3.3│Sleepsong
art: hamebie.. (?)
now playing:
Sleepsong,
Bastille
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volume: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%
❝ All you want is someone onto whom you can cling
Your mother warned of strangers and the dangers they may bring
Your dreams and memories are blurring into one
The scenes which hold the waking world slowly come undone
You'll come undone ❞
☆
Shoto prese un respiro profondo, prima di mormorare il nome del ragazzo più basso che gli stava davanti dandogli le spalle. Era ciò che le persone definivano nervosismo, quella sensazione che stava provando, fatta di fiato corto e bocca secca all'improvviso? Eppure si trattava solo di chiedere un consiglio.
Doveva aver parlato talmente piano da non essere sentito, complice anche la rumorosità del soggetto in questione che riempiva la classe, ormai quasi vuota essendo appena suonato l'intervallo. Gli picchiettò timidamente un indice sulla spalla esile e a quel gesto, finalmente, Denki si accorse di lui.
«Weeiii, Shoto! Amico, come va? Ti unisci a noi? Hanta stava giusto aprendo le patatine, ne vuoi una?» come al solito, iniziò a parlare a manetta rendendogli difficile seguirlo, mentre con una pacca sulla schiena lo tirava nel cerchio formato dagli altri suoi amici radunati attorno al banco di Hanta.
«Mmh, no, io... Non sono qui per...» protestare fu inutile. Tra l'espressione supplichevole del biondino che gli ricordava quel cartone che vedeva da piccolo le rare sere che gli era concesso passare con i suoi fratelli, "Il gatto con gli stivali", e gli incoraggiamenti di un solare Kirishima, gli fu impossibile rifiutare. Accettò una patatina da Hanta bofonchiando un «Grazie».
A differenza degli altri, il moro era seduto sopra al suo banco, con i piedi poggiati sulla sedia. Come prevedibile, si beccò un rimprovero amichevole ma non troppo da Tenya che passava di lì. Per qualche ragione, il rappresentante di classe sembrava avere molto a cuore la salute dei banchi, nonché del materiale e dell'ambiente scolastico in generale.
«Ci si vede su, allora» disse poi il ragazzo occhialuto a Shoto, alludendo al tetto della scuola dove erano soliti passare le pause. Pareva incuriosito dall'insolito fatto che fosse andato a parlare con quel gruppetto, anche se non ai livelli di Izuku che li scrutava dalla porta dell'aula dove attendeva di essere raggiunto, comunque non indagò oltre e si trascinò dietro l'amico dai capelli verdi.
In effetti Shoto non era ancora sicuro che quella fosse la scelta migliore. Tenya era senza dubbio il suo amico più saggio, ma era anche amico di Izuku e a lui serviva un giudizio più imparziale. Non che Tenya non ne fosse capace, però... No, non era questo il vero problema. Qualcosa gli sfuggiva riguardo i suoi stessi pensieri. Forse era che non voleva parlare di Izuku con lui, ammettere di aver ancora bisogno di una dritta in amicizia dimostrandosi per la frana che era per l'ennesima volta.
Ad ogni modo, ormai era inutile rimuginare. Aspettò con pazienza che Hanta finisse di sproloquiare, perché non voleva interromperlo di nuovo mentre parlava proprio del cibo da mangiare all'intervallo come se fosse una questione di Stato. Stava dicendo qualcosa del tipo che si stava impegnando ma era facile ricadere nelle vecchie abitudini, motivo per cui aveva ceduto alle patatine al posto delle chips di mela, e in ogni caso i nachos rimanevano il suo unico grande amore.
«Comunque bro, ci dovevi chiedere qualcosa?»
Il ragazzo dai capelli bicolore non aveva idea di come appariva in quel momento, del resto non gli erano mai interessati l'impressione e i giudizi degli altri su di lui. Ipotizzò che doveva sembrare a disagio e Hanta lo aveva capito, essendo molto empatico. Non che ci volesse molto a surclassarlo.
Tentò di rilassare le spalle e ricambiare il contatto visivo, sul serio e non limitandosi a guardare senza vedere. Solo di recente si era reso conto che tra le due c'era una diversa sfumatura e che poche volte osservava davvero. L'indifferenza era stata sempre il suo modo di essere, per proteggersi dagli estranei avendo sperimentato troppo presto, letteralmente sulla propria pelle, quanto cattive e marce dentro potevano essere le persone. Però, dopo gli ultimi mesi, quei ragazzi che ora lo osservavano curiosi non li considerava proprio degli estranei. Si disse che poteva sciogliersi un po'. In fin dei conti li aveva scelti, in seguito a un'attenta selezione mentale, perché aveva fiducia che potessero aiutarlo grazie alle loro abilità sociali.
«Ho bisogno di un consiglio. È per un amico».
I loro volti furono attraversati da un lampo di sorpresa. Lo sapeva perché, modestamente, stava imparando a interpretare le persone.
Denki stava per ribattere quando fu distratto da una notifica sul cellulare che si stava rigirando tra le mani senza particolare motivo se non quello di giocarci un po'. Lo faceva spesso e non sembrava preoccuparsi che gli scivolasse via e magari danneggiasse, eppure i numerosi graffi e alcune piccole crepe sullo schermo testimoniavano che era accaduto più volte.
In un certo senso, rispecchiava il suo carattere spensierato e anche un po' testardo per cui continuava a fare gli stessi errori nonostante i precedenti. Shoto si stupì di questa sua osservazione, non era solito riflettere su dettagli insignificanti, e di come la associò inevitabilmente a Izuku, con la differenza che nel suo caso non si trattava di inciampare nei soliti sbagli per distrazione quanto per volontà. Ma aveva senso, dato che si trovava intrappolato in questa situazione proprio per il suo migliore amico.
Il biondino, ancora intento a smanettare al cellulare, li informò: «La piccoletta dice di sbrigarci a raggiungerla sul tetto o "è la volta buona che vi pianto in asso a vita", testuali parole». Mimò delle virgolette in aria con la mano libera, la destra. «Ah, c'è lì anche Bakubro».
«Che poi, non era in bagno lui? E noi che lo stavamo aspettando qua! Ci ha abbandonati così!»
Hanta, dopo essersi lamentato, balzò giù dal banco e posò le mani sulle spalle di Kirishima e Shoto. Quest'ultimo per un attimo si chiese che problemi avessero tutti loro con il contatto fisico per ricercarlo così spesso, poi lasciò perdere dato che non era esattamente la persona più adatta a giudicare.
«No problema, 'Roki! Conta pure su di noi. Specie Eiji, è il migliore in queste cose!»
Corrucciò leggermente le sopracciglia per il soprannome, intanto che li seguiva fuori dall'aula: considerate le recenti informazioni avevano la stessa meta e comunque in pratica fu obbligato.
Kirishima gli rivolse immediatamente un sorriso rassicurante. Quando rimasero l'uno affianco all'altro, dietro agli altri due un po' più distanti che facevano strada tra i corridoi affollati dello U.A. che al bicolore inducevano sempre un pizzico di claustrofobia, fu lui a rompere di nuovo il ghiaccio. «È per Izuku?»
Shoto, anche se non lo conosceva bene come Denki e Hanta, sapeva della sua spiccata intelligenza emotiva e gliene fu riconoscente.
«Mm-mmh» annuì sovrappensiero e cercò i termini giusti. Non si era mai preoccupato particolarmente delle parole, di quali e con che intenzione venivano usate, soltanto di recente ne stava rivalutando l'importanza proprio grazie a persone come Izuku o anche Momo. «Vorrei essere un buon migliore amico, così come lo è lui con me, ma non so bene come. Ci provo però la maggior parte delle volte mi sento un incapace e basta».
Se il ragazzo dai capelli rossi fu sorpreso che si stava aprendo in modo così personale, non lo diede a vedere. «Ehi, frena» disse invece «Prima di tutto, ognuno ha il suo carattere e il suo modo di stare con gli altri. Sono sicuro che Izuku sa che fai fatica ma apprezza i tuoi sforzi. Tutti noi lo facciamo!»
Sorrise ancora. Chissà dove trovava tutta quell'energia e come faceva a non rischiare una paralisi facciale ogni volta. Shoto suppose perché aveva i muscoli allenati. Tutto il contrario di lui, che le rarissime volte che rideva per qualche secondo si ritrovava con dei dolori alle guance e che se parlava più di qualche ora al giorno, per esempio in preparazione a un'interrogazione orale, si trascinava dietro il mal di gola per almeno una settimana.
«Seconda cosa: se questa situazione non ti sta bene, hai provato a parlarne con lui?»
«Mmh, no». Si strinse nelle spalle, aggiunse più convinto: «Non ce n'è bisogno. Già lo sa. Mi dice sempre che non è un problema, che se voglio posso migliorarmi prendendomi tutto il tempo del mondo ma l'importante è che non lo sento come un obbligo e che rimango sempre me stesso, perché è questo a rendere unici e speciali. O qualcosa del genere».
Già, il Broccoletto lo capiva anche se non parlava, rispettava i suoi silenzi, lo accettava per com'era e insieme lo spingeva a migliorare. Quindi voleva solo essere in grado di ricambiare la sua bontà, dimostrare che per quanto apatico ci teneva alla sua amicizia, senza essere tanto impedito. Come aveva notato anche Denki una volta, era bravo in molte cose, ma nelle relazioni interpersonali era abbastanza un disastro.
«Avete proprio un bel rapporto, voi due» commentò Kirishima.
Ormai avevano raggiunto il portone di sicurezza che dava sul tetto dell'edificio scolastico. Lo tenne aperto, facendo pressione sulla maniglia antipanico, per permettere all'altro di passare per primo. Si fermarono in uno spazio libero e abbastanza appartato trovato di fortuna.
Shoto si dovette schermare con una mano gli occhi eterocromi prima di riuscire ad abituarsi alla luce del sole, che sempre più forte in quei giorni di fine aprile sbatteva e si rifrangeva sulla pavimentazione facendola quasi brillare. Gli mancava tanto l'inverno.
Tornò a rimuginare. Erano i piccoli gesti come quello che il compagno gli aveva appena riservato a fargli sorgere delle domande che un tempo nemmeno lo avrebbero sfiorato. Lui, Shoto Todoroki alias il principe di ghiaccio, sarebbe mai stato in grado di dedicare quelle attenzioni a qualcuno? Di essere premuroso in quel modo, di rendersi degno della fiducia degli altri? Forse, ma un presupposto fondamentale era che lui stesso ricambiasse quella fiducia e ancora era raro.
In sintesi, poteva essere migliore di così? Aveva rivolto queste parole a Bakugo, diverse settimane prima, eppure quel rimprovero valeva in primis per sé stesso.
«Dico che voglio aiutare Izuku» continuò a voce il filo dei propri pensieri «Ma non mi sembra, fino ad adesso, di aver fatto qualcosa di concreto. Non so, magari non mi impegno abbastanza, magari ho paura di espormi».
O di fare la fine di Ochako, aggiunse la sua parte più onesta. Lei che aveva attuato prima di lui gli stessi propositi, che aveva detto a cuore aperto al loro migliore amico quanto era preoccupata per la situazione in cui si era cacciato, e cosa aveva ottenuto? Una brutta discussione, di quelle in cui Shoto non vedeva impegnato Izuku da ben tre anni, quando aveva litigato proprio con lui dopo i giochi sportivi. Ma se allora ne era nata un'amicizia, stavolta ne era stata messa a rischio un'altra altrettanto importante. Adesso quei due quasi non si parlavano se non per necessità e non voleva che gli accadesse la stessa cosa.
«Ho sempre pensato di non dovermi preoccupare dei problemi degli altri, ma ho capito che non posso rimanere indifferente se si tratta di lui, delle persone a cui tengo. Però non so se mi sto comportando nel modo giusto...»
Sospirò leggermente frustrato. Di nuovo non trovava le parole. Sotto lo sguardo curioso di Kirishima, si concentrò sul sassolino che aveva colpito per sbaglio con una scarpa. Continuò a smuoverlo casualmente con la punta bianca delle sue Converse celesti, come se quello potesse dirgli come ordinare i pensieri. Di solito non erano mai così articolati e confusi.
Il fatto era: se voleva che Izuku stesse bene, cosa doveva fare nella pratica, di concreto? Nella propria ingenuità aveva notato alcune sue reazioni riconducibili a una certa persona. Allora, doveva allontanarlo dalla fonte principale dei suoi problemi oppure doveva spingerlo verso di essa perché era anche ciò che sembrava renderlo felice?
«... Felice» mormorò tra sé e sé quella parola a lui tanto sconosciuta. Non poteva dire in che cosa consistesse, la felicità, o di averla mai provata in modo forte e duraturo. Però, se nel suo piccolo poteva permettere che almeno le persone a cui aveva capito di tenere la potessero raggiungere, valeva la pena impegnarsi. «Sì, voglio che Izuku sia felice. Ma voglio anche... non perderlo. Quindi, come si fa ad essere dei buoni amici?»
Kirishima non rispose subito e stavolta non si preoccupò di nascondere che l'aveva stupito. Di nuovo, gli fu silenziosamente grato. Interpretare le persone era stancante e non poteva affrontare anche questa fatica adesso.
«Sai, in un certo senso noi due funzioniamo al contrario» affermò poi. «Fino a poco tempo fa, io mi preoccupavo così tanto degli altri da trascurare me stesso, mentre tu stai imparando solo adesso a non concentrarti solo su di te ma anche su quelli a cui vuoi bene».
Un'osservazione altrettanto profonda, che Shoto non avrebbe associato a lui. Non era l'unico che stava cambiando ultimamente.
«Tutti e due abbiamo ancora tanto da imparare, ma se c'è una cosa che so è questa: non esiste un modo per essere dei buoni amici. Non ci sono delle istruzioni, un elenco di azioni da spuntare. Lo si è e basta, a modo proprio. E da come hai parlato, fidati che ci stai riuscendo alla grande, anche senza accorgertene».
Sfoggiò un altro immancabile sorriso incoraggiante. «Ora, volevi un consiglio, giusto? Parlane. Anche se è difficile. Di' a Izuku quello che senti, le stesse cose che hai detto a me. Le saprà già, ma sentirsele dire chiaramente fa tutto un altro effetto. Poi continua a stargli vicino. Magari così riuscirai anche a farlo ragionare e risolverete, qualsiasi cosa sia successa tra voi della DekuSquad».
«Mmh» fece soltanto. In realtà era molto riconoscente per quel discorso motivazionale, solo rimase molto sovrappensiero. Il rosso ne sembrò consapevole e comunque soddisfatto della chiacchierata, quindi suppose che andava bene così. «Sì, ci proverò. Grazie Eijiro».
Ricambiò il suo sorriso enorme per essere stato chiamato per nome con un piccolo cenno della testa e si allontanò. Ancora non gli sembrava vero essere riuscito ad esporre i suoi problemi e a posteriori si sentiva sollevato che fosse accaduto con Kirishima. Non ci aveva mai avuto tanta confidenza però era stato così comprensivo e, chissà, forse da quel momento si era fatto un nuovo amico.
Si accorse di star sorridendo anche lui solo quando raggiunse Izuku e fu questi a farglielo notare. Seduto al solito posto, contro la rete metallica che delimitava il perimetro del tetto, era intento a scrollare la home di qualche social che riportava notizie su anime e manga, prima di accorgersi di lui. «Oh, che cos'è quello?» aveva esclamato allora, puntandogli giocosamente un dito contro.
«Quello cosa?» Shoto aveva ripetuto spaesato intanto che gli sedeva vicino. Aveva preso l'abitudine di non affiancare le persone da quel lato, il destro, di modo che non si soffermassero troppo sulla parte sinistra del suo viso. All'inizio perché gli creava disagio, che tutti si fissassero su quel segno particolare che non aveva chiesto lui di avere, dopo perché era diventata una cosa automatica. In ogni caso, con Izuku non si poneva il problema, si sentiva al sicuro.
«L'ho visto, Sho» cantilenò «Stavi sorridendo».
Si grattò distrattamente la guancia. «Mmh, davvero?»
«È per Eijiro? Che ti ha detto? Qualcosa di bello? Posso saperlo anch'io? Ti prego, sono curioso! Perché parlavi con lui e gli altri? E perché...»
Ormai era partito con le sue domande a raffica. A Shoto non dispiaceva, ma non poteva proprio rispondergli, riguardava lui e lo considerava una specie di segreto.
Vedere Ochako che passava poco distante, che gli rivolgeva un cenno gentile, evitava prontamente il ragazzo accanto e poi tornava a chiacchierare con Tsuyu mentre cercavano un altro posto per loro, gli diede modo di cambiare argomento.
«Tenya dov'è?» Era un insensibile, ma non così tanto da rivangare direttamente la questione "Ochako". Entrambi i suoi migliori amici ci stavano male e avevano bisogno anche di pensare ad altro.
«Oh, è andato via poco fa per vedersi con Mei. È una cosa seria ormai, la loro».
Il sorriso dell'amico con le lentiggini si spense presto e il suo sguardo si perse nel vuoto, adombrato da un velo di malinconia, un po' di invidia anche, forse. Sì, stava proprio migliorando nell'interpretare le persone e Izuku era la sua principale inconsapevole cavia.
Un altro fatto che non gli passò inosservato fu l'immotivata occhiataccia torva di Bakugo. Stava in pratica di fronte a loro, al lato opposto dell'ampio spazio ricreativo, circondato dagli amici che palesemente non ascoltava se non quando gli urlava contro random di tanto in tanto. Dopo che si era rifiutato categoricamente per anni, nell'ultimo periodo aveva preso a trascorrere le pause lì, consentendo quindi alla BakuSquad di riunirsi al completo. Shoto rimpiangeva quei momenti che era solito passare in tranquillità, senza quel baccano udibile a metri e metri di distanza e senza quegli sguardi che prima o poi, verosimilmente, gli avrebbero perforato il cranio.
All'improvviso, un lampo di genio. «Dici che è geloso?»
«Cosa? Chi?»
«Bakugo. Di me. È da minuti che mi guarda malissimo».
«... Eh?»
«Deve star pensando che gli voglio togliere il suo migliore amico. Ma non è mia intenzione rubargli Eijiro» spiegò convinto e riportò la sua attenzione sul ragazzo affianco che nel frattempo sembrava aver smesso di respirare, bianco come un cencio. Sì, anche con le similitudini e il senso non letterale delle parole stava migliorando.
«Oh, intendevi quello» Izuku poi sospirò di sollievo e anche... delusione? Ridacchiò, si strinse nelle spalle e farfugliò dell'altro, tipo che Kacchan anche se non sembrava era una persona ragionevole, non avrebbe pensato così e non se la sarebbe presa per quello, Shoto poteva stare tranquillo.
Stava giusto per ribattere che quella non gli pareva affatto l'espressione di una persona ragionevole quanto di un aspirante assassino, quando lo vide. Il sobbalzare e fremere impercettibile di Izuku, il suo respiro mozzarsi di nuovo, i suoi occhi animarsi di una strana luce quando quelli di Bakugo vi si incastrarono. Sguardo che subito fu distolto dal biondo, accompagnato da quello che anche da lontano si capiva essere uno dei suoi celebri stizziti «Tch».
E allora ebbe un'altra illuminazione. Sapeva di non essere molto perspicace, perciò si perdonò di esserci giunto solo adesso. In effetti il suo tempismo in questa faccenda era quasi un traguardo.
«Izuku» se ne uscì, con la solita schiettezza che spesso appariva indiscrezione, unita a lieve disagio e sincero sforzo. «Izuku, tu... Cosa provi per Ba- Katsuki?»
«È così evidente, eh?» Un sorriso incerto sul volto che si abbassava, le dita delle mani che cominciavano a intrecciarsi e torturarsi a vicenda. «Vedi, lui... Io... Ecco, penso che mi... mi piaccia. Kacchan mi piace, Sho, e anche tanto».
«Mmh. Sì, questo lo sapevo. Anche se continuo a non capire che lo giustifichi sempre e trovi un suo lato buono che vedi solo tu. Ma non è una novità che non lo sopporto» il suo tono si fece un poco più freddo verso la fine e si affrettò a chiarire «Non mi piace quello lì... Però, Izuku, tu mi piaci». Eijiro aveva consigliato di dirgli le cose anche se già le sapeva, giusto?
Un pomodoro. Anzi, una fragola. Gote arrossate, pallini scuri a punteggiarla, cespuglietto verde in alto e c'era proprio tutto per associare il migliore amico a quel frutto. Izuku aveva alzato di scatto la testa ed era rimasto a fissarlo, mentre sul suo viso si facevano strada tante emozioni diverse, dalla sorpresa alla confusione fino alla realizzazione di qualcosa che a Shoto sfuggì e infine all'imbarazzo.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?»
«Oddio, Shoto, no, è solo che...» fece impanicato «Per un attimo ho immaginato... N-Non... Non avevo mai pensato a te i-in quel senso...»
Inclinò la testa. Di nuovo, l'avvilente impressione di essere rimasto indietro e di essere troppo ingenuo, come tante persone gli dicevano pur benevolmente. «Quale senso?»
«Oh, Sho...» Finalmente, dopo giorni che erano sembrati un'eternità, Izuku rise, rise per davvero. In quel suo modo fin troppo sentito, che gli faceva portare le mani sulla pancia dolorante e venire le lacrime agli occhi.
Anche se non stava capendo, il ragazzo dai capelli bicolore era soddisfatto di essere riuscito a farlo sciogliere in una di quelle sue risate.
Ebbe poi la premura di chiarire, al solito paziente con lui. «Anche tu mi piaci Sho, come amico. Con Kacchan, invece... Non è solamente questo, è diverso. Mi piace... oltre».
«Mmh. Definisci questo "mi piace"».
Un'altra risatina. «Hai ragione. Come te lo spiego...» Izuku rivolse lo sguardo al cielo e si prese diversi secondi, attento com'era sempre alla scelta delle parole giuste, vere.
Parlò piano, con il sorriso sulle labbra. «Intendo quel "mi piace" di quando senti di essere legato a quella persona in modo così... profondo e inevitabile che è sempre al centro dei tuoi pensieri, che tu lo voglia o no. Di quando non puoi fare a meno di cercarla in ogni cosa che fai, sperare che ricambi anche soltanto il tuo sguardo, e se succede senti lo stomaco che ti si contorce e il cuore che ti trema. Di quando sai che non importa cosa accada, se è giusto o sbagliato, se non c'è un perché. Faresti di tutto pur di averla accanto un solo attimo in più. Lasceresti che ti riducesse il cuore a brandelli e la seguiresti anche all'inferno. Perché bruci, bruci ogni singolo istante per lei».
«... Ah» fu tutto ciò che uscì dalla bocca di Shoto. Se desiderava essere meno apatico e provare anche lui dei sentimenti come il suo amico e tutte le persone normali, alcune volte questo un po' lo spaventava.
«Voglio dire» ammise, iniziando come senza accorgersene aveva imparato da Momo «Non sembra una bella cosa. Sembra doloroso. E un po' pauroso. Un po' tanto».
«Sì. Forse, è proprio per questo che mi attrae». Izuku tornò a guardarlo. Si strinse nelle spalle, mise su una delle sue espressioni impacciate. «Secondo te sono pazzo?»
«Mmh, non direi. Solo un po' troppo testardo e incurante del pericolo, pazzo ancora no» rispose in tutta sincerità. Poi, fu attraversato da un pensiero che non gli piacque affatto. «Però, Izuku... Non voglio che ti fai ridurre il cuore a brandelli, bruciare e tutte quelle cose brutte. Non voglio che ti lasci distruggere. Me lo prometti?»
«Oh, Sho, io parlavo in senso figurato... Ma va bene, mi prenderò cura anche di me, te lo prometto».
Gli rivolse uno dei suoi caldi sorrisi e gli porse il mignolo, come nelle promesse che si fanno da bambini. Shoto lo sfiorò con il suo, permettendo anche alle labbra di incresparsi all'insù. Totalmente ignaro dello sguardo di Bakugo che tornava a posarsi su di loro gridando puro omicidio.
Non era mai stato vicino a Izuku più di così. Era un complice e tacito accordo, questo confine che poneva con gli altri incluso il suo migliore amico e che quest'ultimo aveva sempre accettato e rispettato.
Fino a quella sera, quando Shoto se lo ritrovò appiccicato alla faccia.
Non avrebbe saputo spiegare come era finito in quella situazione, né cosa accadde dopo e come si sarebbe conclusa la serata. Il fatto era che la festa da Hanta non si rivelò essere così male. Si era anche sciolto, a suo agio per l'atmosfera accogliente e aiutato dai drink buonissimi che il padrone di casa, indiscutibile maestro in ciò, aveva preparato a tutti quanti.
A un certo punto erano finiti a fare questo gioco buffo in cui bisognava stare seduti in cerchio a guardare una bottiglia vuota che girava su sé stessa. Ci aveva messo un po' a capire come funzionava, finché non c'era stata qualche dimostrazione pratica, tipo Denki e Kyoka che si mangiavano la faccia a vicenda con le labbra, e allora aveva compreso anche se ancora non coglieva lo scopo di quella strana azione.
«Sei sicuro, Sho?» il ragazzo dai capelli verdi, e gli occhi lucidi e le guance rossissime perché quella sera, tra le tante cose, si scoprì che Izuku reggeva ben poco gli alcolici, gli chiese così per quella che come minimo era la terza volta, dopo essersi sistemato meglio seduto sulle ginocchia di fronte a lui.
Di norma provava ancora un senso di inadeguatezza riguardo il contatto fisico, ma l'alcol sembrava averlo liberato da questo impiccio che si portava sempre appresso. E si disse che se era Izuku o qualcun altro di cui si fidava a infrangere quella barriera invisibile, poteva sopportarlo. Era ok, era una persona a cui teneva, con cui aveva faticosamente imparato a legarsi nel corso degli anni. Inoltre Eijiro gli aveva consigliato anche di stare vicino al suo migliore amico e gli adulti spesso si consolavano in quel modo, giusto?
Annuì. Non dovette apparire molto convinto, perché l'alcol stava avendo anche l'effetto di rallentargli i movimenti oltre che i ragionamenti facendolo sembrare un ebete, o forse era che Izuku da ubriaco diventava ancora più apprensivo oltre che logorroico e impacciato del normale.
«Se faccio qualcosa che non ti piace, dimmelo o allontanami o qualsiasi altra cosa per farmelo capire e smetto subito».
Un altro piccolo cenno, un altro sorrisino in risposta. «Va bene, allora... Adesso mi avvicino...»
Fu gentile e delicato a ridurre la distanza senza fretta, a parlargli spiegando ogni singolo movimento che avrebbe fatto per non allarmarlo e anche quando con le dita gli percorse piano il contorno della cicatrice.
«Sei carino» mormorò, per poi scoppiare nell'ennesima risatina. Tra i due era difficile dire chi fosse più andato. «Te l'ho mai detto? Sei così bello, Sho».
«Hai capito il Broccoletto!»
«Uh, meno male che Bakubro non sta vedendo... Cazzo, dov'è? Forse solo fuori? Dio, fa' di sì e che tutto sia integro. Hanta! Amico vieni, dobbiamo recuperarlo!»
«Dai però, devi baciarlo, non flirtarci!»
«Raga, mettetevi nei suoi panni, come dargli torto...»
Questi i commenti che arrivarono in sottofondo da qualcuno. Onestamente nella testa di Shoto era tutto così confuso e indistinto. Sapeva solo che se la sentiva leggerissima, che ora Izuku, un misto tra il suo profumo simile a vaniglia e il forte sapore di un qualche drink alla fragola, si schiacciava contro lui e che aveva... sonno.
Sì, aveva sonno e infatti poco dopo si sarebbe addormentato sulla spalla di Izuku, assecondando il suo invito divertito ad appoggiarcisi, stremato da quel semplice gesto che non gli fece particolare effetto ma risvegliò certe memorie e viaggi mentali pesanti.
Il fatto era che da sempre era stato cresciuto sotto una campana di vetro, in una famiglia altolocata e che come nobiltà comanda era rispettosa dello spazio personale al punto da ridurre i gesti d'affetto al minimo. L'incidente con sua madre, poi, non aveva fatto altro che trasformare l'ereditato atteggiamento sprezzante verso il contatto fisico in autentica paura. Ora si accorgeva di quanto fosse stato penalizzato e invalidato da tutto questo. Pensò che avrebbe voluto anche lui saper approcciarsi alle persone, saperle toccare e fare stare bene, come Izuku e tutti gli altri erano capaci di fare.
Da bambino gli era sempre stato insegnato di non fidarsi degli sconosciuti. Sua madre per prima glielo ripeteva sempre, quasi come un mantra o una ninna nanna. Ma dopo, alla fine, che ironia: le situazioni peggiori le aveva vissute proprio tra le mura di casa dove avrebbe dovuto sentirsi più al sicuro. Perciò, per tutelarsi dal soffrire ancora, si era promesso di essere freddo e distaccato, ignorando quella sensazione di vuoto che si portava dentro e non era in grado di articolare a voce alta.
La verità era che non voleva rimanere solo, intrappolato nella sua corazza di ghiaccio. Voleva qualcuno di cui potersi fidare e a cui potersi aggrappare prima di venire inglobato da quel vuoto, da quella solitudine che aveva imposto sulla sua vita, e venirne disfatto. Voleva concedersi di provare le emozioni che aveva represso per tutta la vita fino all'inizio di quell'anno e che da poco aveva trovato la forza di scongelare.
Mentre scivolava nel mondo dei sogni, tra sé e sé Shoto disse finalmente addio al principe di ghiaccio che si dissolveva dal vivere davvero.
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