3.2│Drown
art: hosimorii
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Drown,
Bring Me the Horizon
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volume: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%
❝ It comes in waves, I close my eyes,
hold my breath and let it bury me
I'm not ok and it's not alright
Won't you drag the lake and bring me home again? ❞
☆
Una fottuta calamita per gli occhi. Ecco cos'era Denki Kaminari. Lì, nel salotto di casa Sero invaso da cartoni di pizza mezzi vuoti, scarpe, cuscini e altro di indefinito sparso sul pavimento, che ballava con Mina una di quelle canzoni latino-americane catchy da discoteca, attirando inevitabilmente lo sguardo di tutti quanti.
A Kyoka sembrò di essere percorsa da una scarica elettrica, quando fu poi beccata a fissarlo, gli occhi ambra che si posavano su di lei divertiti e con un accenno di furbizia.
«Piccoletta, vieni anche tu!» esclamò porgendole una mano.
Afferrò la sua prima ancora che potesse rifiutare e la trascinò in piedi dal divano su cui era seduta insieme alle altre ragazze. Di nuovo, quella sensazione di pura elettricità nell'aria attorno, che stavolta sembrò non essere solo nella sua testa ma concretizzarsi tra le loro mani che si toccavano appena.
«Ahi, mi hai dato la scossa! O forse sono io che l'ho data a te?» Denki rise di gusto interrompendo il contatto, ma solo per un attimo, per poi ripristinarlo con più convinzione.
«Che ne so, idiota» fu l'unica cosa che Kyoka riuscì a bofonchiare.
Era combattuta tra lo stupido desiderio di assecondarlo e la voglia di sotterrarsi, non prima di averlo preso a sprangate sui denti perché sapeva quanto detestava ballare in pubblico. Non era esibizionista come lui, dannazione, le ci voleva più di un misero bicchiere di birra mandato giù tra un boccone di pizza e l'altro per sciogliersi.
Fu l'intervento del padrone di casa, per quella sera, a salvarla dal mare di imbarazzo in cui già sentiva di star annegando. E detestava sentirsi così, non era possibile che un breve sguardo o un fugace tocco creassero tutta quella tensione e la mandassero tanto in crisi, eppure continuava a succedere senza che potesse farci niente da qualche mese a quella parte, da quando aveva realizzato che l'idiota le piaceva come più di un semplice amico.
Hanta si pose in mezzo, avvolgendo le spalle di loro due e attirando a sé anche Mina, con le sue braccia lunghe e sottili dagli strani gomiti sporgenti. «Bro, siete bellissimi ma basta sculettare nel mio salotto. Dovete aiutarmi a pulire questo macello. Così possiamo passare alla seconda fase, si me entiendes».
Vedendo come si scambiava sguardi allusivi e occhiolini con i due festaioli per antonomasia, la ragazza dai capelli viola si sentì meno salva. Ormai era una regola non scritta che dopo la cena le sue feste si trasformassero in scatenate serate alcoliche. A riprova, quei tre iniziarono a proporre diversi giochi mentre ordinavano la stanza, per quanto possibile, coinvolgendo gli altri. Incredibile quanta motivazione sapessero trovare per simili cose.
Kyoka colse l'occasione per sgattaiolare in giardino a fumarsi una sigaretta, con la scusa che le serviva un po' di concentrazione per scegliere le musiche adatte alla temibile seconda fase della festa, essendo stata eletta dal moro a dj onorario.
«Ehi!» Eijiro le sorrise, solare come sempre, quando uscì e raggiunse l'amaca, trovandovi stravaccati l'uno di fronte all'altro lui e Katsuki che dovevano aver avuto la sua stessa idea.
Sì, Hanta aveva un'amaca in giardino. Prima, durante il pomeriggio passato di fuori, gli invitati avevano trascorso minuti interi a lottare per provarla. Già si potevano prevedere le foto incriminanti che Mina e Toru avrebbero condiviso sul gruppo di classe: avevano passato tutto il tempo a fare scatti su scatti e a immortalare qualsiasi dettaglio, al punto che avrebbero potuto realizzarci un intero album fotografico.
«Ehi» ricambiò il saluto. «Ah, ti cerca Mina. Dice che devi aiutarla a scegliere le foto venute meglio, o qualcosa del genere» informò il rosso, ricordandosi per l'appunto del messaggio che l'amica le aveva chiesto di riferire giusto prima che uscisse.
«Mi aspetta un lungo quarto d'ora, eh?» Eijiro sospirò retorico. Non era una novità anche che Mina sfruttasse i suoi amici come cavie per posare per i suoi scatti e selezionare quelli migliori, in quel caso tra gli alberi in fiore del piccolo angolo di paradiso che era il giardino di Hanta.
«Fai anche mezz'ora».
Lui rise, per niente disperato come avrebbe fatto un comune mortale, anzi quasi emozionato all'idea. Prima o poi avrebbero dovuto farlo santo.
«Ci si vede dentro, belli». Balzò giù dall'amaca all'improvviso, provocando un'immancabile ma giustificata bestemmia di Katsuki che rischiò di finire schiantato al suolo per lo scompenso di equilibrio, e scomparve dalla loro vista.
Kyoka si sedette all'estremità lasciata libera. Tirò fuori il fidato pacchetto di sigarette dalla tasca anteriore della sua adorata felpa oversize nera dei Guns N' Roses. Si era ricordata di fare tappa a comprarne prima della festa, così da non doverne scroccare a destra e a manca come al solito.
Però, si accorse con orrore, stavolta aveva dimenticato l'accendino. «Fanculo» imprecò a denti stretti. Quindi si rivolse alla sua sola speranza, anche se chiedere un favore a Katsuki Bakugo era approssimativamente inutile: «Ehi, hai da accendere?»
«No» fu infatti la risposta del biondo, che poi sogghignò prendendo di proposito un lungo tiro dalla sua sigaretta e sbuffando fuori il fumo con irritante lentezza.
Tuttavia, per chissà quale magica combinazione astrale, dopo si tirò a sedere anche lui, cacciò dalla tasca posteriore dei jeans larghi e strappati il suo accendino e con poca premura lo lanciò in faccia all'amica.
Lei lo afferrò in tempo per non ritrovarsi il setto nasale spaccato e non se lo fece ripetere due volte prima di usarlo.
«Grazie. Cosa ti devo stavolta?» chiese poi, perché era risaputo anche che non faceva nulla senza richiedere qualcosa in cambio e lei aveva decisamente troppi debiti con lui. «Oltre a ripagarti le sigarette, ovviamente, su quello ci sto ancora lavorando» prese a elencare «La foto sputtanante che Mina ti ha fatto l'altra sera mentre sbavavi sulla spalla di Eiji? O quella in cui ti facevi accarezzare i capelli come un tenero cucciolo di cane? Oppure-»
«Ah, sta' zitta» la mise a tacere con una leggera gomitata.
Kyoka ringraziò di non essere biologicamente di sesso maschile, perché non ci teneva ad avere collo e braccia martoriati da energici coppini e pugni come Eijiro. Aveva notato infatti che Katsuki, pur rimanendo il solito scorbutico, ci andava più piano con le ragazze, forse perché di solito di costituzione più gracile, e quindi ne approfittava per provocarlo e divertirsi un po'.
Dopotutto la loro amicizia si basava su quello, stuzzicarsi, insultarsi e sfottersi. In generale, era il modo prediletto da entrambi nei rapporti sociali.
«Non voglio niente».
«Oddio, mi devo preoccupare? Sei davvero tu? Dov'è finito il sommo Re delle Esplosioni Mortali?»
«Finiscila, Emo di Merda, prima che cambi idea». Un'altra spintarella. «Devo per forza volere qualcosa in cambio per essere gentile, per una volta, hah?»
Stavolta Kyoka si sconvolse davvero, non più per finta. Si ingozzò con il fumo e tossicchiò un po' prima di riuscire a riprendersi, il tutto sotto lo sguardo di sbieco del ragazzo. C'era della disapprovazione, ma anche... rassegnazione. Così come in quella domanda inaspettata che pareva essere proprio seria, nascondere quasi della profondità. E ancora non aveva bevuto. Un evento da segnare sul calendario.
«Beh, no. È solo che è strano sentire parlare così Katsuki stronzo Bakugo, marchio registrato» ammise con la solita schiettezza. «Non è una cosa brutta, mette solo un po' i brividi».
Gambe incrociate, gomito appoggiato su una di esse e mano a sostenersi la guancia, giocherellò con l'orecchino pendente a due fili, attorcigliandolo attorno all'indice. Si perse a pensare, nel mentre che l'altra mano continuava a reggere la sigaretta e a portarsela alla bocca di tanto in tanto, osservando a occhi socchiusi le nuvolette bianche di fumo che abbandonavano le sue labbra e si dissolvevano nell'aria.
«È difficile cambiare...» si ritrovò a sussurrare senza apparente motivo «Sforzarsi di essere o fare qualcosa a cui non sei abituato, dico, anche se sai che è la cosa migliore».
Ormai non sapeva più di chi stava parlando, Katsuki o lei stessa. Più la seconda. Perché in momenti come quello il suo stato d'animo era ok, ma se per una volta sorridi non significa che va tutto bene; le solite voci cattive nella sua testa erano sempre in agguato, pronte a tornare a tradimento.
Era davvero abbastanza o solo un caso perso? Era possibile per lei salvarsi o alla fine, nonostante i progressi, sarebbe sprofondata nella voragine delle sue paure e dei suoi problemi e in fondo che importava?
Ora aveva maturato un minimo di forza di volontà nel combattere per sé stessa, nel chiedere e accettare aiuto, però quell'interrogativo che la accompagnava da anni rimaneva e sarebbe sempre rimasto. E si diceva che andava bene così.
Certe persone basavano tutta la loro vita sulla ricerca spasmodica di una risposta. Kyoka invece ancora ci rinunciava, ma non più per puro pessimismo come in passato. Aveva concluso che forse per alcuni, alcuni come lei, una risposta, una morale o quant'altro semplicemente non esistono. Del resto mai le era importato o ci aveva creduto e il mondo andava avanti comunque. Piuttosto, con quel tempo e quelle energie spese per cercarle invano, faceva prima a imparare a conviverci.
«Oi, che hai stasera da essere così loquace?» stavolta fu il turno di Katsuki di stupirsi.
«Io sono sempre molto loquace» ironizzò allora. «Sai, io e te non siamo poi così diversi» continuò a riflettere senza più collegare la bocca al cervello, perché ormai era partita e già che c'era poteva approfittare dell'insolita disponibilità a parlare dell'amico.
«Dio, no, anche tu con questa storia». Allo sguardo interrogativo, specificò: «Il Bastardo a Metà. Ormai circa un mese fa. Non fare domande».
Sbatté più volte le palpebre, perplessa. Scelse di assecondarlo e focalizzarsi su ciò che intendeva. «Pensaci. Sei uno dei pochi che mi batte in quanto a linguaggio volgare. Io sono un po' più silenziosa, ma come te sono aggressiva e se mi ci metto meno anche forte. Tutti e due siamo testardi e abbastanza misantropi, e dei completi idioti quando si tratta di sentimenti e legarsi a qualcuno».
«... Che stai... cercando di dire?»
Nessuna replica all'insulto non poi tanto indiretto, sguardo attento, voce così cauta. Era come se Katsuki si stesse mettendo con le spalle al muro, consapevole di essere stato beccato in un tasto dolente che ostentava di non avere.
Le ricordò un po' Denki, la sua espressione spaurita e insieme sorpresa di quella notte alla baita di Momo che mai avrebbe dimenticato.
«Puoi mentire e nasconderlo quanto vuoi, ma tra simili ci si riconosce» commentò, sovrappensiero tra quei ricordi.
Un'involontaria uscita solenne, che sembrava tratta da un libro o dai blog tumblr di cui andava pazza Toru, ma che anche riassumeva ciò che aveva capito negli ultimi mesi, nei rapporti che aveva intrecciato e approfondito, da Momo a Denki fino a sé stessa. Quella verità valeva prima di tutto proprio per lei e la comprendeva solo adesso che cominciava ad ascoltarsi un po' di più.
«Non so neanch'io dove voglio andare a parare» sbuffò stringendosi nelle spalle. «È solo che il nostro carattere un po' impossibile non rende facile agli altri avere a che fare con noi, non trovi? Spesso ci rende ciechi, o meglio sordi. Chiusi e cocciuti come siamo, sentiamo solo quello che vogliamo sentire, senza fare caso a tutto il resto. Ma sai, credo che... Non ci rende meno tosti lasciare che chi ci vuole bene si prenda cura di noi».
Era proprio così. Finalmente ammetteva ad alta voce quelle conclusioni in modo così lucido, quando non aveva fatto altro che rinnegarle per lungo tempo.
Si sentiva incompresa, in passato, come gli artisti maledetti, nei suoi urli silenziosi di aiuto, eppure era lei la prima a non ascoltare, a chiudersi quando gli altri le volevano stare vicino, specie una certa persona che da sempre le ripeteva quanto era importante. Si tappava le orecchie e girava dall'altra parte, concentrata solo ad ascoltare i giudizi negativi che venivano sia dall'esterno che dall'interno, abituata com'era a sentire solo quelli.
Ma adesso basta. Era il momento di finirla di allontanare tutti fingendo che fosse ok e lasciarsi aiutare. Anche se risposte e morali filosofiche non ce n'erano, l'universo non ne aveva contemplate per lei.
«Ecco, mi è venuto da pensare questo, tutto qui» minimizzò in un mormorio.
«Faccia da Scemo?» indagò il ragazzo al suo fianco, perfettamente sincronizzato con la realizzazione nella sua testa. Anche se palesemente faceva schifo quanto lei con le emozioni, era un tipo intelligente e forse fin troppo consapevole di tutto. In paradosso con il carattere impulsivo e altamente infiammabile, la sua mente era una fredda calcolatrice, anche e soprattutto per le faccende legate ai sentimenti che tanto disprezzava.
«Ah-ah».
Katsuki si limitò a un cenno, compiaciuto per l'appunto dei suoi calcoli corretti, e tornò a fissare la sigaretta tra le sue dita. Per un po' continuò a picchiettarne un'estremità anche se non c'era più cenere da scrollare a terra, corrucciato e assorto in un raro silenzio. Forse era anche un po' a disagio. Senza forse e senza un po'. Averci preso non lo levava comunque dall'impaccio a cui lo portavano quegli argomenti.
Questa fu la spiegazione che si diede Kyoka. Ne era sicura perché anche lei era così. In fondo loro due sapevano da anni di essere simili e la loro amicizia sorgeva anche su queste radici taciute. Semplicemente non se lo erano mai detti così chiaro e trasparente prima di allora. Non ce n'era bisogno, ma nemmeno era stato tanto terribile.
Rimasero lì ancora un paio di minuti a finire di fumare, con i suoni dei loro sbuffi e delle voci alte degli amici dentro casa che aveva paura di sapere cosa stavano combinando come sottofondo. Insomma, proprio piacevole e con un che di poetico.
Infine Katsuki si alzò, a porre fine a quel momento. «A questo punto dovrei ammettere che hai fottutamente ragione su tutto, ma mi limiterò a liquidarti con un fanculo questa merda, sei d'accordo?»
«D'accordissimo» ridacchiò. «Fanculo questa merda?»
«Fanculo questa merda».
«Fanculo questa merda!»
Chissà che diamine c'era, in quelle sigarette, nella maledetta aria che si respirava o in tutta quell'atmosfera. Si ritrovarono a urlare al cielo quella frase, sempre più forte, e ogni tanto a ridere come due cretini. Sì, Katsuki Bakugo sapeva ridere, anche se il più delle volte erano risate di esasperazione, un po' come quella.
C'era proprio qualcosa di strano. Magari Hanta aveva condito di nascosto le loro pizze con una spruzzatina di origano e quell'altra piantina che coltivava nel suo piccolo orto e tutti erano abbastanza sicuri non fosse qualcosa di molto legale. Oppure, anche se quella prima ipotesi non andava esclusa, era solo che si stavano concedendo di liberarsi dei drammi che si trascinavano dietro e dentro, come i due semplici adolescenti un po', un po' tanto, teste di cazzo che erano e si stavano permettendo di essere.
«Ahem, cosa...»
«... Que carajo, bro».
All'improvviso, delle voci. Kyoka e Katsuki si voltarono con un mezzo giro su loro stessi e si paralizzarono. Denki e Hanta, sulla porta d'ingresso, li avevano colti in flagrante e ora li osservavano altrettanto basiti, in una perfetta riproduzione del meme degli Spiderman che si indicano.
«Ragazzi, che succede?» si unì una terza persona. Dalla chioma rossa che sbucava dalla porta riconobbero Eijiro ancora prima che si palesasse del tutto, andando ad affiancare gli altri. Almeno lui era arrivato in ritardo, non aveva assistito all'assurda scena.
Katsuki non perse tempo a raggiungere i due idioti e sibilare qualche minaccia come se ne andasse della propria vita, mentre il povero e ignaro Eijiro continuava ad alternare lo sguardo tra loro senza capire.
Così Kyoka dedusse leggendo il labiale e approfittò del momento per avviarsi dentro inosservata, prima che potessero fare domande a lei. Fu immediatamente raggiunta dall'amico dai capelli rossi, che prese a dirle entusiasta che mancavano soltanto loro ed era tutto pronto per iniziare il primo gioco, il classico "Hai mai".
Perciò non sentirono ciò che Katsuki aggiunse poggiando una mano sulla spalla di Denki, lasciandosi sfuggire qualcosina di troppo. «Faccia da Scemo, non fare quell'espressione. Ti pare che ti rubo la ragazza, hah? Ma è una tosta, tienitela stretta. Non fare altre cazzate. Non fare come me».
A Kyoka questo sarebbe stato riferito proprio da Denki parecchio tempo dopo, una volta in cui tutti insieme avrebbero ricordato divertiti quella folle serata destinata a sconvolgere ulteriormente diversi equilibri nel gruppo classe. E quello era solo l'inizio.
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