6 │ Even though you don't mean to hurt me, you keep tearing me apart

Burn the silence
Burn your eyes
And burn my heart
Let me fall apart

Plugs of Apocalypse,
Burn Everything I Love

Non berrò mai più in vita mia.

Prometto solennemente, giuro e rigiuro.

Andrò avanti solo ad acqua e succhi di frutta energetici come Iida-kun e tè verdi preparati da All Might.

Anzi, no, nemmeno quelli. E togliamo la caffeina dato che ci siamo, per quanto mi piaccia il sapore amarognolo del caffè, ma per sicurezza. E via anche le bibite gassate.

Sì, non berrò mai più in vita mia. Non toccherò più nemmeno un goccio di alcol e null'altro.

Niente di niente. Solo acqua. Naturale.

È da una decina di minuti che ripeto così al me stesso nello specchio, puntandogli un dito contro nella penombra del bagno.

Commetto il grave errore di accendere la luce e devo portami una mano alla testa che riprende a pulsare. Arriva un'altra fitta, come le tante che mi hanno costretto a svegliarmi alla bellezza delle sei del mattino anche in un giorno festivo. Non che mi sarei alzato tanto più tardi, ma il punto è: di certo non in questo stato.

I capelli spettinati che hanno vita propria, gli occhi gonfi e arrossati, verde spento contornato da vistose occhiaie, tanto mal di testa e quella sensazione di nausea che ti rimane addosso anche dopo che hai vomitato l'anima.

Solo che stavolta non è dovuto a scontri con villain, malattie o esagerazione con gli allenamenti, ma a quella che viene comunemente definita sbronza.

E per essere la prima della mia vita, mi sa che è stata un totale fallimento.

Per non aggiungere il minuscolo dettaglio che ho un vuoto di memoria tra l'inizio della festa clandestina di ieri sera, organizzata da Kaminari-kun e compagnia qui al nostro dormitorio, e adesso.

Non ricordo cosa è successo già dopo circa metà serata, non mi spiego come sono tornato nel mio letto e soprattutto non so cosa mi abbia portato a bere così tanto, a quanto pare, da finire qui, adesso, ridotto a parlare da solo e insultare il mio riflesso.

Lancio un'ultima occhiata di disapprovazione all'Izuku che mi fissa con quell'espressione patetica e stravolta e mi decido ad uscire dalla mia stanza.

Che io sia conciato come uno straccio è dire poco, ma confido nel fatto che è presto ed è vacanza e tutti staranno ancora dormendo o facendosi i fatti propri. Mi basta raggiungere la cucina, bere un sorso d'acqua, che ho finito la scorta nella borraccia di All Might e mi sento la bocca più arida del deserto, e sgattaiolare di nuovo in camera.

Piano perfetto, no? Breve, rapido, efficace. Due minuti neanche, dentro e fuori e poi di nuovo dentro senza farmi notare.

Cosa potrà mai andare storto?

Apro lentamente la porta e mi affaccio al corridoio: gelido e completamente vuoto. Bene.

Recupero un plaid in cui avvolgermi e mi incammino cauto e circospetto; il suono felpato dei passi sulla moquette fa da sottofondo alla traversata del corridoio del primo piano fino alle scale.

O almeno, questa è la mia intenzione. La realtà è che sento il corpo a pezzi, tra allenamenti intensivi degli ultimi giorni che mi hanno arrecato dolore a muscoli che nemmeno sapevo di avere e il piccolo... incidente di ieri sera. E quindi è un trascinarmi non poi così leggero e furtivo, più con la grazia di un elefante in una cristalleria.

Comunque, è una volta raggiunte le scale che si presenta il problema. In verità uno dei tanti, il primo di una lunga serie.

Come se lo avessi evocato prima con i miei deliri mentali ancora un po' in preda all'hangover, Iida-kun compare in fondo ai gradini, in tuta da jogging, già super attivo e fresco come una rosa.

«Ah, Midoriya-kun!»

Sono troppo lento a reagire. Prima ancora che riesca a completare il pensiero di fingere di non averlo visto o nascondermi da qualche parte, mi ha già raggiunto.

E c'è anche dell'altro di rosa, fuor di metafora: Uraraka-san che sbuca da dietro l'imponente schiena del nostro amico mimando un timido saluto, avvolta nella sua felpa sulle tonalità pastello che dev'essere grande apposta e la fa sembrare piccola piccola.

«Buongiorno! Come ti senti? Meglio di ieri?»

Strizzo gli occhi, un po' perché devo alzare la testa per guardare il ragazzo dai capelli blu in viso e ciò mi inonda di nuovo di luce, un po' perché sta usando un tono decisamente elevato.

O forse ogni cosa è come al solito ma sono io che stamattina sono più sensibile a tutto. Insomma, sono sempre state così accecanti queste lampade? Lui ha sempre questa voce alta e come fa ad essere tanto energico fin dall'alba? Che poi non è troppo diverso da quanto faccio io. Anch'io appaio così irritantemente vivace di solito?

Mi schermo il viso con una mano, approfittando per sistemarmi i capelli per quanto possibile. Non sono riuscito a rendermi più presentabile prima di uscire, anzi non mi sono neanche posto il problema perché concentrato sulla missione "non morire di disidratazione" e perché Iida-kun non era nei programmi.

Non erano nei programmi, lui e Uraraka-san che invece è stranamente silenziosa.

Beh, non dev'essere il massimo vedermi in queste condizioni, e non oso immaginare ieri. Cioè, neanche posso perché, diamine, non mi ricordo! Possibile che mi sia spinto tanto oltre il limite? Non è da me, non per queste cose.

«Mmh», bofonchio solo, sia di fastidio che specialmente di frustrazione verso me stesso. «Sì, sto bene, credo.»

«Ricevuto. Noi stavamo andando a chiamare Asui-san e poi a correre, ma a te stavolta conviene evitare. Nel bagno comune ci sono delle pastiglie per il mal di testa. Fai colazione, prendile con un po' d'acqua e vai a riposarti, ok?» Iida-kun elenca tutto con precisione e conclude assestandomi una pacca sulla spalla, talmente potente che quasi mi piega in due. «Mi raccomando, e riprenditi presto!»

«Rimettiti, Deku-kun», gli fa eco Uraraka-san in un mormorio, per poi affrettarsi a sparire con lui al piano superiore.

Sospiro. Alla fine non è stato così terribile e Iida-kun mi fa anche scappare un sorriso per il suo solito atteggiarsi da fratello maggiore con tutti noi della 1ªA.

Quanto a Uraraka-san, spero di non averle rovinato il compleanno. Cadeva proprio in questi giorni e in parte la festa di ieri era anche per lei, oltre che per la scusa che sono gli ultimi giorni di vacanze natalizie qui al dormitorio. Da dopo domani ovvero Capodanno, che ci è stato concesso passare con le nostre famiglie, si ricomincia con lo studio e per alcuni di noi anche i tirocini.

«Midobro!»

Oh no.

Oh no, loro no...

Eccolo, il secondo problema. Per la precisione due individui, i quali insieme fanno a dir tanto un neurone perciò parlare di problema al singolare penso sia corretto, ma che è stato superficiale da parte mia non prendere in considerazione.

Di norma Kaminari-kun e Sero-kun sono gli ultimi ad alzarsi, spesso tirati giù dal letto a padellate e incoraggiamenti virili da parte di Kirishima-kun. Ma oggi non c'è scuola, quindi devono aver ben pensato di svegliarsi prima o direttamente passare la notte in bianco, per sfruttare l'occasione di stare più tempo a cazzeggiare con gli amici.

Con loro c'è anche Jirō-san, così come bonus se la situazione non fosse già critica.

Mi stringo nella coperta, illudendomi di poter passare inosservato mentre i tre mi raggiungono e intrappolano a fine scala.

Dannazione, ce l'avevo quasi fatta.

«Bro, come va?» mi fa Sero-kun, alludendo chiaramente al mio stato dovuto a ieri con aria di chi la sa lunga.

Kaminari-kun rincara la dose. Mi avvolge per le spalle ed esclama dritto nei miei timpani: «Certo che non hai una bella cera!»
All'improvviso, un urto. Il ragazzo dal quirk elettrico si scosta e massaggia il braccio, per poi rivolgere a Jirō-san un'espressione da cucciolo di cane bastonato. «Ahi! Perché l'hai fatto?!»

«Perché sei un idiota.»

«Ma...!»

«Insomma, sis! Ancora un po' più su e lo beccavi in testa!» Sero-kun chiude una mano attorno al viso di Kaminari-kun strizzandogli le guance e glielo avvicina. «Guardalo, come si fa a voler male a questo bel faccino!»

Jirō-san, presa in contropiede, arrossisce. «Chissà che così gli si aggiusta, la testa», borbotta poi, tornando al suo tipico sarcasmo. Serafica, allunga pericolosamente i suoi Earphone Jack verso il biondino. «Proviamo, Bakaminari?»

«Aaah! No!» lui lancia un gridolino acuto e si sposta dietro l'amico. Gli si aggrappa implorando protezione, qualcosa va storto e in pochi secondi sono entrambi a terra, ruzzolati giù dagli ultimi scalini.

«Idiota», sbuffa di nuovo Jirō-san nascondendo un mezzo sorriso, dopo annuncia che se ne andrà in stanza da Mina.

Kaminari-kun, mezzo ammaccato, si rialza subito solamente per perdersi a guardarla che va via. «Mi ama», commenta sognante.

«Palese», lo asseconda il moro, intanto che si fa dare una mano a rialzarsi. «È per questo che dovresti ascoltare Mina, quando ti dice di smettere di provarci e poi illuderla flirtando con Kiri e quello Shinsō. Dalle sul serio una possibilità.»

Il semi-rimprovero lo fa ridere, mentre a me lascia perplesso. Non per il contenuto, del resto lo stesso Kaminari-kun ha confidato a tutti noi ragazzi, tempo fa al campo estivo, di sentirsi "più bi di una strada a doppio senso", ma per il modo. Parlano dei fatti loro come se io non ci fossi e come se non importasse che il mondo intero sapesse.

Ma non sono nelle condizioni mentali di riflettere in questo momento, e poi è meglio che non mi stiano calcolando. Mi limito a trascinarmi lungo il corrimano, fino a posare i piedi sull'agognato pavimento del piano terra, ed accertarmi che siano tutti interi.

«E tu, tutto ok?» il biondino ricambia la mia preoccupazione. Lo apprezzerei di più se in questo momento non volessi soltanto scappare via. «Come stai? Dopo ieri, dico. E sai, dopo quel... Com'è che era?» si interrompe e cerca aiuto da Sero-kun.

«Ah, già. Sei stato audace, Midobro.» Il ragazzo dal quirk Tape si abbandona a una risatina. Dita in aria e sopracciglia che fanno su e giù, mi dice ammiccante: «"Magari", eh?»

Corruccio la fronte, confuso. «... Magari cosa?»

«Oddio, non si ricorda», sussulta alla mia domanda spaesata e, di nuovo come se non fossi proprio qui davanti a loro, i due prendono a confabulare.

Kaminari-kun, poi, sentenzia: «Scusaci, siamo davvero degli idioti, come dice la piccoletta. Però quando ti ricorderai e vorrai parlarne, noi ci saremo».

«Ma è un passo che spetta a te. Con un po' di riposo e tempo la confusione se ne andrà, sarà tutto più chiaro, vedrai», è il saggio incoraggiamento di Sero-kun.

Dopotutto non ha mai fatto segreto di essere passato per la mia attuale condizione prima. Se siamo riusciti a procurarci degli alcolici per la festa, eludendo la sorveglianza nonché il rigore di Iida-kun, è proprio merito della sua esperienza e anche dell'inaspettata amicizia nata con Shinsō-kun della sezione B.

Si congedano così, lasciandomi con ancora più domande. Intendevano rassicurarmi, eppure la sgradevole sensazione di aver combinato qualcosa di strano ieri sera si intensifica.

Quanto ho bevuto? Perché non ricordo e soprattutto cosa non ricordo? Che dovrei ricordare? Mi sono comportato da pazzo, o da disagiato, da imbarazzante caso umano quale un po' sono, senza un po'? E "magari", magari cosa?

Alla fine arrivo, o meglio arranco, in cucina e mi posso godere un po' di solitudine. Per quanto poco confortante sia, con tutti questi interrogativi e la testa che realisticamente potrebbe scoppiarmi, proprio ora e proprio qui.

Implosione cerebrale, qualche schizzo di carne e sangue qua e là sui mobili del dormitorio e null'altro rimarrebbe di Midoriya Izuku, finalmente addio a Deku e tutti i problemi, suoi che si trascina dietro e di quelli che causa.

Quasi sarebbe meglio.

Per un istante lo penso davvero, ci credo veramente, a questo ultimo pensiero che mi attraversa prima che mi autoimponga di spegnere il cervello. Non ragionare non si è rivelata la migliore delle decisioni, di recente, ma sento che potrei impazzire se continuo così.

Mi dedico alla mia colazione, semplicemente. Mi concentro unicamente sulla cioccolata che si scalda nel pentolino sopra le fiammelle del gas, sul pacchetto di biscotti che per grazia divina stavolta non è riposto negli scaffali più alti della credenza per cui non devo fare acrobazie per arrivarci pregando che nessuno mi veda.

Sì, non è il più salutare dei pasti ma è uno dei miei modi di affogare il dispiacere, anche se mi venissero tutti i brufoli del mondo e il mal di pancia per giorni per quanto ne sto ingurgitando, ok? Sono la mia magra consolazione. Non poi così magra.

Un cucchiaino bollente dopo l'altro, un biscotto dopo l'altro per illudermi di mandare giù con essi anche le paranoie, seppellire quanto non mi sento in pace con me stesso e non mi sto piacendo. Non solo per qualsiasi cosa sia successa ieri, ma in generale l'ultimo periodo.

Accucciato sul davanzale interno della finestra, avvolto nella coperta come se potesse farmi da scudo dai pensieri bui e dalla realtà, guardo assente i fiocchi di neve che cadono fuori imbiancando lentamente il cortile, timidi e leggeri.

Precipitano, trasformano la loro fine ineluttabile in una danza nell'aria gelida, finché arriva il momento di lasciarsi andare. Si riuniscono agli altri, spariscono nel bianco nulla dopo aver dato spettacolo e lasciato il segno, tornano invisibili.

Era da tanto che non lo pensavo. Di voler essere come quei i fiocchi di neve che cadono.

Di voler mettere fine a tutto, solo per un po'.

Di volermi dissolvere come loro, di voler sparire.

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Voglio sotterrarmi.

In questo momento, vorrei solo sotterrarmi. Altro che sparire pacificamente tra gli altri fiocchi di neve, no. Voglio scavarmi una fossa di diversi metri, tanti metri, lasciarmi ingoiare dalle viscere della terra e fare mai più ritorno.

Perché, mentre consumavo il mio pasto a base di cioccolato e disperazione, si è palesato il terzo, ultimo grande problema di questa mattina di fine anno e sono venuto a conoscenza di una verità che forse era meglio non sapere.

Nello specifico, un problema di un metro e settanta tutto muscoli, sorriso appuntito quanto accecante e tono allegro che mi ha risvegliato dallo stato catatonico in cui mi trovavo da non so quanto.

So solo che il giardino era diventato completamente innevato, bianchissimo, che nella tazza erano rimasti solo i rimasugli freddi della cioccolata e che io stavo lì a farmi divorare dalla brutta sensazione che mi attanagliava lo stomaco, e stavolta non riguardava dover vomitare.

È stato allora che Kirishima-kun è arrivato a chiedermi che ci facevo qui a quest'ora, al buio e tutto solo. Se stavo bene, dopo ieri.

E allora io sono... esploso, direi.

Sì, ho decisamente sbarellato, respingendolo a malo modo e infine mormorando di fronte alla sua espressione stupita, piagnucolando più che altro, che mi dispiaceva ma mi sento uno schifo e ieri, ieri, ieri, si può sapere che è successo? Sembrano saperlo tutti tranne me e nessuno me lo vuole dire e io odio non capire e non sapere le cose.

A tal punto, Kirishima-kun mi ha calmato e detto che forse, se ero così disperato, avrei fatto prima a vederlo con i miei occhi.

Mi ha mostrato una registrazione dal suo cellulare.

Nel frattempo mi raccontava che l'ha recuperata da Kaminari-kun, o qualcosa del genere. Non sorprendentemente il biondino ha documentato tutta la serata, tra selfie, stories, foto scattate a tradimento.

Ma a una certa non l'ho più ascoltato, assorto nel video. Ed eccoci ad adesso, al momento in cui desidero sparire dalla faccia del pianeta Terra.

«Cazzo», è l'unico commento che so elaborare.

Senza troppe cerimonie sfilo il telefono dalle mani del ragazzo dai capelli tinti di rosso per vedere meglio e faccio ripartire il filmato incriminato.

C'è tutta la classe radunata in sala comune, seduta sul pavimento in un grande cerchio.

Una Ashido-san se possibile ancora più euforica del solito finisce di scolarsi la bottiglia che dobbiamo esserci passati un po' tutti, stando ai nostri visi altrettanto arrossati e alle risate continue, e saltella fino al centro per posarvela. «Mi è venuta un'idea fantastica!» esclama piroettando su sé stessa, «Giochiamo a qualcosa! Mmh... Obbligo o verità!»

Kirishima-kun deve intervenire ad afferrarla prima che cada a terra. Intanto gli altri, o almeno chi è ancora abbastanza lucido da rispondere subito, si dicono d'accordo.

Iida-kun e Yaoyorozu-san, isolati in un angolino, si scambiano un'occhiata affranta e schiaffano una mano in fronte, chiedendosi come siamo finiti a questo.

Tra il chiacchiericcio eccitato di assenso, si leva una voce inconfondibile. «Col cazzo», sbotta prontamente Kacchan. Si tira a sedere sul divano che aveva conquistato tutto per sé e squadra male tutti uno a uno, anche Kaminari-kun che lo zoomma per bene. «Cosa siete, bambini dell'asilo? Io me ne vado a dormire.»

«No, Bakubro! Resta ancora un po', dai!» Kirishima-kun protesta e la migliore amica gli fa seguito.

Lui porta le dita alle tempie, chiaramente irritato dal casino. «Sono rimasto anche fin troppo. E me ne pento. Mi è venuto mal di testa solo a guardare voi bere, che cazzo, e sono stanco delle vostre stronzate.»

Anche gli altri autoeletti suoi amici intervengono, il mio compagno di giochi d'infanzia torna a ribadire con fermezza di no mentre si alza e regala loro degli elegantissimi diti medi.

«Sei cattivo, Kacchan!» torna a stuzzicarlo il ragazzo dal quirk elettrico, la voce fin troppo alta vicino al telefono che registra, «Ci nascondi qualcosa, ci scommetto! Hai paura che lo scopriamo, eh?»

Kacchan, colto sul vivo, fa dietrofront e si riavvicina minaccioso. Guarda per bene in camera e ringhia: «Hah?! Ripetilo se hai le palle! Io non ho paura di un bel niente, capito, Pikachu e tutte voi fottute comparse? Potete succhiarmi il cazzo!»

«Magari.»

Silenzio di tomba.

Tutta la scena e i suoi protagonisti sembrano ghiacciarsi, all'unisono, come coordinati da un'unica regia.

Solo l'inquadratura del cellulare si muove, lentamente, fino a mettere a fuoco la fonte del mormorio non poi così mormorato, anzi un bel commento forte e chiaro.

Già, quello sono io.

Un esemplare di Midoriya Izuku visibilmente ubriaco fradicio, per qualche motivo vicino, troppo vicino, a Todoroki-kun, che dopo come se nulla fosse si accascia definitivamente addosso all'amico dal doppio quirk e ridacchia come un idiota qualcosa del tipo che gli fa il solletico con il suo respiro, dato che incastra la testa nell'incavo del suo collo come un gatto che fa le fusa.

Scoppi di risa e lamentele di Kaminari-kun per l'avviso di memoria piena concludono il video sull'episodio che verosimilmente segnerà la fine della mia esistenza.

Non so nemmeno quale dei tanti problemi analizzare per primo.

Cosa dovrei fare? Cambiare nome, identità, città e paese? Tanto per cominciare, sì, e poi sotterrarmi prima che ci pensi Kacchan a seppellirmi, permanentemente stavolta, dopo che mi avrà rintracciato e ucciso con le sue stesse mani.

O forse sarebbe ancora troppo poco? Trattandosi di lui, del fatto che non ho mai superato così tanto il limite nemmeno nei miei pensieri e che è tremendamente imbarazzante e che se mi sta evitando da settimane per uno stupido bacio o quello che era, dopo questo...

Che reazione ha avuto ieri e che reazione avrà quando per forza di cose dovremo interagire? Che dovrei dirgli? Sempre che riesca a trovare il coraggio di guardarlo di nuovo in faccia.

E i miei compagni? Che penseranno? La conversazione di prima con Sero-kun e Kaminari-kun ora ha molto più senso, ma non è detto che tutti la prendano così alla leggera. L'impaccio di Uraraka-san era dovuto a...?

E questi erano solo due minuti. Saranno stati la punta dell'iceberg e chissà cosa ho combinato dopo e...

«Cazzo, cazzo cazzissimo», continuo a sussurrare tra me e me, con le mani spalmate in faccia a reggermi la testa.

«Letteralmente.» Un colpo di tosse, Kirishima-kun di cui quasi avevo dimenticato la presenza si schiarisce la gola. «Ok, pessima.»

Si riprende il telefono, saggiamente lo mette via e si avvicina a me con la sedia, seduto al contrario con le gambe aperte e le braccia avvolte attorno allo schienale.

«Ehi, Midoriya», riprova più gentile, posandomi una mano su una spalla.

Mi ritraggo ancora di più. Non per nascondermi. È una delle persone più aperte che conosca e so che non mi giudicherebbe mai, dice che non è virile. Semplicemente mi sento uno schifo e non voglio che mi veda così né che stia qui a subirsi le conseguenze di qualcosa di avventato che potrei dire o fare.

Ma Kirishima-kun è un concentrato di buone intenzioni e altruismo, non lascerebbe mai perdere qualcuno che sta male per nessun motivo al mondo. Nemmeno questo sarebbe virile.

«Tranquillo», riprende infatti, «A parte quello non è successo molto, solo qualche obbligo stupido e poi sei crollato. Quanto a Bakubro... Non ce l'ha con te. Insomma non per quel "magari", quello non lo so-»

«Kirishima-kun, basta ricordarmelo, è già imbarazzante così», borbotto, la voce ovattata con la testa ancora sepolta tra le ginocchia e le braccia.

«Giusto. È che... Sai, in questi giorni è evidente che avete qualcosa, voi due. Quindi ho pensato che tu ti comporti così sopra le righe con tutti per causa sua e Bakubro è ancora più inavvicinabile per causa tua. Ma non ce l'ha con te, ne sono certo.» Si massaggia la nuca, si sforza di spiegarsi. «Cioè, non lo fa per cattiveria. Lui è... imbarazzato e anche un po' spaventato, mi sa.»

Non ce l'ha con me, eh? Certo, mica mi sta ignorando da settimane, secondo la sua logica molto matura di affrontare i problemi relazionali, no?

È in imbarazzo? Va bene, lo capisco, ma ciò non gli dà il diritto di trattarmi come l'ultimo degli zerbini e...

Un attimo. Come fa Kirishima-kun a saperlo? A poter dire tutto questo con tale sicurezza?

La realizzazione mi colpisce in pieno come un Detroit Smash. Scatto su e, con la bocca improvvisamente secca, riesco solo a formulare un vago: «Tu quanto sai?»

Deve cogliere la mia agitazione. Mi sorride, a rassicurarmi. «Bakubro si è un po' confidato in questi ultimi giorni. Il punto è che mi dispiace, è anche colpa mia.»

«Colpa tua?»

«Sì», ribatte, nel tono grave solo di quando è davvero davvero serio. «Quella volta del suo attacco di panico dopo un allenamento con te... Mi ha raccontato tutto lui stesso poco dopo, catapultandosi in camera mia. Gli ho fatto notare che scappare non è stata una mossa molto virile, al che ha detto che quella situazione lo aveva terrorizzato, non sapeva spiegare, e ormai era fatta ma voleva rimediare. Allora, per una volta che si apriva tanto con me, sono stato felice di aiutarlo. Io e gli altri della BakuSquad gli abbiamo consigliato di fare un gesto carino e provare a parlare in un luogo tranquillo per lui. Perciò l'altro giorno abbiamo preparato il katsudon e poi Bakubro ti ha preso in disparte.»

Emette un sospiro sconsolato, mentre incrocia le braccia dietro la testa e si sbilancia con la sedia fino ad appoggiarsi al tavolo. Non sembra minimamente allarmato dalla posizione pericolante, tutto preso com'è dal racconto. Dopotutto se anche cadesse non sarebbe un problema con il suo quirk, ipotizzo, ma non è il momento di sovranalizzare.

«Ah, ci eravamo così raccomandati di fare con calma, provare a non essere aggressivo e quant'altro! E invece... Non sappiamo che è successo, ma non ha funzionato, eh?»
Sorride mesto, torna a guardarmi dispiaciuto. «Ecco perché è anche colpa mia. Se gli avessi dato consigli migliori o gli fossi stato più vicino... Volevo aiutare, eppure adesso siete solo messi peggio di prima.»

«Kirishima-kun, non dirlo neanche per scherzo», lo riprendo fermamente. Prima di elaborare tutta la faccenda "Kacchan che non è così stronzo come sembra", voglio pensare a lui e confortarlo.

Per tanto tempo in passato mi sono sentito in quell'esatto modo, pieno di sogni e tante belle intenzioni ma incapace di attuarne neanche mezza, e non lo auguro a nessuno. Men che meno a lui, sempre fin troppo empatico e a farsi carico della sofferenza altrui.

In questo aspetto ci somigliamo e forse è proprio il motivo per cui mi preme così tanto che capisca che non ce l'ho con lui, anzi dovrei ringraziarlo. È vero, ha innescato una serie di eventi per cui altrimenti non ci troveremmo ad ora, ma non è colpa sua se io e Kacchan non riusciamo mai a comunicare e far funzionare il nostro rapporto per più di qualche breve periodo di tregua.

«Non potevi agire meglio di così», aggiungo con convinzione, «Sei un grande amico per Kacchan». Il suo posto sicuro, come vorrei essere io.

Kirishima-kun annuisce, più rincuorato. «Lo spero, grazie. Tornando a noi... L'altra sera, dopo quel disastro di riconciliazione finita male, non ho capito che è avvenuto tra voi ma mi ha detto cose che... Per tutti i gel per capelli, Midoriya, avresti dovuto sentirle. Non l'avevo mai visto così sincero, venivano proprio dal cuore. Non te le posso dire io, deve essere lui, però è per questo che posso affermare che non ce l'ha con te.»

Di nuovo questa frase. È difficile crederci se i suoi comportamenti dimostrano tutto il contrario.

«Katsuki non ti odia. Ci tengo che tu lo sappia. Sai, io penso che... Come dire, si sente in colpa per i vostri trascorsi e sta provando a sistemare le cose, soltanto che non sa come. A differenza tua è fin troppo iper consapevole, di tutto. Del suo carattere, diciamocelo, di merda, dei suoi problemi. Questa cosa lo tormenta sul serio. E non sopporta come lo fa sentire il peso costante che hai sulla sua vita, ma di sicuro non vuole che tu soffra ancora a causa sua. Solo, non sa come gestire tutto e finisce che ti allontana, facendoti soffrire proprio al contrario di come intendeva, in un loop infinito... Questa è l'idea che mi sono fatto io. Ma ti assicuro, ci sta lavorando. Ha bisogno di tempo e fiducia.»

Sì, è davvero difficile crederci. Eppure queste parole mi accendono una fiammella nel petto, una piccola speranza.

«Kirishima.»

Sobbalziamo in contemporanea, Kirishima-kun cade dalla sedia facendo un casino assurdo che con ogni probabilità avrà svegliato anche quel dormiglione di Todoroki-kun all'ultimo piano.

Non ci eravamo accorti del rumore di passi che si avvicinavano né dello sguardo fisso su di noi, che continua a trafiggerci anche quando ci voltiamo verso la porta.

«Che stai facendo.» La voce roca che a Kacchan viene sempre di prima mattina è sufficiente a farmi contorcere gli organi interni, anche se non è rivolta a me ma all'amico.

«Ah sì, scusami Bakubro», fa quest'ultimo come niente fosse, intanto che si rialza e rimette a posto alla bell'e meglio la sedia, rumoroso e caotico come solo lui può essere. A eccezione del suo compare Kaminari-kun, naturalmente, lui non lo batte nessuno.
«Ho incontrato Midoriya e ho perso la cognizione del tempo», si giustifica e rifila la solita espressione affabile con cui è impossibile arrabbiarsi, perlomeno se non sei Bakugō Katsuki.

«È da mezz'ora che ti aspetto in camera.»

«E dai, ti ho già chiesto scusa e ora arrivo. Sempre a lamentarti, Bakubrontolo!»

«Ti sdrumo.»

«Kacchan, io...» apro la bocca prima di collegarla al cervello, o di elaborare perché lo voleva in camera sua e qualsiasi altra cosa. Ormai sono in ballo, perciò mi sforzo di completare: «Io penso che... che noi dovremmo... parlare di- Sì, ecco...»

«Capelli di Merda, non ho tempo, muoviti.»

Neanche uno sguardo di sfuggita, come se la sola vista lo ripugnasse tanto, neanche un minimo di considerazione. Mi dà le spalle ed esce dalla stanza.

Beh, cos'è? Una risposta indiretta? Qualcosa di più infantile no?

«Ma-»

«Midoriya, ci penso io», mi sussurra Kirishima-kun, «Stavolta non farò casini, te lo prometto».

Sospiro rassegnato. Non sono molto convinto, non perché non credo in lui ma perché c'è l'altra variabile in gioco. Tuttavia non voglio che si senta in colpa quando le colpe sono solo mie e ha il mio sostengo. Anche lui sta tentando, in modo diverso, di capirci qualcosa di Kacchan e, per quanto vorrei essere io a farlo dato che ci provo da all'incirca tutta la vita, se qualcun altro ci riesce è meglio di niente.

«Ah, Midobro!» aggiunge il ragazzo dai capelli rossi mentre già sta scomparendo in corridoio, trascinato via per la maglietta da Kacchan che è tornato sui suoi passi a riprenderselo, «Comunque dovresti parlare anche con Uraraka».

«Uraraka-san? Perché?»

«Oh, non te l'ho detto? Ieri sera eravate strani dopo sette minuti in paradiso.»

─────.•*:。✿ 。:*•.─────

La conversazione con Kirishima-kun, per quanto in parte illuminante, non serve a farmi stare meglio.

Per il resto della giornata mi aggiro per il dormitorio come lo spettro di me stesso, mentre svolgo con la testa tra le nuvole qualche commissione: sistemare alcune decorazioni natalizie rimaste disperse in giro, portare fuori la spazzatura, preparare la valigia, passare al konbini qua vicino per prendere qualcosa a mia madre e già che ci sono anche quegli ingredienti che servivano a Satō-kun per dei suoi esperimenti culinari, non ho ben capito.

«Midoriya, vuoi assaggiare?» è proprio la voce del mio compagno dal quirk Sugar Dope a riscuotermi, intanto che passo davanti alla cucina distratto, immerso appunto nella nuvola dei miei pensieri, anzi più tempesta con tanto di naufragio nel mare da essi originato e tutto il resto.

Per poco non mi scontro con dei vestiti volanti.

«Sono stra buoni!» esclama una voce squillante, facendo presente che anche Hakagure-san è qui, vicino ad Ojiro-kun. Fa scorta di diversi dolcetti e poi fluttua via, penso diretta a uno dei ritrovi che le ragazze fanno spesso nelle loro stanze.

Ringrazio Satō-kun e accetto volentieri il dolcetto che mi sta offrendo. È un bastoncino di legno con una pallina di cioccolato incastrata ad un'estremità, una specie di Chupa Chups alternativo.

«Mmh!» non trattengo un gemito estasiato dopo il primo morso. «Ma sono deliziosi! Gli ingredienti si bilanciano perfettamente, il cioccolato fondente all'esterno, con sopra la granella di nocciole che lo rende croccante al punto giusto, e il cuore di caramello che poi ti esplode in bocca... Amaro fuori e dolce dentro. Come li hai fatti? Magari possono piacere a Eri-chan, la possiamo invitare a provarli uno di questi giorni! E-»

«Midoriya, basta! Al solito esageri con i complimenti!»
L'artefice di questo ben di Dio scoppia a ridere, dopo mi spiega tutto il procedimento e Ojiro-kun aggiunge che forse è meglio lasciare fare a lui, visto come è andata a me quella volta con le mele caramellate.

Non posso dargli torto. Satō-kun ha impiegato pomeriggi interi a spiegarmi, ma ogni volta succedeva qualcosa di improbabile e fallivo miseramente. Però mi sono impegnato tanto, ho anche preso appunti e consultato siti dedicati, quindi per il Festival della Cultura ho fatto in tempo a imparare e ho potuto prepararle con Eri-chan in quell'occasione. È uno dei ricordi più felici che ho, quel giorno.

I due si allontanano, per andare a chiedere anche agli altri compagni sparsi nel dormitorio se vogliono favorire, e io rimango solo e penso che non sia un peccato se rubo ancora qualcuno di questi dolcetti...

Ma sì, alla dieta e agli allenamenti ci si pensa da domani. Di solito ci sto molto attento, però oggi mi merito anche quest'altra consolazione.

Inevitabilmente il mio sguardo ricade su Kacchan, dall'altra parte del muretto che divide cucina e sala comune.

Dopo aver passato tutto il giorno ad evitare me e tutti quanti, ci ha degnato della sua presenza in queste ultime ore che ci separano dal ritorno dalle rispettive famiglie. È sul divano, nell'angolo più isolato, intento a sfogliare un libro e ogni tanto bestemmiare agli amici che lo infastidiscono di proposito tra una partita a carte e l'altra.

La postura tutta scomposta, un braccio a sorreggersi il viso su cui spiccano un broncio di concentrazione e gli occhiali trovati a Babbo Natale segreto, palesemente dono di Iida-kun, appoggiati sul ponte del naso a incorniciargli gli occhi assorti nelle pagine e che gli danno un'aria così...

Mi trema il culo. Letteralmente, la vibrazione del cellulare mi fa sussultare, quasi saltare sul posto, e mi affretto a recuperarlo dalla tasca posteriore dei jeans.

Sullo schermo lampeggiano il nome e il viso sorridente di Uraraka-san, accompagnati da un messaggio in cui dice che finalmente si è liberata e possiamo parlare come le ho chiesto. Mi aspetta tra una decina di minuti nella sua camera.

Oh. L'ultimo particolare non me lo aspettavo, no.

Ok, Izuku, calma.

Respira, ce la puoi fare.

È vero, non sei mai stato nella sua stanza, né di nessuna ragazza in generale. Ma il punto è che non sai che diavolo è successo ieri, perciò è il momento di smetterla con le paranoie adolescenziali e agire responsabilmente.

Mi appoggio di schiena al lavandino. Sistemo meglio il Chupa Chups tarocco in bocca, fissandolo contro una guancia, liberandomi così entrambe le mani già un po' sudaticce per digitare una risposta sensata o almeno provarci.

Volano sopra la tastiera a vuoto, sfiorano lo schermo, indugiano più volte. Scrivo e cancello e riscrivo e ricancello, per poi concludere un insulso "Ok grazie a tra poco" e un'emoji sorridente.

"Grazie" di che? E, Santo All Might, quella faccina stupida... Che mi sta a significare? Perché?

Prima che possa realizzarlo, ho già inviato. Ed eliminare sarebbe ancora più da idioti, giusto? Affermativo, so per esperienza, quindi...

Izuku, sei ufficialmente un coglione.

Continuo a rimuginare, perché se non lo facessi pure per queste cose futili non sarei io, e mi accorgo con desolazione che ho già finito il mio dolce conforto, vittima della mia vorace ansia.

Affranto, mi accerto che lo stecco sia pulito bene, leccando via i miseri rimasugli di cioccolato prima di buttarlo, che se non facciamo bene la raccolta dei rifiuti nonostante vada comunque tutto nell'indifferenziata Iida-kun si arrabbia.

Quando rialzo gli occhi dal cestino, perdo un battito. Forse anche più di uno.

Mi sta... Mi sta guardando?

Mi sta guardando, sì.

Kacchan mi sta guardando, sta guardando proprio me.

Cioè, lo stava facendo, fino a un millisecondo fa. Non me lo sono immaginato però, giuro.

È che smette subito, di nuovo impegnato a imprecare contro Kaminari-kun che, sdraiato accanto a lui in stile stella marina, anzi più balena spiaggiata, lo urta per sbaglio mentre protesta per aver perso una partita a Uno all'ultimo sangue contro Sero-kun.

Quest'ultimo balza in piedi vittorioso e per sfregio raccoglie tutte le carte, le lancia per aria e improvvisa il ballo della macarena sotto quella pioggia.

Non può mancare la risata di Kirishima-kun, che si fa ancora più sguaiata quando i tre casinisti per eccellenza notano le carte andate a incastrarsi nei capelli dell'amico esplosivo, il quale è, non a caso, visibilmente sul punto di esplodere.

Noncurante del pericolo, il ragazzo dal quirk Indurimento lo raggiunge, in piedi dietro il divano, e allunga le mani sulla sua testa. «Fermo, Blasty, te le tolgo io!»

«Oi, lascia stare i miei capelli, Capelli di Merda!»

«Basta con questa storia, non sono così diversi dai tuoi! Dai, faccio in fretta.»

Kacchan si limita ad altri brontolii incomprensibili, mentre incrocia le braccia al petto e sprofonda a riccio nel divano.

«Bravo Baku, a cuccia.»

«Ti uccido!» esclama ma permette comunque all'altro di fargli pat-pat sulla testa e sistemargliela.

«Aw, il solito tenerone!»

Non nego un po' di fastidio, nel vedere come infierisce ulteriormente arruffandogli i capelli e stritolandolo per bene per le spalle da sopra, eppure mi viene da sorridere alla scena.

Ha ragione, Kirishima-kun.

Amaro fuori e dolce dentro. Come quel cioccolatino.

In tutto ciò, Sero-kun e il suo complice nelle più disparate bravate hanno avuto la brillante idea di unirsi. Hanno progettato un tuffo a bomba, sfruttando il Tape del moro: esso in questo momento avvolge Kaminari-kun, che spiega convinto che così potrà volare come una bellissima fata, e lo sostiene nella rincorsa dall'altro capo del salotto e nel salto verso gli altri due.

Questi ultimi si spostano in tempo, il biondino finisce dritto spatarlato sullo schienale del divano probabilmente con qualche osso rotto.

Quanto meno è ancora vivo, come testimonia la sua ridarella che scoppia incontrollata e a cui si uniscono gli altri che lo aiutano a rialzarsi. Escluso Kacchan, ovviamente. Lui si dilegua, non dopo aver lanciato un generale insulto affettuoso dei suoi su quanto sono deficienti e che li lascerà alle loro cazzate.

In tutto ciò parte seconda, ci sono io che dalla cucina li ho osservati tutto il tempo a mo' di stalker.

Comunque, è la mia occasione. Se questo deve essere il giorno tra i più strani di sempre, in cui scopro scomode verità su di me che da ubriaco faccio cose e in cui devo farci i conti tra conversazioni mattutine piene di fraintendimenti, altre che sanno di cioccolata e appuntamenti, ecco, prima che con Uraraka-san devo assolutamente chiarire anche con Kacchan.

Mi fiondo fuori dalla cucina e lo seguo in corridoio.

«Kacchan...»

Un ringhio, i passi che continuano sicuri.

«Kacchan, possiamo parlare?» riformulo più determinato, sebbene non abbia ancora la minima idea di come giustificarmi.

Ci ho pensato e ripensato, eppure di nuovo mi ritrovo senza parole, senza sicurezze, senza niente.

Cercare, cercare, cercare...

Sono sempre alla ricerca di spiegazioni, di considerazione, di qualcosa che chiedo alle persone sbagliate e faccio casini e ottengo anche conclusioni che non mi piacciono, che fanno male.

L'unica persona da cui cerco attenzioni e risposte è quella più indisposta a darmele. In fondo l'ho sempre cercata per tutta la vita. Poi forse non è stato abbastanza, io non lo sono stato.

Almeno questo l'ho capito, lo sto elaborando. È come una minuscola certezza di fondo di un qualcosa di troppo più grande perché già capisca del tutto.

«Kacchan, puoi solo starmi a sentire un attimo? È stato un malinteso, ok?»

Un malinteso? Quale parte, di preciso? I pensieri poco puri e casti dell'altro giorno, il bacio o ancora ieri sera? Ma chi voglio prendere in giro?

Non importa. Che io cerchi di ingannarci o meno, che sia pronto ad accettare tutto quanto oppure no, questa adesso è la mia unica strategia per ottenere qualsiasi cosa che non sia questo trattamento del silenzio che mi sta distruggendo.

«Io non volevo... Cioè, io volevo solo- Ehi, aspetta...»

Ha girato l'angolo, sta salendo le scale.

«Almeno calcolami! Se non vuoi parlare con me abbi il coraggio di dirmelo guardandomi in faccia e allora la smetterò!»

«Stammi lontano, Deku.»

Due settimane.

Due dannate settimane e cinque fottuti giorni per cavargli fuori la stessa identica frase che mi ha rivolto l'ultima volta che mi ha parlato seriamente.

Eppure è la risposta che mi aspettavo.

E non ci sono abituato, al rifiuto? Di mio padre, dei miei compagni di infanzia e alle medie, del mondo degli hero prima di ricevere un'unicità e della persona che ho sempre inseguito, che più di tutte desidero e che più di tutte non posso avere.

Ci sono abituato, perché allora ci rimango male? Perché deve fare così male?

C'è solo un misto letale di risentimento e disperazione, ora, a guidarmi.

Che vadano a farsi fottere la razionalità e il rispetto e l'empatia e il non essere egoisti e tutto, se questi non ci sono mai stati tra noi due, se niente ha mai avuto e mai avrà un senso in noi.

Lui non fa altro che calpestare i miei sentimenti, adesso è il mio turno di agire come mi pare incurante dei suoi, anche se significa ferire entrambi nel processo.

È sempre funzionato così tra noi, no? Non capirci, farci male a vicenda, mandare facilmente a rotoli quel che con fatica si è costruito.

«Kacchan», ormai sto supplicando, un'ultima richiesta di pietà per il mio stupido cuore, «Ti prego».

Gli afferro un braccio, lo trattengo bloccandoci in bilico sui primi gradini. Ironico come sia cominciato tutto qui stamattina, il processo di realizzazione che mi ha portato a questo istante, e come qui finirà.

«Non mi toccare.»

Un suo scatto e prima di poter capire mi ritrovo trascinato indietro, prima delle scale, contro il muro. Incastra un braccio in orizzontale tra le mie spalle e il collo, tenendomi ancorato alla parete e alzandomi un po' il mento.

E tutti i miei propositi cadono, quando lo vedo finalmente in faccia.

Non l'avevo mai visto... così.

Le guance sono rosse, come le orecchie seminascoste dai capelli, gli occhi accusatori. Ma non è rabbia, aggressività e non è fastidio, è mettersi sulla difensiva e dell'altro che non riesco a decifrare.

Kacchan è davvero in imbarazzo, come diceva Kirishima-kun. È imbarazzato... per me? E perché se da una parte chiaramente mi dispiace, mi pento, dall'altra no? Vederlo in questo stato, sapere che ha questa reazione a causa mia.

«Scusa,» farfuglio, il buon senso prende di nuovo il sopravvento, «per tutto, non volevo... Non volevo metterti a disagio-»

«Ma l'hai fatto», mi interrompe in un sibilo. «L'hai fatto e continui a farlo, quindi non prendermi per il culo, Deku.»

«Se è per ieri sera, io davvero non ero in me-»

«Ah no? E che cazzo era quella specie di spettacolino erotico in cucina, prima, hah?»

«Quel... Cosa?»

«Il cioccolatino.»

Sbatto più volte le palpebre, le ciglia sfarfallano sulla figura di Kacchan che ammutolisce e sgrana gli occhi incredulo alle sue stesse parole mentre anche il mio cervello elabora.

«Woah, no, un attimo!» la mia voce poi esplode nel silenzio più alta di qualche ottava e le mani prendono a muoversi davanti alla mia faccia che va altrettanto in fiamme. «Non stavo alludendo a...! Perché l'hai pensato- Mmpf!»

«Sta' zitto.» Con una mano ferma le mie e con l'altra mi tappa la bocca.

Mi fissa.

Di nuovo, non dice niente, mi fissa e basta e io piano piano mi sento morire dentro, morire dentro per davvero.

Perché se l'ho pensato stamattina, posto di fronte all'evidenza di quanto sono un idiota, mi sbagliavo.

Non è paragonabile a questo. Niente al mondo lo è.

Non è solo l'imbarazzo, che anzi via via scema.

Gli occhi cremisi incastrati nei miei, per pochi secondi in muto che stavolta paiono interminabili. Il tempo che si dilata, intrappolandoci nell'eternità di pochi istanti e mi starebbe bene rimanere così per sempre.

È qualcosa di più profondo, viscerale, spaventoso quanto attraente nel senso più puro e totalizzante del termine.

Rosso intenso, fuoco vivo che brucia questo silenzio, i miei occhi che in essi si riflettono, il mio cuore.

Tutto in me brucia, io brucio.

È questa la vera morte, la vera fine, la vera perdizione per me.

Lo vedi? E lo senti anche tu, vero, Kacchan?

Dimmi che lo vedi e lo senti pure tu e che ti fa paura e allo stesso tempo ti attrae da morire come a me, e la causa sei tu.

Sei tu, sei sempre stato tu...

Non smettere, ti prego, continua a guardarmi.

Guardami.
Guardami come brucio.
Io brucio, brucio per te, Kacchan.

«Non guardarmi così...»

Non realizzo quanto tempo passa o quando è accaduto che ci siamo avvicinati così tanto, se sono stato io o anche lui, a finire con le fronti che si sfiorano e i respiri che si fondono.

Finché Kacchan sussurra questa frase, e toglie la mano.

Il suo sguardo attento continua a scrutarmi come mai prima, al punto che temo possa leggermi dentro.

Scivola sulle labbra che mi mordo in automatico e io mi ritrovo a fare lo stesso con le sue.

«Kacchan...»

Mi sfugge un sospiro e ritorno a guardarlo da sotto le ciglia.

Qualcosa in ciò lo fa scattare e tornare alla realtà.

La bolla in cui eravamo sospesi scoppia.

Kacchan indietreggia di colpo, come se si fosse scottato, e appena un secondo dopo non c'è già più.

Lo vedo che sparisce in cima alle scale, che mi dà la schiena come gli ho visto fare per tutta la vita e se ultimamente mi ero illuso di poter stare al suo fianco mi sono sbagliato.

E massaggiandomi la gola dolorante, non solo per essere stata schiacciata ma anche per quella sensazione di un qualcosa che di nuovo raschia dall'interno e mi costringe a catapultarmi in bagno, ripenso alle parole di Kirishima-kun.

Questo comportamento sarebbe il suo modo. L'unica via che Kacchan conosce per salvaguardare entrambi.

Ma più vado avanti e più sento soltanto che mi sgretola poco a poco, disintegra da dentro.

Perché non basta.

Non basta che Kirishima-kun mi dica quelle belle cose, facendo da portavoce o magari inventandosele per farmi stare meglio.

Non basta che Kacchan mi tenga alla larga, magari non davvero per cattiveria ma per riflettere o per paura, la mia stessa paura di sentirmi così indissolubilmente e dolorosamente legato a qualcun altro.

Non basta che mi faccia finte offerte di pace con il katsudon e poi torni a minacciarmi e poi ancora ignorarmi e scappare e illudermi. Non bastano la sua temporanea tolleranza e i suoi sensi di colpa, non basta che ci provi pur con tutto sé stesso se il risultato è questo.

Il mio cuore strappato via e bruciato da quel fuoco, in una lenta tortura.

E non va bene che io mi faccia trattare così ed è sbagliato che mi piaccia.

Fa male e non me lo merito eppure sento di averne bisogno. Perché ormai sono dipendente da questo dolore che mi tiene vivo, mi ricorda che esisto.

Così sembra volermi ricordare anche la tosse nervosa che riprende a scuotermi. Corro in camera, con i polmoni in fiamme e lo stomaco sottosopra, e il cuore ormai ridotto in cenere.

No, non basta, Kacchan. Anche se non hai intenzione di ferirmi, continui a ridurmi in pezzi.

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