2.9│Migliore?

art: caiirocai

Tra le tante cose che Katsuki non sopportava, c'era non dormire almeno le sue otto ore per notte. E non aveva un sonno particolarmente pesante. Di conseguenza il suo odio si estendeva anche a qualunque elemento o persona osasse disturbare quel momento sacro.

«Deku, se non la smetti ti uccido all'istante».

Nella quasi totale oscurità, vide appena il corpo del nerd sobbalzare nel letto al polo opposto della stanza, avvolto nelle coperte come un bozzolo nonostante facesse un caldo boia in quella maledetta camera d'hotel.

Ci furono alcuni minuti di tregua. Poi riprese a rigirarsi.

«Deku» ringhiò di nuovo. Era soltanto la seconda sera di gita e al momento c'erano solo loro due in stanza, quindi doveva chiarire le cose. Stava giusto per rifilargli qualche altra frase ad effetto condita da epiteti poco carini, quando quello prese a mormorare delle giustificazioni non richieste.

«Eijiro e Denki si sono addormentati da Tenya e Shoto. Io non volevo dare fastidio e nemmeno c'era abbastanza spazio, così sono tornato qui. Ho cercato di fare meno rumore possibile però poi non sono più riuscito a prendere sonno, quindi scusami non volevo svegliarti ti prego non mi uccidere».

Katsuki sbuffò. Non sapeva se essere divertito dalla solita reazione esagerata o se era la volta buona che si sarebbe procurato una pistola per qualche via illegale.

Ormai non si sarebbe riaddormentato facilmente. Senza pensarci troppo raggiunse il letto di Faccia da Scemo, di fronte al suo. Accese la lampada sul comodino per non rischiare di amputarsi un piede nel processo, o peggio picchiare il mignolo contro lo spigolo e dover disturbare tutti i santi in piena notte, e spostò il letto dell'idiota contro quello del nerd.

«C-Che stai facendo?»

Si buttò sul materasso dandogli le spalle e spense la luce.

Il cuscino conservava il profumo dello shampoo che Faccia da Scemo usava in quantità industriali: miele, o qualche roba sdolcinata, ma non troppo fastidioso e in generale non gli faceva schifo dormire nel letto dell'amico. Poi, conoscendolo, lo avrebbe usato a dir tanto una volta in quei giorni, dato che vagabondare e vivere a scrocco era nella sua natura, anche durante le gite scolastiche.

«Perché?»

Il sonno lo conduceva a riflessioni strane e in quel caso pensò che trovava incredibili le capacità vocali di Deku. Quello era stato appena un bisbiglio flebile, tutto il contrario di quando gli aveva urlato addosso solo qualche ora prima.

E cazzo se era stato bello vederlo infuriarsi così. Katsuki era stato uno stronzo di prima categoria a punzecchiarlo senza motivo, per divertimento forse, eppure non riusciva a sentirsi in colpa, non dopo quel risultato. Il formicolio dello schiaffo che ogni tanto giurava di poter ancora sentire sulla pelle, Deku che sbroccava, le parolacce che abbandonavano le sue labbra, sempre troppo gentili e che invece gli dicevano che lo odiava.

Si era sentito sollevato, a quell'affermazione. Il loro rapporto sarebbe continuato come sempre, a ferirsi a vicenda, e poteva evitare di fare i conti con gli eventi delle vacanze invernali, proseguendo a seppellirli dietro la negazione e il suo trattarlo di merda.

Però poi Deku aveva ricominciato a parlare di sentimenti e stronzate, a pretendere risposte, a riversagli addosso fiumi e fiumi di parole e le sue fottutissime emozioni. E allora si era sentito annegarci. Non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, voleva solo fuggire. Forse, tra i due, era lui il più patetico e codardo.

Non ci capiva più niente, a parte che lo aveva baciato e quindi non avrebbe esitato a ricambiare come si doveva, perché era da quando gli aveva gridato il suo odio che era combattuto tra mandarlo a fanculo per l'eternità e zittirlo avventandosi su quelle dannate labbra.

Facendosi trasportare dall'impulsività e dalla foga si era ritrovato a ingabbiarlo al letto e avrebbe voluto qualche secondo in più per imprimersi bene nella mente la sua preghiera di usarlo come preferiva, ma era arrivata una chiamata sul cellulare da Capelli di Merda che diceva di raggiungere il resto della classe a cena.

Era stato meglio così. Non poteva prevedere come sarebbe finita, perché non poteva più nascondersi che pensava al nerd in quel senso da ormai un po' di tempo. Oh, il povero, puro e non poi tanto innocente Deku non immaginava nemmeno lontanamente cosa avrebbe voluto fargli. Baciarlo fino a mozzargli il fiato. Mordergli ogni centimetro di pelle. Prenderlo facendogli male e baciandogli le lacrime.

Katsuki aveva brontolato a Capelli di Merda che era tutta colpa di MerDeku che non si dava una mossa e lo avrebbe portato giù anche a calci in culo se necessario, mentre usciva da quel buco di stanza. Tutto ciò ignorando il soggetto dei suoi pensieri poco casti, che gli aveva zompettato dietro in silenzio fino in ascensore. Lì Deku, timido quando solo poco prima era stato così spudorato, aveva mormorato se non avrebbero dovuto parlare dell'accaduto. Lo aveva liquidato affermando che non aveva niente da dirgli, il che era vero, e avrebbero dovuto tornare a comportarsi come sempre.

Così fu, eccetto che durante la serata si era ritrovato diverse volte quei maledetti occhi verdi addosso e a una certa aveva dovuto bloccarlo per un braccio e sussurrargli di finirla. Poco distante, Yaoyoricca per qualche motivo si era soffermata a osservarli insieme ad altre comparse e rabbrividiva visibilmente.

Katsuki credette di averla chiusa lì. Di nuovo, come alla baita, dopo essersi permesso quelle sciocchezze tornava a piantare paletti tra loro. Più che essere scoperto dagli altri, la sua paura erano quelle fantasie sbagliate nella sua testa che non riusciva ad allontanare né illudersi di non volere.

«Perché fai così?»

L'ennesima cauta domanda di Deku, che forse non si riferiva solo allo spostamento di letto ma un po' a tutto quanto, lo riportò nel presente.

Non voleva creare dell'inutile imbarazzo e davvero adesso non aveva intenzioni sconvenienti, voleva soltanto la sua benedetta dormita. Gli rispose solo, seccamente: «Da piccoli così funzionava. Ora dormi».

All'altro ci vollero diversi secondi per elaborare. «Sei ingiusto, Kacchan» si lamentò poi «Non puoi sganciare una bomba così dal nulla e tornare a far finta di niente».

«Non so di cosa parli. Taci e dormi, piccola peste rompicoglioni che non sei altro».
Contro le aspettative, nemmeno un minuto e lo sentì tirare su con il naso.
«Oi, non ti sarai offeso». Dopotutto gli aveva detto ben di peggio.

A giudicare dai rumori che seguirono, Deku si sedette e recuperò dal comodino il fedele pacchetto di fazzoletti che si portava sempre appresso. «Ho il raffreddore».

Come se si sarebbe fatto prendere per il culo così. Katsuki si voltò e, abituatosi alla lucina del suo comodino, lo fissò mentre gli dava la schiena e passava veloce il fazzoletto anche sulle guance. Stava palesemente piangendo. Che cazzo di problemi aveva?

«Deku».

«Da quando ti importa di come sto?»

Una domanda semplice, il peso di un macigno sul petto di Katsuki. Già, da quando gli importava? Cosa aveva pensato, di poter fare qualcosa per lui, per una volta, essere... gentile? Che cazzo ci provava a fare? Era ovvio che pensasse di venire preso in giro o che fosse un pretesto per litigare. Non andava sempre così?

«Senti, vaffanculo e arrangiati».

Si alzò per tornare al suo letto, ma Deku gli si avvinghiò a un braccio e lo ritrascinò giù.

Evidentemente ci stava prendendo gusto a trattenerlo nei momenti peggiori in cui voleva solo allontanarsi. Fino a qualche mese prima era il contrario, era lo stronzo a ritirarsi per primo dallo scontro che non poteva reggere. Quando era successo? Quando si erano invertiti i ruoli? Quando aveva iniziato a provare, certe volte, quella paura?

«Non dicevo in senso cattivo. Mi... Mi fa piacere».

Maledetto. Sempre così fottutamente sincero e trasparente che...

«Tch». Si girò quel che bastava per liberarsi con uno strattone. Incontrò un piccolo sorriso che presto scomparve e occhi lucidi.

Deku si affrettò ad abbandonare la presa, come se fosse una fiamma troppo vicina. Mentre sussurrava delle scuse, gli scese una lacrima.

Non avrebbe dovuto, no. Però l'istinto prevalse ancora. Prima che la mano di lui potesse raggiungerla, come se credesse davvero di poter nascondere l'ennesimo pianto in sua presenza, ci pensò Katsuki, senza troppe cerimonie né delicatezza, a scacciargli via la lacrima dalla guancia lentigginosa. Per quell'istante gli sembrò di rivivere le scene di anni e anni prima da mocciosi.

«Sei un disastro, pulisciti un po'» borbottò, suo malgrado più morbido. Recuperò il fazzoletto caduto sulle lenzuola e glielo lanciò in faccia, contro quella sua stupida espressione incredula.

Il ragazzo dagli occhi verdi farfugliò un «Sì» ed eseguì, tornando a dargli le spalle.
«Ero solamente contento che ti ricordi» riprese piano «Di quel periodo da piccoli. È uno dei più belli della mia vita. Quando ancora eravamo amici e non mi odiavi».

Ecco che tornava a parlare di amicizia e odio in modo così leggero. O forse era consapevole della loro pesantezza e proprio per questo li tirava in mezzo spesso quando discutevano.

Finalmente adesso riusciva a odiarlo ma ciò non cancellava il bene che gli voleva, così aveva detto. Che provasse anche... affetto... non era una novità e Katsuki continuava a non considerarla una buona cosa. Da una parte sembrava che lo stesse friendzonando e col cazzo che si sarebbe lasciato umiliare così, dall'altra tutto quel discorso che voleva stargli vicino, anche se era sbagliato e lo feriva, lo aveva confuso. Suonava abbastanza tossico, inoltre era un immenso giro di parole che non chiariva cosa provava.

E poi lo aveva baciato e si era lasciato baciare. Quindi cosa stracazzo voleva da lui? Forse non lo sapeva, era altrettanto confuso, lo erano entrambi perché al solito non si capivano.

«Ti dispiace se tengo la luce accesa?»

Il biondo si era di nuovo perso, intanto che fissava Deku in ogni suo movimento: mentre si alzava per buttare il fazzoletto in bagno, mentre di ritorno inciampava in qualcosa che Faccia da Scemo aveva lasciato per terra, perché l'idiota era la persona più casinista del mondo e lui la più goffa, mentre tornava a rintanarsi sotto le coperte. Brontolò un «Come ti pare», così il nerd gli mormorò la buonanotte e si accucciò su un fianco.

Chissà se aveva ancora paura del buio. Da piccoli non riusciva a dormire se non c'era una luce accesa o qualcuno con lui. Era plausibile che ancora l'avesse. Del resto, non gli aveva consentito di affrontarla proprio serenamente. Come alle medie quando lui e altri bulletti lo avevano chiuso dentro un armadio, o quando in campeggio avevano sostituito la sua torcia con una scarica.

Katsuki distolse lo sguardo. Si rannicchiò su sé stesso, con le mani affondate tra i capelli e li strinse forte, come faceva da bambino per aiutarsi a rimanere calmo.

Era un mostro, della peggior specie. Per di più a distanza di anni ancora non si era scusato come si doveva e fatto ammenda e probabilmente mai ci sarebbe riuscito perché era un debole di merda.

Però l'aveva baciato, in due occasioni. Poteva raccontarsi che fosse un errore da non ripetere fino a un certo punto. E Deku aveva ragione a essere confuso, ma era anche un coglione a dargli continuamente possibilità quando sapeva che l'avrebbe ferito ancora e ancora.

Perciò lo allontanava e insieme voleva che restasse. Non lo odiava, non più, o non l'aveva mai fatto. Allora, se non era odio, che schifo era quel groviglio all'altezza dello stomaco, che faceva ancora più male in sua presenza e risaliva e si bloccava in gola rendendogli impossibile spiegarsi?
Senso di colpa? Rimorso? Non solo. Anche altro che non voleva ammettere. Attrazione fisica e forse anche da parte sua un briciolo di... affetto. Non che si considerasse realmente capace di provarlo, con l'arido deserto che si ritrovava al posto del cuore difettato e rotto.

In tutta la vita non aveva mai dimostrato di volergli bene, quanto piuttosto male. Adesso, anche se ormai era impossibile rimediare al casino di rapporto che avevano, poteva perlomeno fargli sapere perché si era comportato in quel modo terribile. Gli aveva chiesto lui stesso di trattarlo come gli pareva, anche di merda, ma di dirgli prima un motivo, giusto? Non poteva dargli le risposte che cercava e ciò che si meritava, come già gli fu chiaro mesi prima, ma almeno questo sì.

«Non ti ho mai odiato».

Ridicolo, semplicemente ridicolo. Una verità scomoda, talmente che l'aveva nascosta per una vita intera, e così bene che ora sembrava di dire uno scherzo.

Deku aveva sentito. Il respiro regolare contro le coperte si mozzò e rimase in silenzio. Magari provava ancora speranza ma, come aveva detto, era stanco di illudersi e venire deluso e aveva ragione.

«Nella testa del me moccioso di cinque anni aveva senso» Katsuki riprovò, il tono basso e calmo. «Io ero il migliore di tutti, però ho iniziato anche a essere il più pericoloso, per la mia cazzo di rabbia incontrollabile che mi fa distruggere tutto e tutti intorno a me. Tu eri così debole e indifeso e mi seguivi, mi ammiravi, non mi toglievi gli occhi di dosso; questo mi gratificava ma poi ha cominciato a farmi... paura. Non potevo proteggerti giocando a essere il tuo supereroe quando il pericolo maggiore ero io.
Alla fine il più forte sei sempre stato tu, che nonostante tutto continuavi a essere la persona più buona del mondo e a rincorrere i tuoi sogni, e il più debole io. Era questa paura a rendermi così e ti ho addossato la colpa. In fondo era vero, era colpa tua, eri tu la causa. Tu eri... Sei... la mia debolezza più grande».

La voce gli tremò. Era fottutamente difficile parlare di cosa sentiva, rendersi così vulnerabile davanti a qualcuno, Deku per di più. La verità non era che i sentimenti gli facevano schifo, ma che i sentimenti gli facevano schifo perché non era capace di affrontarli. Fin da piccolo gli era stato detto che doveva essere il migliore e che perciò doveva lottare, contro gli altri e anche le sue stesse emozioni che lo rendevano debole più di ogni altra cosa.

«Così ho pensato che se ti avessi allontanato, raccontandomi che ti odiavo, tu saresti rimasto al sicuro e io non sarei più stato debole. Come ho detto, per un bambino con problemi di rabbia e complessi di inferiorità aveva senso. Eppure, anche se ti trattavo di merda, tu non mollavi ed eri sempre lì a ricordarmi la verità che nascondevo a tutti. Che persona orribile ero e che sono ancora».

Si abbandonò di schiena sul materasso in un sospiro frustrato. Incrociò le mani sulla fronte e chiuse gli occhi, coprendosi dalla luce dell'abat-jour e soprattutto dei dannati occhioni verdi tornati a osservarlo.

Nell'oscurità fu più facile concludere. «Mi sono convinto di odiarti al punto che sono diventato capace solo di quello e ho dimenticato cosa mi ci aveva spinto». Sbuffò una risatina amara. «Cazzo, sono riuscito a rovinare l'unica cosa bella che avevo. Quando me ne sono accorto ormai era troppo tardi, allora ho continuato perché era più facile e sicuro. Alla fine non ti ho protetto da un bel niente né da me stesso, anzi ti ho ferito ancora e continuo a farti paura, approfittarmi di te, rovinarti la vita. Ma ehi, è ovvio, qualsiasi cosa fa Katsuki Bakugo distrugge e manda tutto a puttane».

Finalmente era riuscito a parlare a cuore aperto. Ma non lo fece stare bene, solo tanto a disagio. Ora che quelle stronze delle emozioni stavano venendo a galla, non aveva la minima idea di come fare in quella situazione per lui inedita e assurda. Le persone normali vivevano così ogni giorno?

Trovò il coraggio di guardare il ragazzo accanto a sé, il cui silenzio non aiutava. Lo ritrovò con quella sua espressione compassionevole, come se sapesse che aveva bisogno di aiuto, come se perciò lo squadrasse dall'alto. Era tutto frutto dei suoi complessi, lo sapeva, però nemmeno riusciva a vederla diversamente.

«Non guardarmi così» risultò meno fermo di quanto avrebbe voluto.

«Ahi...» Deku protestò, come se davvero non capisse, quando gli schiaffò una mano in faccia. «Così come?»

«Non ti ho detto tutto questo per giustificarmi o impietosirti. Dovevo solo dirlo, punto. Non la voglio la tua cazzo di compassione, chiaro?»

«Non è compassione, la mia».

«E allora cosa sarebbe?»

«Io... Non lo so».

Deku lottò un po' con la sua mano finché riuscì a scostarla piano, senza lasciarla.

Fece la stessa cosa di mettersi a pancia in su e rivolgersi al soffitto a occhi chiusi, forse per farlo sentire meno solo o scemo.

«Kacchan, non ti ho mai considerato debole, e mi dispiace se ti ho fatto pensare di esserlo. Non ti ho mai considerato solo una persona orribile, lo sai. E non ti ho mai considerato davvero pericoloso per me. L'unica cosa che mi faceva veramente paura era che non avresti mai afferrato la mia mano, farti tanto schifo da non essere più degno nemmeno dei tuoi insulti, che mi lasciassi indietro e continuassi la tua vita senza di me.
Volevo solamente crescere e diventare forti entrambi, anche se significava litigare continuamente mentre dentro mi riducevo in pezzi. Solo poi ho coltivato abbastanza amor proprio per capire che non mi meritavo il tuo disprezzo e tutti i tuoi atteggiamenti sbagliati, ma ti ho già detto che detestarti non cancella il volerti bene.
Scusami, sto divagando. Il punto è che non ti ho mai guardato con compassione perché ti consideravo debole. Anche quando cadevi, ti rimettevi subito in piedi e ai miei occhi rimanevi il più forte di tutti. Non volevo aiutarti perché mi credevo superiore, ma perché rialzarsi insieme è più facile. Semplicemente, volevo diventare migliori, insieme. Ecco perché non posso dire di aver mai voluto essere migliore di te e basta».

Riaprì gli occhi, cercò i suoi. La mano ancora custodita tra le sue sopra il suo petto dove il cuore batteva regolarmente, con calma.

Quello di Katsuki, invece, era un casino. Aveva sempre pensato che i sorrisi da squalo di Capelli di Merda fossero accecanti come il fottuto sole. Ma erano quelli di Deku, così impacciati e sinceri, a fare più male. Erano così disarmanti e veri che ti si marchiavano a fuoco nella mente e conficcavano al centro della gabbia toracica e non volevano saperne di schiodarsi da lì, causando dolore a ogni respiro.

«Ma lo sei, Izuku».
Quando vide il suo sguardo illuminarsi realizzò di aver pronunciato a voce quel pensiero che si trascinava dietro da anni.

«Ripetilo. Per favore».

Corrucciò la fronte. La sorpresa era legittima ma poteva scordarsi che avrebbe detto esplicitamente che era il migliore tra loro due. Aveva una dignità da difendere, sempre che dopo quel momento patetico gliene fosse rimasta. «Col cazzo».

Per qualche motivo, Deku ridacchiò. «Non quello. Intendevo... Intendevo il mio nome».

Stava diventando tutto così strano. Sentimentale, schifosamente sentimentale, e... intimo. In soli pochi minuti la distanza tra loro si era ridotta in tutti i sensi, forse non era mai esistita se non nelle sue illusioni. Il viso di Deku adesso era così vicino e i suoi occhi sembravano ancora più grandi e brillanti di luce propria mentre lo scrutavano in attesa.

Strinse le labbra in una smorfia. «Izuku» infine lo sussurrò e subito si impedì di dire o fare altro di cui si sarebbe pentito, si rigirò sul fianco e gli ordinò di nuovo di dormire.

Ovviamente il nerd non era d'accordo. Qualche manciata di secondi e tornò alla carica: «Prima posso dire una cosa? Due, veramente».

Grugnì. «Basta che dopo stai zitto e dormi. E comunque che cazzo di domande sono, fallo e basta, non ti serve il mio permesso anche per respirare».

«È solo che sei un pochino imprevedibile. Sai, volevo assicurarmi che non mi ucciderai» parlò mentre trafficava con le lenzuola e ci si sdraiava sopra, imitandolo.
Il biondo fece il grave errore di rimettersi supino a guardarlo, fingendo di farlo per caso.
«Prima cosa: grazie per esseri aperto con me e per le belle cose che hai detto. Seconda cosa...» libero dall'impaccio delle coperte, con facilità rotolò su sé stesso fino a finirgli addosso.

Katsuki si imbronciò quando lentamente gli percorse il contorno di una guancia con le dita, e commise il secondo errore permettendosi di scivolare con lo sguardo sulle sue labbra.

Era già la seconda volta, quel giorno, che Deku si dimostrava più intraprendente di quanto immaginava. Gli rubò un bacio veloce. Stavolta senza ritrarsi sconvolto dalle sue stesse azioni. No, lo fece piano e sorrise.

Katsuki lo trascinò per il polso sopra di lui, con la solita irruenza che lo fece sussultare. «Non... Non ti ho detto di smettere». Voleva essere uno di quegli ordini con cui cercava di darsi un tono eppure gli uscì un mormorio insicuro, quasi... bisognoso.

Il verdino si sistemò meglio sugli avambracci accanto alla sua testa. Continuò a guardarlo in attesa di qualcosa, in un misto di sorpresa, insicurezza, curiosità. Sembrava che non potesse evitare, neanche per un singolo istante, di essere sempre tanto trasparente in tutte quelle emozioni che provava, intensamente e senza nasconderle, come se straripassero dal suo cuore incapace di contenerle tutte. Il suo esatto opposto.

«Non ha senso. Non è giusto. Non è...» Katsuki sospirò in un ultimo barlume di lucidità.

«Sì. E allora?» Deku annuì piano, solleticandogli la fronte con il ciuffo di capelli ribelli. «Ho capito che non mi interessa se ha senso o no, se è giusto o sbagliato, se poi di nuovo mi allontanerai e ci faremo male a vicenda» disse più risoluto che mai. «Mi importa solo di questo momento, di questi due minuti. Mi interessa, e voglio solo, che sia... vero».

Di fatto era lui adesso, Katsuki, il sottone. Quella notte tutto il fottuto mondo aveva deciso di funzionare al contrario. E forse non era un male, se per una volta anche a lui era concesso aprirsi e lasciarsi andare senza il pensiero di non meritarselo.

«Allora cosa aspetti a baciarmi, stupido nerd?»

Per la prima volta nella sua vita, permise a qualcun altro di vedere le sue fragilità e prendersi davvero cura di lui.

Lasciò che Deku guidasse il bacio a modo suo, un po' perché anche adesso voleva metterlo alla prova, sfidarlo, un po' perché era divertente assecondarlo e poi prenderlo alla sprovvista.

E Dio se fu un momento assurdo. Surreale eppure vero, vero da far male.
Erano veri i baci di Deku, leggeri, lenti, intervallati da piccoli sorrisi contro le sue labbra. Mai aveva sperimentato qualcosa del genere: baciare era sempre stato come una gara, imporsi e vincere sull'altro, uno scontro e mai un incontro così delicato.
Erano vere le sue espressioni di desiderio, che di tanto in tanto il biondo si concedeva di spiare a palpebre socchiuse, imbarazzate quando faceva lo stesso e veniva beccato, divertite quando permetteva di giocare a mordergli piano le labbra.
Erano vere le lacrime che iniziarono a scendere sulle sue guance arrossate e resero salati quei baci tanto dolci.

«Ehi». Katsuki gli prese il viso e lo asciugò con i pollici.

«Non è niente» Deku sorrise ancora. «È... È solo che...» tuffò la testa sulla sua spalla, strinse forte la sua maglietta. «Grazie, Kacchan. Sono così felice».

Fu automatico irrigidirsi. «Non ringraziarmi, è imbarazzante» borbottò solo, tralasciando volutamente le parole seguenti. Proprio queste lo riportarono lucido. Era meglio fermarsi lì, approfittando di quella pausa, o non sapeva se si sarebbe trattenuto e Deku si sarebbe fatto troppi film dopo e lui non era ancora pronto a...
«Adesso dormi, sul serio» prese la scusa che fosse tardi. In tutto ciò aveva perso la cognizione del tempo e non aveva intenzione di controllare l'ora per la sua sanità mentale, sempre che anche questa gli fosse rimasta.

«Posso stare un po' qui?»

«Come ti pare».

«Grazie, Kacchan. Buonanotte». Lo sentì sorridere contro la propria spalla. Anche se era più rigido di un pezzo di legno, Deku continuò a stringerglisi forte. Come se la sua paura non fosse non venire ricambiato, non importava perché gli bastava non essere scacciato, quanto che qualcosa o qualcuno potessero portarglielo via.

Poco sorprendentemente, quel qualcosa e quel qualcuno si rivelarono coincidere nell'unica persona di Katsuki stesso. Con le sue insicurezze avrebbe causato l'ennesima incomprensione e rottura tra loro, appena due giorni dopo.

L'ultima giornata a Berlino il risveglio di Katsuki fu... singolare.

Con la vista sminchiata della prima mattina, ci mise un po' a rendersi conto di trovarsi nel suo letto ma di non essere il solo. Poi, un profumo dannatamente familiare che gli fece maledire quella buona donna di Inko e il suo ammorbidente alla vaniglia, quel profumo che aveva segnato la sua infanzia e in casa Midoriya dovevano usare ancora. Infine, qualcosa che si insinuava tra i suoi capelli. Era così piacevole, pensò con la mente ancora annebbiata dal sonno.

Quando i suoi sensi si decisero ad attivarsi, realizzò. Deku lo stava coccolando come se fosse un docile animale domestico. Con un braccio gli avvolgeva le spalle da sotto e accarezzava la testa, affondata nell'incavo del suo collo; i loro corpi erano appiccicati, separati solo dalle stoffe leggere dei vestiti, le gambe intrappolate insieme.

Un momento. Lui era Katsuki fottutamente anaffettivo Bakugo, non di certo un tipo da... quello. Coccole? Solo il termine lo disgustava e non permetteva a nessuno, mai, di fargliele, nemmeno per scherzo a Capelli di Merda o Faccia da Scemo. Il massimo erano gli abbracci da brilli, che per fortuna ricordava soltanto vagamente.

Sentì un formicolio alla mano sinistra. Era ben aggrappata al fianco di Deku, possessiva, senza ritegno. Con progressiva agitazione, mise a fuoco ciò che lui stava facendo. Con un indice viaggiava sulla sua pelle sfiorandola appena, tracciava i contorni delle dita e le vene evidenti. Poi fece scontrare i loro palmi fino ad alzarli e congiungerli. Erano all'incirca grandi uguali, eppure la mano di Deku sembrava più piccola, così pallida e ricoperta di cicatrici, tremolante mentre sospirando la intrecciava alla sua.

Katsuki la ritrasse di scatto e grugnì qualcosa di incomprensibile per segnalare il suo risveglio.

Deku sobbalzò, il cuore che prendeva a galoppargli distintamente dentro la cassa toracica. «Oh, sei sveglio. Buongiorno Kacchan».

«Buongiorno un cazzo».

Si sciolse bruscamente dall'abbraccio e spostò per girarsi in su, ponendo una distanza accettabile tra i loro corpi.

Deku rise. E per un attimo la sua mente gli giocò il brutto scherzo di pensare che era così bello quanto raro in sua presenza e avrebbe voluto non smettesse mai.

Incrociò le braccia sulla faccia, per ripararsi dalla luce che entrava prepotente dalla finestra e nascondere le orecchie in fiamme.

«Che diamine stavi facendo? Non sono il tuo cane. Comunque, si può sapere che ore sono?»

«Hai ragione. Effettivamente assomigli più a un gatto, o a un leoncino. Sai, i tuoi capelli, la fierezza, il tuo essere tsundere e... Oh» Deku si interruppe quando consultò il cellulare abbandonato sul comodino. «Sono... Cavolo, sono le sette e mezza».

«Hah?! Le sette e mezza?!» esplose «Deku, quel "cavolo" te lo infilo su per il culo! E poi ti ammazzo! Perché non mi hai svegliato prima?!»

Gli tirò la prima cosa che gli capitò sottomano, purtroppo solo un innocuo cuscino, e nella foga gli si lanciò addosso lui stesso.

«Scusa! Ma dormivi così bene!» farfugliò il coglione mentre lottava per non finire soffocato «E potresti usare un linguaggio meno volgare ogni tanto!»

Katsuki si placò per riprendere fiato e allora si rese conto: Deku sotto di lui, ansimante, con le guance rosse e gli occhi confusi, non sapendo se prenderla sul ridere o spaventarsi sul serio, insieme anche a dell'imbarazzo.

Lo stronzo...! Faceva anche i doppi sensi dopo che la sera prima...

Gli balenarono in testa alcuni flashback. Che erano anche il motivo per cui aveva avuto quel risveglio, dal suo punto di vista, traumatico.

Dopo la fatidica notte in cui gli aveva parlato a cuore aperto rendendosi tanto vulnerabile, era stato più forte di lui ritirarsi nel proprio guscio e riprendere a ignorarlo. Il terzo giorno all'insegna della Shoah era stato pesante per tutti; la mattina del quarto, alle terme, continuò a evitarlo di proposito per non farsi venire brutte idee, però la sera aveva ceduto, due volte.

Una prima di cena. Rimasti soli in stanza, aveva attaccato briga per un motivo futile e si erano ritrovati a baciarsi di prepotenza, con rabbia, come se ormai non potessero rimanere senza qualsiasi tipo di contatto per più di qualche misero giorno. Erano stati interrotti da Faccia da Scemo che, distratto com'era sempre, aveva dimenticato il suo prezioso cellulare e troppo preso da quello non aveva sospettato nulla.

La seconda volta era stata dopo i festeggiamenti nell'area relax, dai quali Katsuki si era ritirato prima di fare la fine di quegli idioti dei suoi amici. Il vero motivo era che si sentiva pur sempre un adolescente in piena tempesta ormonale e lo sguardo del nerd addosso per tutta la serata non aveva fatto che aumentargli la voglia di sbatterlo al muro e fargli capire chi comandava.

E, quando la situazione si era riscaldata, a quel finto santarellino Deku non era sembrato dispiacere quel suo linguaggio volgare che ora gli rimproverava, il suo parlargli sporco, proprio per niente. Non mentre sospirava dei "Kacchan" e "Ommioddio" per i succhiotti sul petto e ovunque su quella pelle segnata dalle lentiggini e rovinata dalle cicatrici che lo faceva impazzire, non mentre lo guardava sottomesso con gli occhi lucidi, liquidi e lo implorava di fare quello che voleva di lui come una puttana, non mentre ansimava il suo nome in preda al piacere.

Ma erano stati solo momenti fugaci prima di tornare alla realtà e prendere atto che non poteva funzionare quella... qualsiasi cosa fosse ciò in cui il loro rapporto si stava trasformando. Perché Katsuki aveva una paura fottuta del cambiamento se c'erano di mezzo i sentimenti e quel ragazzo dagli occhi smeraldo e le lentiggini simili alle cazzo di costellazioni. Aveva segnato e ancora segnava la sua vita più di quanto voleva e non poteva permettersi di farsi influenzare, di dipendere da qualcun altro al di fuori di sé stesso in modo così sbagliato.

Perciò, quell'ultima mattina, si impose di ristabilire distanza tra loro.

Si tolse in fretta da sopra Deku. Brontolò di sbrigarsi perché la colazione poteva anche andare a farsi fottere, ma non il ritrovo delle otto con i professori altrimenti sarebbero stati cazzi, e filò in bagno a prepararsi, lasciandolo lì sul letto disorientato.

Nei successivi cinque minuti passati seduto sulla tavoletta abbassata del cesso con le mani tra i capelli, riuscì a schiarirsi le idee più di quanto aveva fatto in due lunghi giorni. Forse era la consapevolezza che quel surreale limbo della gita stava finendo, o forse che non poteva più nascondersi la situazione e quanto era sbagliata.

Era sbagliato il modo in cui aveva spinto al limite e macchiato quel ragazzo, bontà in carne e ossa, rendendolo capace di odio.
Era sbagliato il modo in cui, la notte del loro temporaneo chiarimento, Deku lo aveva guardato come se per lui fosse la cosa più preziosa al mondo, e l'ultima sera come la più bella che gli stesse capitando, quando l'aveva solo ferito per una vita intera.
Era sbagliato il modo in cui ancora sobbalzava a trovarselo vicino, come quando dopo tornò in stanza, il modo in cui poi gli sorrise.

Non poteva dirsi che non era importante come faceva lui, privilegiare il pensiero che fosse vero e questo bastasse. Il loro rapporto non era stato e non sarebbe mai potuto essere salutare. Si ferivano, si illudevano di essere il rimedio l'uno per l'altro, tornavano a farsi del male a vicenda. Era sbagliato, tossico, malato.

E Deku sembrava farlo apposta a rendere tutto dannatamente più complicato.
«Kacchan, mi stavo chiedendo...» esordì incerto «Per quello che è successo ieri...»

Non riuscì a guardarlo negli occhi. Dovette dargli le spalle fingendo di osservare fuori dalla finestra mentre si calava nella parte dello stronzo, del resto quella che gli veniva meglio.
«Puoi dirlo, Deku. Ti ho fatto una pompa, tu l'hai fatta a me. Siamo pari, punto e fine».

«Kacchan» squittì. «Non... Non puoi dire queste cose, in questo modo...»

«Perché, ti sei pentito?»

«No!»

Katsuki voltò di poco la testa per squadrarlo da sopra una spalla. A gambe incrociate sul letto, stringeva un cuscino al petto e vi nascondeva il viso eccetto gli occhi, in evidente imbarazzo, per la risposta troppo convinta e per chissà cos'altro passava per quella testina che pensava sempre troppo.

C'era anche dell'altro, in quel fottuto sguardo. Non era stupido, ormai aveva capito, iper consapevole di tutto com'era sempre. Aveva solo finto di non vederlo però adesso doveva affrontarlo prima che fosse troppo tardi. Forse, già lo era.

«Kacchan, cosa... Cosa siamo noi?»

«Non c'è nessun noi». Si appoggiò alla finestra, a braccia conserte. Partì calmo e già a metà perse le staffe. «Questa... cosa tra me e te... non è normale, lo capisci? Sei confuso, ti sei fatto un'idea sbagliata e... Andiamo, sono il pezzo di merda che ti ha bullizzato per anni e continua a maltrattarti. Non sono la persona giusta per te, non puoi pensarlo, è da malati! Cazzo, non... Non farlo, non puoi, Deku. Non innamorarti di me».

«Non... Cosa?»

Poteva quasi sentire il rumore degli ingranaggi del suo cervello che elaboravano quel qualcosa di cui a quanto pareva non era consapevole, pur provandolo in maniera così evidente.

Poi Deku lo sorprese un'altra volta, alzandosi in piedi a fronteggiarlo in quel modo passivo-aggressivo di quando era arrabbiato. «Ma quanto sei egocentrico? Ti svelo un segreto: le cose si fanno in due. E non ti devi permettere di aprir bocca sui miei sentimenti, qualsiasi essi siano, di calpestarli così. Ma lo fai sempre, vero? Ci stai provando anche adesso, lo so. È il tuo modo per scappare dai problemi. Cerchi di litigare, ferire e allontanare perché hai paura di fronteggiare i tuoi, di sentimenti, non sai nemmeno tu cosa vuoi. Perché a momenti sembra che ti piaccio almeno un pochino, altri che ti faccio schifo e sono stanco di essere preso in giro. Quindi sì, io sarò anche confuso, ma non sono il solo. Quello più confuso tra noi due mi sembri tu, Katsuki».

A tal punto, tutto si faceva sbiadito nei suoi ricordi. Deku almeno una cosa l'aveva capita, aveva centrato il punto. Si sentì messo alle strette come durante il loro ultimo litigio e un "Kacchan" di troppo e una mano tesa furono il colpo di grazia. Prima di rendersene conto, lo aveva allontanato spaventato, con uno schiaffo contro di essa. Il gesto più sbagliato che poteva fare, dati i loro precedenti, e l'ennesima prova che l'unica cosa che gli riusciva bene era ferirlo, in tutti i sensi.

Circa dieci minuti dopo, era in veranda a fumare.

Capelli di Merda era apparso come un salvatore e lo aveva portato fuori per calmarsi. Allora anche il suo lato più orgoglioso aveva ceduto e si era ritrovato a piangergli silenziosamente addosso, avvolto tra le sue braccia forti e rassicuranti. Poi, racimolata abbastanza stabilità, si era allontanato e rifugiato lì, nel tentativo di riordinare i pensieri.

Sarebbe stato tanto più facile e meglio, sviluppare quell'assurda fissa per il suo migliore amico. Eijiro era colui che era riuscito ad esserlo dal primo istante e ad aiutarlo a uscire dal suo guscio piano piano, togliendo pazientemente un mattoncino per volta del muro, anzi dell'intera fortezza con tanto di fossato con i coccodrilli, che si era costruito intorno.

Deku, invece, faceva tanto il carino e rispettoso con tutti ma in realtà non lo era, non con lui e i suoi spazi. Gli ritornava il male che gli faceva, anche se in modo più subdolo, a parole, sul piano psicologico; cercava di abbattere quel muro con la forza bruta distruggendo entrambi nel processo.

«Ehi, Bakugo».

Katsuki sussultò e imprecò qualcosa, prima di fulminare con l'omicidio nello sguardo l'individuo che aveva osato avvicinarsi da dietro di soppiatto. Non si sorprese troppo a constatare che si trattava del Bastardo a Metà.

«Stavolta mi sono annunciato» si giustificò quello mentre prendeva posto sulla scrausa sedia di plastica bianca accanto alla sua.

Il dubbio di cosa stracazzo volesse passò in secondo piano. «Porca puttana, hai un aspetto orribile».

«Mmh, sì. Lunga storia. Io e Tenya siamo rimasti svegli tutta la notte ad aspettare che Hanta tornasse».

«Beh, che vuoi? Solo rompere le palle o ti serve qualcosa? In entrambi i casi, sai che la risposta è di andartene a fanculo».

Il Bastardo, al solito, non si scompose. Con la sua irritante nonchalance, portò gli occhi eterocromi segnati da evidenti occhiaie verso un punto indefinito davanti a sé e attese almeno un minuto prima di rispondere.
«Noi due non siamo poi così diversi, in fondo» disse lapidario. «Conosco quella sensazione. Guardarti allo specchio e odiare ciò che vedi. Immagino anche quanto silenzio devi avere attorno, se devi sempre urlare per farti sentire e capire».

«Oi, ma che cazzo-»

«Volevo solo dirti che, però, puoi essere migliore di così. Almeno per te stesso, se sei così egoista da non riuscirci per gli altri. Come Izuku». Si alzò con la sua tipica flemma e terminò: «A proposito, ancora non ti sopporto. E non ti devi azzardare a ferirlo ancora».

«Ma che cazzo-»

Di nuovo Katsuki fu interrotto, stavolta da Quattrocchi che veniva a recuperarli lamentandosi di dov'erano finiti per il ritrovo con i professori per lasciare l'albergo. Non ebbe il tempo di meravigliarsi che per la prima volta in anni aveva avuto una conversazione circa normale con il Bastardo a Metà, né di elaborare il motivo di quel discorso o il legame che aveva con il nerd per parlare così.

Ancora, mentre tornava dentro, la priorità di quella stronza della sua mente fu il pensiero di Deku. Dopotutto era una costante e una certezza nella sua vita. Tipo che il paradigma del verbo latino fero faceva "fero, fers, tuli, latum, ferre", che il delta nelle disequazioni fratte era "b alla seconda meno 4ac", o il fottuto arcobaleno dopo la pioggia.

C'era sempre stato, anche se in disparte, e perseverava con lui dove gli altri rinunciavano o non riuscivano, pure dopo che gli aveva reso la vita un inferno. Forse era stato proprio lui a farlo diventare così, con quei comportamenti sbagliati e autodistruttivi. Un motivo in più per odiarsi. L'aveva rovinato e nemmeno impegnandosi sul serio era capace di rimediare o far funzionare le cose per più di qualche misera ora.

Migliore di così, eh? Quanto si sbagliava il Bastardo a Metà. Katsuki non lo sarebbe mai stato abbastanza da meritarlo.

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