0.4│Voluta bene ma mai amata
Ochako Uraraka non chiedeva tanto dalla vita. Un lavoro soddisfacente, la stabilità economica per poter aiutare i genitori, trovare l'amore e costruirsi una famiglia. Un po' banale, forse, come si legge nei romanzi rosa, ma Ochako era così, una persona semplice e genuina. Non era particolarmente ambiziosa, non sognava di fare carriera, anche perché aveva capacità nella media. Era invece molto romantica e legata all'ideale di amore di coppia che i genitori le avevano trasmesso e le ricordavano ogni giorno.
Amore: che parola grossa, pesante, importante. Non voleva scomodare un concetto così serio, però pensava di provare qualcosa di simile. Si sentiva innamorata. Da anni, ormai. La sua non era un'infatuazione o una cotta passeggera. Però non era neanche amore, perché non era corrisposto e quindi completo.
Ne era fin troppo consapevole, di non essere ricambiata. Ma aveva imparato a proprie spese che non ci poteva fare niente, con quei sentimenti, se non viverli, fino a crogiolarsi e sprofondare in essi, e soffrirci, poiché per quanto ci provasse non poteva nasconderli. Sia perché non era brava a mentire, sia perché erano troppo grandi da essere evidenti a chiunque. Chiunque, tranne il diretto interessato.
«Ma hai il prosciutto sugli occhi, per caso?!» sbottò Mina, attirando su di sé l'attenzione di tutti quanti erano seduti al tavolo del Mc Donald's. E no, non si riferiva al suo interesse amoroso, anche se la situazione era analoga, ma al loro amico Tenya, che ora la guardava perplesso. «Certo che riguardo queste cose non sei tanto intelligente» proseguì gesticolando e facendo così muovere i capelli corti rosa shocking che le avevano giovato il soprannome di "AlienPinkyQueen" sui social.
«Non capisco cosa intendi» ammise quello, gesticolando anche lui.
Ochako si fece scappare una risatina. Vedere quei due discutere era divertente.
In realtà, Mina era amica stretta solo delle ragazze, ma essendo molto socievole si ritrovava a stare con i gruppi tra i più diversi. Come quella sera: all'uscita organizzata con Izuku, Tenya e Tsuyu si era aggiunta anche lei, che sapeva sempre come infiltrarsi e ravvivare l'atmosfera. Avevano invitato anche Shoto che però quella volta aveva un impegno inderogabile di cui, per quanto dava a vedere, non era esattamente entusiasta.
Ora che il ragazzo dai capelli quasi blu scuro aveva spiegato che più tardi aveva un incontro con Mei Hatsume, la tipa stramba del liceo scientifico quell'anno rappresentante d'istituto con lui, Mina non aveva saputo resistere alla sua passione per il gossip e per lo shippare le persone.
«È ovvio che non vuole vederti solo per parlare della scuola! Fidati, te lo dice zia Mina, che è un'esperta: ha altri progetti con te. Tipo bombarti».
Ochako non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere. Mina era serissima, Tenya senza parole il che avveniva di rado e intanto Tsuyu si schiaffava una mano sulla fronte. Smise non appena notò che Izuku, seduto di fronte a lei, si stava soffocando con il suo milkshake alla vaniglia in preda a un attacco di tosse nervosa.
Tsuyu si portò pensierosa un dito al mento. «Mimì, hai rotto Izu». Aveva la strana mania di trovare un soprannome a tutti, anche a chi possedeva un nome già sufficientemente breve.
Mina, invece che scusarsi, rincarò la dose smaliziata. «Non è colpa mia se è troppo puro e rischia un collasso ogni volta che solo si accenna al sesso».
Ochako la ignorò e si rivolse preoccupata all'amico. «Deku, stai bene?»
«Sì sì, tranquilla, ora mi sono ripreso».
Tirò un sospiro di sollievo e sorrise mentre lo guardava rassicurare anche gli altri imbarazzato e poi tornare a sorseggiare con calma la sua bevanda, ancora rosso sulle guance punteggiate dalle lentiggini.
Erano le piccole cose, le più insignificanti come quelle, a scaldarle il cuore. Il modo in cui la tranquillizzava sempre, il modo in cui arrossiva e balbettava quando era agitato. E ancora il modo in cui si perdeva tra le nuvole o straparlava, il modo in cui gli enormi occhi verdi gli brillavano a discutere delle sue passioni come la filosofia e cose da nerd.
Insomma, era innamorata di ogni minimo particolare di lui.
Tante volte si era promessa di allontanare quei sentimenti non corrisposti, di chiuderli a doppia mandata in una stanza recondita del suo cuore e gettare la chiave, ma non poteva. Perché ne era innamorata da tempo, nemmeno lei sapeva da quando di preciso, e non avrebbe mai smesso. Lo aveva amato quando era un piccolo scricciolo indifeso all'inizio del liceo, lo aveva amato quando si era imposto di cambiare, lo amava anche adesso che erano cresciuti e non concepiva di esistere senza quell'amore che la teneva viva. Sarebbe rimasta mai ricambiata e relegata al ruolo di migliore amica per tutta la vita, pur di stargli sempre vicino e soccorrerlo a ogni problema.
L'amica dai lunghi capelli verdi al suo fianco la riportò alla realtà con una leggera gomitata. Le dedicò uno sguardo comprensivo, mentre Mina, a capotavola, la squadrava in maniera indecifrabile. I suoi occhi chiari, che a volte sembravano oro risaltati da spessi strati di matita nera, la scrutavano intensamente, in un misto tra l'accusatorio e l'empatico. Loro sapevano. Dopotutto, erano le sue migliori amiche.
Ochako cambiò argomento e propose di uscire fuori a fare quattro passi.
Trascorsero la mezz'ora che rimaneva prima dei vari impegni di ognuno a camminare per i viali del centro della città, illuminati dai lampioni e dalle luci dei negozi. Era una delle ultime occasioni per stare insieme senza il pensiero della scuola. Le settimane successive sarebbero state un inferno, come se già non lo passassero ogni singolo giorno. A detta dei professori, la fine del trimestre era vicina, anche se era appena passata la metà, erano indietro con i programmi e mancavano i voti. Lo sosteneva lo stesso Aizawa che li faceva piovere a destra e a manca, ma questi erano dettagli.
Non mancò un altro episodio di quell'impacciato di Izuku. A un certo punto era talmente assorto a pensare a chissà cosa, come al solito, da non guardare dove metteva i piedi e rischiare di inciampare e sfracellarsi al suolo. Ochako si precipitò subito a sostenerlo per un braccio e per fortuna mantennero l'equilibrio o sarebbero caduti entrambi. Mentre si scusava per la sua goffaggine, ridacchiando e trascinando gli altri a fare lo stesso, lei non poté evitare di pensare che era così adorabile e buono. Come un milkshake alla vaniglia.
«Vado anche io, ragazzi. Ci vediamo lunedì» Tsuyu fu l'ultima ad andarsene. Aveva promesso ai fratelli minori che avrebbero passato una serata in famiglia, a giocare insieme e guardare un film sgranocchiando pop corn come ai vecchi tempi.
Lunedì, già. Per quel gruppo la domenica non andava nemmeno presa in considerazione per attività rilassanti e ritrovi con gli amici. Ormai era il settimo giorno scolastico della settimana, in cui rinchiudersi in casa come suore di clausura e recuperare tutti lo studio rimasto arretrato nonostante fossero i più bravi della classe. Eccetto Mina, che appunto non aveva molto in comune con quella compagnia.
Ochako salutò calorosamente anche Tsuyu. Gli altri se n'erano appena andati, Tenya per lo pseudo-appuntamento con Mei mentre Mina per raggiungere il locale dove l'aspettava l'altro principale gruppo della classe che sembrava la loro antitesi, composto da Katsuki, Eijiro, Hanta, Denki e Kyoka.
Così rimase sola con Izuku. E con un tremendo ritardo per prendere il treno di ritorno al paesino dove abitava, a mezz'ora di viaggio da quella città, sede della scuola e delle loro sporadiche uscite.
«Porca paletta» sussultò non appena controllò l'ora sul cellulare «Deku, rischiamo di perdere il treno! Corriamo!»
Alla fine lo persero davvero. Arrivarono in stazione proprio mentre le porte si stavano chiudendo e non fecero in tempo a salire per soli pochi secondi.
A volte pensava di avere un talento per il gufare le peggiori situazioni, altre si convinceva direttamente di essere una calamita per le sfighe. Ma trovò qualcosa di bello anche in quel momento: guardare Izuku, non esattamente noto per la sua resistenza fisica, che sembrava star per morire, chino sulle ginocchia e senza fiato per la corsa come lei e ridere insieme della loro sfortuna.
«Il prossimo è tra mezz'ora» annunciò sconsolata dopo aver consultato il display all'ingresso della stazione. «Facciamo un giro in piazza intanto?»
Si spostarono nello spiazzo proprio lì di fronte. Al centro, una fontana ogni sera si illuminava di tanti colori grazie a delle luci artificiali. Attorno, tra il via vai frenetico delle persone più diverse, alcune si prendevano una pausa sulle panchine oppure, quando si aveva la fortuna che ci fossero come quel giorno, ai chioschetti di cibo.
Probabilmente notando i suoi occhi castani che senza contegno si incollavano incantati al banchetto delle frittelle dolci, Izuku le chiese se gliene andava una e lei non se lo fece ripetere due volte. Se la ragazza lo conosceva bene, la cosa era reciproca.
Dopo che lui pagò per entrambi, per miracolo trovarono una panchina libera e si sedettero lì a gustare quell'impasto morbido, così caldo e zuccherato. In altre parole, divino.
Nel frattempo, ad Ochako sorse il sospetto che poco prima Mina li avesse trattenuti più del dovuto di proposito, per far loro perdere il treno e farli rimanere insieme per un altro po' con questo pretesto. Come Tsuyu, la sua amica sapeva che, è proprio il caso di dirlo, stava sotto un treno per Izuku. Sapeva anche che lui era troppo ingenuo per capire e ricambiare i suoi sentimenti, quindi cercava di offrirle anche solo qualche momento di felicità.
Perché tutti vedevano una ragazza carina ed entusiasta, ma non immaginavano quanto soffriva per il desiderio di essere amata. Tutti le volevano bene per quella sua gentilezza disinteressata, talvolta ai limiti dell'opprimente verso le persone a cui più teneva, ma nessuno l'aveva mai amata. L'affetto dei genitori e degli amici in questo senso non contava. Chiedeva davvero tanto dalla vita?
Lo sguardo le ricadde inconsciamente sul ragazzo accanto a lei. Guardava ipnotizzato la fontana che cambiava colore mentre sbocconcellava distratto la frittella. Il vero spettacolo, per lei, era il suo viso su cui danzavano quelle luci e i suoi occhi nei quali si riflettevano risaltandoli ancora di più.
«Mi piaci».
«Uhm? Hai detto qualcosa, Ochako?»
Soltanto quando Izuku tornò alla realtà e la guardò interrogativo realizzò di non aver solo pensato quelle due parole. Almeno le aveva sussurrate e lui non le aveva capite.
«Io? Ah, no, cioè...» iniziò a farfugliare, mentre si dava mentalmente della cretina e di sicuro arrossiva. «Ho solo detto che mi piace... il cielo, sì, mi piace il cielo».
Se proprio un giorno si fosse decisa a dichiararsi, non lo avrebbe di certo fatto così su due piedi. O meglio, questo era ciò che credeva in quel momento, ignara della tragicomica situazione in cui si sarebbe ritrovata alcune settimane dopo.
La scusa sembrò reggere. Del resto le stelle erano una sua passione fin da piccola.
«Oh» fece infatti l'amico, levando lo sguardo in alto «È vero. Le stelle sono belle luminose stasera, anche se siamo in città».
Si trattenne dal ribattere che era lui a essere bello e pensò che lo avrebbe anche ascoltato per ore mentre parlava dell'inquinamento luminoso prodotto dai grandi centri urbani e le sue conseguenze negative. Non sarebbe stata la prima volta.
Di nuovo, come le capitava sempre più spesso, provò una fitta al cuore. Situazioni banali come quelle le ricordavano e schiaffano in faccia la realtà che quello era l'ultimo anno di liceo. Vedersi tutti i giorni, incontrarsi sul treno, condividere gioie e dolori della scuola, disperarsi tramite messaggi e sticker idioti per l'immane carico di studio e tante altre piccole cose... Solo pochi mesi e tutto quanto sarebbe finito.
Raccolse le gambe tra le braccia, rannicchiandosi sulla panchina. «A volte ho paura» confessò a bassa voce, senza distogliere lo sguardo dal cielo, perché se lo avesse rivolto a Izuku era certa che sarebbe scoppiata a piangere. «Del futuro. Insomma, tra pochi mesi saremo fuori dal liceo e catapultati nel mondo vero. Le nostre vite prenderanno strade diverse, si separeranno e io... io non so se ce la farò senza... senza di te e degli altri».
Seguì qualche secondo di silenzio in cui, se avesse potuto, si sarebbe rimangiata tutto. Era così patetica.
«Ochako...» la richiamo poi Izuku, piano e quasi intenerito. «Sei tra le persone più fantastiche e forti che conosco. Te la caverai assolutamente» continuò convinto «E poi ovviamente ci terremo in contatto. Scordati di liberarti di me tanto facilmente! Come tu ci sei stata nei miei momenti difficili, mostrandomi sempre il lato positivo delle cose, io farò lo stesso. Sicuramente anche gli altri la pensano così».
Sorrise. Non poté fare altrimenti, a delle parole così sincere e nel farlo le scapparono alcune lacrime che subito asciugò. «Hai ragione. È una paura stupida. Non so cosa mi sia preso».
«Le paure non sono mai stupide. Basta avere qualcuno con cui affrontarle».
Quella che poteva sembrare una frase fatta era frutto di ciò che aveva vissuto in passato. Quel ragazzo era l'esempio vivente di come non arrendersi mai nonostante tutto. Eccola, un'altra cosa per cui si era innamorata: usava le sue esperienze personali come stimolo per sé e per gli altri e non permetteva mai che qualcuno si sentisse in difetto o sbagliato.
Parlare con lui era sempre come togliersi un peso dal petto, grazie alla sua capacità di ascoltare e dispensare saggi consigli. Ora già più serena, Ochako gli dedicò un altro sorriso e tornò ad ammirare il cielo. Di tanto in tanto guardava ancora di sottecchi l'amico mentre finiva la frittella, che invece lei, vorace com'era quando si trattava di dolci, aveva già divorato da un pezzo.
«Pff, Deku, guarda che sei tutto sporco di zucchero».
«Oh» lui fu colto in flagrante e borbottò «È colpa di questo tovagliolo che non pulisce un cavolo. Senza offesa, tovagliolo, sei inutile».
Il fatto che non si capiva se scherzava o si stava sul serio scusando con un oggetto la fece scoppiare a ridere definitivamente.
Izuku alla fine, aiutandosi con la lingua a inumidire gli angoli della bocca, ce la fece a pulirsi. E fu quando per un attimo pensò che avrebbe voluto essere al posto di quello zucchero che Ochako capì di non poter nascondere ancora a lungo il suo segreto non poi così segreto.
Avvampò e balzò in piedi schiarendosi fin troppo energicamente la gola, come se ciò potesse servire ad allontanare quei pensieri impuri.
«Tutto bene?»
«Ah, sì, certo» dissimulò malamente al suo sguardo perplesso, la voce più alta di un'ottava o forse più. «Volevo andare a buttare i tovaglioli. Dammi pure il tuo».
Non era brava a mentire, ma lo era abbastanza a trovare scuse stupide il che, unito all'ingenuità di Izuku, le permise di salvarsi in corner un'altra volta.
«Ma no, faccio io». Lui prontamente si alzò, si fece dare il tutto e andò a buttarlo al cestino poco distante. Nello sfilarle il tovagliolo, le sfiorò le mani. Una cosa da nulla avvenuta per caso, eppure sufficiente a farle venire la tachicardia, al punto che temette di implodere da un momento all'altro proprio come capitava ad alcune stelle.
Cacciò le mani nelle tasche del suo cappotto lungo rosa pastello e nascose il viso nel bavero. Prese a camminare nervosamente avanti e indietro fino al suo ritorno, ripetendosi in continuazione «Stupida, stupida, stupida». Sapeva che non doveva illudersi, che non doveva fraintendere quei piccoli gesti gentili che uno come lui, bontà in carne ed ossa, riservava a chiunque. Lo sapeva, eppure non riusciva a impedirsi quelle reazioni spontanee che di conseguenza mandavano all'aria tutti i suoi buoni propositi.
«Deku, la giacca» parlò senza neanche pensarci quando lo vide tornare e notò la cerniera abbassata che lo esponeva al freddo.
Il migliore amico ribatté sovrappensiero con uno dei suoi «Oh, hai ragione, grazie», quindi la avvisò che era il caso di tornare in stazione se non volevano perdere un altro treno.
Mentre ci andavano, Ochako rifletté che sì, immaginare la sua vita senza Izuku era difficile e faceva paura. Avrebbe voluto che lui ci fosse sempre e viceversa, proteggerlo e curarlo a ogni ferita. Se questo non significava amare, ci andava molto vicino. E sì, amarlo e non essere ricambiata faceva male, ma sempre meglio che non amare affatto.
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