2.8│Vittima
⚠ TW: accenni a stupro. ⚠
☆
«Allora buon ultimo pomeriggio. Ci sentiamo stasera».
«Non vedo l'ora! Ma scordati che non ti romperò ancora con qualche foto nel frattempo!»
Dall'altra parte dello schermo, Kyoka regalò un sorriso divertito a Mina, per poi salutarla di nuovo e chiudere la videochiamata.
Così la ragazza dai capelli rosa si tuffò sul suo letto nella camera d'albergo condivisa con le altre ragazze. Si perse a fissare il soffitto e a sperare che le ultime ore di gita, dopo la mattinata trascorsa alle terme, passassero in fretta.
Non che Berlino non le piacesse: era una città abbastanza fredda, in tutti i sensi, e non esattamente in linea con la sua personalità, ma in generale adorava viaggiare e conoscere nuovi posti e persone. Però, in quei momenti in cui era sola senza nulla da fare, sempre più spesso veniva colta da un senso di nausea che la bloccava, le faceva perdere il suo entusiasmo.
Nemmeno cazzeggiare al cellulare passando da un social all'altro la aiutò, anzi la fece sentire peggio. Ormai, più che un'abitudine, condividere le proprie giornate e osservare quelle degli altri attraverso uno schermo e dei like acritici era diventato una sorta di obbligo. Come se dovesse fare a gara per dimostrare di essere più felice degli altri, fingendo che la sua vita fosse composta solo dai bei momenti che immortalava nei suoi post o nelle numerose stories quotidiane.
Stava diventando un vizio che la stava soffocando. Anche la sua passione per la fotografia si stava rovinando e non la gratificava più, poiché ormai l'aveva legata irreversibilmente a quel dimostrare qualcosa agli altri. Dimostrare che cosa, a questo punto, non lo sapeva nemmeno lei. Perché la verità era che non stava bene, non era felice in quel periodo, anche se si frenava da sola dall'ammetterlo, e trovava insostenibile continuare a ostentare il contrario. Si convinceva sempre più che il consiglio di Toru buttato lì a caso in una conversazione come tante di qualche settimana prima, di prendersi dei giorni di pausa dai social per disintossicarsi, non era una così pessima idea.
Fu riscossa da un rumore contro la porta. Pochi secondi e una familiare cresta rossa, tenuta in alto da una bandana nera, fece capolino nella stanza. «Ehi, disturbo?»
Come se avesse mai potuto. Fu inevitabile sorridere di rimando, tirarsi su e fare spazio a Eijiro affinché si sedesse ai piedi del letto di fronte a lei.
L'amico gli spiegò che erano state le ragazze a riferirgli che l'avrebbe potuta trovare lì. Come la maggior parte della classe, erano al punto di ritrovo alla hall al piano terra per farsi consigliare dai professori e decidere sul da farsi in quell'ultimo pomeriggio che avrebbero passato nella capitale tedesca in totale libertà. Mina, invece, si era allontanata per videochiamare Kyoka, senza pensarci era finita in stanza e alla fine si era persa a fare nulla, intrappolata nei pensieri scomodi che aveva da qualche mese a quella parte.
Poi Eijiro le comunicò cosa aveva scelto di fare la BakuSquad e che ovviamente, se non aveva già in programma qualcosa con le ragazze, poteva unirsi a loro. Lei mostrò d'accordo, ma non con il solito entusiasmo con cui avrebbe voluto e anche l'amico se ne accorse.
«Senti, Mina, è da un po' che voglio chiedertelo... Va tutto bene?»
Eccola, la fatidica domanda che evitava da diverse settimane, cercando di non ritrovarsi in situazioni in cui non poteva fuggire o, se avveniva, trovando qualche scusa e arrampicandosi sugli specchi per svicolare.
Non si sentiva pronta ad affrontare il reale motivo del suo malessere, e quindi si era convinta che non fosse poi così importante farlo. Semplicemente, era successo ed era passato, non aveva senso rimuginarci sopra e avrebbe potuto continuare la sua vita senza permettergli di segnarla.
Inoltre non voleva che Eijiro si preoccupasse, che per l'ennesima volta si facesse carico dei suoi problemi proprio adesso che stava riuscendo a concentrarsi sulla sua autostima ed era visibilmente con il cuore più in pace.
Il ragazzo non si bevve il suo cenno affermativo. «Ultimamente mi sembri più mogia. Anche turbata da qualcosa, certe volte» riprese, prima che potesse cambiare argomento «E non dire che è solo una mia impressione, perché lo vedo. Sei la mia migliore amica. Ti conosco, so che ti comporti come me quando hai un problema: fingi che non esista, lo nascondi. Fino ad adesso ho cercato di lasciarti i tuoi spazi, e continuerò se è quello che ti serve. Però sai che con me puoi parlare, di qualsiasi cosa, in qualunque momento».
Oh Eiji, era il solito cuore di panna, ma come avrebbe potuto spiegargli?
L'insicurezza riguardo il suo corpo, la pelle olivastra non perfettamente candida come quella di Toru o Momo, la vita non abbastanza stretta e le gambe non abbastanza lunghe.
L'insicurezza che gli causavano gli sguardi delle persone che indugiavano su di lei, poiché non sempre se ne potevano sapere le intenzioni.
L'insicurezza di come appariva agli altri, se davvero dava l'impressione di essere una ragazza facile, se sembrava una di cui potersi approfittare.
Come quella maledetta sera di due mesi prima, passata con i conoscenti più grandi che l'avevano invitata a unirsi a loro di ritorno dalla vacanza alla baita con la classe. Si era dimostrata allegra, amichevole come sempre e quello era stato il risultato. Sapeva bene di cosa si era trattato, ma non voleva nominarlo, nemmeno nella sua testa.
Quell'evento fu la proverbiale goccia che fece traboccare il vaso. Portò a galla tutte quelle insicurezze che già prima aveva, ma che accettava e indossava con orgoglio, mentre ora non si ricordava più come si faceva. Intanto che tutti gli altri attorno a lei facevano progressi con i loro problemi, a lei sembrava di camminare all'indietro.
Così ultimamente stava solo con gli amici stretti, gli unici con cui ancora riusciva a essere sé stessa, a ridere e scherzare come sempre e, quando capitava di uscire, non sentiva crearsi quel fastidioso nodo allo stomaco fatto di nausea e ansia. Ma anche con loro ogni tanto certi discorsi o la presenza di troppe persone o il contatto fisico improvviso facevano da trigger. Le tornavano alla mente i ricordi confusi di quella volta e perciò sentiva l'impellente bisogno di allontanarsi. Esempio più recente era stato alle terme quella mattina, dove Toru aveva intuito che qualcosa non andava e l'aveva accompagnata fuori.
Però così, in quelle occasioni in cui si isolava, trovava difficile distrarsi e tornava a pensare all'accaduto che, almeno questo poteva dirselo, era stato il suo peggior trauma. Gli arti atrofizzati da qualche sostanza versata nel bicchiere e dalla paura, le immagini sfocate di mani sul suo corpo, di più persone che senza pietà se ne servivano nei modi più disparati fino a farla svenire. La sensazione di impotenza, viscidume, schifo verso sé stessa che da allora le rimase cucita addosso, per quanto potesse strofinarsi forte sotto la doccia, consumandosi la pelle come a cancellarsi, e dirsi che era tutto passato.
E allora, per allontanare quei ricordi che animavano i suoi incubi e i momenti in cui si ritrovava sola, tornava a ricercare la compagnia altrui, con i rischi che ciò portava, convincendosi ogni volta di essere abbastanza forte da non sforare il limite. Un circolo vizioso da cui forse non sarebbe stata capace di uscire come fingeva.
Se solo le cose fossero andate diversamente. Avrebbe potuto evitarlo? Se l'era cercata? Come aveva potuto essere così stupida? Perché si sentiva in colpa quando gli unici a dover provare quella schifosa sensazione avrebbero dovuto essere quei pezzi di merda che l'avevano usata e distrutta?
«Quando te la senti, io sono sempre qui. Ok?» Eijiro le parlò dolcemente dopo diversi secondi in cui, tanto per cambiare, si era persa con lo sguardo nel vuoto.
Fu il colpo di grazia. Mina si sforzò di sorridergli e si accorse di avere la vista appannata dalle lacrime.
«Ehi...» lui scattò preoccupato, esattamente quello che voleva evitare «Ho detto qualcosa di sbagliato? Non volevo rimproverarti o farti sentire in difetto o...»
«Tranquillo, Eiji». Era davvero premuroso, sempre e verso chiunque. Magari al mondo fossero stati tutti così.
Si asciugò in fretta le guance e prese un bel respiro. Non poteva più rimandare quel momento. «Non potevi dirmi cose migliori. E meriti di sapere».
Raccontò tutto.
Forse fu un po' caotica, tra memoria sbiadita e verità che non voleva ammettere ad alta voce. Inoltre sorvolò su certi particolari: la confusione dei giorni successivi in cui non riusciva a ricordare né a dormire, il panico perché non le venivano più le mestruazioni.
Di sicuro non ce l'avrebbe fatta senza Toru. La migliore amica dopo essersi fatta dire tutto, mentre l'abbracciava e le accarezzava i capelli, e averla consolata per giorni senza azzardarsi a lasciarla sola neanche un secondo, l'aveva aiutata a procurarsi un test di gravidanza. Dopotutto era passata per una situazione simile, a soli quindici anni, e in generale c'erano sempre state l'una per l'altra.
Con sollievo, Mina aveva scoperto che era tutto a posto. Ma solo fisicamente, mentalmente stava uno schifo ed era andata avanti per settimane, ecco perché infine quel pomeriggio stava crollando anche davanti al suo migliore amico.
Proprio non riuscì farsi forza fino alla fine della gita come si era promessa. Infatti era solita porsi dei piccoli traguardi, del tipo sopravvivi a questa settimana, a questo allenamento di hip hop, a questa uscita e vedrai che andrà meglio. Un po' come quando si ritrovava a dover studiare per l'indomani capitoli su capitoli dei libri di greco e latino, che davvero non poteva soffrire, e posizionava delle caramelle al termine di ogni paragrafo per motivarsi. In tutti i casi, sempre più spesso falliva.
«Cazzo, Mina» Eijiro commentò così dopo la confessione. Non era frequentissimo che dicesse parolacce. Forse era l'influenza di quel bruto di Katsuki e forse anche che era davvero preoccupato. No, devastato era la parola giusta, al momento quasi più di lei. Di nuovo, proprio quello che voleva evitare. «Mi dispiace tantissimo, non hai idea. Cosa posso fare per te?»
Andò avanti così per un po', a consolarla e a ribadire la propria disponibilità per qualsiasi cosa, nonostante tutti i dubbi che dovevano stargli vorticando nel cervello. Per esempio, banalmente, perché non si era confidata prima. Mina non lo avrebbe mai accusato di essere un insensibile a fare quelle legittime domande, ma dal punto di vista di quel concentrato di altruismo dai capelli rossi e il cuore d'oro poteva apparire come una forma di egoismo che al momento non si poteva né doveva permettere.
Però poi tirò fuori un discorso che non le piacque. «Ehi» fece dopo l'ennesimo vuoto di silenzio, cauto, come se già sapesse che l'avrebbe urtata in qualche modo. «Non so bene come funziona, ma hai pensato... Sì, ecco... di denunciare quei bastardi?»
Infatti eccolo, l'altro grande scoglio insormontabile, l'altra domanda che la ragazza non sapeva come affrontare e non era certa di volerlo fare. Perché non era sicura della risposta, perché si diceva di essere forte ma non lo era abbastanza per guardarsi dentro.
Già ci aveva messo tanto tempo e fatica a parlare dell'aggressione con Toru e anche con lei l'argomento denuncia era off limits. Non c'era un motivo razionale per cui non volesse sporgerla. Anche quando provava a spiegarselo a sé stessa si rendeva conto di quanto fosse insensato e lasciava perdere.
Credeva... Non sapeva nemmeno lei, a cosa credeva. Forse era che non voleva che gli altri la vedessero come... una vittima. Non le era mai piaciuta l'espressione della gente quando veniva a sapere qualcosa di spiacevole sul conto di qualcuno. Lo sguardo disinvolto o indifferente nei confronti di sconosciuti era diverso da quello di compassione rivolto a quella vicina di casa a cui da poco era morto il figlio suicida, o ai ragazzini disabili del centro di volontariato in cui Eijiro lavorava e che una volta le aveva fatto conoscere.
Per questo verso, poteva capire l'orgoglio di Katsuki. La differenza era che il porcospino ciclato finiva per rifiutare qualsiasi aiuto e disprezzare tutto e tutti, mentre lei minimizzava. Non respingeva categoricamente ogni aiuto, si appoggiava ad alcune persone fidate, ma con gli altri si mostrava la Mina di sempre perché non voleva che lo sguardo che le avevano riservato fino ad allora cambiasse.
Perché, in fondo, la sua paura degli sguardi delle persone, di menzionare chiaramente cosa le era successo, di essere definita vittima derivavano da una unica, principale e più grande: essere sminuita e invalidata in quanto ragazza, in quanto donna. Sapeva di non dover pensare così eppure era come quando sopra a una porta c'è l'avviso di spingere e tu non puoi fare a meno di tirare; tiri così tanto da spezzare anche la corda della tua sanità mentale, del tuo stesso essere, che ti tiene in bilico, in sospeso sopra un abisso.
«Non devi rispondere se non vuoi» riprese l'amico, abbassando di un poco la testa per cercare i suoi occhi. Quella frase la diceva sempre Denki quando invece era palese che volesse conoscere la risposta, però sapeva che non era il caso.
«Mina, posso... posso abbracciarti?» fece uno dei suoi sorrisetti da squalo, anche se più prudente del solito. Era evidente quanto cercava di bilanciare ogni parola e comportamento, aveva paura di romperla al minimo passo falso come un elefante in una cristalleria.
D'accordo, la metafora non era delle migliori, Mina era più stremata di quanto voleva ammettere. Si fece accogliere tra le sue braccia forti, in un silenzio insolito trattandosi di lei che però si godette tutto. Si sentì tanto grata di avere amici come lui e Toru, disposti ad essere forti al posto suo quando lei non ci riusciva.
A proposito di Toru, quando si dice che parli del diavolo...
«Ops. Ho interrotto qualcosa?»
Quella stronzetta. Aveva irrotto nella stanza facendo un rumore assurdo ma Mina scommetteva che era lì dietro la porta da tempo, ora stava appoggiata allo stipite con espressione melliflua e il tono dispiaciuto era tra i più falsi che le fosse mai uscito. Peggio di quando tentava di convincere Aizawa a non interrogarla perché non era riuscita a studiare per qualche tragedia che le era capitata inventata sul momento.
Adorava quella pettegola. In un certo senso l'aveva creata lei stessa, insegnandole l'arte dello spionaggio e del gossip quando diventarono amiche all'inizio del liceo. Inoltre doveva essere la sua personale vendetta per ogni volta che la coglieva con Mashirao e non evitava di insinuare qualcosa, con la tipica malizia benevola che però faceva scappare il poveretto a gambe levate con qualche scusa. La differenza era che Eijiro era il suo migliore amico e non ci si vedeva in alcun modo diverso rispetto alla relazione platonica sviluppata negli ultimi cinque anni.
Subito dopo furono raggiunti dalle altre ragazze. Toru propose una sessione di trucco e parrucco, di quelle che lasciavano a Mina carta bianca e le risollevavano il morale. Eijiro, intuito in anticipo l'imminente pericolo, riuscì a dileguarsi in tempo per non rimanerne incastrato. Non sarebbe stata la prima volta.
In un momento vuoto, Mina approfittò per chiedere alle amiche perché avevano cambiato idea sul passare il pomeriggio a girare la città.
«Sai, viaggiare può capitare tante altre volte nella vita...» iniziò Momo.
«Non per tutti così tante» si udì appena il bisbiglio di Ochako in sottofondo.
«... Mentre esserci per gli amici in momenti difficili è più raro e prezioso» concluse la corvina in un sincero sorriso.
«Grazie, ragazze. Significa davvero tanto per me».
«Tesoro, fatti abbracciare!» a Toru partì la vocina acuta di quando era intenerita da qualcosa, tipo i cani o un nuovo post di Harry Styles, e poi trascinò tutte in un abbraccio di gruppo.
Così le ragazze della 5ªA, anche Kyoka che si fece convincere all'ennesima infinita videochiamata perché tanto non aveva di meglio da fare, rimasero in quella camera tutto il pomeriggio a fare esperimenti di outfit e trucco e chiacchierare di cose frivole, proprio come piaceva a Mina.
In quelle ore ritrovò la sua vitalità e dopo cena riuscì anche a divertirsi come un tempo nell'area relax, dimenticando le preoccupazioni per un po'.
Dimenticando pure di essere in gita scolastica e doversi contenere per i festeggiamenti dei cento giorni alla maturità, quindi esagerando un pizzico. Immancabili complici Denki e Hanta, fece prendere una bella sbronza ai coraggiosi che erano rimasti, prof Hizashi incluso, e finì a collassare nella stanza dell'insospettato salvatore Hitoshi.
Dimenticò parecchie cose durante quella serata, in effetti, ma non la sensazione di calore e affetto attorno a lei. I suoi amici non l'avrebbero mai giudicata come vittima o chissà che altro per quel che di orribile le era successo. Semplicemente ai loro occhi sarebbe continuata ad essere Mina e l'avrebbero sostenuta sempre. Pur in quei discutibili modi.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top