani. Dovette di nuovo piegarsi a sostenerla perché nel farlo le fece perdere l'equilibrio. «Aggrappati a me, piccoletta».

«Da quando sei così guastafeste?» brontolò l'amica mentre si rimetteva in piedi, ma sbuffò divertita appena dopo. «Sembra un déjà-vu o come si chiama».

«Ah non lo so, lo chiedi a me?»

Ridacchiarono.

Kyoka non si staccò, rimase vicina. Si aggrappò al colletto della sua giacca e lo guardò un po' in silenzio, con quei suoi occhi di un nero profondo che il ragazzo aveva spesso pensato fossero l'esatto specchio della sua anima.

«Lo sai che sei divertente, Denki? Mi fai sempre ridere. È bello quando mi fai ridere. E sei carino...»

«Beh, modestamente. Grazie...?»

«È bello quando sei dolce e carino con me. Tu sei bello...»

Era decisamente andata, già. Per quanto fosse lusingato, perché i complimenti non erano novità ma da lei sì, non poteva ignorarlo. Doveva fare il ragionevole e responsabile, anche se quegli aggettivi e il nome di Denki Kaminari difficilmente stavano nella stessa frase.

«Dai, ti riporto dagli altri. Reggiti».

«Ma non voglio!» lei si impuntò, imbronciandosi e gonfiando le guance. Era così buffa.

«Piccoletta, devi almeno sederti da qualche parte».

«Ma voglio stare con te».

«Che onore! Sì, rimango vicino a te, ok?»

«Denki». Di scatto gli afferrò la faccia, le guance vennero quasi stritolate tra i suoi palmi freddi. «Denki, perché sei così idiota?»

«Che ho fatto ora?» si lamentò di rimando. «Sto cercando di...» le parole gli morirono in gola. Lo scrutava così intensamente, da sotto le ciglia piene di mascara un po' sbavato che sfarfallavano.

«Perché non capisci mai niente?» piagnucolò ancora. Lo sguardo scivolò in basso. «Denki... Voglio te».

Bastò quel sussurro a fior di labbra, disperato, per mandare definitivamente in crash il sistema operativo di Denki. Da lì non ci capì più niente.

«Ah...» ricordava solo di aver deglutito così a secco. «Ah, merda, cioè proprio...? Adesso adesso? Ma-»

Lei l'aveva afferrato per un polso e se l'era portato dietro, dicendo che la doveva accompagnare in bagno. Non gliel'aveva chiesto, gliel'aveva ordinato. Stava facendo tutto lei.

Il salotto nel pieno caos, la chioma rossa di Eijiro che spiccava tra tutti, il suo occhiolino e saluto da soldato. Poi, il labiale di Hanta accanto a lui molto simile a un "Bastardo fortunato", il corridoio, labbra screpolate contro le sue.

Non fecero nemmeno in tempo ad arrivarci, al presunto bagno. Nel primo punto abbastanza isolato, Kyoka si appoggiò alla parete di schiena per sostenersi e strattonò Denki ad appiccicarsi a sé. Fu un bacio confuso, di foga, bisognoso. Fatto del sussulto sorpreso di lei a sentire il freddo metallico del piercing alla lingua messo da poco e delle piccole mani tremanti che spingevano le sue a vagare sul proprio corpo, a toccarla, sul viso, i seni, la vita stretta, più giù.

Era bellissima.

Questo l'unico pensiero di senso compiuto che Denki riuscì a registrare. Ubriaca, così disperata, niente a che vedere con la bambina di poco prima ma così sfacciata, anche un po' rude. Un misto letale, un diavolo tentatore. Eppure, in fondo, anche tanto insicura.

Perché c'era un ma. Di certo non si era mai fatto problemi e non gli erano mai dispiaciute delle limonate anche senza contesto, ma... Ma era di Kyoka che si trattava, di loro due. Non voleva che andasse così, di fretta e senza aver chiarito quello che si trascinava dietro da settimane, anzi quello che era sempre stato incerto tra loro.

«Aspetta... Aspetta, Kyoka...»

Ed eccola infatti, quando ansimò così, quell'insicurezza che tornò subito a divorarla o forse non se n'era mai andata, nell'espressione persa e gli occhi annacquati. «O-Ok» bisbligliò solo in affanno, forse per il bacio o l'improvviso magone o entrambi «Non vuoi... Con me... Ho capito, scusa se...»

«No, no» si affrettò a rassicurarla, sollevandole delicato il volto tra le mani. «Ascolta, anch'io voglio, davvero, è solo che...»

Non era la prima volta che quella ragazza lo lasciava senza parole. Però non ci voleva proprio adesso. Quell'esitazione fu fatale.

«Ho capito Denki. Non c'è bisogno che te lo inventi per consolarmi. Va bene così».

«Ma cosa...»

Mentre elaborava, la sua minuta figura era già scomparsa dalla propria vista. Si voltò giusto in tempo per vederla in fondo al corridoio. Sempre così permalosa e avventata, che agiva senza mai ascoltare sul serio.

«Mi piaci!»

Tutto nella sua testa finì in secondo piano, rincorso da questo unico grande pensiero che urlò a tutti polmoni prima di rendersene conto.

Il silenzio sembrò durare un'eternità, prima che Kyoka si bloccasse e girasse lentamente. Di solito era brava a mascherare le sue emozioni, stavolta invece non riuscì a controllare le lacrime che cominciarono a rincorrersi sulle sue guance, di delusione e adesso sorpresa insieme, sorpresa che colpì Denki stesso a sentirsi parlare come un fiume in piena.

Era il momento di essere coraggioso, no? Aveva consigliato lo stesso a Katsuki, poco prima, e per qualche motivo poteva sentire proprio la voce dell'amico nella propria coscienza che gli diceva qualcosa delle sue tipo che era ora di tirare fuori le palle. Non sapeva bene cosa dire, con le parole faceva casino, ma doveva provarci anche lui.

«Non volevo dirtelo così, ma è la verità. Mi piaci, mi piaci un sacco Kyoka. Non nel senso in cui lo dico sempre a tutti e di amici. Mi piaci così tanto che mi incasini il cervello e fai comportare da idiota. Mi piaci così tanto che ho paura di fare sempre un passo falso e ferirti e infatti lo faccio sempre... Per questo voglio fare le cose sul serio con te. Voglio che ci parliamo, voglio ascoltarti e fare tutto con calma. Ci ho messo molto ma l'ho capito, sono sicuro adesso. So che sembra assurdo detto da me ma è così e... Mi sono perso. E questa è la dichiarazione più disastrosa di tutti i tempi, però mi piaci proprio tanto quindi... Quindi- Ahia!»

Solo quando una mano si assestò con forza sulla sua faccia, facendola girare di lato in un inevitabile acuto, si accorse che stava parlando troppo e doveva ricordarsi di respirare, nonché che era stato appena preso a schiaffi dalla ragazza che poco prima lo stava baciando come se fosse l'ultimo giorno che rimaneva loro da vivere.

Si portò una mano a massaggiarsi la guancia. «Ehi, ma che ho fatto?! Ok, un po' me lo merito, però-» la protesta cadde nel vuoto, intrappolata da un bacio a stampo prolungato che li lasciò di nuovo senza fiato. «Oh... Quindi è un sì o...?»

«Sei un idiota». Kyoka indietreggiò di un passo mentre si asciugava con stizza gli occhi, sbavando definitivamente tutto il trucco. «Certo che mi piaci» mormorò, talmente piano che credette di averlo immaginato. «Però non puoi farmi questo. Lo capisci, Denki? Tu mi piaci, ma io? Io ti piaccio abbastanza?»

«Certo che-»

«Denki, che cosa ci trovi in me? Sul serio. Io non ti piaccio davvero...»

Aprì ancora la bocca per replicare, subito la richiuse. Percepiva che non era quello il vero punto. Non era il suo fare la rancorosa per un nonnulla, era il tentativo di mettere a nudo le proprie debolezze forse per la prima volta completamente.

«Anche se lo dici, io avrò sempre paura che non sarà così. Perché sono io la prima a non reputarmi mai abbastanza. Non posso scaricare questo mio problema su di te e non voglio incastrarti in una relazione che comincerà ad andarti stretta. Perché lo so, lo so che se anche dici che ti piaccio e ci mettiamo insieme poi di sicuro troverai qualcuno che ti piacerà di più e allora mi lascerai e io non lo reggerò. Perciò non puoi farmi questo. Non lo fare, Denki, per favore».

Era bellissima.

D'accordo, forse non era proprio il pensiero più adatto da fare al momento, eppure non poté evitarlo. Un'altra volta, ma per un motivo diverso. Perché la vera bellezza di Kyoka, ai suoi occhi, quello che le piaceva di lei, era sempre stato questo. Il mondo che si portava dentro, i demoni contro cui si ostinava a mostrarsi abbastanza tosta all'esterno da poterli affrontare da sola anche quando la divoravano all'interno, e la piccola speranza che Denki potesse essere utile a qualcuno per una buona volta nella sua vita, che insieme potessero salvarsi entrambi o rendere il loro sprofondare nel mare delle loro paure meno doloroso.

«Kyoka» la richiamò fermamente. «Pensavo avessi capito. Tu sei...»
Bellissima? Assurdamente attraente e insieme tenera? Una stupenda contraddizione vivente? Troppo ubriaca per affrontare l'argomento adesso e troppo testarda per capire che per lui era tutte quelle cose e molto di più? Sì, era tutto questo e soprattutto...
«Kyoka, tu sei importante. Non smetterò mai di ricordartelo, al di là di qualunque cosa ci sia tra noi due o come la vuoi chiamare. Pure a me spaventa e so che è difficile stare con me, quindi non te lo chiedo di certo, ma... Possiamo avere qualsiasi cosa vuoi. Non abbiamo bisogno di definirci per forza per stare bene, basta stare insieme, no? Possiamo anche solo continuare così. Vivere minuto per minuto».

«Minuto... per minuto...» Kyoka ripeté lentamente. Tirò su con il naso e annuì. Dopo scoppiò in una risatina, come per liberare tutta la tensione accumulata. «Potrebbe essere la cosa più saggia che tu abbia mai detto, idiota».

«Ehi!» Denki gonfiò le guance, imitando proprio lei quando se la prendeva per la minima cosa. Modestamente, quello era uno dei momenti in cui il picco della sbronza gli faceva fare discorsi niente male. «Il tuo idiota».

«Ew, questa frase da rimorchio te la potevi risparmiare».

Gli diede un pugno sul petto per poi avvicinarsi ancora, stavolta in una delle sue rare e silenziose richieste di un abbraccio mentre ancora ridacchiavano.

Erano semplicemente loro. Come quella volta del bacio come regalo di compleanno, quella volta da ubriachi in un locale e quell'altra ancora alla baita. Come un déjà-vu o come si diceva. Erano semplicemente loro, come al solito, come sempre era e sarebbe stato. La differenza con il passato era che Denki adesso era davvero riuscito a non prendere la scusa della stupidità con lei, e con un po' di impegno non l'avrebbe più fatto nemmeno nei confronti di sé stesso, nell'affrontare le sue ansie per il futuro e la convinzione sbagliata che non ci fosse posto per lui nel mondo, che era inutile. Potevano affrontare tutto quello, insieme, indipendentemente che ci fossero etichette a definire cosa e chi erano.

«Minuto per minuto. Ok?» sussurrò tra i capelli di Kyoka.

«Ok».

Denki le sollevò il viso, le sorrise. Abbastanza rintontito ma ancora lucido a sufficienza per fare una scelta sensata e prendersi cura di lei come si era promesso a partire dalle piccole cose. «Ora torniamo di là e ci sdraiamo da qualche parte che devi riposarti, ok?»

«Sì» Kyoka annuì, il sorrisino sincero di bambina che rifaceva capolino e le mani che stringevano ancora i suoi vestiti, come se non l'avesse voluto lasciare mai più. «Ma prima possiamo baciarci ancora un po'?»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top