0.1│Sostanzialmente ed irrimediabilmente nerd

«Odi et amo. Quare id faciam, fortasse nequiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior».

Izuku Midoriya fece una pausa e alzò lo sguardo dal foglio che stringeva tra le mani per rivolgere un'occhiata veloce al professore. La sua espressione era seria e rilassata, per quanto poco rendesse evidenti i suoi stati d'animo, senza la familiare smorfia infastidita che gli spuntava ogniqualvolta udiva la lettura metrica del latino o del greco con gli accenti sbagliati.

Tirò un impercettibile sospiro di sollievo per essere riuscito a scandire correttamente quei versi ed essersi evitato così tre versioni in più per il giorno dopo. Del resto, ormai certe citazioni le recitava a memoria e parlava il latino come una seconda lingua. Era il minimo, dopo ben quattro anni di liceo classico. Eppure la paura delle punizioni imprevedibili di Aizawa rimaneva sempre, anche se razionalmente parlando non aveva da temere, essendo tra i migliori della classe nelle sue materie.

Si schiarì la gola e riprese a esporre il suo tema ad alta voce ai compagni, abbandonandosi, dopo il nervosismo iniziale, a una lettura sentita e appassionata. Adorava la filosofia e la scrittura, perciò i temi in classe rappresentavano l'occasione perfetta per esprimere le sue conoscenze e la sua creatività.

La consegna richiedeva una riflessione personale sulla dialettica di Hegel applicata all'attualità e questo lo aveva stimolato ancora di più. L'aspetto che lo affascinava della filosofia era proprio l'universalità di certe idee degli antichi. Ogni impianto filosofico aveva un elemento di fondo capace di sopravvivere al susseguirsi del tempo e delle civiltà, così che anche un ragazzo del ventunesimo secolo come lui poteva trarne qualcosa. Spesso infatti si perdeva a immaginare come questo o quel filosofo avrebbe affrontato i suoi problemi e risposto ai suoi interrogativi esistenziali.

Adorava anche le citazioni, per questo aveva esordito con il famoso carme 85 di Catullo, sebbene fosse un autore trattato negli anni precedenti e in un'altra disciplina. Da lì aveva proposto come personale esempio di attualizzazione di Hegel l'amore e l'odio. Secondo il filosofo, il mondo è fatto di cose che si combattono con altre cose, persone contro altre persone che sono il loro contrario. Ma ogni scontro tra una tesi e la propria antitesi può creare qualcosa di più di una lotta fine a sé stessa: un'unione, una sintesi arricchita tra le due. Così Izuku aveva parlato dell'amore e dell'odio. Anche questi sono tesi e antitesi ma che come due facce della stessa medaglia non possono esistere l'uno senza conoscere l'altro, non possono essere separati ed è la loro sintesi che sta alla base di ogni rapporto umano che intrecciamo durante le nostre vite.

«Bene, puoi sederti. Bakugo, sei il prossimo» annunciò monocorde Aizawa.

Izuku rispose con un sorriso soddisfatto al suo cenno e fece come gli fu detto. Dopo tutti quegli anni aveva capito che quel "Bene" era il massimo complimento a cui poteva aspirare. Inoltre il voto in rosso che campeggiava in alto a destra del foglio protocollo, accanto a quello scarabocchio che era la firma del docente, parlava chiaro: otto e mezzo.

Subito si rimproverò per non avere raggiunto il nove meno, ossia il massimo in quanto voti più alti non erano contemplati da Aizawa. Era consapevole del motivo, le costruzioni sintattiche articolate e l'uso spropositato di avverbi, e ogni volta si prometteva di evitarli ma senza successo. Ormai erano parte assodata della sua penna come gli incipit con le citazioni e quando iniziava a scrivere si faceva prendere tanto da dimenticare i buoni propositi.

Un verso scocciato e lo stridio di una sedia contro il pavimento riportarono il suo interesse sul compagno a circa un metro di distanza appena invitato dal professore a leggere il suo tema.

Lo fece di malavoglia, infastidito per chissà quale motivo. Ma se si tolleravano il suo perenne broncio e il modo in cui strascicava le parole, se si andava oltre e lo si ascoltava attentamente, si notava che era capace anche di riflessioni calme e perspicaci. Aveva trattato con maestria l'argomento dell'incontro con l'antitesi, il diverso, l'altro, dimostrando che accompagnava l'uomo dall'alba dei tempi e che la sintesi passava necessariamente per lo scontro. La storia stessa ne era testimone, dall'ellenismo alle faide feudali medievali, dalle rivoluzioni dell'età moderna alle guerre mondiali, fino alle discriminazioni attuali di ogni tipo.

Ed era in situazioni come quelle che Izuku, giocando distrattamente con una ciocca di capelli e osservando Katsuki come a volergli leggere l'anima, si chiedeva chi fosse veramente.

Lo conosceva fin da piccolo. Avevano frequentato le stesse scuole, gli stessi parchetti, le stesse attività ricreative. Erano amici, o almeno così preferiva pensare. In breve quell'illusione non resse più di fronte alle prime prese in giro, all'appellativo Deku a sottolineare la sua insignificanza e inutilità, e poi agli insulti e alle botte. E ciononostante lo giustificava, si prendeva la colpa per la sua rabbia, riteneva di meritarsi un trattamento del genere. Si era convinto che in fondo aveva ragione: era un buono a nulla, non emergeva per qualche qualità in particolare, era capace solo di ammirare Katsuki e seguirlo ovunque andasse come un cagnolino anche se significava farsi del male.

In terza superiore decise che era il momento di cambiare le cose. Sapeva che non sarebbe stato facile e immediato, ma avrebbe percorso i sentieri più difficili per smettere di vivere nel terrore e nel continuo annullamento di sé stesso. Si tinse i capelli di verde, come i suoi occhi e come la speranza. Parlò con la psicologa scolastica, si impegnò nello studio. Coltivò maggiormente le nuove amicizie ed evitò le interazioni con Katsuki.

Nel frattempo, anche quest'ultimo stava cambiando. Durante gli anni del liceo gli inspiegabili scatti violenti diminuirono. Diventò meno irascibile. Imparò a dosare i comportamenti e le parole offensive e a non allontanare i nuovi amici. Ovviamente voleva ancora diventare il numero uno in qualsiasi contesto, dalla scuola allo sport, ma si stava sforzando di realizzare queste sue ambizioni senza ferire altri. Il fatto era che, per quanto si impegnasse, spesso falliva nel tenere a bada tutta quella rabbia che covava dentro. Allora essa esplodeva, vanificando i piccoli successi conseguiti, distruggendo in un attimo quel poco che aveva faticosamente costruito.

Questa era l'interpretazione che ne dava Izuku. E lo comprendeva, lo compativa nel senso più puro del termine. Alcune volte provava l'impulso di tendergli la mano e rendersi utile in quale modo. Certo, se ne occupavano già i suoi amici come l'ormai inseparabile Eijiro, ma avrebbe voluto sostenerlo anche lui, essere anche lui suo amico per una volta. Dopotutto anche il peggiore dei bulli doveva avere la possibilità di redimersi e da parte sua non sarebbe riuscito ad odiarlo per sempre, non era nella sua natura.

Altre volte, invece, si dava dell'idiota per simili pensieri e fantasie. Rammentava le parole dell'amica Ochako sul suo eccessivo buonismo e si diceva che era meglio che lo cose rimanessero allo status quo per non finire nei guai.

Volte come quel momento in cui Katsuki, mentre si risedeva scompostamente dopo il suo intervento, gli lanciava un'occhiata omicida senza apparente motivo. Distinse chiaramente i brividi di paura percorrergli la schiena e la sua mente lottare contro i ricordi di anni e anni di soprusi.

Scosse la testa, come per spazzare via quei flashback intrusivi, e tornò a dannarsi attorno alla sua domanda. Chi era Katsuki Bakugo? Il bullo responsabile di traumi indelebili? Un sadico con un complesso di superiorità? O forse Kacchan, come lo soprannominava da piccolo, era un ragazzo intelligente ma vittima della sua stessa rabbia che aveva solo bisogno di aiuto e nuove opportunità?

Probabilmente Hegel gli avrebbe risposto che era la sintesi di tutte quelle cose. E magari, aggiungeva Izuku, c'era un suo lato ancora più nascosto, profondo e sensibile che avrebbe voluto conoscere senza che ciò implicasse la sua morte certa. Perché Katsuki Bakugo era l'orgoglio in carne ed ossa e non si sarebbe dimostrato vulnerabile con nessuno per niente al mondo.

Izuku scosse di nuovo la testa e si sforzò di concentrarsi sulle parole dell'insegnante.

«Allora, commenti? Secondo voi perché ho scelto di confrontare proprio questi due temi?»
Lo sguardo di Aizawa, trasudante stanchezza come sempre, vagò per l'aula, fino a soffermarsi rassegnato in fondo a essa.
«Sì, Yaoyorozu?»

«Per farci capire che non esiste un unico modo per giungere a un buon risultato. Infatti Midoriya e Bakugo hanno ricevuto lo stesso voto pur adottando approcci diversi» spiegò la ragazza interpellata, la voce delicata e allo stesso tempo risoluta. Era nota per la sua partecipazione e le sue intuizioni sagaci. Per questo motivo, senza volerlo, spesso faceva desistere i compagni dall'intervenire, per comodità o per la consapevolezza che era impossibile raggiungere i suoi livelli da studentessa modello.

«Esatto. Più precisamente, il primo era più personale, oserei dire vero; il secondo, invece, il classico compito ben fatto con ottime argomentazioni e collegamenti interdisciplinari. Entrambi hanno dei limiti: troppo patetismo da una parte, troppa impersonalità dall'altra».

Aizawa si interruppe per sbadigliare e consultare l'orologio al suo polso sinistro. La sua fronte si distese un poco e Izuku ne dedusse che era giunta la fine dell'ora.

«Potete prenderla come una metafora dei modi di essere nella vita. Meditate. Ci vediamo domani» concluse infatti, perfettamente sincronizzato al suono della campanella.

Prese la sua borsa a tracolla e il fedele cappotto giallo imbottito e si avviò pigramente fuori dalla classe. Nel tipico trambusto generale che si generava non appena scattava l'intervallo, lo si sentì a malapena mormorare: «Ah, dato che oggi non ho spiegato, dopo vi mando delle versioni in più per domani».

Izuku sospirò sconsolato. Alla fine i compiti in più se li era beccati comunque, per giunta con una giustificazione illogica. Era sempre la solita solfa con Shota Aizawa, coordinatore della 5ªA e insegnante di ben tre materie, greco, latino e filosofia. Pure questo era un fatto illogico. In pratica lo vedeva tutti i giorni della settimana, addirittura più spesso di quanto vedesse sua madre, e aveva dovuto abituarsi, banalmente per sopravvivere.

Dopo aver diligentemente segnato sul diario di controllare il registro elettronico una volta a casa, si alzò dal suo posto accanto alla finestra e raggiunse i suoi amici Tenya e Ochako che lo aspettavano davanti alla porta.

«La giacca, Deku» notò subito la seconda «Non vorrai ammalarti».

«Oh, hai ragione» fece sovrappensiero, per poi tornare al banco e prenderla. Doveva ancora metabolizzare il brusco cambiamento di clima di quei giorni. Si era passati dagli ultimi di ottobre, insolitamente caldi e soleggiati, ai primi di novembre, freddi e piovosi.

Con sua gioia, quella mattina non pioveva, quindi poteva recarsi sul tetto della scuola. Lo aveva scoperto durante il primo anno, mentre cercava rifugio da Katsuki. Ora non subiva più angherie da parte sua, ma continuava ad andare in quel posto ormai diventato il suo preferito per passare pause tranquille con i suoi amici.

Quando tornò da loro, Tenya comunicò che doveva incontrarsi con Mei Hatsume, della 5ªB del liceo scientifico, per una riunione straordinaria dei rappresentanti d'istituto. Perciò avrebbe passato gran parte dell'intervallo a peregrinare tra le palazzine dell'Ugolini Amedeo, il loro enorme complesso scolastico. Si trattava di una scuola di prim'ordine, dedicata a uno scrittore antifascista e nota anche all'estero come U.A. I licei condividevano lo stesso edificio, mentre i vari istituiti tecnici e professionali erano sparsi in altre sedi della città.

Il ragazzo si aggiustò gli occhiali sul naso, in un gesto che ormai compieva spesso senza pensarci, e si scostò dalla fronte il ciuffo troppo cresciuto di capelli scuri, dai riflessi blu alla luce delle lampade al neon dell'aula. Fece un cenno a Momo in ultima fila, che smise di parlare con il vicino di banco Shoto e insieme se ne andarono.

Ochako buttò lì che diventare rappresentanti d'istituto, oltre che di classe, era un bel salto di qualità, un onore quanto una cosa impegnativa; lei non ce l'avrebbe mai fatta, ma era fiduciosa delle capacità di quei due. Poi propose di recarsi alle macchinette a prendere qualche snack prima di uscire e Izuku accettò di buon grado, convenendo che le due ore di educazione fisica prima di filosofia erano state abbastanza stancanti.

Si stava giusto spostando dalla porta quando urtò qualcosa con la spalla. O meglio, qualcuno lo urtò di proposito.

«Levati, Deku. Blocchi il cazzo di passaggio».

Capì di chi si trattava ancora prima di voltarsi. Del resto la voce graffiata e l'aulico linguaggio erano inconfondibili. Mugugnò delle scuse e si fece subito da parte. Incontrò il suo sguardo di fuoco solo per qualche attimo, prima che Katsuki rientrasse nell'aula per dirigersi a grandi falcate al suo banco e prendesse a frugare nello zaino.

«Ti ha fatto male?»

«Ma no, Ochako, non preoccuparti» Izuku rassicurò la ragazza accanto a lui. Era vero, inoltre trovava che quel cruccio e quell'ombra di apprensione stonassero con i graziosi lineamenti del suo viso.

Erano i momenti apparentemente insignificanti come quello a farlo riflettere sulle persone e si ritrovò a sentirsi grato di averla come migliore amica. Appena uscito dalle medie era un esserino talmente insicuro da impanicarsi non appena una ragazza gli rivolgeva un saluto, perciò ce ne era voluto di tempo per approfondire la sua conoscenza però avevano costruito proprio un bel rapporto.

Ochako era la gentilezza in persona, lo contagiava con il suo entusiasmo e soprattutto gli era stata vicino nel suo percorso di cambiamento. Lo aveva incoraggiato e sostenuto, aveva trovato la valenza positiva di quel "Deku": essere una nullità significa avere margini di miglioramento e tanta voglia di impegnarsi.

Da allora era iniziata la vita del nuovo Deku, quello che si sarebbe dedicato con tutte le forze a migliorarsi, non per piacere agli altri ma a sé stesso. Insomma, quello che gli antichi Romani chiamavano "plus ultra". E se stava riuscendo anche solo un po' nell'intento era pure grazie ad amici come lei al suo fianco.

Nell'uscire di nuovo, Katsuki non lo degnò nemmeno di uno sguardo, troppo occupato a imprecare contro Eijiro, appena fuori dalla classe, qualcosa del tipo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe prestato le sigarette a quei tabagisti dei suoi amici.

Ecco, quel comportamento ambivalente Izuku non lo capiva. Un momento prima lo fulminava con lo sguardo facendolo pentire di essere nato, un momento dopo lo ignorava spudoratamente. Da qualche anno le loro interazioni si limitavano a questo e non sapeva se rallegrarsene. Di certo non rimpiangeva l'epoca in cui veniva bullizzato, ma allo stesso tempo c'era una piccola parte di lui che desiderava ancora essere suo amico e soffriva a essere trascurato, a vedere che quel posto tanto bramato da piccolo era stato irreversibilmente occupato da qualcun altro, qualcuno che non era lui.

Continuò a pensarci per una decina di minuti buoni, di conseguenza parlando distratto ad Ochako. Non lo fece con cattiveria, quando si metteva a riflettere intensamente non era di buona compagnia. Lei, dal canto suo, ormai lo conosceva e quando capiva che era perso nella sua testa non lo infastidiva con chiacchiere inutili. Le bastava stargli accanto.

Izuku le lasciò l'ultimo biscotto sottomarca della confezione che avevano comprato alle macchinette e condiviso, seduti al loro posto sul tetto.

Allungò lo sguardo all'angolo di fronte dove, seminascosti da un palo della luce, i compagni di classe Denki, Hanta e Kyoka ridevano e scherzavano mentre fumavano in maniera abbastanza plateale, non proprio antisgamo.

La lingua italiana a volte non aveva senso, pensò. Si doveva scherzare prima di ridere, non il contrario come secondo quel modo di dire. Ma non era quello il punto.

Il fatto era che sembravano così spensierati. Si chiese se era l'unico a fasciarsi sempre la testa così per un nonnulla, a farsi troppi complessi su avvenimenti insignificanti. Se loro gli invidiavano la mente brillante e la condotta scolastica impeccabile, Izuku a volte ammirava la loro capacità di smettere di pensare, di crearsi attorno una bolla in cui le paranoie e il resto del mondo non importavano. Chissà se avrebbe mai provato una sensazione simile, un giorno.

«Non hai niente che non va» la voce seria di Ochako richiamò la sua attenzione. Lo stava guardando con la sua espressione dolce, quasi materna. «Insomma, pensare tanto non è mica un crimine!» sdrammatizzò poi. «Ha anche aspetti positivi. Dipende da come usi questa qualità».

Le sorrise di riflesso. Un sorriso stanco, perché pensare era sfiancante, non per questo meno sincero. «Probabilmente hai ragione. Grazie».

Appoggiò la testa alla rete metallica alle sue spalle e levò gli occhi al cielo nuvoloso. Non aveva tutti i torti. Aveva preso uno dei voti migliori della classe in filosofia, per esempio. Sommando le piccole cose, poteva riuscire a pensare più positivo come lei.

«Ehi, ti va di uscire più tardi? Sai, per non passare un altro sabato sera sotto le coperte a sfondarti di videogiochi e anime».

Izuku, colto sul vivo dalla frecciatina, si finse oltraggiato. «Ahi, questa ha fatto male. Mi conosci troppo bene» ribatté, con una mano portata sul cuore con fare tragico che la fece ridacchiare. «Ci sto».

La campanella annunciò la ripresa delle lezioni, così decisero di definire i dettagli più tardi. Si allontanò di qualche metro per buttare il sacchetto di biscotti in un cestino e incrociò di sfuggita Kyoka, Denki e Hanta. Ora stavano discutendo animatamente di qualcosa, che per rispetto non ascoltò.

Sì, non era come loro. Sì, era sostanzialmente ed irrimediabilmente un nerd con la testa tra le nuvole. Ma poteva esercitarsi a vedere quel lato predominante del suo carattere non come un difetto, ma come un pregio, o ancora meglio come la sintesi tra le due, che avrebbe definito opportunità. E sì, stava pensando decisamente troppo come Hegel.

A proposito, era stato un po' ipocrita da parte sua, quel tema. Tutto quel discorso appassionato sull'amore e sull'odio... Si era sentito soddisfatto a scriverlo, però a posteriori anche un bugiardo. Cosa ne sapeva un nerd come lui di quei sentimenti? Non li aveva mai sperimentati: né l'odio, perché non ne era capace e l'aveva solo subito, né l'amore, perché le crush per i personaggi in 2D non contavano.

Di nuovo, si era perso a riflettere e Ochako dovette intervenire a riportarlo con i piedi per terra, scuotendolo con gentilezza per un braccio.

Mentre si scusava e la affiancava nel rientrare in classe, Izuku concluse che tutti gli scrittori, in fondo, dovessero essere un po' bugiardi.

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