⚠│ kiribaku :: middle of the night
art :: @/heiyinliao, twitter
data :: 26/09 - 14/10/24; pubblicata 16/10/24
lunghezza :: 11.000+ parole
ispirazione :: "Middle of the night", Loveless (cover)
au :: band, future (no spoiler, aged up to 22+), deaf bakugō
genere :: songfic; smut
sideship :: ShinKami, MomoJiro
tw :: sensory deprivation, exhibitionism, a bit of degradation
smut :: da "In the middle of the night", circa a metà
in cui :: Due sono gli amori della vita di Katsuki: la musica e, purtroppo, il ragazzo dalla faccia d'angelo e l'anima da stronzo con cui ha un'intricata relazione aperta, Kirishima Eijirō.
Questa one shot è collegata ad altre due che avvengono nello stesso AU, la ShinKami "lie to me" e la MomoJiro "cigno nero". Lo dico se volete avere un quadro più completo e gradite le coppie; non serve conoscerle per capire questa!
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C'è un momento, in alcune canzoni tra lo special e il finale, che si chiama breakdown e che io chiamerei meglio magico.
Per qualche frazione di millisecondo, tutto tace.
Strumenti, voce, pubblico: rimaniamo sospesi per un assurdo istante.
È... catartico.
Brevissimo quanto potente, carico di tutto ciò che ha portato ad esso e di tutto ciò che dovrà venire dopo guidato proprio da me. Il padrone sono io.
Lo aspetto segretamente per tutto il brano quando con la band ne portiamo con questa struttura. Poi non avrei mai immaginato di rifletterci mentre suoniamo in uno squallido pub "Bad Romance" di Lady Gaga in versione rock, nemmeno so come ci siamo finiti con me che accetto che sia una buona idea, ma...
«I want your love, and I want your revenge
I want your love- I don't wanna be friends
J'veux ton amour, et je veux ta revanche
J'veux ton amour, I don't wanna be friends»
Eccolo, sta arrivando.
Non è il mio cervello quanto l'adrenalina a farmi muovere di puro istinto; il corpo fuso con la batteria come se fosse il suo naturale prolungamento. Cassa in quattro e tom-tom sbattuti con più enfasi, accompagno in crescendo Kyoka alla voce, Yaoyotette che dalla tastiera le fa un cenno emozionato allo sguardo con cui cerca la complicità di tutto il gruppo — ma di lei specialmente -, Denki e Uccello alle chitarre.
«I don't wanna be friends
I don't wanna be friends
No I don't wanna be friends
Want your bad romance
Want your bad romance!!!»
Le bacchette danno l'ultimo colpo e ritornano in posizione, incrociate a sfiorare il bordo metallico del rullante sulla sinistra. Il piede destro rilascia seccamente il battente e l'altro controlla l'avvicinarsi dei piatti del charleston, fino ad affinare il suono e farlo finire tutto insieme in un perfetto choke.
È magico, il silenzio.
Non si direbbe di me che sono sempre troppo rumoroso e bla bla, però a me piace la musica che è rumore ordinato e piace il silenzio che ne è una parte altrettanto fondamentale.
Tipo una metafora degli alti e bassi, dei momenti di caos come di calma, che ci dovrebbero essere nella vita, qualcosa del genere, che è in fondo irrealizzabile per uno come me perché non sono in grado di gestire e mi faccio più travolgere. Da me stesso, soprattutto. Questo silenzio mi piace perché mi dà un'illusione di controllo. Qui sono io a decidere quando, perché, come continua la storia.
Tocca a me infatti ripartire dando il beat a tutti. Per questo ho sempre trovato la batteria figa e perfetta per un leader nato come me: è in primo piano nella melodia anche quando è sullo sfondo del palco, senza di essa a dirigere come un maestro d'orchestra gli altri sarebbero allo sbando.
«I want your love, and I want your revenge
You and me could write a bad romance (oh-oh-oh-oh-oh)
I want your love and all your lover's revenge
You and me could write a bad romance»
Esplodiamo un'ultima volta, io e la musica.
Sono talmente in the pocket, in coordinazione massima con lo strumento e in complicità con i miei compagni, senza né mancare né esagerare andando in overplaying rovinando tutto con il mio protagonismo- insomma non ci sono termini che rendano quanto cazzo mi sto sentendo bene!
«Oh oh oh oh oh, oh
Caught in a bad romance
Oh oh oh oh oh, oh
Caught in a bad romance»
Sono così concentrato che è come mi potessi vedere dall'esterno, mi estraniassi, e potessi vedere anche tutto il resto al rallentatore. A volte la musica piega il tempo.
Adesso, come quando si è nel flow di uno sport o nel pieno di un combattimento al massimo delle capacità psicofisiche, potrei giurare di catturare ogni dettaglio. I miei occhi si alzano dai tamburi, vagano sulle schiene dei ragazzi e poi oltre il palco. Tra le luci che li accecano, individuano a velocità impressionante, legati come calamite, quelli simili della persona che quelle luci le sta comandando nella piccola cabina di regia allestita di fortuna tra i tavoli.
È troppo lontano per vederlo davvero, in realtà, ma non mi serve per essere sicuro che Eijirō mi sta sorridendo.
A me, soltanto a me.
O così mi piace pensare.
Mi sistemo l'auricolare in-ear, che di norma prediligo all'affidarmi solo alle casse sul palco, e mi godo le ultime battute della mia droga preferita. (Ehi, se suona da sfigato che mi tengo lontano da quella seria, almeno questa roba non uccide).
Denki si avvicina e si gira verso di me. Le guance arrossate, le ciocche bionde ribellate alla coda attorno: lo farei quasi solo di riflesso ma sorrido perché mi sto divertendo anch'io, e per un attimo vedo anche noi due qualche anno fa al liceo che ci trasmettevamo queste stesse cose.
Che giuravamo di far esplodere le comparse con la nostra musica.
Che ci facevamo promesse...
«Na na na na-na, na na na na-na-na
Na na na na-na
Want your bad romance!»
Gli applausi ci investono così velocemente che realizzo a scoppio ritardato essere tutto già finito.
È più gusto di fare rumore, credo, a giudicare dal posto sgangherato in cui siamo capitati e dallo stato prossimo al coma etilico di parte della sala; comunque sono contento che la serata sia piaciuta — avessero osato dire il contrario e li avrei fatti saltare in aria — eppure, eppure...
Non c'è più il silenzio e non c'è più la musica.
La magia è svanita.
Anche questa volta è durata maledettamente poco e nei confusi minuti seguenti devo sopravvivere a quella fase fatta di voglia di mandare a fanculo tutti e tutto.
Vengo strappato dalla mia bolla dove potevo tenere ogni cosa io sotto controllo, vengo ricatapultato nella vita.
In altre parole, preferirei mi venissero strappati i coglioni a morsi all'agonia di dover scendere dal palco nel bagno sudato di folla. Se non mi dispiace essere acclamato, dopotutto sono il migliore cazzo, questi momenti superano la soglia della mia sopportazione verso gli esseri umani e quindi tra ragazzine che emettono ultrasuoni mentre sfiliamo e gente che prova a toccarmi e trascinarmi quando chi cazzo ha dato loro il permesso, coraggiosamente schivo — e schifo — e riesco a rifugiarmi nello stanzino sul retro.
Ridicolo, lo so, il grande Dynamight ridotto così...
La fama è un'altra di quelle cose difficili da gestire, ok?
A me è sempre interessato vincere ed essere il migliore, punto. Non ho mai chiesto tutto il corollario di groupies impazzite, tabloid altrettanto, o di tizi viscidi che si offrono di organizzare viaggi scortati dalla sicurezza, vacanze dal lavoro senza rompicazzo o eventi musicali come quello di stasera e poi c'è l'inculata. In tutti i sensi. Perché sì, nel mondo della musica tanto quanto in quello degli heroes succede anche questo.
Presumo che dovrò ringraziare come si deve l'uccellaccio del malaugurio perché, se la location e l'organizzazione non sono il massimo, Tokoyami ha scelto questo posto fuori dal mondo anche per me.
Ci siamo persino ridotti a prendere Capelli di Merda, Faccia Piatta e Bastardo a Metà come tecnici delle luci e fonici! Tutto in uno! In realtà da qualche mese va avanti e, battute a parte sui loro disastri ai Festival della Cultura ai tempi della Yuuei, se la cavano.
Tutti questi elementi ci fanno mantenere l'immagine di una band vera, genuina, composta sì dagli eroi più discussi della Hero Billboard Chart giapponese ma anche da semplici amici che vogliono continuare a divertirsi insieme.
Ed è la verità. Ma a volte mi viene in generale da chiedermi quanto io non sia più o meno... costruito. Cosa ostenta Dynamight e cosa è Bakugō, cosa deve ostentare e cosa vuole Katsuki.
Ha un filo logico il discorso? Per un cazzo. Sto overplayando nei miei pensieri. Fantastico...
«Fanculo.»
Nel dubbio colpa del fottuto Deku e della sua influenza ed è ora che mi ripigli.
Mi alzo pigramente da contro la porta. Mi sistemo la felpa e il chiodo sopra i non-vestiti di scena approvati con Denki — canottiera larga sul petto e sui lati, i cargo con i lacci da stringere che mi fanno il bel culo, anfibi — o subirò uno shock termico a passare dal calore del palco a fuori dopo essermi calmato. Sostituisco gli in-ear con gli apparecchi, ardua impresa dato il mio stato confusionale post-adrenalinico senza neanche che sia brillo; ripongo con cura i primi nello zaino e prendo quest'ultimo in spalla intenzionato a portare il mio suddetto culo fuori di qui il prima possibile.
Mi piace la musica, non il disordine e il dopo tutto socializzazione, convenevoli di merda, festeggiamenti, conseguenti hangover il giorno dopo. Per amor del cazzo, no grazie, passo.
Però mi dico che devo rimediare al fatto di essere poco brillo e che non è una cattiva idea prendere una delle birre che sempre Denki ha insistito a portare nel nostro privée dei poveri per fare after.
Ogni volta lo deludiamo, un po' mi dispiace, perché finiamo a disperderci e collassare prima da qualche altra parte, a ritirarci — questo è il sottoscritto -, a farci i cazzi nostri, o quelli altrui... letteralmente — questo era lui prima che rompesse con Hitoshi e, di nuovo, sono io.
Ma a proposito di Denki e di cazzi...
Mi strascico per il corridoio a cappuccio calato fino ad avere una visuale della sala principale. Mollo la birra ancora piena in mano a qualche sconosciuto prima che capisca chi sono e si attacchi per defilarmi dal casino lungo le pareti e rintracciare lui e l'altro idiota. Non mi piace perdere tempo così e inoltre quei due devono chiarire: Kyoka mi aveva chiesto di aiutarli questa notte perché, se ci deve essere un limite alla nostra intromissione, sono d'accordo che sarebbe insostenibile vederli così un giorno di più.
L'illuminazione non è eccezionale, comunque è impossibile non trovare subito Denki. Anche perché è una cazzo di palla da discoteca con tutte quelle paillettes.
È al bancone. La serata non può che concludersi con un "se dobbiamo ubriacarci dobbiamo farlo bene" e...
Sta ridendo, con lui ci sono Deku e Todoroki, Hanta che fa più la candela, ed Eijirō e Mina poco più distanti per i fatti loro.
E qualcosa non quadra.
Perché... Perché quei due sono così vicini?
Perché Mina sta sulle sue cazzo di gambe?
Le mie gambe.
Forse non è proprio sopra. È più in mezzo. Sembra che... Sembra si stiano abbracciando. La mano di Eijirō le avvolge un fianco e infine la schiena tenendola a sé. Il viso di lei è troppo vicino al suo collo per i miei gusti, ci si infila. Si stanno dicendo qualcosa...
Eijirō gira di scatto la testa come se si sentisse osservato. O in pericolo.
In effetti a questo punto gli avrei perforato il cranio da parte a parte se gli sguardi potessero fulminare. (Quante volte ho desiderato fosse il mio vero quirk).
Non ci sarebbe nessun problema. Sul serio, loro due sono amici da una vita e anime gemelle, sono stati sempre l'eroe l'uno dell'altro, e hanno quel genere di atteggiamenti molto fisici e Mina lo è anche con me se glielo permetto così come Eijirō lo è con tutti. Abbiamo una relazione aperta, io e lui, siamo scopamici senza esclusiva, può flirtare con chi cazzo vuole. Forse mi fa senso o sono geloso del fatto che sia con la migliore amica e che prima del concerto era me che voleva sbattere sulla stessa batteria interrompendo le mie prove, ma...
Troppe digressioni. È la sua espressione, il cazzo di problema. Punto.
Colpevole.
Mi fa incazzare. Lo sa perfettamente anche lui, Dio...
Come se si stesse già scusando di qualcosa di cui stando ai patti non dovrebbe nemmeno scusarsi. Qualsiasi cosa sta pensando non sarebbe piacevole per me se la sapessi: sta chiaramente urlando così. E di non scaldarmi, non fare scenate, adesso mi spiega tutto... Come sempre. Sì, come sempre e poi, Dio sa come mi convincerai, torno a ristrisciare da te fottuto bastardo?
È successo tante di quelle volte di vedere quella faccia da schiaffi che il mio corpo reagisce in automatico, in un meccanismo appreso. Si protegge a modo suo. Mentre io mi faccio sottomettere da me stesso, mi lascio trasportare dall'impulsività che almeno fa la cosa sensata di trascinarmi fuori.
Credo di lanciare ad Eijirō uno sguardo alla "noi facciamo i conti dopo" prima di uscire sul retro del locale.
Prendo una boccata d'aria, finalmente.
È fredda. Non abbastanza da farmi sbollire completamente per mettere ordine nella testa.
Mentre scaccio il vero motivo per cui sono tanto arrabbiato, sento un rumore a qualche metro. Stringendo gli occhi, metto a fuoco la figura di Hitoshi sulle scale alle prese con un bicchiere vuoto.
Ma che cazzo...?
Vado a chiamare Kyoka; quindi in un grosso sospiro mi avvicino o me ne pentirò in un tempo molto breve. Voglio immaginare che il destino mi stia parlando: magari dare una mano a quella merdina sfigata mi farà sentire più in pace. Avrò aiutato degli amici che si meritano di stare insieme e avrò tenuto lontani i miei di problemi per un po'.
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I summoned you, please come to me
Don't bury thoughts that you really want
I fill you up, drink from my cup
Within me lies what you really want
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«Hai fumato, Katsuki?»
È la prima frase che lo stronzo mi rivolge dopo eterni minuti di silenzio in macchina.
È uscito dal pub come se niente fosse, mi ha raccattato che lo aspettavo di nuovo da solo come un coglione reduce da una immotivata crisi di pianto senza sospettare nulla della mia leggera instabilità, mi ha fatto salire e aspettare ancora, sa che odio aspettare, si è addirittura perso a scherzare con i tizi della sicurezza fuori — quelli assoldati da Deku mentre quel disperato era a cercare per l'ennesima volta di farsi rimorchiare da Todoscemo -, si è messo finalmente al volante spensierato, ha osato canticchiare per il primo tratto di strada verso l'hotel, non mi ha parlato una volta.
Io sono rimasto affossato nel sedile, a guardare ostinatamente fuori anche se è buio e chiedermi come reggerò i diversi chilometri che ci separano dalla civiltà. Mi sono chiuso nel silenzio e il bastardo mi ha ignorato fino ad adesso, solo perché ho spento la fottuta radio e l'ho guardato storto a lungo.
D'accordo, sono un incoerente, voglio parlare e voglio essere lasciato in pace, voglio stare per conto mio ma voglio attenzione, però... Quindi ad un tratto si accorge di me? Sono un soprammobile da portarsi dietro finché lo scoccia se fa rumore? È questo tutto ciò che ha da dire, e che cazzo significa, cazzo vuole?
Lo ripete anche, con il suo tono duro da rimprovero. «Hai fumato, Katsuki?» lo sguardo ora fisso nel mio ancora più rosso alla luce di un inutile semaforo in mezzo al nulla.
«E allora?» sbotto. Dovevo far passare il tempo... Farmi passare quella cosa alla bocca dello stomaco e non solo perché ho discusso con Hitoshi — dato che finisco sempre a litigare con tutti anche quando voglio risolvere i problemi, creandone altri.
«Hai anche bevuto, magari.»
Wow, quanto si fida di me e viene a farmi la paternale.
Denki dice che con i miei modi sono peggio di Kyoka quando ha il ciclo, con la differenza che io li ho sempre. Decido che il coglione non si merita di sapere che non l'ho fatto né di sapere perché ho le palle girate: lo accuserò con il mio silenzio finché non ci arriverà da solo.
«Perché è quando ti ubriachi che diventi silenzioso e più scontroso del normale. Senti...» si fa più dolce il mio Kirishima.
Allunga una mano a cercarmi la coscia.
«Sto cercando di darti i tuoi spazi, ma adesso basta, devi dirmi cosa hai.»
Oh, un attimo, non riuscirai più a mascherarti con la tua bontà da Golden retriever boy come fai con tutti. Ti conosco in ogni tuo lato nascosto, sei stato tu a mostrarmi il lupo che hai dentro, consapevolmente, ricordi?
Non ci riuscirai men che meno toccandomi in un modo che somiglia più al ricatto dato che sai quanto me ne faccio imprigionare facilmente...
«Siamo alle solite e non mi va di rovinare una bella serata, mh?»
Si corregge, poi, rimettendo l'accento su ciò che dovrebbe essere importante: «Non voglio altre incomprensioni. Voglio che stiamo bene. Per favore, 'Tsuki».
Il soprannome intimo stona nel contesto. Tutto è strano, mi ha fatto perdere anche la voglia di incazzarmi, non mi va più di litigare o di pensare alla verità che non sono arrabbiato quanto ferito e basta.
Non è la prima volta che usa involontariamente o meno la strategia del disagio per rendermi buono buono alle sue moine. Sono ancora abbastanza lucido per non caderci: ritraggo la gamba in uno scatto e torno a guardare dall'altra parte.
Lui riporta la mano sul cambio. La pressione con cui ingrana le marce a ripartire tradisce infatti tutto quel miele improvviso.
«Come vuoi tu, Katsuki.»
Dopo la risposta fredda, non ci rivolgiamo parola per l'ultima mezz'ora che ci separa dall'albergo.
È nel centro della più vicina città degna di questo nome. Ho insistito per prenotarne uno ad almeno quattro stelle, in una buona posizione, che avesse un parcheggio sicuro per lasciare gli strumenti e le attrezzature e un attico decente, meglio se con vista, e che garantisse privacy, poca gente per i fatti suoi e personale che non rompesse i coglioni. Un po' sono viziato, un po' tra lavoro e musica non posso permettermi di fare delle tirate da casa al locale di turno e ritorno. Devo dormire le mie ore o addio fare bene il mio dovere da hero e top 3 nella Billboard. Conciliare Dynamight e Bakugō e forse Katsuki...
Kirishima si è semplicemente accodato, stando ai miei capricci, senza che gli venisse chiesto.
I receptionist sono le uniche anime che incontriamo dato che evitiamo chiunque, e dietro compenso tengono per loro la curiosità morbosa ad avere come ospiti due eroi importanti dagli atteggiamenti insospettati, diversi ogni volta che li vedono varcare la soglia: ora da coppietta, ora da animali che non resisteranno fino all'ascensore per saltarsi addosso e al diavolo la privacy sulla nostra non-relazione, ora da coniugi divorziati da manuale.
Stavolta è più da sconosciuti, con me che marcio a falcate pesanti e Kirishima che mi sta dietro a malapena.
Peccato che non riesca a chiudergli l'ascensore in faccia.
Me lo trascino dietro così fino alla camera.
Sbatto la porta.
Butto chiavi e zaino sul letto anche se non mi piace lasciare le cose fuori posto, per quanto sono incazzato.
Mi spoglio così in fretta e furia dell'oufit da "troione da combattimento" come l'ha ufficializzato Denki, che Kirishima non ha tempo di realizzare cosa stia succedendo — scommetto che il primo pensiero che elaborerà tra un po' sarà poco casto, perché sa ragionare solo con il cazzo e perché non sarebbe la prima volta che finiamo a litigare scopando. Sono abbastanza sicuro che mi stia guardando il culo infatti mentre arraffo l'occorrente per una doccia, così mi volto per scaraventargli i pantaloni addosso e mi chiudo in bagno al ringhio di un «Coglione!».
Già: sei quello che voglio come io sono quello che tu vuoi ma sei anche, davvero, un impossibile coglione.
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These burning flames, these crashing waves
Wash over me like a hurricane
I'm captivated, you're hypnotized
Feel powerful, but it's me again
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Questa è la parte della storia in cui dovrei fare un po' di altra noiosa introspezione per arrivare ad ammettere che coglioni lo siamo in due.
Sono da qualcosa come cinque minuti allo specchio.
Rimuginavo, come mio malgrado faccio spesso quando posso starmene da solo, facilitato dal fatto che ci sto mettendo secoli a togliere la maledetta matita e l'illuminante prestati da Yaoyotette. Stupide tecnologie waterproof... Beh, a quest'ora sarei un panda dato che fuori dagli schermi sono scoppiato e Dio quanto piangere fa schifo, quindi forse devo ringraziarla. In generale lei e quella diva di Denki sono sempre pronti ad assecondare le mie idee: io penso con il mio ottimo gusto, loro mettono in pratica, dal dress code dei concerti ai costumi da heroes. Avere i genitori che lavorano nel design sarà servito a qualcosa. A proposito, è da un po' che non faccio sapere qualcosa tipo che sono vivo, le notizie in tv non possono sostituire una telefonata che è il minimo...
Come dicevo? Rimugino, mi perdo.
Un sospiro abbandona le labbra del Katsuki che mi osserva stanco intrappolato nel riflesso del vetro.
Con l'aiuto delle unghie smaltate, si toglie con calma gli orecchini e poi gli apparecchi acustici.
Non farò mai la completa abitudine alla sensazione strana che si genera quando sono a metà del processo. L'orecchio destro non capta il tintinnio di quando vengono appoggiati delicatamente nella custodia, il sinistro sì, facendomi sentire in bilico sul mondo.
Poi anche da quella parte meno debilitata, ma pur sempre deprivata, ogni piccolo rumore di sottofondo tace.
Sono nel mio amato silenzio.
In realtà è più un leggero brusio, come lo statico dei vecchi televisori a tubi catodici. È questo il nuovo silenzio e la nuova musica della mia vita.
Ricordo che le prime volte fare la doccia era un incubo. Lo shampoo sui capelli era un massaggio di cui non sentivo più allo stesso modo il piacevole sfrigolio, il suono delle gocce contro la pelle si distorceva creando una melodia di tamburi ovattati sconosciuta e un po' spaventosa. Ad oggi però amo anche questa canzone. È sempre musica, solo diversa, che mi accompagnerà per sempre e sempre mi ricorderà chi sono.
Ipoacusia neurosensoriale cocleale da trauma acustico, cronica, irreversibile.
È il nome abbastanza mostruoso della roba che mi fu diagnosticata cinque anni fa dai migliori medici del Paese, già stupiti che i miei timpani avessero resistito al mio stesso quirk fino ad allora e che con la mia esplosione più potente nella guerra per la salvezza del Giappone e del mondo intero non me li fossi totalmente distrutti. La genetica fa le unicità e talvolta fa delle protezioni da sé stessi, si presume: avevo una soglia del dolore da rumore molto più alta del normale e questo mi ha salvato in parte l'udito.
A destra è stato più danneggiato, come in generale gli arti superiori coinvolti nel quirk che uso di più da quel lato. Forse il processo era iniziato anche prima dato che mi sono esploso nelle orecchie per anni. Non lo volevo ammettere perché, dai, è da sfigati auto-infliggersi danni con la propria unicità... Poi guardavo quel masochista di Deku per cui era la prassi dal giorno zero rompersi almeno un osso a settimana, e mi rendevo sempre più conto che tutti avevano effetti collaterali che affrontavano senza vergogna a parlarne e farsi aiutare, a testa alta.
Quindi non c'è molto da recuperare, ma posso preservare. Le medicine, la terapia e l'apparecchio retroauricolare di quelli invisibili che colma dove le mie fottute cellule cigliate recettrici del suono hanno abbandonato la nave, è stato bello e adios, mi aiutano a gestire il tutto.
Quando per la prima volta indossai l'impianto, uscendo dalla clinica la prima persona che vidi e soprattutto che sentii fu Eijirō. Non mi volle dire da quanto mi stava aspettando nascondendo malamente la sua ansia. Con un sorrisone dei suoi da squaletto idiota, sollevato e quasi... dolce, mi disse un'altra cosa: io titanio, lui roccia, saremmo stati la squadra più resistente che fosse mai esistita, anche al di là dei nostri quirk, perché eravamo dei sopravvissuti. E tra segni da reduci e cicatrici eravamo anche fighissimi!
Quella fu anche la volta del mio primo bacio.
Avevamo diciassette anni, un passato traumatico alle spalle sconsigliabile a dei ragazzini ed un futuro più luminoso davanti a noi in cui abbandonarci alle emozioni e alle cazzate che non ci eravamo potuti concedere.
È stato lui, il mio Eijirō, più di chiunque e più di qualsiasi terapia ad aiutarmi a convivere con il nuovo Katsuki, in quel periodo di scombussolamento emotivo e in quelli a seguire.
Poi, è diventato anche il mio più grande problema.
Per le cazzate di cui sopra, dopo quel bacio impulsivo e il mio evitarlo per giorni per di capire che ci piacevamo a vicenda — fisicamente, dato che ci scopavamo con gli occhi da tempo -, ci lanciammo in questa cosa... Relazione aperta la chiamano, cioè un rapporto in cui si sta insieme quando si vuole, senza appesantire per forza con i sentimenti, e in modo non esclusivo. Fui io stesso a volerlo, mi dicevo che era perfetto per me bisognoso di mantenere distacco e miei spazi.
Ad ora però la chiamerei disastro preannunciato, perché tra lui che potrebbe stendere tutta la popolazione mondiale con il suo sorriso e non sa dire di no e tenersi il cazzo a posto, e me che schifo i sentimenti solo perché non ho mai imparato a controllarli, doveva essermi chiaro che non avrebbe funzionato.
Esco dal box e mi infilo subito nel pigiama lasciato sul calorifero.
Pulisco lo specchio appannato incontrando insoddisfatto il mio riflesso. Non solo perché prima dell'asciugacapelli e della skin care sono discutibile... Eccolo, proprio davanti a me, il coglione che si è innamorato di un altro coglione.
Se anche Eijirō ama me come dice, qualsiasi cosa l'amore significhi per noi, non posso imprigionarci in una relazione seria inadatta ad entrambi e non posso essere geloso, non vorrei davvero... Invece impazzisco e sospetto persino della sua migliore amica. In effetti gli mancano solo alcuni della nostra cerchia nel senso più ampio e ci ha collezionati tutti. Anche Denki, già, nonostante le promesse, anche se per far ingelosire qualcun altro e non ce l'ho con lui. Il punto è che neanche ad Eijirō posso recriminare nulla. Sono i patti che ho chiesto, no?
In questo caso, poi, Mina è perfetta, Eijirō... Kirishima altrettanto, si meriterebbero l'un l'altro, forti del loro legame profondissimo al di là delle definizioni.
È che anche io lo ho con Deku, ma non me lo sbaciucchio, penso ironico; poi ricordo che avrei lo stesso diritto di Kirishima... dello stronzo di essere libero di frequentare anche altri, nessuno me lo ha mai impedito.
Soltanto me stesso.
Ci ho provato, davvero: con quel poliziotto sul lavoro, con un medico conosciuto per lo stesso motivo, o con l'insegnante privato di lingua dei segni... oh lui era veramente l'incarnazione del sesso su due gambe; tutti allontanati quando eravamo a tanto così.
Non riesco a considerare altri al di fuori di Eijirō, il mio Eijirō, perché in realtà sono un maledetto sentimentale e mi fa incazzare, mi fa incazzare perché mi ferisce e mi rende insicuro. Sono anche un incoerente vigliacco che preferisce nascondersi dietro l'etichetta di relazione aperta e i suoi problemi di rabbia risolvibili con una scopata perché non sa parlare senza rovinare ogni cosa.
Katsuki è un casino.
La testa di merda, come mi impongo di chiamarlo, non aiuta facendosi trovare ancora sveglio ad aspettarmi.
È mezzo nudo a letto, che come fa con questo freddo non capirò mai. Scrolla distrattamente il dito sul cellulare, il braccio libero regge la testa evidenziando i muscoli in tensione. Nemmeno se le deve studiare queste pose...
«Kat...!» si rianima a vedermi. Proprio come un Golden retriever. Più che non saper rimanere duro con me a lungo, è nella fase in cui capisce che qualche ragione la avrò anche se tendenzialmente mi incazzo per tutto, solo che non capisce ancora quale.
Lancia il telefono sul comodino e si fa da parte. «Vieni a letto?» butta fuori esitante, con la sua espressione da cane bastonato che spera di fare pace.
«Uhm.»
Il mugugno basta a ripagarlo. Mi studia attentamente, mordicchiandosi le labbra con i denti appuntiti, che poso con cura la scatola degli apparecchi sul mio comodino e smanetto un attimo al cellulare prima di spegnerlo.
«Sveglia presto?»
«Uhm.»
Mi intrufolo sotto le coperte avvolgendomi a bozzolo, dandogli la schiena. Sarà difficile addormentarmi sentendomi il suo sguardo più dolce quanto tormentato addosso...
«Ehi. Sei stato bravissimo sul palco stasera. Non te lo avevo ancora detto. Anche se è stato così ovvio, come sempre, volevo dirtelo. Poi riguardo a prima, in macchina... Dovremmo parlarne. Io-»
«Sta' zitto», mormoro stancamente. «Me la farò passare. Fallo anche tu. Per ora mi basta che smetti di parlare, che non ti muovi come un maledetto come al solito, che non russi e che mi lasci il mio benedetto riposo, e va bene così. Dormi, Capelli di Merda.»
«Ma... Ok.»
Esce strano il soprannome. Ora che molti confini tra noi sono stati oltrepassati, usarlo è come ritornare a prima. Non in senso freddo ma sottintendendo comunque un affetto diverso. È come se lui mi chiamasse "Bakugō" o " Baku", per non parlare dell'orribile "Bakubro".
Anche inconsciamente continuo a mettere muri.
Non so quanto tempo passi, potrebbero essere pochi minuti come decine, tra viaggi mentali e tentativi di abbandonarmi al mio silenzio di rumori bianchi, prima di percepire il braccio venire sfiorato da sopra la coperta.
Mi irrigidisco; Kirishima appoggia con più convinzione una carezza.
Sento, grazie al calore, anche il resto del suo corpo più vicino al mio, anche se non si azzarda ad attaccarsi alla mia schiena.
E fa bene, perché mi trattengo dallo sganciargli un pugno per il mezzo infarto e perché sta rendendo tutto già abbastanza difficile.
Lo scrollo via, rallentato dal sonno e dalla volontà, nella confusione, di non essere più troppo brusco. «Kirishima... Non ho voglia di...»
«Lo so. Ti coccolo e basta, Kat», sento anche senza apparecchi e senza labiale perché la sua voce è così profonda, e rassicurante, infranta sul retro del mio collo.
Perché fai così? Perché più ti respingo e più tu dimostri di tenere a me e ai miei insopportabili difetti?
«Non voglio nemmeno questo.»
«... Ok.»
Credimi, le parole sono sofferte tanto quanto per te, penso per tutto il tempo in cui continua in realtà a starmi vicino.
.•*:。♡。:*•.
Come, lay me down
'Cause I know this
'Cause I know this sound
.•*:。♡。:*•.
«Certo che però sei impossibile...»
«Oi, ti sento», gli borbotto contro, quindi mi agito fino a tornarmene imbronciato a guardare il panorama notturno della città abbracciando la bottiglia.
Come sono finito sulla poltrona che dà sulle vetrate della stanza con una fedele vodka in mano come un poeta maledetto che canta e bestemmia alla luna? Non riuscivo a dormire, il che mi rende molto irritabile, con lui che faceva così — non faceva niente, solo mi stava vicino -, allora ho pensato di anticipare la ronda di domani mattina cioè oggi, mi sono messo in fretta nei panni di Dynamight ma non abbastanza da non essere scoperto, Kirishima mi ha fatto notare che non devo strafare, cosa giusta che non avrei mai ammesso e a cui ho immaginato di rimediare buttandomi sul mini-frigo e pretendendo silenzio ma battibeccando...
Continuo, infatti, a brontolare. «È con i suoni acuti che le mie orecchie sminchiate non collaborano, tipo fruscii o voci femminili e di mocciosi. La tua voce è grave. Severa, e così profonda, che mi fa...» Oh, possibile che l'alcol ha effetto così in fretta su di me? «Insomma ti sento, un po', abbastanza per dirti di rimangiartelo.»
«Forse volevo che mi sentissi. Ma non pensavo ti mettessi a flirtare spudoratamente con me. Stai cercando di provocarmi Kat? Se vuoi qualcosa basta che lo prendi, sai.»
«Non sto...!» Avvampo, ma resisto all'impulso di girarmi a squadrarlo. Anche perché non so se resisterei alla voglia di prenderlo a pugni perché tentavo di fare un discorso e...
«Ok. Come vuoi tu.»
Il tono poco serio, le risposte canzonatorie, mi sta portando veramente al limite. Non sarò più responsabile delle mie reazioni.
«Kat...»
Con la coda dell'occhio lo vedo riemergere dal letto in un profondo sbuffo.
Se sono così una scocciatura per te perché non mi abbandoni a me stesso?
Mi raggiunge.
Imponente nella sua statura, mi copre la visuale. È cresciuto solo qualche centimetro in più di me dalla Yuuei, eppure sembra un gigante dalla mia posizione qui rannicchiato in basso. O sono solo un po' brillo... finalmente. Stagliato in penombra rispetto al paesaggio oltre la finestra, con i capelli sciolti a ricadere selvaggi sulle spalle, a busto nudo, sembra un'apparizione divina alternativa. Un personale salvatore. Io non ho bisogno di essere salvato, ma autorizzato ad essere rotto e a venire rotto.
Afferra la bottiglia. Purtroppo dopo qualche tira e molla la perdo.
«Piccolo, adesso basta. Non so più come fare con te... Sapere cosa hai in quella testa. Intanto questa la mettiamo via... Ehi. Parlami. Per davvero, mh? Dimmi solo cosa succede-»
«Non mi toccare!»
Schiaffeggio via le dita con cui prova ad alzarmi il mento mentre mi parla pazientemente. Tiro qualche calcio per farmi fare spazio e alzarmi da qui. Nella foga la poltrona slitta fino a colpire il tavolino e far cadere la bottiglia che si spacca in un rumore per me sordo sul pavimento.
Ci vuole qualche secondo perché realizzi. Ansimando più veloce, riporto il mio sguardo nel suo.
Quello più spaventato sono io.
«Katsuki», mi richiama fermamente.
Deglutisco a secco. Indietreggio ai suoi passi verso di me.
«Adesso», scandisce, «Mi dici cosa cazzo ti prende».
Eijirō che usa parolacce è come un fulmine e un asteroide che ti capitano addosso nello stesso anno, nello stesso giorno, nello stesso istante contemporaneamente. Ergo, sono nella merda.
Però ho i miei motivi.
Continuo a ripetermi che ho i miei motivi e che...
«Smettila di...» Le corde vocali non collaborano e vedo appannato. «Non ho niente, va bene?» esplodo, «Il solito Katsuki e i suoi scatti che non sei obbligato a sopportare, anzi, se sono così un peso per te quella è la porta e di sicuro hai qualcun altro da cui andare!»
«Ehi. Respira. E dimmi di cosa diavolo stai parlando.»
«Sono impossibile, lo hai detto. Perché sei ancora qui? Mi fai incazzare. Ti ho visto con Mina al pub. Non posso fare a meno di pensare che tu- e a tutti gli altri che ci sono stati. Che ci sono. Anche in questo momento, in cui io... Facciamo che salto la parte in cui li elenco tutti e arriviamo a quella in cui fingiamo che niente sia successo e mi lasci fottutamente in pace e basta. Dio, se mi fai incazzare.»
Lui stringe gli occhi nella semioscurità; solamente le luci delle strade e degli altri palazzi ad illuminarci dall'altra parte delle vetrate.
«Sei geloso, Kat?»
Vomito cose, al solito è troppo tardi per capire di essere andato oltre, e alla sua domanda detta come se fosse tanto difficile contemplarlo mi rendo conto che sto più piagnucolando frasi sconnesse.
«E allora? Non è una novità.» Lo hai sempre saputo, coglione, che sono un possessivo di merda una volta che ci cado — motivo per cui mi sono sempre tenuto distaccato in questo senso con tutti, finché non c'è stato scampo con te. Se vuoi Katsuki prendi tutto il fottuto pacchetto.
Si avvicina.
Spalle al muro, mi spiaccico con la schiena alla finestra.
E cedo.
«In effetti, non lo è.»
«Ma non posso,» farfuglio, tutta la mia debolezza viene fuori insieme, «essere geloso. Non posso».
«Non puoi o non vuoi?»
«Io...» Non ho la forza di respingere una sua mano sulla guancia. Come dice, forse non voglio.
Può scoparsi chi vuole ma sentimentalmente vorrei che... ci fossi solo io. È sbagliato? Per il tipo di relazione che abbiamo? Non proprio, erano sempre più o meno questi i patti. Mi spaventa che i miei sentimenti stanno diventando troppo grandi che la potrebbero mettere in crisi, e non riuscendo a gestirli finisco a farlo io da solo. Quello che abbiamo creato è troppo complesso, sta... esplodendo...
«Non lo so. Basta, non ce la faccio più, liberami da- da tutto questo, noi due, facciamola finita... Noi non-»
«Cosa stai dicendo, Kat?» le sue labbra articolano ogni lettera con calma e dolcezza, mentre con le unghie mi afferra dolorosamente il mento costringendomi al contatto visivo. La fronte si appoggia alla mia. «Guardami. Kat, io ti amo.»
«Ma non ami solo me. Non puoi...»
«Allora non mi hai capito.»
Repentinamente, l'altra mano prende la mia e se la porta sul cavallo dei pantaloni. Non so se sono io o lui o entrambi ad avere uno spasmo quando la spinge più forte contro il suo cazzo.
«Questo lo possono fare tutti», e me la guida, infine, al centro del suo petto nudo; il cuore pulsa distintamente contro il mio palmo, «Questo, soltanto tu».
Sbatto confuso le ciglia bagnate.
Non ho modo di reagire subito, perché mi ingabbia i polsi al vetro.
Mi trascina in un bacio salato.
Io non è che faccio particolari resistenze a impedirgli di ficcarmi la lingua fino in gola. Non solo perché dovrei essere brillo. È l'unico, un po' squallido modo che ho per sapere che dice la verità, farlo mio e lasciare che mi faccia suo a gesti lasciando da parte le parole con cui non ci ascoltiamo.
Quando mi martoria più lento le labbra con i denti fino a staccarsene, capisco che sta cercando di attirare la mia attenzione.
Riapro gli occhi: sta dicendo qualcosa. Mi sfugge.
Non sento, con anche il mio di cuore in gola e quell'unico pensiero fisso adesso. Di lasciar perdere il controllo e del resto non mi deve importare.
Le ginocchia cedono da sole.
Le dita si muovono in automatico, non per questo con meno avidità delle altre volte.
Tremano e lottano con l'elastico del suo pigiama, mentre lascio baci frettolosi sulla peluria che va dall'ombelico al pube.
«Kat... Non devi...»
Capisco cosa sospira perché alzo gli occhi a guardarlo da sotto la frangia disordinata, sfidando i suoi.
Kiri- Eijirō, posa una mano in una carezza sulla mia testa leggermente inclinata, per qualche attimo ipnotizzato. Scaccia una lacrima. «Sei... Sei bellissimo, piccolo...»
Contrariato, mi strofino contro i suoi boxer.
Non voglio i tuoi soprannomi o i tuoi complimenti o altre parole. Voglio il tuo cazzo.
Questo, mi sembra chiaro. Semplice e cristallino.
Il mezzo rigonfiamento sbatte contro la mia guancia, e lo mordo da sopra il tessuto. Perdo saliva, sbatto gli occhi verso l'alto implorando silenziosamente.
È una delle nostre regole.
E da sfidarlo a palesare quanto sono disperato è stato un passo breve...
Mai quanto lo è ritrovarmi l'enorme cazzo in bocca in un colpo secco.
«Lo volevi tanto? Adesso succhia, da bravo, Katsuki.»
.•*:。♡。:*•.
In the middle of the night
In the middle of the night
Just call my name, I'm yours to tame
In the middle of the night
In the middle of the night
I'm wide awake
I crave your taste all night long
'Til morning comes
I'm getting what is mine
You gon' get yours, oh
In the middle of the night
In the middle of the night, oh, ooh
.•*:。♡。:*•.
Siamo fuoco ed onde che spesso stanno bene insieme e che altrettanto spesso si scontrano.
Siamo titanio contro roccia, esplosività contro resistenza, fragilità contro forza e controllo contro bisogno di perderlo per sentirsi vivi davvero.
Noi esistiamo davvero quando tentiamo di incastrarci in questo casino che abbiamo costruito con le nostre stesse mani. Funzioniamo in questi momenti fuori dal mondo in cui non seppelliamo ciò che entrambi vogliamo di più. Io lo imploro di usarmi come più vuole e lui mi mostra il peggio di sé. Mi fa sentire bello e voluto e potente e subito mi fa cadere ai suoi piedi prendendo il controllo, è una continua lotta a imporsi sull'altro. A far capire che lo si ama di più, nel nostro modo, qualsiasi significato abbia l'amore per noi.
E mille altre parole, mille altre cazzate poetiche potrei cercare per esprimere il nostro legame e non sarebbero comunque abbastanza a spiegare come finisco a contorcermi contro una finestra a piani e piani sopra la città, ad occhi bendati, fottuto dalla sua maledetta lingua.
Si è fermato per non venirmi in faccia, prima. Continuando a guidarmi per i capelli mi ha fatto rimettere in piedi; ha detto, ruotandomi la mascherina del costume sul viso con un sorriso dalle più cattive intenzioni, che se vedo cose che non esistono, come tra lui e qualcun altro, tanto vale che non possa vedere, e che come punizione non possa toccare con le mani legate dalla cintura, e che non possa di mio sentire troppi rumori perché semplicemente lo eccita avere questa superiorità per farmi ammattire. «Dovrai venire unicamente con il tuo culo», ha scandito in un mio orecchio prima di mettermi a novanta e scivolare in ginocchio dietro alle mie gambe, «E tutti potranno vederti da qui, così tu non ti azzarderai più a pensare che non sono tuo così come tu sei mio».
Parentesi: non è la prima volta che lo facciamo. O sarei scappato a gambe levate se qualcuno mi avesse trattato così senza espresso consenso all'improvviso. Sappiamo come comunicare se non vogliamo e in questo caso non l'ho fatto, come muoverci e come rispettare i nostri limiti. È che ad Eijirō piace sperimentare le peggio cose dietro il suo faccino da bravo ragazzo, ed io mi fido del mio Eijirō.
Ciecamente. È proprio il caso di dirlo. E amo il suo lato perverso e duro con me. Anche se...
«Ah... Ngh- Cazzo...» ingoio il primo lamento di quelli che mi promette essere tanti.
Tra le altre cose, doveva essere anche un mago del fottuto rimming, lo stronzo.
Tocca un punto particolarmente sensibile che mi fa inarcare la schiena e arricciare le dita dei piedi.
L'istinto è di ritrarre il bacino, con l'aiuto degli avambracci contro il vetro, ma i polpastrelli conficcati nelle mie cosce non mi danno scampo. Eijirō mi riporta in posizione, mi sgrida con una piccola sculacciata e se potessi sentirlo so che aggiungerebbe che sono troppo volgare ed impaziente, riprende la tortura.
«Sbrigati... Ei-jirō...»
Non so se mi risponde ed essere come in questa bolla vuota, nera, un po' mi spaventa, un po' mi fa impazzire.
Ogni volta aggiunge un tassello nuovo o diverso per fottermi la mente. Ero stato privato anche della vista prima d'ora ma mai insieme al resto.
Non potermici affidare a poco a poco risveglia gli altri sensi.
Per ora c'è più puzza di bruciato, perché le mani mi stanno già sudando pericolosamente — sperando che non farò fondere la finestra -, e c'è l'improvvisa presa sulla mia erezione a mezz'aria alla base per impedirmi di raggiungere l'orgasmo.
Stronzo.
Sente eccome i miei mugolii ma non me la vuole dare vinta così facilmente. Niente è mai stato facile in questo e in noi.
Crollo con la testa tra le spalle.
Tento dei minimi movimenti anche se non passeranno inosservati e saranno puniti anch'essi cercando qualche sollievo nel suo pugno, finché Eijirō si stacca di colpo.
Dovrei essere contento che abbia finito di prendermi in giro, ma non lo sono rimasto in questa posa da coglione, il membro e l'ano pulsanti e il sedere all'aria fredda, a boccheggiare per un'eternità.
Sto per richiamarlo quando qualcosa mi sfiora la gamba destra. Sobbalzo. Proseguono il percorso, le sue dita indurite ma leggere, sull'una e sull'altra, strisciando dalle ginocchia tese alle cosce su cui scatenano la pelle d'oca fino all'osso sacro.
Duro.
La sensazione gommosa del lattice contro la pelle.
Un altro spasmo, un altro sospiro.
La sua virilità viene guidata a scendere. Automaticamente divarico ancora di più le gambe, non importa quanto mi sto sentendo una puttana e in fondo mi sta bene, ma non è ancora questa la sua destinazione. Spiando da sotto la mascherina, oltre il mio naso, intravedo il suo cazzo infilarsi sotto al mio, fino a superarne la punta per la differenza di grandezza.
Un'altra ondata di adrenalina si scatena nelle arterie alle sole idee che mi sta facendo passare.
«Dio...»
Se sentissi, potrei anche ascoltarlo dire nella sua risata gutturale che, sì, non ho idea di quanto lo invocherò ancora perché sarà il mio Dio tutta la notte finché sorgerà il sole, finché lo vorrò.
«Ehi. Non si sbircia, Katsuki. Cattivo», mi riprende ad alta voce e stringe meglio la mascherina sui capelli. Torna ad infilarci le dita.
Do una testata al vetro alla prima stoccata.
Non contento, Eijirō accompagna due dita dentro di me al movimento tra le nostre erezioni a simulare una penetrazione ben più dolorosa ed intensa.
Se sembra premura, è solo apparenza. Gode a farmi aspettare e disperare.
Perché, Dio, se mi stai facendo perdere la testa.
«Eijirō... Eiji, ti prego, Eijirō, Eiji-rō», piagnucolo senza più cognizione né ritegno ad ogni affondo.
La guancia spiaccicata alla finestra, il collo e la schiena che percepisco tesi in una maniera impossibile; la sua mano libera mi tiene saldamente il fianco, schiacciandolo a sufficienza per ottenere l'inclinazione giusta, e conficcandone il pollice nella pelle a quello che, non posso elaborarlo compiutamente, è il mio grido roco più disperato.
Non elaboro bene nemmeno i secondi successivi. Venire in questo modo è stato troppo intenso. E lui sembra solo all'inizio.
Pelle sudaticcia viene a contatto con la mia, sulla schiena. Eijirō ci si china sopra, duro contro il sedere, dolce al mio orecchio e con i capelli che solleticano. «Mh? Il grande Dynamight sconfitto per così poco? Puoi fare di più.»
Stronzo-
Mi mordicchia il lobo con i denti appuntiti nell'esatto istante in cui penetra in me.
Le due sensazioni raggiungono nello stesso attimo in impulsi elettrici il mio cervello, quella parte che non è ancora totalmente fottuta e ne vuole ancora. Dopamina su dopamina, ossitocina su ossitocina. Com'era... "almeno questa roba non uccide"? Oh, devo essere già all'inferno allora, perché questa è la mia droga, la mia musica, il mio Eijirō mi ha ucciso tempo fa trascinandomi in questa spirale di perdita totale.
Perdo la capacità di gridare schiudendo le labbra a urlare il nulla, perdo il controllo sulle sensazioni e sul mio corpo. A nulla vale tentare di aggrapparmi alla finestra, il guanto scivola, venendo risollevato come se fossi una piuma. Mi ritrovo dritto con le braccia fatte alzare a piegarsi attorno al suo collo e quel mostro puntato dentro e un fastidio tra le gambe.
Non di nuovo...
«Scusa, Kat. Faccio piano», capto qualcosa, il passaggio a dei modi più morbidi, è difficile capire anche se si stringe al mio collo e attacca bene all'orecchio sinistro, tra il calore e il dover respirare che prevalgono. «Ce la fai? Se no, me lo fai capire subito. Io ci provo, promesso.»
«Non ti trattenere.»
Mi pentirò in tempo zero del mio sussurro graffiato, lo so.
Il fatto è che quando ho ricordato che Eijirō è grande, era dannatamente riduttivo. Sul serio, ne ho visti di cazzi in vita mia e anche se non li ho... provati, lui è enorme e fa sempre un po' male anche se sono abituato ed è così impegnativo e...
A me piace, cazzo se mi piace da morire, che mi prenda in questo modo, ripetutamente, senza badare a non farmi sempre un po' male perché mi fa sentire vivo e di appartenere, che mi assoggetti, riportandomi con i piedi per terra e ricordandomi che anche lui comanda tra noi.
Work it, I'm a free bitch, baby, no?
Katsuki è un casino.
Katsuki è una troia.
La sua troia, come lui è il mio Eijirō.
«Nnngh», si perde di nuovo nell'aria un mio lamento prolungato. Comunque è subito zittito da un'oscillazione più brusca dietro l'altra.
Chi è l'impaziente qui?
Riesco a lanciare appena un «Ah...» stupito quando l'estremità del cazzo mi viene a contatto con il freddo del vetro. Di riflesso contraggo un po' tutti i muscoli; Eijirō si fa di pietra.
(Era proprio il caso di dire anche questo).
Non sarà l'unico se continua così, perché, fanculo...
«Sei bellissimo. Se solo ti potessi vedere», mormora, sempre accoccolato alla mia spalla. Un'altra spinta. «Non ti sminuiresti più e non ti metteresti in testa quelle idee assurde. Perché non dovrei amare solo te? Sei intelligente, sei forte, sei bello, sei così virile, lo sai, Kat, sei», un'altra, «sei bellissimo e sei mio, mio...»
Abbiamo concetti di virilità differenti, vorrei rispondergli, tipo non sono io quello con il cazzo enorme piantato dentro l'altro attualmente. Ma vuole intendere che essere più passivo non mi rende meno uomo, e lo apprezzo; lo apprezzerei di più se le sinapsi collaborassero.
«Allora fammi vedere», azzardo invece.
Smette di muoversi. Prendere l'iniziativa è raro perché comporta delle conseguenze. «Mh?» fa incuriosito.
«Liberami. Fammi guardare.»
«Non corri troppo? Come posso sapere... che hai capito?»
Stronzo. Ho già pensato che è stronzo e che mi piace che è stronzo in questi attimi sospesi?
«Ho capito.»
«Sicuro?»
«Sì, sì, ho capito- Ah!» singhiozzo ad un singolo colpo, secco, preciso, «Ho capito! Ho capi...»
«Dimostralo.»
«Come?» emetto nell'ultimo filo di voce che mi rimane.
Mi lascia in attesa. Sento i suoi polpastrelli viaggiare come pensierosi in disegni sul mio addome, sopra al costume attillato. «Vieni. Senza queste né le mie per punizione», specifica tenendomi ferme, con l'altro braccio, le mani a livello della sua nuca. «Vieni, e ti libererò.»
«Ma sono appena...»
«Niente scuse. Puoi farlo per me, Katsuki? Avanti. So che puoi.»
Gemo per la frustrazione e per il ritmo martellante che riprendendo subito mi fa rimbalzare contro ed indietro e di nuovo contro la finestra con il bacino.
Eijirō impedisce che mi ci lasci andare contro anche con il busto tenendomelo con la sua mano grande, che si assesta a stringermi un pettorale.
«A-ah... hah- Non ngh riesco- così-» mormoro a pezzi.
«Cosa non riesci a fare, Katsuki?»
«Aiu-tami...»
«Dovrei aiutarti? In cosa? Sii specifico.»
«Smettila stronzo e...»
«Non lo ripeterei se fossi in te.» Un affondo più punitivo e basta a lasciarmi senza fiato. «Quindi?»
Lui e il suo fottuto edging. Le mie parole sanno di sale per la goccia che sento scendere dalla mascherina fino alle labbra. «Fa- Fammi veni-ire.»
«Come si dice? Ad alta voce, Katsuki.»
«Per favore.» Istintivamente tento di portare le braccia avanti, se servisse ad attutire almeno un po' i movimenti; mi vengono bloccate subito. Dovrò implorarlo come vuole... «Ti prego, Eijirō.»
«Mh... Puoi venire da solo.»
«No, Eijirō, oi... in che senso, ti pre... go, voglio guardarti, e toccarti, non posso se...»
«Puoi.» Lascia qualche finto bacio dolce sulla spalla e sul collo.
«No-n riesco, no Eiji non posso, E-iji, ti prego!»
«Sei Bakugō Dynamight Katsuki. Sei bravo, sei il migliore. Puoi farlo, piccolo, fallo per me.»
Mentre continua ad incoraggiarmi, sembra avere un minimo di clemenza spostando le dita. Non mi aiuteranno lì sotto, ma aggiungono il capezzolo alla stimolazione.
Poi, l'ultimo senso. Arrivano sul viso ad asciugarmi premurosamente la guancia prima di farsi strada tra le mie labbra, premere contro la lingua ordinandomi di succhiare ancora come sono tanto bravo a fare.
Mi fotte anche la bocca con lo stesso ritmo, Eijirō ha il mio sapore mischiato al suo e quello salato del mare. Le nostre onde che si scontrano.
Intuisce che vorrei gridare ancora il suo nome ma è già tanto se riesco a respirare. E fa il bastardo, liberandomi la bocca per appoggiare il palmo attorno alla gola e tenermi per questa.
Se mi sentissi in pericolo, se volessi fermare tutto, so che abbiamo i nostri segnali. Se non li sto usando è perché piace anche a me stare sul limite e posso, posso farlo.
Anche Eijirō lo sa perfettamente.
Mi accarezza con altri complimenti che in fondo mi piacciono, altri affondi a graffiarmi e raggiungermi parti che nemmeno sapevo di avere: piagnucolo inconsolabile, incamero meno aria di quella che dovrei, non sento più niente, mi sta praticamente strozzando, mi sento svenire, e invece in qualche secondo realizzo che sono venuto.
Un crescendo fino a un perfetto choke.
«Sei stato bravissimo.»
Credo di sentire così, o non ne ho idea è più perché è ciò che dice di solito. È stato inaspettato tanto in fretta e sfruttando ben altre zone e modi, che sono completamente rincoglionito.
Aggiunge ancora qualcosa. So soltanto che fa finire tutto. Mi fa abbassare le braccia ormai doloranti, mi bacia asciugandomi le guance.
Mi abbraccia per un po' forte forte.
Infine mi toglie piano la mascherina.
L'impatto non è troppo forte trovandoci quasi nell'oscurità. Metto a fuoco le luci delle strade sotto di noi e dopo un altro po' i nostri riflessi macchiati e sbiaditi nel vetro, tenuto fermo in quella direzione per il mento.
Disordinati, rotti, in un disordine bello.
«Guardati. Bello, bellissimo 'Tsuki.»
A farmi tremare le gambe è, più che quello appena successo, l'immagine di noi due abbracciati e finalmente il suo labiale tramite cui mi possono arrivare il soprannome e queste parole ancora meglio.
Mi regge e mi coccola ancora. Non c'è più fretta. «Hai capito adesso?» mi rimprovera con un buffetto sulla guancia.
Faccio timidamente su e giù con il viso. Lo abbasso sulle nostre mani che giocano a sfiorarci i brividi.
Con un ultimo bacio sulla tempia si sfila da me lentamente.
Ma io in un attimo di lucidità o piuttosto sconsideratezza mi metto in testa di obiettare una cosa. «Tu non sei ancora venuto.»
«Fa niente. Non era l'importante.»
«È importante, invece.»
Tanto vale che vado fino in fondo. Mi giro, faccia a faccia. Il confine tra disperazione e determinazione non è mai esistito, forse, sono parte della stessa cosa, il medesimo bisogno di comunicargli tutto con questo difettoso me stesso.
«Ho detto ancora perché voglio che anche tu... Deve essere reciproco per dire che- siamo io tuo e tu mio e basta... per essere vero e...»
Corro veloce, come sempre, non mi sta pienamente dietro, però mi asseconda a sopracciglia corrucciate in tutto lo sforzo di cui è capace. «Con calma. A parole tue, dimmi-»
«Fanculo.»
Mi slancio a prendergli le guance e baciarlo.
È un bacio totalmente diverso, almeno per me, che non ci metto solo il desiderio fisico ma anche tutto il complicato resto che non riesco a esprimere.
Puoi farlo ancora o usarmi come meglio credi, gli dico silenziosamente guidando le sue mani a toccarmi un'altra volta.
Sospira un po' più profondamente a venire ripreso e rimesso tra le mie gambe senza troppe cerimonie. «Ehi, sicuro? Anch'io ti ho capito, ma sei stanco, a me va bene anche fermarci.»
Annuisco e nego uno dopo l'altro — confusamente per lui ma non per me. «Solo tienimi perché non mi sento più le fottute gambe.»
Ridacchia e mi ci perdo in questo suono.
Mi aiuta nell'ultimo sforzo di saltare ad avvolgere le cosce al suo bacino.
Da qui, si fa tutto abbastanza annebbiato.
Ci sta provando davvero ad essere delicato, lo so e lui me lo dice con le labbra e con gli occhi. Ma Eijirō è passionale di natura — è questo che rende lui virile più di tutto — e presto degenera. Mi alza le gambe fino a piegarmi in due. Rimango sollevato da terra più perché sono schiacciato tra il vetro gelido e il suo corpo, e perché le sue braccia forti mi reggono sotto le ginocchia.
Non ho più paura di cadere se sei tu e se mi tieni.
Collaboro più che posso. Adesso che ho il permesso, non voglio più perdermi nessun istante, nessuna immagine e nessuno tocco conficcato nella mia pelle, nessuna parola muta. Mi concentro a ricambiare ogni sguardo e qualche bacio quando non è impegnato ad ansimare quanto mi ama.
«Merda, aspetta...» Non è l'unico a cui le gambe cedono. Non sono davvero un peso piuma, anche se mi prende con tutta la facilità del mondo perché sono stanco e vuole pensarci lui a me. Vuole essere la mia roccia ma ogni tanto anche lui deve crollare... E da ora, ogni volta si dovrà crollare insieme.
Non fa in tempo a portarci sul letto.
Il tentativo di aggrapparmi al vetro scivoloso per la condensa dei nostri sudori e respiri fallisce come il precedente e se non si riprendesse subito gli cadrei addosso rompendoci qualcosa.
«Tappeto», richiama la mia attenzione, articola con pazienza, «Sul tappeto, farebbe tanto schifo?»
«Va bene, va bene, Eijirō.»
Non ti trattenere.
Libera il tuo lupo.
Addomestica me.
Usami.
Ripeti e ripeti il mio nome.
Amami come vuoi.
A livello fisico puoi avere chiunque, ma non sarà mai come stare con me perché a livello del tuo cuore devi avere solo me come io ho solo te.
Si inginocchia trasportando anche me come meglio può, mi fa appoggiare piano la schiena. Soffice per terra, lui duro di nuovo in me. Si riposiziona sopra e mi guarda all'infinito e io guardo lui, rosso così simile ma così diverso, prima che sia io a interrompere l'apnea ipnotica spingendogli per quei suoi capelli di merda la testa contro la mia.
È il mio ultimo atto compiuto, questo.
Come prima ma per una ragione diversa, perdo via via il contatto con i miei sensi. La pelle dentro è talvolta graffiata dal suo quirk che attiva involontariamente e di cui si scusa riempiendola fuori di mille brividi e baci. Le labbra sono gonfie per i morsi, gli occhi lucidi pieni di rosso e l'olfatto dell'aria satura di sesso e del suo profumo; le gambe finite sulle sue spalle non le sento più così come le dita con cui stringo possessivamente fino a sentir male i suoi capelli, sciolti e selvaggi come siamo noi, gelosamente.
È la sopraffazione.
È la consapevolezza che amo Kirishima Eijirō.
I suoi controsensi e i nostri messi insieme.
La nostra musica e i nostri silenzi come in questo momento di breakdown nella nostra canzone in cui tutto è veloce, rallenta, esplode, torna a respirare.
Stiamo facendo l'amore per il significato che ha per noi e continuiamo a farlo quando tutto finisce, io rincoglionito che sfaso e probabilmente sono venuto a secco, Eijirō che mi bacia dappertutto, mi dice che sono stato bravissimo, aspetta che mi sia addormentato per coccolarmi, avermi per sé ancora un po'.
«Questo lo puoi fare solo tu, 'Tsuki. Amo te. Te lo ricorderò sempre quando necessario.»
Se ci fossi con la testa direi «Anch'io», che mi costerebbe molto ammettendo un lato bisognoso d'amore e amorevole di me, però mi farebbe sentire bene, perché gli avrei detto ogni cosa e dato davvero Katsuki.
Poi se questo è l'unico modo quando necessario, porterò la croce...
Forse siamo un po' malati. Complicati, oh, e irrimediabilmente. Ma mi ha fatto capire che i sentimenti, quali si provano e come si danno e ricevono, non si possono controllare, che avremo sempre alti e bassi e che voglio la nostra bad romance perché amerò sempre questo dolce stronzo.
.•*:。♡。:*•.
Just call on me, oh
Just call my name (just call my name)
Like you mean it
.•*:。♡。:*•.
«Mezzogiorno. Mezzogiorno! Si può sapere perché non mi hai svegliato porco cazzo hah?!»
«Calmo! È tutto sotto control-»
«Sono calmo. Calmissimo. Tant'è che non ti ho ancora ucciso. Kirishima! Per tutti gli dèi e per tutti i cazzi! Sei una testa di merda, ma come ti viene in mente?!»
Come sono finito a sbroccare non appena aperto occhio, minacciando questo coglione di morte per soffocamento con un cuscino e scuotendo le mura dell'intero hotel con le mie urla? Stanotte sono crollato, mi sono teletrasportato nel letto nel mio pigiama caldo per magia, al mio risveglio da favola con i raggi del sole entrare timidi dalla finestra ad accarezzarmi il viso Eijirō era già sveglio, mi stava guardando come se fossi un angioletto e non un mastino infernale pronto ad esplodere appena realizzato che ho saltato il lavoro! E se la sghignazza pure!
«Non c'è niente da ridere!»
Inizio a picchiarlo con il cuscino. Non risponde o si difende, troppo impegnato a non morire per le risate, presumo, mentre ci rotoliamo e lottiamo tra le coperte.
«Calmo», ripete infine, proprio quando stavo per passare ad usare il mio quirk senza curarmi del destino dell'area notte, della stanza e molto probabilmente di tutto il piano.
Mi immobilizza per le braccia con quel suo sorrisino come se non stesse giocando a tenere fermo un leone che sta per azzannarlo dall'alto. Ho sempre le gambe per colpirlo più in basso...
«Ho pensato io a tutto, fiorellino. Ho eliminato la tua sveglia perché in così poche ore non ti saresti riposato. Inoltre mi avresti bestemmiato dietro tutto il giorno, avresti lavorato un po' meno perfettamente e saresti stato insoddisfatto, saresti tornato e mi avresti bestemmiato dietro di nuovo. Ho chiamato e trovato qualcuno che sostituisse la tua ronda mattutina. Fare cambio con un turno serale è il massimo, non pensi? Così possiamo stare ancora un po' qui, io e te, andare a fare un giro, quello che vuoi... In effetti perché non stiamo ancora facendo sesso? Questo sarebbe il momento in cui mi dai del coglione, mi mandi a fanculo e mi salti addosso.»
Ignoro la sua ultima frase.
Salto giù da lui pestandogli il cuscino in faccia, mi precipito a bordo del letto. Afferro il cellulare e controllo che sia tutto come dice perché su queste cose non mi fido di questo idiota, per niente.
La sveglia è stata disattivata. Non è successo che ha suonato impostata alla massima potenza e io non l'ho sentita. Perché ok che sono sordo ma non del tutto e sarebbe stato grave, cazzo. Anche se i trascorsi della notte sarebbero stati un'attenuante...
Controllo i messaggi: qualche complimento sul gruppo degli "ex studenti più fighi della Yuuei" riguardo il concerto di ieri e link di qualche ripresa, e Kyoka che in privato mi spettegola che deve essere successo qualcosa a Denki perché sa che ha parlato con Hitoshi e ora è a pezzi anche se dice che sta bene e potremmo incontrarci sul tardi per riportare la nostra diva tra noi. Per il resto nessuna chat di lavoro è stata toccata, significa che Kirishima ha fatto tutto tramite il suo telefono, ed è un punto a favore che non abbia invaso la mia privacy.
Apro al volo la piattaforma dell'Hero Network e anche qui verifico che tutto è a posto, nella mappa locale delle ronde c'è ancora l'icona di Dynamight e l'orario è stato cambiato. E il fortunato è... Ah, Bastardo a metà! Quant'è piccolo il mondo. Mai capito se lo faccia per gentilezza o perché è scemo che si fa sfruttare. Deduco che ieri sera a Deku non sia andata bene... o magari sì? Non so se lo voglio sapere. Nel dubbio più tardi lo chiederò indirettamente al nerd con un messaggio che rimarchi quanto è sfigato.
Riappoggio lentamente il cellulare al comodino.
Mi passo una mano sul viso. Prendo il mio primo vero respiro di oggi.
«Dio!» sobbalzo e per poco non spacco metà faccia ad Eijirō con una spallata perché mi piomba dietro all'improvviso. «Lo sai che devi avvisarmi quando non ho gli apparecchi!»
«Uh, sì, lo sono», ammicca con le sopracciglia scure, «Un Dio».
Lo squadro meglio. È mezzo nudo, ovviamente, immagino anche sotto alle coperte, ha quel sorriso sornione da sberle- Fa combaciare il mento con il mio collo, il petto muscoloso con la mia schiena, la sua virilità preme alla base dandomene conferma.
«Sei un porco.»
«Anche.»
«Kirishima. Sei già a tanto così da farmi perdere la pazienza stamattina.» Gli porto per bene la mano davanti agli occhi e riduco lo spazio tra indice e pollice. Quindi li spremo con forza pensando che ci sia lui in mezzo.
«Daaai! Perché sei ancora arrabbiato con me? Non sono stato bravo a risolvere tutto?»
Cosa, vuoi anche un croccantino, pacca sulla testolina e batti la zampa? «Uhm», ammetto, ma mi rigiro imbronciato verso il muro davanti a noi. «Però hai comunque preso delle decisioni sul mio lavoro senza consultarmi. Sai che... al di fuori, vorrei controllare io.»
«Scusa. Non l'avevo pensata in questo modo. È nuova questa cosa di provare a delegare per te e hai ragione tu, piccolo.»
«Uhm.» Esito un attimo, l'aver chiarito stanotte genera un pizzico di dolcezza anche in me, un pizzico: «Possiamo... pensarci prima la prossima volta, e decidere insieme».
Vorrei dire che a "insieme" si mette a scodinzolare, proprio come un Golden retriever, ma è più il suo cazzo che non sa stare a posto a farlo. Ma che problemi ha?!
«Rifacciamo da capo», propone invece con slancio, come se potessimo ignorarlo. «Ti stavo dicendo questo prima. Adesso che abbiamo risolto... Perché abbiamo risolto, vero?» Aspetta un mio cenno, accompagnato da occhi al soffitto, per continuare. Inclina la testa affiancandomi meglio. Con due dita sotto al mento accompagna la mia a girarsi ed unirci in un piccolo bacio a stampo. «Ricominciamo. Buongiorno, 'Tsuki.»
«Uhm. 'Giorno.» Stupido, stronzo, dolce Eijirō... «Però non mi sono ancora lavato i denti.»
«Però non mi interessa. Lo sai, tu mi piaci sempre Kat.»
«Eijirō...» Mi guarda intensamente al mio mormorio lascivo. Mi sembra che stia premendo un po' troppo lì sotto. «Non faremo sesso.»
Posso scorgere nei suoi occhi l'esatto momento in cui il suo cuore — o dovrei dire qualsiasi idea perversa abbia? Il suo cazzo? — fa crack. Sporge il labbro in fuori. «Perché no?» piagnucola.
«Mi hai distrutto, coglione. E adesso voglio solo andare in bagno. In generale, mi sento... sporco, dopo che...» Un pensiero mi attraversa e scatto verso il resto della stanza. Intravedo dei vestiti a terra che chissà in che stato sono. Poi la finestra, il tappeto e tutta quella zona. Non saranno... «Kirishima», lo richiamo serio, «Avremo lasciato un disastro. Anche questo genere di pulizie saranno incluse? Non ci cacceranno e diranno che noi pervertiti non dovremo farci vedere mai più qui?»
Scoppia a ridere.
Anche se, di nuovo, non ci trovo un cazzo di divertente, devo ammettere che un po' fa vibrare il mio di cuore.
«Può essere», conclude e mi dà una pacca in fondo alla schiena, «Ma è stato bellissimo. Adesso vai pure in bagno a sistemarti, io mi faccio passare il problemino e poi mi preparo anch'io, così scendiamo a far colazione, ti va? Qui fanno davvero roba squisita, miseria!»
«Si dice porca puttana. Comunque sei tu che hai un buco al posto dello stomaco e ti mangeresti anche il tavolo.»
«Ehi! Poi possiamo andare al quartiere commerciale che consigliano sul sito. Vendono anche merch sugli eroi, sicuramente ci sarà la tua. Al contrario della mia esce sempre benissimo. Ti prego, ci andiamo? Oppure ci spostiamo a quel parco fuori città? È un po' da coppiette, so che non ti entusiasma, ma è più tranquillo. Cosa prefe-»
Non lo sto più ascoltando. Penso solo a stringergli le guance tra un pollice e le altre dita e baciarlo, prima timidamente, poi a fondo.
«Wow», sospira stordito. «Questo lo devo a...?»
«Preferisco che stai zitto.»
Ti amo, testa di merda. Non c'è niente da spiegare.
Sta al gioco. Mi parla col suo tono un po' provocatorio, un po' tenero. «Ok. Come vuoi tu, Katsuki.»
Lo trascino a risdraiarsi sulla schiena. Mi metto a cavalcioni sul suo addome, equilibrando il peso sugli avambracci sul materasso, per non fargli male anche se è una roccia che potrebbe portare il mondo sulle spalle. In effetti porta sempre il nostro pieno di incomprensioni... e di amore.
Quanto mi ha reso smielato, che schifo.
«Non faremo sesso», ricordo più alla sua eccitazione dietro il mio sedere, contro il pigiama, «Non sono ancora impazzito del tutto».
«Mh? Quindi stai impazzendo, per qualcuno?»
Arrossisco.
Gli metto una mano sugli occhi per non guardarmi avvampare per l'implicita ammissione, riprendo a baciarlo senza pensare a nient'altro dolcemente come forse non ho mai fatto prima.
Eijirō, una volta libero, risponde alla calma inaspettata da me. Sorride di tanto in tanto, mordicchia le labbra con i suoi dentini da squaletto idiota. Mi circonda la schiena e mi accarezza senza andare oltre, anche se starà esplodendo, senza nessuna malizia.
Mi permette di scendere, inclinando il collo. Azzardo anch'io qualche morso. In un mugugno di apprezzamento, mi invita a rimanerci e farli più forte.
Di succhiotti non ne ha mai lasciati fare a nessuno. Adesso capisco che non è perché sia stronzo, non solo, ma perché non voleva ferirmi in qualche contorto modo dato che io lo trovo sempre. Mi soffermo troppo sulle brutte cose e non amo abbastanza ciò che di bello abbiamo. Ora lo vedo.
Lascerò un segno che rimarchi che il suo cuore è mio e soltanto mio...
«Signori?»
Ci pietrifichiamo, occhi negli occhi e poi saettiamo insieme verso la porta alle mie spalle.
Da dietro di essa ci parla quella che dev'essere una giovane inserviente dello staff, dal tono timido e concitato. «Signori, tutto bene? Ci siete?»
«Sì-» Tappo la bocca ad Eijirō. Voglio prima sentire che cazzo vuole.
«Mi rincresce davvero disturbarvi, ma abbiamo ricevuto alcune segnalazioni dalle camere ai piani sotto. Grida, forse oggetti lanciati... Ecco, il protocollo prevede che in casi di disturbo eccessivo agli altri ospiti o, Dio non me ne voglia... litigi, sospetti abusi, noi dello staff dobbiamo intervenire.»
Ma come stracazzo parla?
D'accordo, non posso giudicare.
Eijrō spalanca gli occhi prima di decidersi a riportami le parti che non ho afferrato.
Oh... Potrebbe rivelarsi molto divertente.
Scusami, Eijirō, ma sei tu che mi dai queste cattive idee.
«Per la verità,» continua la donna, «ci abbiamo messo un po' ad arrivare perché... Nessuno ne aveva il coraggio, ma voglio che sappiate che teniamo alla sicurezza dei nostri ospiti più di ogni altra cosa! Ecco perché mi trovate qui!»
«Si calmi e non si preoccupi, signorina! Stiamo bene. Davverompf-»
Lo zittisco di nuovo. Gli lancio uno sguardo perfido, di sfida. Contorco il braccio dietro la schiena fino a raggiungere la sua lunghezza in tiro.
«Mh!»
«Signore! Se sta succedendo qualcosa me lo può dire! Non importa cosa o chi è! La vostra privacy è importante ma lo è di più la vostra sicurezza! E il cliente è sempre al primo posto!»
«Aah...»
Sono io stavolta a sorridere alla sua faccia, di chi è colto alla sprovvista ma sta maledettamente adorando ciò che lo potrebbe uccidere. Gioco in movimenti dall'alto in basso e viceversa, infame, lento e veloce. Sussurro serafico le parole che hanno tutto un altro senso: «Il cliente è sempre al primo posto, Eijirō».
«Poi sono io lo stronzo... Ci starà sentendo!»
«Non ti sei mai fatto problemi. Che sentano e che vedano tutti, no?»
«Ma... Mer-da!» alza la voce.
«Mi dispiace,» esclama nello stesso momento l'inserviente, «ma devo verificare, ora aprirò!»
Il silenzio non è solo dovuto al mio udito.
Trascorrono diversi secondi carichi di disagio.
«Ehm... buongiorno.»
Eijirō traffica con le lenzuola a coprirmi la schiena. Ma tanto deve aver visto tutto, come gli stavo sopra stile gatta morta a cavalcargli il cazzo e la sua espressione di puro godimento al brivido dell'esposizione.
«Ci scusiamo per il fraintendimento. Come puoi vedere, è tutto a posto.»
Mi trattengo dallo scoppiare in una risata delle mie più per le sventure altrui. Per me che ormai ho il culo sbattuto in mondovisione più o meno involontariamente per il lavoro, il concetto di pudore è particolare e in questo caso non mi tange. Di sicuro non più del divertimento.
Giro la testa in un ghigno accennato.
La poveretta — avrà la nostra età — è sbiancata e boccheggia. Ha lo stesso colore dei capelli del mio ragazzone qui, per la profonda vergogna, per il fatto che le dà del "tu", e probabilmente perché l'avrà attraversata per un attimo l'idea di essere al mio posto. Ma è solo mio.
«M-Mi dispiace tantissimo!» proferisce infine in mille inchini, più per non guardarci ancora, «Sono mortificata! Vi prego di non avercela con me e dimenticare questa storia, non posso permettermi un altro reclamo... Non dovrei parlarne con voi! Vogliate perdonarmi ancora!»
«Ehi, ehi, tranquilla! Non è successo niente. Acqua in bocca...»
Brutte parole quelle ultime da usare nel contesto, Eijirō.
«Mi scuso infinitamente. Allora... Adesso me ne vado, sì...»
«A meno che non vuoi unirti a noi.»
Anche conoscendolo, è difficile distinguere quanto di poco serio e non ci sia nell'affermazione.
La ragazza raggiunge una colorazione sconosciuta al genere umano e quindi fila via, non osando alzare mai lo sguardo.
«Non la licenzieranno», è il commento di Eijirō, «Ma un po' mi sentirò in colpa se sarà lei a licenziarsi per il trauma».
Ridiamo per qualcosa come cinque minuti.
Uno dei miei pezzi preferiti della nostra canzone.
Ripetuto che non faremo sesso selvaggio mattutino adesso, mi accoccolo al suo petto. Lui, rassegnato che non avrà niente, asseconda le mie improvvise fusa nel piacevole silenzio.
Disavventura del servizio camera a parte... Le ultime ore mi hanno dato qualcosa di importante.
«A me...» confesso a voce bassa dopo un po', «A me piace quello che abbiamo».
«Così anche a me, Kat», risponde alla mia domanda implicita, scandendo bene e con tenerezza. «Non roviniamolo, mh? Io sarò sempre pronto a rassicurarti se ne avrai bisogno.»
Ricambio una leggera carezza sul viso, sulle ciocche rosse disordinate, sulla piccola cicatrice che ha al sopracciglio.
Lo so, sarò il tuo titanio un po' chimicamente instabile e tu la mia roccia.
«Te lo ricorderò tutte le volte che vorrai. Anche adesso, se proprio non hai cambiato idea...»
Stava andando così bene.
Gli tiro un pugno.
«Ahia!»
«Non guardarmi con quella faccia da cagnolino bastonato. L'hai meritato.»
«Ma mi hai fatto male! Che ho fatto?»
«Sei un coglione, Eijirō.»
Il mio.
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angolino sclerotico ::
La versione di Bad Romance che suona la band all'inizio me la immagino come quella degli Halestorm, boh l'ho riscoperta di recente, pazzeskah.
Pure la canzone che dà il titolo alla os è una cover.
Spero di non aver fatto casino mettendone più di una e giuro che ho finito con le cover.
Cronologicamente questa mini-storia è stata scritta dopo perché è partito tutto dalla ShinKami che trovate sotto nell'indice; la lascio qui per coerenza tematica. Perché al solito parto con un'idea e diventa mastodontica. In particolare questa one shot è stata tosta, però ci tenevo a trattare più a fondo i KiriBaku, un povero Kiri stravolto poverino ma che ci piace e Baku... batterista — ma quella parte prendetela con le pinze che io sono esperta in altri strumenti, precisamente il flauto delle elementari — e in parte sordo, headcanon che chiunque l'abbia sviluppato merita il mondo, lo amo. Poi la delicatezza è andata a farsi fottere presto, come lui, vabbè-
A proposito di cose su cui scrivo molto meno: dopo un anno è il momento di tornare anche da altri due patatini. Meno animali (forse). Presto...
— Melissa
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