9 │ I'm prepared to sacrifice my life, I would gladly do it twice

You'll be the saddest part of me
A part of me that will never be mine
It's obvious
Tonight is gonna be the loneliest

Måneskin,
The Loneliest

Quel giorno.

Una volta Todoroki-kun ha detto che gli oggetti non sono come le persone: se si feriscono non guariscono. Eppure, a volte, anche le persone non possono guarire. Si spezzano dentro e non si può rimediare.

«Midoriya, sei sicuro?»

Chiudo la portiera della macchina e rivolgo al mio migliore amico l'ombra di un sorriso stanco. «Sì, Todoroki-kun. So ancora la strada e non verrò rapito o altro.»

Fa segno all'autista di aspettare un attimo dal finestrino, per poi tornare a me a sopracciglia leggermente aggrottate. «Non per quello. Per Bakugō.»

Non dovrebbe ma qualche volta mi stupisce ancora come parla con tutta l'ingenuità del mondo, insieme al suo buon cuore che riserva solo a pochi. Essere in pensiero e giustamente anche arrabbiato con me, dopo lo sfogo di un paio di settimane fa, non gli ha impedito di starmi vicino, a modo suo. Anche perché, non me l'ha detto apertamente, ma so che si sente in colpa per aver chiesto di fare tirocinio insieme lui, io e Kacchan sperando di sistemare le cose e invece sono peggiorate.

Ecco, questo passaggio fino a scuola dove stavolta io e Kacchan rimarremo nel weekend, sfruttando l'auto privata di suo padre prima di essere riportato a casa, e le domande di interesse rare da parte sua sono i piccoli gesti con cui, se non può riaggiustarle, dimostra che ci tiene.

«Andrà tutto bene», ripeto il mio mantra.

Dopotutto Kacchan è sceso come una furia dalla macchina ed è entrato a passo spedito nel campus: non c'è pericolo di interagirci chissà quanto e sentirmi male, è già bello se riuscirò a stargli dietro fino ai dormitori.

«Avete finito di sparlare? Vi sento!» ci urla senza neanche aver bisogno di girarsi indietro.

«No, non ho finito di-»

«Todoroki-kun...»

Gli poso una mano sul braccio, per fermarlo dal rispondere sul serio.

Lui mi lancia un ultimo sguardo silenzioso mentre poi lo saluto e gli do le spalle.

«Izuku.»

Dopo appena qualche passo mi devo voltare sorpreso. Todoroki-kun ha le braccia aperte e un'espressione indecifrabile, il labbro stretto tra i denti che sembra tremare un po'.

«Ehi...» Non esito ad abbracciarlo e farmi abbracciare. Sembra aver imparato come si fa. «Davvero, Shōto, è tutto ok.»

«Promesso?»

«Promesso. Farò attenzione, non mi capiterà niente. E ti scrivo quando rientro, ok? Ci sentiamo dopo.»

È un po' più confortato, quando mi lascia andare.

Rientra in macchina e mi sforzo di tenere il sorriso più rassicurante possibile per tutto il tempo in cui mi guarda da oltre il vetro.

Non sorrido da così tanto che quasi mi fanno male le guance e il tentativo si trasforma in un'improvvisa voglia di piangere mentre lo osservo scomparire in fondo alla strada, in realtà più perdendomi nel vuoto.

Non è tutto ok.

Ingoio il groppo in gola e mi affretto a recuperare Kacchan.

Dobbiamo fare il giro alternativo nel campus per raggiungere la Heights Alliance, non dall'ingresso principale ma da questo secondario, che fa passare davanti al Ground Beta e quindi arrivare al dormitorio.

Nonostante la stanchezza per il tirocinio, comunque meno pesante perché Todoroki-kun ha ricattato Endeavor affinché facessi un turno in ufficio, e nonostante l'hanahaki non mi incentivi esattamente a grandi scatti di corsa, lo raggiungo in breve. Sembra quasi aver rallentato per aspettarmi, per quanto poco voglia avere a che fare con me.

Per un minuto procediamo così, lui davanti e io indietro di un passo come sempre, in silenzio, e penso che è un ottimo traguardo.

«Ci hai messo troppo. Non ho tutto questo tempo da perdere.»

Come non detto. Dovrei imparare a stare zitto anche nei miei pensieri.

Dovrei imparare a stare zitto e basta, eppure la risposta velenosa riecheggia forte e chiara nella via deserta in prossimità del Ground Beta.

«Nessuno te lo ha chiesto. Se hai qualcosa di così importante da fare potevi tornare da solo.»

«Se ti sentissi male non ci sarebbe nessuno con te.»

«Tu che ne sai di come sto? E cosa ti interessa?»

«Non voglio ramanzine, tutto qua.»

«Ecco, appunto. Ma certo, sia mai che ti importi di qualcun altro al di fuori di te stesso.»

«Tch.»

Tch? Solo tch? Neanche va più avanti a discutere, magari con qualche cattiveria o insulto dei suoi, nemmeno più questo?

Probabilmente me la vado a cercare quando insisto a punzecchiarlo pur di non far cadere la conversazione. Questo è il punto a cui sono arrivato.

«Stavo solo salutando Todoroki-kun. Non sarebbe brutto se fossi gentile anche tu ogni tanto, sai?»

«Oh sì l'ho visto,» sibila facendomi il verso, «come l'hai salutato e sei gentile».

«Ma che... Che problemi hai? Cosa c'è di male-»

«Quindi è così. Faccia Tonda, poi Bastardo a Metà. Te la fai con lui adesso.»

«Ma che...» boccheggio di nuovo e fisso la sua nuca come se mi potesse dare questa qualche risposta, dato che lui non ha neanche il coraggio di parlarmi in faccia.

Spalle rigide e pugni che oscillano lungo i fanchi, continua a camminare. «Quello che ho detto.»

Mi fermo, piantando rumorosamente i piedi in una pozzanghera. Oggi ha piovuto e il rimbombare delle nuvole nel cielo coperto non preannuncia altro di buono.

I sentimenti ti cambiano. A volte in meglio, a volte ti erodono all'interno e dirompono fuori come cascate senza permetterti il minimo controllo su di loro.

E io al momento ho all'incirca la stabilità emotiva di un'altalena in una giornata di vento. Vento che mi scuote di qua e di là lungo la sottile corda delle mie speranze di vita rimaste, e anche tirare poco è già tirare troppo.

Non ci vuole niente a farmi scattare e per quanto lo ami questo bastardo è quello che se lo merita più di tutti.

«Sì, e allora?» la rabbia sale acida dallo stomaco e ribatto qualcosa che non sono sicuro abbia un filo logico, «Sono fatti miei e cosa ti dà tanto fastidio della mia sessualità, o forse è che a differenza tua ce l'ho un cuore».

Un déjà-vu: io gli rinfaccio quest'ultima cosa, anche se so che non è vero solo per farlo reagire, e lui infatti non può lasciarsela scivolare di dosso.

Si ferma e gira a fronteggiarmi, finalmente, già in una mezza posizione d'attacco. «Hah?»

«Quello che ho detto. Cosa, vuoi picchiarmi? Avanti, fallo. O non merito neanche questo?»

«Di che cazzo stai parlando.»

«Che non abbiamo una vera conversazione da mesi, diamine Kacchan! O vuoi ignorare pure questo? Non sono più degno nemmeno dei tuoi insulti, qualcosa, niente?»

«Chi ti ha detto che devi essere degno di qualcosa.»

«Ah non saprei, forse tu me l'hai fatto pensare per tipo tutta la mia intera vita?!»

«E quando cazzo l'avrei detto», anche lui alza il tono e si avvicina, ormai ci ritroviamo a pochi passi, ma quello che perde prima le staffe stavolta sono io.

Quello che fa sempre casino, sono io.

Vorrei chiedere scusa a Todoroki-kun. Non so se posso mantenere la promessa.

«Non l'hai mai detto ma lo pensi. Non girare intorno al problema, lo fai sempre vaffanculo», la voce mi si rompe, un po' come tutti quei pezzi già rotti dentro di me.
Gli dò uno spintone, non vedendo bene oltre le mie mani per il familiare pizzicore agli occhi. «Non ho ragione? Rispondi!»

Ricambia subito la spinta. «Deku ma che cazzo», esclama colto alla sprovvista, «Vuoi combattere? Va bene ma non mettermi in bocca parole che io non ho mai detto!»

«Vedi che non capisci niente... Ma poi ti sei mai sentito quando parli Kacchan? Io, io, sempre io! Egocentrico di merda! Ecco perché ignori tutto e non capisci, e stupido io che ho perso la testa cercando di capire la tua!»

Scoppio in una risatina isterica, scaccio una lacrima. Kacchan mi guarda come se fossi pazzo e ha ragione.

Però sono stanco ed è anche merito suo se mi trovo all'improvviso in questa situazione di merda in cui non ho ancora deciso cosa fare e sto impazzendo e lui non aiuta.

Mi voglio illudere che menarci e farci male sia il nostro metodo di dialogo e risoluzione dei problemi, anche se qui non si sta risolvendo proprio niente.

Non so neanche più cosa dico, continuo a spingerlo e buttare fuori tutto in frasi sconnesse.

«Lo so che dovrei farmene una ragione che non può funzionare ma non posso se la ragione sei tu!»

Grido qualcos'altro di scollegato all'ennesima spinta, a cui non oppone resistenza. Riesco a riversarmi addosso a lui e atterrarlo sull'asfalto.

In realtà Kacchan ha smesso da molto di combattere. Anzi, non ha mai iniziato.

Mi rendo conto quando mi ritrovo a cavalcioni su di lui senza che blocchi i miei pugni o provi a ribaltare le posizioni che aveva rinunciato in partenza a reagire. Come capendo che stavolta non è un litigio qualunque ma c'è in ballo qualcosa di pesante, anche senza immaginare cosa, e quindi assecondandomi.

Ma non ho più bisogno della sua pietà. Nemmeno questa basta più.

«Il motivo sei sempre stato tu stronzo, così lo capisci? E lo odio questo, odio come mi fai sentire, non sai quanto! Perché deve essere così?!»

Un altro pugno sul suo petto, una mia lacrima che gli si abbatte con altrettanta furia su una guancia.

«Di' qualcosa!»

Non fa niente, non dice niente, mi osserva da sotto con le ciglia che sbattono e le pupille dilatate e basta come se non si aspettasse tutto questo e mi fa incazzare ancora di più.

Cosa credeva esattamente? Che non mi sarei spezzato prima o poi?

Sarò mai degno di una risposta? Sto rovinando e mandando a fanculo tutto quanto per cosa?

A quella lacrima se ne aggiungono altre, insieme a qualche goccia di pioggia che inizia appena a scendere.

«Di' qualcosa...»

Colpisco sempre meno forte, ansimo sempre di più e un po' alla volta mi lascio cadere in avanti.

Non ho più energie.

L'ultima radiografia ha dipinto un quadro bellissimo quanto orribile, con tutte le piante di girasole meravigliosamente in fiore avviluppate ai miei organi a stritolarli. Ormai le radici hanno raggiunto il cuore.

Mia madre, dopo avermi convinto a parlarne con calma e in tutta sincerità da soli, mi ha detto che accetterà qualsiasi mia decisione, ma so che soffre anche più di quanto immagino all'idea di perdere, dopo l'uomo che ancora ama nonostante tutto, anche me e in modo peggiore, irreversibile.

Solo che io non ho ancora scelto cosa fare e sto passando quelle che potrebbero essere le mie ultime ore prima di essere costretto a farlo in una scenata da pazzo con delle forze che nemmeno dovrei più avere e a litigare, tentare di sfogarmi su qualcuno che è il principale co-protagonista del mio dolore ma non vuole accoglierlo, non vuole me.

«Ti odio.»

Ormai sto piagnucolando.

Rinuncio a stringerlo per la maglietta del costume e crollo con la testa su una sua spalla.

«Ti odio ti odio ti odio...»
Ti amo ti amo ti amo.

Per un tempo indefinito mormoro e piango, inconsolabile come la pioggia che inizia a colpire con più insistenza ma non importa.

Niente importa più.

«Anch'io.»

Il sussurro di Kacchan, dopo un'eternità, è talmente debole che ho paura di averlo sognato.

Mi si spezza il respiro quando avvicina la mano sulla mia schiena scossa da brividi e singhiozzi.

Mi sfiora appena e la ritrae subito.

Si schiarisce la gola. «Dai, scollati adesso. Rialzati.»

Non aspetta oltre, anche perché il mio corpo non vuole saperne, e si tira a sedere trascinando anche me.

«Ti sei sfogato, no? Adesso basta piangere.»

Mi schiodo dalla sua spalla il giusto per potermi sfregare gli occhi.

«Basta, Deku. Basta. Non piangere...»

«Grazie al cazzo Kacchan, ora che me lo dici sì che smetto», borbotto tirando su col naso.

«Oi nerd, da quando dici le parolacce?»

Anche se dice così per scherzare, non mi trattengo. Sono consapevole di quanto suono vittimista, ma sono anche abbastanza disperato al momento. Senza abbastanza.

«Da sempre, sei tu che non- non mi consideri e non mi vedi.»

Ancora, non dice nulla e mi osserva più serio che mi asciugo il viso nei guanti del costume già fradici e lotto con me stesso per respirare decentemente.

È così vicino che temo che il suo sguardo mi bruci e che il suo respiro si infrange contro il mio, quando si decide a parlare.

«Pensi questo?»

Che domanda del cazzo è?

«Cosa dovrei pensa-»

La sua faccia pericolosamente vicina, e poi il cielo in tempesta sopra di me.

Mi ha dato una testata. Così forte da farmi finire con la schiena a terra e il naso che pulsa.

Scaccio le gocce che mi appiccicano le ciglia e l'altra mano me la porto al naso, iniziando già a sentire un po' di sangue fuoriuscire.

Poi la pioggia mi dà tregua, o meglio Kacchan mi ripara involontariamente quando si sporge sopra di me, suppongo per verificare se è la volta buona che mi ha ucciso.

Eppure è quasi... preoccupato. E spaesato, come se non realizzasse cosa è successo.

Anche io non realizzo finché capisco di essere in piedi e ho tempo di pensare.

Kacchan mi ha fatto rialzare e mi sta trascinando da qualche parte, che poi identifico essere la palestra più vicina del Ground Beta, dove dovrebbero esserci quelle cassette per il pronto soccorso che i professori ci avevano illustrato le prime lezioni qui.

Cammina sostenuto e svelto, tenendomi per un polso per farmi rimanere al passo.

Ancora rintontito, mi porto le dita libere alle labbra.

L'istante prima che mi abbattesse con quella testata si sono... Le nostre labbra si sono sfiorate.

Oddio no, me lo sarò immaginato. Cioè non è... Non è possibile che Kacchan voleva...

Non parla e non mi guarda più.

Mi spinge contro il muro, sotto la tettoia vicino a dei bidoni che ripara a malapena dal temporale, come a intimarmi di stare qui mentre scompare dentro.

È meno brusco del solito, oserei dire gentile, anche quando mi porge una sacca del ghiaccio dopo essere ritornato e avermi affiancato sempre a distanza di sicurezza. Appena la prendo incrocia le braccia al petto e volta la testa dall'altra parte.

«Grazie», bofonchio e continuo a studiarlo, incuriosito, spudorato.

È arrossito nel suo modo strano che gli prende la base del collo e le punte delle orecchie seminascoste dai capelli.

Il massimo movimento della sua testa è girare di fronte a sé, un po' in alto, con il suo broncio. Guarda seccato la pioggia, sbuffa piano, mi lancia un rapidissimo sguardo di sottecchi, torna a voltarsi di lato e dopo un minuto ricomincia da capo.

Questo ciclo si ripete per qualche volta, intanto che mi chiedo cosa diavolo gli passi in quella testa.

Si sta preoccupando per me. Lo sta facendo, giusto? Non sono allucinazioni, non mi sto immaginando nulla vero?

E poi, dieci minuti fa stavamo battibeccando, dopo invece... Prima la sua intenzione era davvero...

Che l'abbia fatto per farmi smettere di piangere o perché gli facevo pena, rimane che l'ha fatto.

Mi ha baciato.

Kacchan mi ha baciato anche se si è trasformato in una testata, quando fino a poco fa mi trattava di merda. Ok che ci ho messo anche del mio ma il punto è che problemi ha?

Però, non pensavo che l'avrei mai visto sotto questo aspetto e adesso che fa tutto l'imbarazzato è... carino.

«Kacchan...»

La mia voce risulta ovattata dallo scrosciare della pioggia, ma so che mi sente. Si ostina a rimanere girato ed è tradito da un ginocchio che si muove ancora più nervoso.

«Questo temporale non sembra volersi calmare, eh?» butto lì. «Nemmeno tu hai l'ombrello, vero? Certo, non potevamo prevederlo e dal tirocinio ci siamo portati solo i costumi, siamo usciti ancora con questi addosso senza nemmeno cambiarci ipotizzando di fare veloce e non ho pensato di chiederne uno a...»

Sto straparlando? Sto straparlando.

Non so cosa sto cercando di fare, smorzare la tensione, presumo, comunque sto più facendo tutto da solo.

«Possiamo aspettare, o fare una corsa oppure chiamare qualcuno al dormitorio che ci venga a prendere, che dici?»

Fa un'alzata di spalle. Immagino che sia meglio di niente.

«Va bene.»

Non mi vuole parlare, ok. Allora che dovremmo fare e cosa vuole da me? Come dovrei decifrare quella... cosa di prima? Perché è così contraddittorio?

Sospiro e mi perdo a guardare il ghiaccio che allontano dal naso. È tutto consumato e in effetti per quanto l'ho tenuto non mi sento più mezza faccia.

È così che si sente sempre Todoroki-kun?
Scuoto la testa. Ma perché mi vengono questi pensieri in situazioni critiche del genere...

Mi avvio dentro la palestra per rimetterlo a posto.

La mano di Kacchan ritrova il mio polso talmente all'improvviso che mi scivola via, cadendo poi tra i nostri piedi in un tonfo bagnato.

La presa si allenta subito, forse ha realizzato di star stringendo troppo forte.

Le dita si distendono lentamente una ad una. Mi sfiorano, incerte, indugiano dal mio polso alla mano, ritirandosi e riprendendo la discesa un paio di volte ma senza andare oltre il palmo.

Sta cercando di... trattenermi, dirmi qualcosa? Prendermi per mano?

Ci penso io ad andargli incontro e farla intrecciare alla mia.

«Kacchan.»

Diventa ancora più rigido e si ostina a tenere la testa bassa, il viso nascosto.

«Guardami, Kacchan.»

Glielo sollevo con le dita libere sotto il mento. Non se lo aspettava ed è costretto a guardarmi inerme che mi avvicino fino a scontrare la fronte con la sua.

Mi spunta un sorriso triste. Non so esattamente perché, forse è che sono io il primo a farmi pena per quanto sono disperato o forse che non ragiono più.

Lui segue attentamente il movimento.

«Baciami.»

Deglutisce a vuoto e gli occhi cremisi riscattano su ma non gli dò il tempo di aprire bocca.

«Baciami e basta.»

Lo prendo più fermamente per il mento e lo attiro a me.

Smette di respirare però non mi allontana.

«Baciami», mi stacco e continuo a implorare sulle sue labbra, «Ti prego baciami, baciami ancora».

Per la prima volta, le mie fantasie si avverano.

Kacchan ricambia, o almeno interpreto così la lotta delle sue labbra nel muoversi contro le mie mentre corruccia la fronte e tiene gli occhi chiusi, strizzati forte.

È costretto a riaprirli per vedere dove mette i piedi, quando lo prendo per il colletto alto del costume e lo trascino davanti a me, a schiacciarmi contro il muro.

La parete è gelida e contribuisce ai brividi per i vestiti inzuppati che si appiccicano alla pelle. O forse sono per il fatto che, dopo un attimo di stallo per la sorpresa e in attesa che io facessi qualcosa, Kacchan mi asseconda ancora.

Un tarlo nella mia testa, l'ultimo barlume di lucidità, si chiede perché tutto d'un tratto lo stia facendo accettando persino di farsi guidare da me, seguire in un certo senso i miei ordini, anche perché fino a un'ora fa considerava la mia esistenza meno di zero.

Ma non voglio più pensarci.

Non voglio pensare, non voglio pensare, non voglio pensare più a niente.

L'importante sono questo freddo e questo caldo, quello della pioggia e delle lacrime che di nuovo non riesco a controllare e quello delle mani portate sul mio viso, le mie invece aggrovigliate tra i suoi capelli umidi.

Assaggio le sue labbra anche con la punta della lingua e socchiudo gli occhi per spiare la sua reazione. I suoi si spalancano ancora e seguono il mio pollice che gliele fa schiudere per cercare la sua.

L'ho già detto, che sono disperato?

È un po' un casino di denti e saliva e non sapere bene come fare, all'inizio. Lottiamo per coordinarci fino a stabilire un ritmo precario di ansiti, miei gemiti e sempre più urgenza di contatto.

Mi sostiene le gambe di gelatina nel tentativo di issarmi su un bidone e accoglierlo più vicino a me, o qualsiasi cosa sia ciò che sto cercando di fare senza più neanche l'ossigeno a sufficienza nel cervello.

Credo di star sperimentando la più perfetta autocombustione, e non voglio che finisca mai.

Che mi prenda, stringa forte, finga di amarmi.

«Kacchan», lancio un acuto soffocato quando si aggancia meglio le mie gambe al bacino, le braccia alle spalle e si sposta.

Mi prende in braccio e non capisco granché, solo che stiamo entrando in palestra, un suo calcio apre senza troppi riguardi la porta più vicina rischiando di perdere l'equilibrio e farci cadere entrambi; che finiamo in uno sgabuzzino di cianfrusaglie o cose del genere e che fa spazio su un tavolino per sbattermici sopra.

«Scusa», farfuglia dopo l'impatto abbastanza violento.

Fiatone ed espressioni incredule, ci riblocchiamo a guardarci ed elaborare.

Lui ha ancora quella faccia da "E adesso?", quanto a me non ho idea del disastro che sono.

Non che Kacchan sia messo meglio. I suoi capelli sono tutti appiccicati alla fronte, sparati e gonfi ai lati. Sembra un pulcino bagnato.

Scoppio in una risatina e provo a sistemarglieli, con scarsi risultati e un suo ringhio di disapprovazione.

Ridiscendo sulle sue guance a disegnare piccoli cerchi immaginari con i pollici, mentre riprendo fiato e processo che tutto questo stia succedendo.

Anche Kacchan non sembra crederci. Alterna lo sguardo sulle mie labbra, come non sapendo cosa fare o aspettando un permesso.

Chi l'avrebbe detto che Kacchan è così timido?

L'altra opzione è che si stia pentendo, ma non voglio pensare nemmeno a questo. Voglio solo tenerlo qui con me e legato a me anche se solamente per poco, il più possibile prima che la magia si spezzi.

Gli tolgo la maschera. La alzo lentamente, usandola come fascia per i capelli terribili che si ritrova e liberando anche la zona di pelle attorno agli occhi, le palpebre un po' sbavate di matita nera.

Mi riappoggio alla sua fronte obbligandolo a guardarmi, guardarmi per davvero e basta come ho sempre voluto che facesse.

Qualcosa in questo lo agita ancora di più. Anche le guance si spolverano di rosso e le mani finite insicure ai lati delle mie gambe si scaldano.

«Ahi...»

Scatto sul posto e lui indietro allo stesso momento.

Il suo quirk deve essersi attivato per sbaglio. Mi ha scottato un po'.

Si guarda le mani spaventato e poi me come se si sentisse un mostro.

«No ehi...» Mi sporgo dal tavolino quasi cadendo, in tempo per riafferrarlo prima che indietreggi ancora. «Va tutto bene, non mi sono fatto niente, vedi? Non andare via, resta... Resta con me...?»

Mortificato ma ubbidiente, si lascia ritrascinare tra le mie gambe e portare le mani sul mio viso.

Vedi, Kacchan? Anche se mi bruci e mi fai male io ti accolgo e ti accoglierei sempre. Se fosse l'ultimo minuto della mia vita mi starebbe bene andarmene in questo modo. Brucio per te e voglio essere bruciato da te, voglio bruciare insieme.

«Magari questi li togliamo, mh?»

La temperatura e l'odore di nitroglicerina stanno diventando difficili da sopportare. Gli sposto le braccia in grembo e gliele libero una ad una dai guanti, poi anche dai bracciali a granata, uno alla volta mentre si asciuga veloce le mani sudate nei pantaloni.

«Wow Kacchan, hai cambiato sistema di apertura per i Grenadier Bracers? Me lo aspettavo ma è più fantastico di quanto immaginavo! Oltre ad essere migliore esteticamente, sarà di certo un risparmio di tempo e inoltre più comodo, in altre parole super funzionale-»

Mi tappa la bocca e io mugugno uno «Scusami». È stato più forte di me.

Toglie la mano poco dopo e mi coglie di sorpresa con un piccolo, breve scontro di labbra. Subito riabbassa le gote arrossate, occupandosi a disfarsi da solo dell'ultimo supporto e a ricambiare dedicandosi ai miei guanti.

«Oh, grazie.»

C'è qualcosa di assurdamente gentile nei suoi gesti, nel modo in cui mi sfila con cautela il tessuto e sfiora le cicatrici. Però anche di frenato come se avesse paura di toccarmi.

E anche di dire qualsiasi cosa: è ammutolito da quando mi ha baciato e insieme quasi ucciso con quella craniata di fuori fino ad adesso, ad eccezione delle scuse impacciate di prima, altro fatto impensabile.

Impacciato è la parola giusta per descrivere questo ultimo lato di lui che cozza col suo carattere, che non conoscevo e di cui sono già geloso di voler vedere solo io.

Così carino e tutto per me.

Toccarlo senza più l'interferenza dei guanti è tutta un'altra cosa. Posso sentire direttamente i palmi ruvidi delle mani segnati dall'uso del quirk, la pelle invece liscia e calda delle sue guance, quanto sono soffici i capelli che libero dalla mascherina e dalle decorazioni a esplosione buttandole da qualche parte, e il mio unico desiderio è volerlo sentire in ogni centimetro, ancora più vicino.

Voglio tutto di lui e che lui abbia tutto di me.

Stavolta la mia lingua picchietta subito più bisognosa e trova immediatamente la sua.

Torniamo ad intrecciarci e ho l'impressione che Kacchan potrebbe esplodere da un momento all'altro e io con lui per quanto è caldo.

Mi regala il suo primo, timido gemito di sollievo quando le mie dita fredde gli accarezzano le orecchie e il collo.

Lo libero dal colletto del costume, aprendo i bottoni fino alla x rossa sul torace, e continuo alternando carezze e baci. La sua pelle brucia sotto le mie labbra che ancora non riescono a capacitarsi di avere questo privilegio.

Stringe il bordo del tavolo e il suo respiro si fa più pesante.

«Ti piace?» Risalgo al suo orecchio e sussurro, scrutandolo da sotto le ciglia. Sfrontato come non mai, o curioso di provocarlo o entrambe. «Sono bravo, Kacchan?»

Non faccio in tempo a finire che non vedo più niente. Questa volta mi ha schiaffato la mano su tutta la faccia. Eppure ho intravisto l'occhiataccia imbarazzata e sento bene il ringhio più simile a una conferma di quando torna a baciarmi.

Di nuovo l'assenza di ossigeno che mi fa girare la testa e non capire più niente.

Sento che mi libera e traffica per togliermi la mascherina grigia dal collo, anche questa lanciata distrattamente da qualche parte sul tavolo, sento che scorre sulla pelle scoperta.

«Ahi...»

Il mio secondo lamento non sembra dispiacergli. In una situazione normale sfoggerebbe il suo ghigno vittorioso, ora si limita a un'ombra di soddisfazione nello sguardo prima di ripetere l'azione più volte.

Mi morde le labbra, e poi una guancia, il lobo di un orecchio.

Inclino la testa e chiudo gli occhi lasciandomi mordicchiare e martoriare il collo.

«Mmh...»

Il ritmo riaccelera così come il mio battito, il suo respiro e un morso preciso sulla pelle sensibile tra collo e clavicola mi inondano di una scarica più intensa e mi fa male tra le gambe.

Arriccio le punte dei piedi, mi avvinghio ancora di più alle sue spalle e alla sua vita ma adesso anche le stoffe dei costumi sembrano d'intralcio.

Voglio di più, voglio di più, voglio di più...

«Kacchan...»

Nel momento in cui ansimo il suo nome, si ferma e stacca da me.

Guardiamo in basso. La sua mano si è spostata a sistemarsi in un gesto stizzito il cavallo dei pantaloni, ma i rigonfiamenti di entrambi rimangono evidenti.

«Oh.»

Torno al suo viso. Nemmeno Kacchan è troppo sorpreso però di nuovo sembra in imbarazzo, tentennante.

Lo guido a riprendere a baciarci, più piano. Un'altalena di ritmi convulsi e lenti, dolci e veloci ci ha condotto qui e voglio che anche lui ne sia sicuro.

Mi attraversa il pensiero se abbia già fatto queste cose con qualcun altro. Subito lo cancello. Adesso importa solo lui e io, noi.

Le dita mi fremono spostandosi lente ma convinte ed avide sul collo, le spalle larghe e i pettorali che mi fanno impazzire e poi giù, gli addominali, la vita più stretta fino ad incontrare la sua cintura.

Spalanca gli occhi e mi ferma per i polsi.

Anche se non parla, si è creata una tale complicità anche in questa situazione inedita che scorgo la più piccola sfumatura nei suoi occhi.

È spaventato.

Kacchan è un essere umano, ha un cuore e ha paura, forse di queste emozioni e tutto questo che è completamente nuovo e così tanto insieme, e sta permettendo di vederlo a me, soltanto a me.

«Ehi, è tutto ok», ritiro le mani per tenergli alzato il viso e lo rassicuro di nuovo, «Va tutto bene. Possiamo fare quello che vuoi».

«Tu cosa vuoi?»

Sbatto le palpebre più volte. Sarà che sono le uniche parole dopo il suo silenzio, il modo in cui la voce bassa gli gratta in gola, che si sta preoccupando di ciò che voglio io oppure sarà che la risposta mi si figura fin troppo facile in mente a farmi avvampare.

Ma ho smesso di trattenermi in quello che voglio ed è chiaro chi è l'unico che voglio adesso.

Gli prendo le mani e me le porto dietro al collo, sulla cerniera del costume. Senza permettere che il legame tra i nostri sguardi si spezzi.

Kacchan sembra essersi abituato alla mia determinazione, o sfacciataggine o disperazione, il passo è breve.

Il pomo d'Adamo fa su e giù a secco ma va avanti. Prosegue da solo ad abbassare la cerniera, dal cappuccio all'arcata in fondo alla schiena.

Controllando di tanto in tanto le mie espressioni, in una lenta agonia mi aiuta a uscire dalle maniche. Accarezza tremante ogni cicatrice, bacia appena ogni lentiggine e io so solo sospirare il suo nome e ripetermi che sto toccando l'infinito e che ho la mia risposta.

La risposta a tutto ciò che è successo tra noi, al legame che nel bene e nel male ci unisce forse da quando eravamo in fasce o ancora prima di venire al mondo, ai sentimenti belli e brutti, al mio tanto struggermi e al mio dolore...

È Kacchan, semplicemente Kacchan.

Ed è che l'amore non è un gioco vinto o perso in partenza o da vincere in una guerra solitaria, perché è solo possibile vincere insieme, l'uno a fianco dell'altro.

È il più bello degli ossimori per cui amiamo da morire chi ci fa sentire vivi, anche senza sapere per quanto.

È il sentimento che ci fa sfiorare l'immortalità per un singolo, completo istante mentre il tempo ci strappa via la vita.

«Kacchan... Kacchan devo- voglio...» non riesco neanche più a mettere in fila due parole di senso compiuto, però deve saperlo, voglio che lo senta lui e tutto il mondo anche se tutto il mio mondo siamo solamente noi qui in questo preciso momento. «Kacchan, ti a-»

«Non lo dire.» Mi afferra il viso così forte da strizzarmi le guance e zittirmi. «Non lo dire, non lo dire...» quasi prega riprendendo la tortura di morsi e baci.

Palpebre socchiuse, mani a tenermi aggrappato ai suoi capelli, lascio che scenda dal collo all'ombelico.

È bravo, sa quali punti toccare e mordicchiare per farmi perdere la testa, sono sicuro che non l'abbia fatto prima? Non sarebbe un problema ma allora se è a disagio è perché sono io? Perché non vuole farlo con me?

Il suo sguardo si fa sempre più sfuggente. È occupato o è anche che vuole estraniarsi?

E soprattutto perché non vuole che lo dica?

Butto la testa all'indietro e così i miei occhi incontrano me stesso nel riflesso di una finestra.

Spettinato, accaldato, mezzo nudo, ansimante, un disastro di disperazione e dubbi che tornano a bussare alla mente svuotata, o forse come sempre accecata dalle illusioni.

Che stiamo facendo? Siamo solo ragazzini e poi io che sto facendo e lui perché lo sta facendo?

Adesso non posso più rimandare il pensare e il fare i conti con la verità.

Kacchan non mi ama. Non vuole che io lo dica perché non può ricambiare. Mi sta assecondando solamente per non sentirsi in colpa o in debito. Magari gli faccio solo tanta pena, magari sta anche pensando a qualcun altro.

Anche ora non riesco ad amarmi davvero e se nemmeno tu puoi farlo che senso ha tutto questo?

Il viso di Kacchan si risolleva solo quando è in ginocchio tra le mie gambe, appena sopra all'erezione che mi tira nei pantaloni del costume mai sentiti così stretti. Mi lancia ancora dal basso quello sguardo insicuro che ora non interpreto più allo stesso modo mentre le dita tremanti armeggiano con la cintura.

«No!» Sobbalzo quasi, mormoro qualcosa che dia voce ai pensieri ripresi troppo veloci: «Non devi se... Ti sto obbligando, sto correndo troppo, tu non vuoi, non... Non devi farlo se non mi...»

Mi rivesto in fretta, recupero alla rinfusa i supporti sparsi del costume.

Kacchan balza soltanto su e mi scruta confuso, in silenzio. Non gli do molto tempo per reagire, ma nemmeno mi ferma e questo peggiora le cose.

Non so dire in che condizioni esco dalla palestra.

Cammino verso l'ingresso del Ground Beta, incespicando nei miei stessi passi sotto la pioggia che torna a confondersi con le lacrime, senza in realtà una vera meta.

«Deku!»

Il destino è così ironico, no? Di solito era Kacchan a fuggire nelle situazioni in cui il nostro avvicinarci troppo lo spaventava, ora sono io. Per una ragione diversa, perché ormai tutto alimenta lo schiaffo in faccia delle mie convinzioni.

«Deku, aspetta, cazzo!»

I colpi di tosse hanno deciso di essere particolarmente forti stasera. Non sento Kacchan che mi rincorre e grida qualcosa finché mi raggiunge, un paio di passi dietro di me. Non che potessi andare chissà quanto lontano in questo stato.

«Ma che ti prende?! Non era quello che volevi? Ho... Ho sbagliato qualcosa?»

Rieccoci. Io, io, io, la sua ossessione del perfezionismo e la conferma che lo faceva per dimostrare qualcosa più a sé stesso e non avere un debito, per accontentarmi e scaricarmi una volta per tutte magari.

Dai, come ho potuto pensarlo?

Stupido, stupido, stupido Izuku.

Non ti ama e non ti amerà mai e morirai di questo.

Forse è ciò che meriti per non aver amato nel modo giusto sacrificando la tua vita e forse è giunto il momento di riconoscere che ti devi arrendere a questa cosa troppo più grande di te.

«Basta, Kacchan.»

Ormai non riesco più a urlare e la spinta con cui lo allontano è debole, rassegnata.

«Sono stanco, non ce la faccio più, va bene? Ho fatto preoccupare mia madre e tutti, mi sono comportato male e sono stato cattivo, ho litigato con i miei amici, ho perso tutto e sto letteralmente morendo per te, quindi puoi lasciarmi in pace almeno un momento?»

«Cosa... Di che stai parlando?»

«Niente. Voglio stare da solo.»

«Deku...»

Ormai sono un esperto a riconoscere i tipi di tosse e i loro effetti.

Questa di adesso è una delle più brutte, di quelle che ti fanno accasciare a terra e abbracciarti da solo mentre pensi che stai per morire per il grumo che ti si conficca in gola e non hai abbastanza energie per tossirlo fuori.

Cado e mi accuccio su me stesso.

Non credo riuscirò a nasconderli tutti.

Uno, due, tre e già perdo il conto dei petali che vomito e colorano la piccola pozza di sangue che non accenna a fermarsi.

«Deku ma che...»

«Ti ho chiesto di... di andartene... Non voglio che mi vedi così e tanto cosa ti importa, se.... se non mi ami non basta ma fa niente, non è colpa tua. Va bene così... Io me la caverò. Va' via, Kacchan.»

Non credo che ciò che ho a stento bisbigliato abbia senso, ma ho smesso di stare connesso al mio cervello, alla mia bocca, ai sensi e alla realtà.

Continuo a vomitare, diventa tutto confuso, sento solo le scarpe di Kacchan pestare la pioggia sempre più lontane, perdo la cognizione del tempo e non vedo più niente non so se perché sto svenendo o solo ho chiuso gli occhi, abbandonato di schiena sull'asfalto gelido con stretto al petto un intero fiore uscito non so come direttamente dalle mie viscere.

Il girasole.

Così bello.

Anche abbastanza infame, con le foglie seghettate, il gambo troppo lungo e i petali troppo grandi per un corpo umano.

All'inizio non me lo spiegavo del tutto, sai Kacchan?

Poi ho capito.

Simboleggia come ti vedo e il nostro rapporto. Il mio inseguirti sempre perché sei il mio sole, la mia luce, il mio eroe anche quando mi volti le spalle, anche se sai farmi anche tanto male e ne muoio un po' ogni volta.

Quando guardi a lungo il sole ti accechi e se ti avvicini troppo ti si sciolgono le ali, bruci fino a diventare cenere.

Ho capito che l'amore, per me, è capire tutto e non capire niente perché è chiaro quanto completamente insensato, dolore e cura, morte nella vita e vita nella morte. Bellezza e sofferenza insieme.

Ma ho capito anche che mi sta bene così.

Non cambierei niente di questo sentimento e di quello che è stato.

Sarò stato troppo altruista pensando a te ed egoista nel modo sbagliato nei confronti di me stesso. Non ho pensato al mio bene, ho deciso di morire amando fino in fondo, senza sapere come si fa e incurante che mi avrebbe distrutto, piuttosto che vivere non facendolo affatto.

Perché fino ad adesso mi sono ripetuto che ancora non sapevo cosa fare, ma mentivo. Anche non scegliere è una scelta. Nel profondo già avevo deciso il mio destino e nemmeno questo cambierei per te.

Sono felice di com'è andata.

Posso smettere di combattere.

Posso lasciarmi andare...

«Deku! Oi Deku rispondimi!»

O sono già nell'aldilà o qualcuno ha deciso che non posso neanche morire in pace.

Il viso bellissimo anche da spaventato di Kacchan mi ricompare davanti agli occhi, costretti a riaprirsi da delle scosse violente alle spalle e degli schiaffetti in faccia.

«Kac-chan...»

Faccio fatica a parlare e il solo provarci scatena un altro brutto attacco di tosse.

«Deku cazzo sei... Per un attimo ho pensato che- cazzo... Cazzo, ok, respira...»

Non so a chi lo sta dicendo, forse a entrambi.

Si inginocchia di fianco a me e mi tira su, seduto, per farmi tossire meglio. Mi sostiene la schiena e con l'altra mano mi asciuga i rivoli di sangue sul mento.

«Guarda Kacchan...»

«Non sforzarti a parla-»

«Guarda.»

In un ultimo sforzo alzo la testa e gli sorrido tremolante. Apro le mani sul girasole che ho pulito a furia di accarezzare e custodire in grembo come se ne andasse della mia vita, che è un po' la realtà.

«Guarda, è bellissimo, vero? Siamo noi.»

«Basta stronzate Deku, si può sapere che significa?!»

È arrabbiato e si sforza di fare il duro come sempre, eppure il modo in cui ansima confuso e gli occhi lucidi dicono anche altro.

Sono contento che, se non mi ama, può almeno preoccuparsi per me anche alla fine.

«Hai detto che stai- morendo per- per me... Cos'è tutto questo, com'è possibile... Che cazzo hai fatto, hah? Perché? Perché Deku?! No, ehi!»

Inizia ad andare nel panico quando mi lascio andare sulla sua spalla e per qualche attimo cedo a richiudere gli occhi.

Mi dispiace non poter essere forte per entrambi e consolarlo quest'ultima volta.

«No, no, no...» l'angoscia sembra strozzargli la gola. Mi prende per le guance. «Ehi nerd, rimani sveglio. Ho appena chiamato i soccorsi, stanno arrivando, sentito? Non- Non puoi...»

Il respiro impazzito, la mano che mi sorregge la testa mentre cado all'indietro.

«Non azzardarti a morire bastardo, hai capito?!» il suo grido si trasforma in una cantilena, sommessa e poi sussurrata, «Deku... Perché- Non puoi... Non lasciarmi da solo...»

«Non piangere.» Sono sempre più sconnesso e assente ma riesco a guidare una mano affinché gli raggiunga una guancia, a scacciargli la lacrima di cui non si era accorto. «Va tutto bene.»

Lui piagnucola che non è vero, stupido, mentre si asciuga furiosamente le altre che arrivano.

Al solito non siamo d'accordo, eh, Kacchan?

Vorrei avere le forze per rassicurarti e anche per ricordarti che al di là del modo brutto in cui ti vedi e del tuo odio verso te stesso ci sono io che posso amarti e anche se per poco ancora sono felice.

Sono felice perché nonostante tutto sei e rimarrai la parte più bella di me, la parte di me che preferisco e nemmeno questo cambierà mai.

Sei anche quella più triste, che non potrò mai avere, ma questa notte non sarà la più sola se rimani con me fino alla fine, fino alla fine.

«Sono felice», non capisco più se sto pensando o anche mormorando le mie ultime parole, «Ho solo tanto freddo. Mi abbracci?»

«Non dire così Deku non voglio che... Non ti ho ancora detto... Cazzo, cazzo...»

Qualcosa mi avvolge, la mia guancia appoggia su qualcosa di morbido e i brividi si calmano un po'.

L'ultima cosa che volevo era che mi accogliesse tra le sue braccia per una volta, ed è quello che fa. Mi stringe al suo petto, ormai insanguinato quanto i miei vestiti, e dondola piano ripetendo «Mi dispiace, mi dispiace tanto».

Non so e non saprò mai per cosa mi sta chiedendo scusa. Non importa. Io sono felice.

Gli ultimi suoni che mi arrivano sono il battere forte del cuore di Kacchan e della pioggia su di noi, da cui mi ripara il più possibile.

Dicono che in punto di morte ti scorre davanti tutta la tua vita.

Per me non è così. Presumo di non avere più tempo neanche per questo.

A me rimane solo impressa la sensazione di Kacchan che mi stringe.

Questo abbraccio rimette un po' insieme i miei pezzi. Non lo credevo possibile, eppure mi riaggiusta davvero.

Anche solo per un po', prima che inizi a non sentire più niente, il buio, il dolore che si diffonde dal centro del petto fino a che è tutto così troppo da diventare nero e nulla.

Però è così caldo qui. È come un bel sogno da cui non voglio risvegliarmi.

Ci starei per sempre e va bene che finisca così.

Sono pronto a sacrificare la mia vita, lo farei volentieri due volte.

Sorrido.

«Ti amo Kacchan.»

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