3.0│SugarCrash!

[ NdA ] Finalmente posso svelare la particolarità che anticipavo di quest'ultima parte della storia: ogni capitolo avrà come tema una canzone!

Personalmente mi gasa molto l'idea, ci sono alcune che sembrano scritte apposta per certi personaggi, non potevo non ficcarcele in qualche modo. Da una parte quindi è stato divertente scegliere una lyrics da abbinare a ognuno, dall'altra è stata una sfida costruire il capitolo su quella base.

Purtroppo Wattpad mi odia e non mi permette di allegare i video qui in alto insieme alla solita fotina come a tutti i comuni mortali, e delle fanart non ci si può privare, specie di queste che saranno le ultime. Perciò ogni volta indicherò all'inizio la canzone. Così se vi incuriosisce potete andare a cercarla per conto vostro e in generale farvi un'idea se è azzeccata o meno per il protagonista, oppure se ne avete altre che gli associate sono curiosa!

Posso lasciarvi al capitolo. Come tutti quelli introduttivi di un nuovo arco è incentrato su personaggi secondari, perché sebbene comparse (Bakugo approves) sento il viscerale bisogno di dare la mia versione/interpretazione anche di loro. Questo qui sarà anche abbastanza meme a partire proprio dalle canzoni, una cosa leggera - non io che tento palesemente di rimediare a quanto mi starete odiando per l'ultimo capitolo su Katsuki, no no...

Ma ho già sproloquiato troppo come al solito. Buona lettura!

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Abcdefu,
Gayle

1:35 ━━━━❍─── 2:57
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I was into you but I'm over it now
And I was trying to be nice
But nothing's getting through
So let me spell it out
A b c d e f u

Toru Hagakure arrivò trafelata al luogo dell'incontro. Al solito era in ritardo, avendo passato un'eternità davanti all'armadio indecisa sull'outfit. Eppure si trattava solo di andare al piccolo supermercato vicino a casa, in cui al massimo sarebbe stata vista dai vecchietti che abitavano in zona e praticamente frequentavano quel posto ventiquattr'ore su ventiquattro.

Dopo minuti e minuti di ripensamenti che manco durante le verifiche di matematica, in cui per la cronaca arrancava per la sufficienza ogni anno, alla fine optò per un top color pesca a mezze maniche, una salopette di jeans e le sue amate Air Force bianche.

La tonalità della maglietta si abbinava perfettamente ai suoi capelli. Poche settimane prima, in preda a una delle sue idee improvvise, aveva abbandonato le mesh multicolor e provato una nuova tinta, simile a quella di Mina ma di un tono più slavato. Ora si stava sbiadendo e tendeva al bianco, al punto che la sua migliore amica la paragonava scherzosamente alla ricrescita dei capelli a destra di Figoroki, soprannome da loro non troppo segretamente attribuito a Shoto.

Notò che anche l'altro partecipante a quell'insolito appuntamento era in ritardo, quindi si sedette ad aspettare su una panchina all'ombra trovata per puro culo. Prese il cellulare dal suo zainetto di pelle e aprì la fotocamera interna per aiutarsi a sistemare la frangetta spettinata dal vento primaverile e i capelli che adesso le arrivavano alle spalle.

Di solito si specchiava su qualsiasi superficie a disposizione, dalle vetrine dei negozi ai finestrini delle macchine parcheggiate, però aveva smesso dopo un tragico incidente: una volta in una di esse scoprì esserci il proprietario, questo tizio che aveva atteso un minuto buono senza palesarsi, per poi farle prendere un infarto abbassando di colpo il vetro e chiedendole serafico se aveva finito o voleva le portasse anche spazzola e trucchi. Avrebbe voluto poter dire che fu una delle esperienze più imbarazzanti della sua vita, ma purtroppo le era accaduto anche di peggio. Comunque, la voglia di sotterrarsi dalla vergogna fino a scomparire era tanta, in quel momento e nelle occasioni a seguire in cui ci avrebbe ripensato.

Sbuffò poco convinta al riflesso dei suoi capelli freschi di parrucchiere. Era uno di quei classici tagli per cui gli lasci spazio di manovra, ti sembra che sia venuto uno schifo ma sorridi e annuisci e speri di abituarti perché non hai altra scelta nel paio di mesi che ti separano dall'appuntamento successivo. Cioè, non lo considerava così orribile, solo le faceva strano vedersi con quel nuovo aspetto. Anche per le altre persone lo era, a giudicare dagli sguardi incuriositi che attirò a scuola in quei giorni mentre di solito, anche con la sua chioma multicolor appariscente, passava inosservata.

Dopo diversi minuti, finalmente Hanta si presentò, arrivando sul suo fedele skate.
«Hola, sis! Come va?» esclamò uno dei suoi saluti strani, mentre si portava la tavola sotto un braccio e poi si sistemava il berretto in testa. Lo indossava sempre, tipo Jughead di Riverdale, anche in un giorno soleggiato e caldo come quel sabato di fine aprile.

«Andrebbe meglio se non mi avessi fatto aspettare mezz'ora, tesoro mio».

La sgamò subito. «Nah, scommetto che eri in ritardo anche tu e sei arrivata, tipo, un quarto d'ora fa».

«Wow, ci hai azzeccato».

Le sue intuizioni erano sorprendenti. Ancora non aveva capito se le sparasse a caso ed era fortunato a indovinare, perché quel cervello lavorava in un modo strano tutto suo, oppure se avesse una sorta di sesto senso. Peccato che, un po' come il suo inseparabile amico Denki, non sapesse applicare le sue capacità al contesto scolastico. Non che Toru andasse meglio, insieme a quei due aveva la media peggiore della loro classe.

«Che poi, il mio è quasi un traguardo. Era da tanto che non arrivavo così puntuale a... beh, da qualsiasi parte».

In effetti, ogni volta loro due sembravano farsi concorrenza per stabilire un nuovo record di ritardo.

Questa mezz'ora in totale non era niente a confronto di quella volta, un venerdì come tanti dell'estate di un anno prima, che la ragazza ancora ricordava come se fosse ieri, quando lei e il resto della BakuSquad dovettero attendere Hanta per ben due ore al centro commerciale. Il programma era andare al cinema, fare uno spuntino e spostarsi al luna park allestito a poca distanza per rimanerci fino a tardi. E il telefono scarico, e lo sciopero degli autobus, e il diluvio universale che si scatenò proprio quel pomeriggio, al moro capitò proprio di tutto. Il cinema saltò e in compenso si rifecero alle giostre.

Per ovviare a questi suoi ritardi cronici era sempre Eijiro, negli ultimi mesi da quando aveva preso la patente, ad accollarsi il problema. Gli dava passaggi e lo scarrozzava un po' ovunque, stando attento a presentarsi sotto casa sua almeno venti minuti prima per assicurarsi che fosse ancora vivo e non collassato sul divano e incitarlo a prepararsi minacciando di buttare via la sua scorta di nachos, patatine e altro cibo spazzatura.

«Quindi si può dire che sono in anticipo, per i miei standard» concluse l'amico, in una delle sue uscite apparentemente senza senso. «Sentiti onorata!»

«Lo sono, oh mio messere» Toru recitò portandosi teatralmente una mano al petto. Era il suo modo di scherzare, citare frasi di serie televisive e comportarsi da drama queen come aveva appreso da Denki. Non a caso era una delle poche studentesse che nei primi anni di liceo aveva partecipato ai corsi di teatro, poi chiusi per mancanza di aderenti. Adesso era in fissa con diverse serie storiche, da cui la sua risposta. Perciò poteva apparire ancora più stravagante, anche perché per il resto il suo vocabolario era attinto dai social.

Hanta ridacchiò. In quanto a umorismo, era il miglior socio in assoluto.

«Allora, pronto per la missione?» gli chiese quindi.

Lui la assecondò mentre già si incamminava dentro il supermercato, commentando entusiasta: «Tutto per il nostro Bakubro!»

Proprio così. Lo tennero segreto fino all'ultimo, o almeno ci provarono, ma il motivo per cui due strambi adolescenti si aggiravano con fare sospetto come protagonisti di un film di spionaggio tra le corsie di un supermercato all'ora di pranzo era Katsuki. Avevano deciso di dare una festa a casa di Hanta quella sera. Doveva essere per il suo compleanno che cadeva proprio in quei giorni e, dato che il biondo tra le innumerevoli cose detestava particolarmente che si celebrasse il suo compleanno, pensarono di camuffarla da un party a cui era invitata tutta la classe.

Del resto, il moro era noto per i suoi festini. Non al livello di "Euphoria", "Élite" o altre serie così esplicite tra sesso e droga, ma comunque abbastanza movimentate. Ah, Toru ricordava ancora quando aveva convinto l'amico per metà spagnolo, con cui aveva in comune la passione per le serie televisive, a vedere insieme la seconda, in originale e con i sottotitoli. Non aveva calcolato che non era abituato a quel genere. Ne rimase traumatizzato perché a suo dire, come andò avanti a lamentarsi per diversi giorni, i suoi innocenti occhi etero e vergini non erano pronti a tutto ciò.

L'espressione che fece il cassiere, una volta che gli sottoposero gli acquisti, fu impagabile. Avevano razziato un po' di tutto e quindi ne era risultata una spesa caotica: bicchieri e piatti di plastica, patatine, le immancabili chips di mela con cui l'amico era in fissa, altri spuntini, dolci e schifezze varie e infine, ultimi ma non meno importanti, diversi alcolici. Hanta ne era un esperto, ben prima che potesse sfoggiare la sua carta d'identità che ne attestava la maggiore età come in quell'occasione.

Non che non rispettasse ogni regola esistente, piuttosto da certe non si era mai fatto frenare. Per esempio, quando si era procurato da bere da dei tizi poco raccomandabili incontrati all'AFO. Usavano nomi in codice tipo Dabi o Spinner oppure dei nomi falsi, e già questi soli elementi la dicevano lunga sulla loro pericolosità. Non a caso, quel locale della città vicina qualche tempo dopo avrebbe chiuso i battenti per un periodo, a causa di alcune indagini della polizia avviate su segnalazioni di un agente in borghese parecchio rinomato, un certo Keigo Takami, ma questa è un'altra storia.

Tornando ad Hanta, non era una novità il suo rapporto abbastanza insano con certe sostanze. Da uno o due anni era entrato in una sorta di ciclo di perdizione tra canne e alcol, complice il padre da sempre fin troppo permissivo. Ma, a differenza dei tempi non troppo remoti in cui sembrava vivere in funzione degli agognati weekend per sballarsi, ultimamente stava mettendo la testa a posto.

Alla fine, avevano fatto spesa per un esercito e si pentirono di non aver chiesto aiuto a qualche altro amico per la missione, perché avere un paio di braccia in più avrebbe decisamente fatto comodo.

Mentre uscivano portandosi appresso diverse borse di plastica colme di roba, alla radio partì una canzone che fece illuminare il viso di Toru. Con grande disappunto di Hanta, perché quell'espressione significava solo una cosa: che si sarebbe messa a cantare senza poterla fermare. Non gli dispiacevano le persone che dispensavano sempre allegria, gli dispiaceva un po' di più che la sua voce non fosse esattamente quella bellissima di Kyoka.

«Ti prego, è la mia canzone! Cioè amo, troppo noi!» Toru smise di canticchiare solo per esclamare così, scuotendo il ragazzo per un braccio.

Lui sbuffò una risata. Non riusciva a prenderla sul serio, specie se ironizzava su sé stessa in quel modo, e si fece trascinare a cantare con lei. Dopotutto "Abcdefu" era orecchiabile e sembrava scritta apposta per la sua amica.

Per Toru fu inevitabile pensare al suo stronzissimo ex e a quella farsa che era stata la loro relazione solo per una scommessa. Nonostante fossero passati ormai quattro anni, ne portava ancora addosso le conseguenze, anzi buona parte del suo carattere attuale si era plasmato su quell'esperienza.

Però, insieme ai pensieri negativi, quella canzone era legata anche ad altri belli, in apparenza banali ma per lei preziosi. Come quando la ballava alle feste con l'inseparabile Mina, che l'aveva aiutata ad affrontare tutto, o quando la cantava a squarciagola in macchina di Eijiro mentre sfrecciavano per le strade con i finestrini abbassati in piena notte, quelle volte che non era troppo sbronza da crollare prima.

Se a volte si sentiva ancora ossessionata dall'apparire e soffriva ad essere ignorata, altri momenti, anche insignificanti o insoliti come quelle decine di minuti passati con Hanta tra le corsie di un supermercato, le ricordavano che non lo era per i suoi amici. Loro la vedevano e consideravano, Toru andava oltre all'essere una semplice ragazza invisibile.

now playing:
SugarCrash!,
ElyOtto

0:33 ━━━❍──── 1:20
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volume: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%

Everything I do is wrong
'cept for when I hit the bong
Hit the bong, hit the b-b-b-b-b, feel good
[...] Don't wanna be someone else
Just don't wanna hate myself
I just don't wanna hate myself
Instead I wanna feel good

Qualche ora dopo, quella sera di fine aprile, intanto che osservava i compagni di classe che gli avevano invaso casa, Hanta Sero si ritrovò in preda a uno dei suoi interrogativi esistenziali che prendeva con molta serietà.

Che poi, perché gli esseri umani si baciano?
Così si chiedeva mentre, appoggiato a un mobiletto in disparte, beveva un drink di sua creazione, ottenuto mischiando un po' tutto quello che stava sul tavolino del suo soggiorno.

Davvero, la trovava una cosa stranissima, ora che ci pensava e poteva giurare che non fosse solo opera dell'alcol che iniziava a fare effetto. Anche perché lo reggeva bene e ne era talmente abituato che ce ne voleva parecchio per fargli prendere una vera sbronza. Oppure era che aveva sempre la mente annebbiata e questo lo portava a riflessioni strane per la gente normale.

Comunque. Se gli avessero chiesto di spiegare come era arrivato a quella fondamentale domanda, occorreva fare un passo indietro.

La mattina di quel giorno, essendo sabato, aveva balzato la scuola e si era concesso di stare a letto fino a tardi. Credeva di star ancora sognando quando, entrando mezzo addormentato in bagno, si era ritrovato una sconosciuta, nella sua doccia, tipo, completamente nuda. Dopo lo shock iniziale, aveva realizzato che doveva essere una botta e via di una notte di suo padre, così era fuggito in camera e vi era rimasto rinchiuso finché la donna fece i suoi comodi e se ne andò.

Ecco, non poteva dire di avere un giusto rapporto con suo papà. Buono sì, perché andavano d'accordo, ma non corretto come dovrebbe essere quello tra un genitore e un figlio. Gli voleva un gran bene, dopotutto era l'unico che non l'aveva abbandonato e l'aveva cresciuto anche se all'inizio nemmeno lui lo voleva, però non lo reputava un vero padre.

Da quando era divenuto, a modo di vedere di quell'uomo, abbastanza grande da capire come funzionava il mondo, il padre aveva intensificato quei suoi comportamenti da adolescente. Cambiava compagna talmente spesso che il ragazzo aveva rinunciato a impararne i nomi e lui a fargliele conoscere se non in casi inevitabili, tipo quando se le ritrovava a gironzolare per casa con le sue magliette o nel bagno come quella mattina. A momenti non ricordava quanti anni aveva Hanta o quando avrebbe finito la scuola. Se lo beccava a fumarsi o farsi di qualcosa, si univa a lui.

Non gli faceva mancare niente, materialmente parlando, ma il figlio aveva l'impressione che si limitasse a mantenerlo, come un coinquilino o un animale domestico. Una volta, le rare che parlavano di faccende serie aiutati da un po' di erba, gli aveva fatto capire che dopo il liceo lo voleva fuori dai piedi, essendo ormai capace di badare a sé stesso. Supponeva perché così poteva continuare indisturbato a cercare di colmare il vuoto lasciato dal grande amore della sua vita, sua madre, e un po' anche perché in fondo lo odiava per essere stato il responsabile del suo abbandono.

Nel tentativo di soffocare quei soliti pensieri fastidiosi, Hanta aveva poi trascorso le sue prime ore di quella mattina incollato al computer a riguardare qualche puntata di "Breaking Bad".

Era il suo show preferito insieme ai film di Spiderman e in generale della Marvel e della DC, passione che aveva scoperto avere in comune con Izuku della sua classe. Assistendo alle vicende di Walter White, a volte fantasticava su come sarebbe stato metter su anche lui un'impresa di metanfetamine e campare così. Già si vedeva mentre coinvolgeva Denki come collaboratore e corrompeva Tenya per essere il suo avvocato come Saul per Heisenberg. Magari senza un cancro mortale e senza fare la fine di quest'ultimo... O più verosimilmente quella di Jesse, o direttamente quella di Chris Miles di "Skins".

Troppe serie tv: aveva ragione Denki a dirglielo.

Comunque, svarioni a parte, le prospettive per il suo futuro non erano tanto più rosee di così. Hanta era il classico ragazzo ordinario, a cui si ripete che è intelligente e non si applica, a cui la gente dice "Non importa" quando raggiunge risultati penosi perché se lo aspettano. In più c'era da considerare il suo aspetto da tossico e il problemino con le canne non poi così piccolo. Di tanto in tanto provava a darsi una regolata, non sempre con successo.

Per questo verso, capiva bene l'amica Kyoka e incoraggiava anche Denki a starle vicino. Che poi, non lo diceva apertamente, sia per rispetto della loro vita sentimentale e sia perché Mina lo avrebbe assillato fino alla morte, ma shippava quei due dal giorno uno.

Ok, forse troppi passi indietro. Beh, non era una novità neanche che la sua mente ragionasse in modo dispersivo. Accelerando nel ripercorrere quella giornata, era continuata con la spesa insieme a Toru e poi il pomeriggio a sistemare casa, complice l'assenza di suo padre via da qualche parte con delle persone non meglio specificate, in vista del party di qualche ora dopo.

Ecco, all'inizio era stata una festa tranquilla: delle chiacchiere fuori in giardino, qualche partita a carte e nerdata ai videogiochi tipo sull'infamissima pista arcobaleno di Mario Kart in soggiorno, la pizza d'asporto e poi altri discorsi a caso con in sottofondo una playlist accuratamente scelta da Kyoka e i balli di Mina e Denki ad allietarli.

Verso mezzanotte, la situazione era degenerata e, Hanta doveva riconoscerlo, in parte a causa sua. Con la scusa di giocare ad "Hai mai" e poi al gioco della bottiglia, di alcolici ne erano girati in abbondanza e anche le persone più insospettabili si erano ritrovate un po' brille. Comunque, nulla di tanto grave da indurre i vicini a chiamare la polizia per la musica ad altissimo volume e gente che faceva cose strane di fuori come correre senza maglietta e sostenere di essere un pandacorno che scorreggiava arcobaleni. Perché sì, in passato era successo anche questo.

«I'm on a sugar crash, I ain't got no fuckin' cash
Maybe I should take a bath, cut my fuckin' brain in half
I'm not lonely, just a bit tired of this fuckin' shit»

Ah, sì, quella era la canzone che stava venendo ripetuta in loop dallo stereo in salone, perché Kyoka era abbastanza andata per far caso alla musica lasciandola in preda alla temibile riproduzione casuale di YouTube.

Hanta non aveva idea di qual era il titolo o dove l'aveva già sentita, probabilmente in uno dei video di Tik Tok con cui Denki era ossessionato. Il punto era che sembrava descrivere il suo stato d'animo, se non la sua intera esistenza. Continuò a canticchiarla tra sé e sé mentre tornava a dannarsi sul suo dubbio amletico.

Gli esseri umani fanno cose stupide, e se lo diceva lui, ma questa di baciarsi non l'avrebbe mai capita. L'uomo è un mammifero, quindi un animale, come essi si riproduce ma è l'unico a farsi effusioni del genere, per dimostrare affetto o semplicemente per divertimento. Proprio come stava avvenendo in quel momento sotto ai suoi occhi a mandorla, tra gli amici radunati in cerchio attorno a una bottiglia di vodka vuota.

Non schifava l'atto in sé. Insomma, se gli fosse capitato con la sua crush secolare Mina non è che si sarebbe lamentato. Però nemmeno ne comprendeva il senso e si chiedeva se lo avrebbe provato anche lui un giorno, al di fuori delle stronzate da ubriaco. Poteva sembrare un discorso da verginella, come avrebbe detto Katsuki con il suo sensibilissimo umorismo, ma una volta tanto avrebbe voluto che accadesse con qualcuno di speciale e perché lo voleva davvero, non per un qualche stupido gioco.

Per questo motivo, quatto quatto se ne era tirato fuori e ora osservava i suoi compagni in disparte.

Non era l'unico. A fargli compagnia c'era Tenya, con cui negli ultimi mesi aveva stretto l'amicizia e stava assieme più spesso. Per esempio, l'aveva aiutato un sacco con i preparativi della festa, da bravo organizzatore e perfezionista che era. Il fatto che non stesse partecipando si spiegava facilmente: da sempre evitava situazioni che prevedessero alcolici, possibile scambio di germi e intimità, inoltre aveva una storia circa seria con la svitata dello scientifico e il suo rigore morale era risaputo.

Si erano ritirati dal gioco anche alcuni altri, non meglio identificati in quanto stavano sui divani dalla parte opposta della stanza e l'alcol misto a erba iniziava a causare ad Hanta le palpebre pesanti e le percezioni offuscate.

Di sicuro tra loro doveva esserci... No, inaspettatamente Shoto, quello che di più tra tutti evitava il contatto fisico essendone seriamente terrorizzato, quella sera stava giocando. Addirittura, in quel momento era proprio il suo turno. Si stava lasciando baciare. E non da una persona qualunque, da...

«Hanta!» un richiamo lo distrasse dalla curiosa scena cui stava assistendo. Spostò lo sguardo alla porta-finestra che dava sul giardino. Denki stava aggiungendo dell'altro attraverso gesti che dovevano essere discreti ma erano solo molto antisgamo. In sintesi voleva che lo raggiungesse per andare insieme fuori da Katsuki.

Beh, dopo l'immancabile litigata con Izuku davanti a tutti di qualche decina di minuti prima, e soprattutto considerato ciò che personalmente sapeva da più di un mese, dalla gita a Berlino, ipotizzava che fosse finalmente giunto il momento di parlarne.

Non era consapevole di star per sollevare un polverone, scostare il Velo di Maya sui sentimenti nascosti e il fragile cuoricino del loro Bakubro. Sì, probabilmente usava l'espressione schopenhaueriana a sproposito, un po' come Denki si trasformava in filosofo grazie a una considerevole quantità di alcol in circolo. E, anche se di relazioni non aveva buoni esempi ed esperienza, Hanta voleva dimostrare che oltre a essere un tossico con le daddy issues sapeva anche comportarsi da buon amico.

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