⚠│ bakudeku :: memories

art :: "kira" @/am9_BkDk, twitter
colored by Sushy_07 (tysm! <3)

data :: 22 - 29/08/23; pubblicata 01/09/23
lunghezza :: 10.000+ parole (sorry)
ispirazione :: "Memories", Conan Gray
au :: Pro Hero, future (no spoiler, aged up to 26+)
genere :: songfic; angst, smut
tw :: (a little much) toxic relationship
smut :: da "«Mi imprimo il tuo ultimo ricordo.»"

in cui :: Izuku si ritrova a casa un Katsuki ubriaco e lotta tra la consapevolezza che tra loro è finita, deve esserlo, e il bisogno di appartenersi un'ultima volta.

─────.•*:。♡。:*•.─────

«Sì, sono appena tornato... Accolto in Giappone da ritardo aereo, smarrimento dei bagagli e un bel temporale, fantastico eh? Sono baciato dalla fortuna oggi.»

«Io direi che è più la sfiga e che ti perseguita, Midoriya.»

Ridacchio alla voce calda che viene dall'altra parte del telefono. Negli anni l'ingenuità del mio migliore amico nel prendere tutto alla lettera si è trasformata più in sarcasmo consapevole, assorbito per osmosi a frequentare Hanta e gli altri alla loro agenzia.

«Lo so, Todoroki-kun, lo so, intendevo solo che...»

Non riesco a concludere il concetto, un po' perché non c'è davvero bisogno e nemmeno riuscirei per quanto sono stanco, un po' perché sono più impegnato a lottare contro una folata di vento che sta per portarmi via dalle dita le chiavi di casa; il telefono intanto pericolosamente appoggiato tra spalla e guancia mentre l'altra mano prova a tenere l'ombrello e insieme fare un gesto di riconoscenza al taxista, anche se sta già sgommando via dal vialetto. Già, la sfiga mi sta decisamente perseguitando.

Mi ritrovo così in una posa stupida con tremila cose da portare dentro se solo riuscissi a infilare le maledette chiavi senza far cadere tutto nel frattempo, impossibile per un comune essere umano. È in situazioni come questa che vorrei avere un quirk come quello di Ochako, o ancora meglio rimangiarmi il voto di non usare One For All quando non sono in servizio e non ci sono emergenze per passare inosservato come un cittadino normale.

Il che è anche questo un po' impossibile, essendo io il Number One Hero quotidianamente sbattuto sui tabloid e nel mirino di paparazzi non sempre dalle migliori intenzioni... Ma almeno adesso posso stare tranquillo: grazie ad Eraser Head con la sua abilità a schivare i media e ad Endeavor che ha esperienza nel campo, ho fatto perdere le mie tracce per un po', in missione segreta negli Stati Uniti un paio di mesi, e fatto in modo che nessuno sapesse del mio rientro in questo sabato notte come tanti.

«Quindi ci vieni alla festa per Kaminari? Sei ancora in tempo.»

Shoto continua dall'altro capo della linea disturbata dal temporale e dai rumori delle mie valigie che finalmente riesco ad appoggiare, cioè far rotolare con scarsa delicatezza, dentro casa e di quello stronzo dell'ombrello che non si vuole chiudere e... Sì, sono anche leggermente stressato. Illuso io a pensare che la trasferta, facendomi cambiare aria, mi avrebbe fatto rinascere. Se non altro, mi ha fatto lasciare alle spalle quel periodo di merda.

Mi ero dimenticato che la festa per celebrare l'ultimo successo di Chargebolt sarebbe stata proprio oggi. L'ho letto qualche giorno fa su un giornale americano, dato che è stato il suo primo vero slam e ha fatto il giro del mondo, oltre che sui social in cui cura tantissimo la sua immagine e diffonde inviti ai suoi vari eventi perché ogni occasione è buona per incontrare fan e divertirsi. Questa sera, tuttavia, era riservata solo ai Pro Hero e in particolare agli ex compagni di classe, una sorta di rimpatriata.

Forse, ho voluto dimenticarmene. Mi mancano Shoto, Ochako e gli altri, però... È meglio non rivangare niente che ha a che fare con quei vecchi momenti, non richiamare quelle situazioni, quelle persone. Non ricordare lui.

«Non so, Todoroki-kun», mormoro qualcosa, «Devo ancora mettere a posto tutto, ho un sonno arretrato da giorni, non so neanche se gli farà piacere vedermi che rispunto così all'improvviso dopo mesi che non mi sono fatto sentire e poi-»

«Ho capito.» Sembra arrivare alla verità prima di me, anche se non lo dice. È sempre stato così bravo a leggermi dentro. «Vuoi una mano, allora?»

«Eh?»

«Posso venire da te, Midoriya.»

«Oh. Adesso adesso?»

«Ti aiuto a sistemare. Parliamo. O anche solo rimaniamo in silenzio abbracciati a guardare un film che seguiremo neanche per metà per farti capire quanto mi sei mancato. E poi... Ho bisogno di coccole. Anche tu. Ci facciamo un po' compagnia...»

Ah.

Ah, aspetta, così?!

«Che ne dici, Izuku?»

Beh, porca puttana.

«... Ci sei?»

«Porca puttana-» impreco anche ad alta voce ma a causa del telefono che si schianta inevitabilmente sul tappeto d'ingresso, per poco insieme anche a me medesimo perché il brivido che mi percorre tutta la schiena a sentirmi chiamare per nome in quella che potrebbe essere una proposta indecente mi fa scordare l'uso delle mani e delle gambe ed è per miracolo che non inciampo in una borsa.

Cioè, non lo so se è quel genere di proposta, non sarebbe la prima volta ma Dio quest'uomo è così ambiguo e non si rende davvero conto dell'effetto che fa... E io non scopo da un sacco.

Mi schiaffeggio le guance tra le mani. Riprenditi, idiota di un Izuku.

Con un calcio chiudo la porta ancora aperta, nella speranza che nessuno dei vicini abbia assistito alla scenetta e domani non mi troverò in un bell'articolo in prima pagina tipo "Il ritorno movimentato del Numer One Hero Deku in patria". Quindi recupero il cellulare da terra, da cui Shoto chiede che è successo e se è tutto a posto.

«Umh, sì sì, ci sono!» esclamo con la voce più alta di un'ottava, «Scusami, è che mi è caduta una cosa...»

La mia dignità, chiaramente.

«Scusami tu, ho detto ancora qualcosa di fraintendibile, vero? Non intendevo venire da te per fare sesso. Abbiamo detto di non rifare più sesso noi due, giusto? Almeno finché non capisci se ti è passata. Quindi, per quanto sono stato bene quella volta a fare sesso con te adesso non intendevo venire da te per fare sesso. Ecco, sono stato più chiaro?»

«Ti prego Todoroki-kun non ripetere fare- quello così tante volte!» piagnucolo. «Ovvio, sì, non l'avevo pensato... Ma poi dove sei? Non dirmi che stai parlando così in pubblico.»

«Mmh, essere circondato da gente che si muove in modo strano sopra alla musica e Kaminari qui che mi osserva in modo affatto inquietante vale come in pubblico?»

«Oh no...» Nonostante tutto, nonostante soprattutto Denki nell'equazione che significa senza dubbio che è la fine, mi strappa uno sbuffo lontanamente simile a una risata.
Poi arriva uno sbadiglio. «Cavolo, ho davvero bisogno di una dormita. Ci risentiamo quando sono più in grado di tenere una conversazione, dai. Tu adesso spieghi a Kaminari-kun che quello che ha sentito è un malinteso e ti godi la festa anche per me, ok? Ciao ciao.»

«Ok. Ehi», mi richiama quando sto per mettere giù.

«Sì?»

«Tu stai bene?»

Non c'è bisogno che lo nomini. Sappiamo entrambi a cosa, chi si riferisce.

«Immagino.» Sorrido debolmente. «Domani ne parliamo, promesso. Magari davanti a una cioccolata calda... Tè freddo per te. Colazione al bar di Sato-kun, ci stai? Intanto grazie di tutto.»

«Ci sto. E grazie di cosa? Ti ho solo chiamato. Volevo anche venirti a prendere all'aeroporto ma Hanta mi ha intrappolato qui e per lo stesso motivo in realtà non potrei venire da te però ci ho provato.»

«Pff. È già tanto, credimi.» Forse, con i miei ventisei anni appena compiuti sulle spalle, sono rimasto il solito ragazzino di dieci anni fa che avrebbe dato tutto per ricevere uno solo di questi pensieri e mai li ha avuti.
«Allora ciao. Ti voglio bene, Shoto.»

«Ti voglio bene anch'io.»

Lascio che i bip di fine chiamata riecheggino nel buio dell'appartamento per un minuto buono.

È ancora lì, sul mobiletto dove l'avevo lasciata. La foto di quando abbiamo fondato la Wonder Duo Agency.

Nome un po' infantile magari, un po' da noi, da giovani pieni di speranze per il futuro e promesse. Promesse che lui ha infranto, così come il mio cuore che l'ha perdonato per poi ricominciare il loop da capo ancora e ancora.

Non l'ho portata con me e nemmeno ce l'ho fatta a buttarla via in qualche scatolone da dimenticare in soffitta. Sospiro rovesciandola piano sul legno. È successo ed è passato. Non ho più le forze né le lacrime per piangermi addosso e mi sono promesso che non ci avrei più pensato, a lui.

Non l'avrei più fatto, giusto?

.•*:。♡。:*•.

One, two...

.•*:。♡。:*•.

Mi faccio una doccia infinita. Sto ancora rimparando a dedicare del tempo esclusivamente a me stesso e farmi bello senza un preciso scopo è un modo per prendermi cura di me. Alla fine mi metto anche in pigiama. Meglio, sì.

Mi preparo il riso istantaneo che prima ho preso al volo al supermercato dell'aeroporto, sapendo già che non avrei avuto voglia di cucinare e del resto le mie scarse abilità culinarie non sono esattamente migliorate stando all'estero.

Davvero, come faceva All Might a mantenersi in linea con tutto quel cibo spazzatura? Se ci fosse ancora, glielo chiederei. Gli direi questo e di come è stato incredibile lavorare lì come lui da giovane ma triste senza sentirlo dire che è fiero di me e molto altro finché mi riprenderebbe sorridendo perché parlo troppo. Avremmo proprio ancora tante cose di cui parlare.

Anche con mamma, che adesso sarà a casa tutta sola. Mi segno su un post-it attaccato al frigo di andare a farle una sopresa domattina e anche di provare a sentire Eijiro per una di quelle sue consulenze sulle diete e il fisico perfetto. Così magari saluto direttamente Denki alla loro agenzia e mi scuso per non esserci stato all'evento di stasera.

Mentre il riso si scalda, mi butto sul divano e apro Instagram.

Il profilo di Denki è già pieno di stories sulla festa e mi perdo a guardarle divertito. Sono rimasti gli stessi. Lui e sua moglie Kyoka alla postazione da dj che ogni tanto spariscono, probabilmente da qualche parte a sbaciucchiarsi come a scuola e un po' invidio la loro relazione ancora così forte e stabile, Mina che ruba il cellulare al biondino e immortala i colleghi Toru, Hanta, Shoto e Momo bere insieme, e ancora Ochako e Tsuyu che si scatenano in pista, poi di nuovo Denki che si fa un selfie col suo socio nonché migliore amico Eijiro...

Ed eccolo, il tuffo al cuore latente che aspettava solo di esplodere non appena lo vedo.

Un po' me lo sono andato a cercare. Letteralmente: ho rimandato indietro e messo in pausa ogni singola storia e appiccicato gli occhi allo schermo al punto che non penso avrò più il senso della vista, alla ricerca di qualche indizio della sua presenza e di quel colpo che sarebbe arrivato quando, me lo sentivo, l'avrei trovato.

Sono rimasto anche il solito masochista di quando mi facevo prendere a pugni pur che lui comunicasse con me qualcosa, qualsiasi cosa o illudermi che lo stesse facendo.

Appare per pochissimo in quell'inquadratura di Eijiro e Denki. Accanto ai due, al tavolino con un drink in mano e lo sguardo lontano. Come se fosse con la testa altrove, in qualsiasi posto che non sia lì, o magari già ubriaco marcio e basta. Più probabile questo, già. È sufficiente soffermarsi sugli occhi persi, su come sospira con le mani tra i capelli e si è allentato la cravatta lasciando che la camicia gli scopra il petto che quasi brilla alle luci del locale perché l'alcol lo fa sempre sudare e scaldare e...

Cazzo. Odio conoscerlo così bene, meglio di me stesso.

E cazzo, non è giusto. Non è giusto, è davvero...

È bellissimo.

Fanculo.

«Stronzo...»

Solo all'odore di bruciato mi rendo conto che il riso è cotto e stracotto, un po' come me ancora una volta, che sto borbottando da solo e che ho uno stupido, amaro sorriso sulle labbra.

.•*:。♡。:*•.

It's been a couple months
That's just about enough time
For me to stop crying when I look at all the pictures
Now I kinda smile, I haven't felt that in a while

.•*:。♡。:*•.

Perdo la cognizione del tempo, spiaggiato sul divano dopo aver mangiato poco e niente senza riuscire a fare nulla ma nemmeno a prendere sonno, finché il suono del campanello mi fa saltare su.

Afferro il telefono che si era disperso tra i cuscini e incredibilmente non si è rotto sotto il mio peso.

Tre e mezza.

Tre e mezza, notte fonda! Chi diavolo è a quest'ora?!

«Arrivo!»

Mi infilo in fretta e furia le pantofole e sciabatto fino all'ingresso, schivando la mia roba che è ancora tutta lì. Pensandoci può essere soltanto Shoto che è riuscito a passare, insistente come non mai e se continua a suonare così il rumore mi darà alla testa.

«Ho detto che arrivo, un attimo! Dico io cosa costa aspettare un a...!»

Se prima ho perso un battito, ora ne perdo una decina e credo anche di dimenticare come si fa a respirare.

Per un secondo penso anche che sto sognando o avendo un'allucinazione. Ma è proprio vero. È proprio qui, nel suo metro e ottanta ormai, soliti capelli grano disordinati, la stessa camicia bianca sbottonata e bagnato fradicio da capo a piedi.

Lui... Lui- Kacchan...

Kacchan è proprio davanti a me.

Kacchan è qui alla mia porta, sotto il temporale, tutto solo quindi non ho davvero idea di come sia arrivato fin qua, come un cane abbandonato che non sa dove andare e mi guarda in silenzio come se anche lui credesse di star sognando e non sia io in carne ed ossa.

«Katsuki.» La voce mi esce più gelida possibile, tutto il contrario dell'affettuoso soprannome con cui ancora non so smettere di chiamarlo nella mia testa. «Cosa ci fai qui?»

Le labbra sottili premono l'una contro l'altra, le spalle si stringono in loro stesse.

«A quest'ora poi?» riprovo, «E come sapevi che sono tornato?»

L'unica risposta che si degna di dare è scuotere piano la testa.

Non... Non lo sapeva? Allora sul serio cosa ci fa qui? Perché è venuto se era impossibile che gli avrei aperto?

Lo fa spesso, di venire a cercarmi? Ci tiene ancora come ci tengo io anche se abbiamo chiuso mesi fa?

Izuku, no. Niente illusioni e niente contatti, così ti eri promesso.

Però non posso neanche lasciarlo a farsi la doccia sotto il diluvio universale per tutta la notte, che cavolo, per giunta ubriaco a quanto suggeriscono l'odore e il solito atteggiamento, grande voglia di spiegare e coda tra le gambe per cui non riesce neanche più a guardarmi in faccia.

No, è anche che si sta piegando in avanti. Non riesce a stare in piedi? Si sente male? Oh... Si sta inchinando.

«Ti prego.»

Tutto qui.

Eppure vale tanto, così tanto perché Kacchan non chiede aiuto mai, non chiede mai per favore, non ammette mai di essere in un momento di fragilità.

Adesso ha davvero bisogno di me. E io sono rimasto anche il solito Izuku che non sa mai dirgli di no.

.•*:。♡。:*•.

It's late, I hear the door
Bell ringing and it's pouring
I open up that door, see your brown eyes at the entrance
You just wanna talk and
I can't turn away a wet dog

.•*:。♡。:*•.

Anche qualche sua maglia è ancora a casa mia. Un po' perché di alcune mi sono impadronito senza ammettere obiezioni durante la convivenza, un po' perché le altre non ho avuto il coraggio di restituirle quando è finita, né lui di venirle a riprendere. Da lì è avvenuto tutto in fretta, il distacco, la mia missione oltreoceano e così eccole ancora qui nel mio armadio in una sezione ricavata apposta per le sue cose, anche libri, videogiochi e altro, per non permettere al suo profumo di investirmi ogni mattina o so che ci morirei.

Prendo una di quelle nere grandi e con i loghi macabri che gli piacciono, dei miei pantaloncini che potrebbero andargli e torno di là.

La sta guardando. La foto sul mobiletto all'ingresso. L'ha tirata su e la osserva con quello sguardo vacuo, sfiorandola con un pollice.

E non so spiegarlo, è come se quelle mani stessero accarezzando anche me e mi fa venire i brividi e non voglio. Non voglio che torni ad invadere i miei spazi così, non voglio che mi tocchi, non voglio che si ripeta quella scena di quando ci siamo lasciati.

«Katsuki. I vestiti.»

Tremano, la mia frase e il mio corpo mentre mi fingo forte, non come se con uno stupido gesto qualsiasi potesse buttare sale su sale sulla mia ferita, e gli ordino di andare in bagno a cambiarsi.

Ributto giù la foto e mi risposto in cucina. Preparo sul tavolo l'acqua, molta acqua, e quel che restava in frigo del mio riso condendolo alla bell'e meglio con qualche spezia forte che soltanto lui sa mangiare.

Di solito rimanevo in bagno ad aiutarlo o almeno mi accertavo che non ci collassasse dentro. Stavolta aspetto fuori. Aprire quella porta sarebbe come riaprire anche uno spiraglio nel nostro rapporto e nemmeno questo lo voglio. Non sono pronto, fa ancora troppo male.

O magari sono davvero solo tutte mie pippe mentali e dovrei andare a controllare perché è passato un bel po' e potrei avere un morto sulla coscienza e...

«Oh, eccoti.»

Sembra stare meglio, relativamente. Si è lavato, ha messo quei vestiti e per un secondo gli si sovrappone una vecchia immagine di un Kacchan rilassato dopo una giornata di lavoro e una bella doccia che mi sfida a qualche videogioco e se vince il premio sarò io da amare tutta la notte. Detto in termini più volgari che includevano il fottermi senza pietà e il non farmi più camminare per giorni.

Sussulto quando muove gli ultimi passi verso di me. «Allora, qui c'è un po' da mangiare e delle pastiglie per il mal di testa se ti servono. Non fare quella faccia, è il meglio che sono riuscito a fare ok? E soprattutto bevi tanta acqua. Vado di là a farti il letto, io dormirò sul divano. Ti lascio tutto sul tavolo.»

Aspetto appena un segnale della sua testa che ha capito e sgattaiolo nella mia stanza.

Breve, efficace e indolore. Sono stato bravo. Forse posso sopravvivere a questa situazione che va ben oltre alla sfiga e per la cronaca non la stavo sfidando al telefono con Shoto prima. Posso gestirla e poi mettere una fine seria a tutto, ogni possibile contatto ora che sono rientrato in Giappone, ogni legame...

«Deku», la voce bassa gratta nella sua gola e nel mio stomaco che non può evitare di contorcersi a una sua sola parola. «Grazie.»

No, forse non ce la faccio se lo rende così difficile.

.•*:。♡。:*•.

But please don't ruin this for me
Please don't make it harder than it already is
I'm trying to get over this

.•*:。♡。:*•.

Mi costringo a rialzarmi dal letto appena fatto, in cui me ne stavo seduto in uno stato pietoso a far rimbalzare una gamba impazzita e mangiucchiarmi le unghie. Eppure il peggio è passato, devo soltanto controllare che abbia finito tutto e metterlo a letto, semplice no?

L'ansia continua ad appesantirmi mentre mi trascino in cucina e mi fa bloccare un attimo, a rivederlo lì al tavolo come un tempo, distratto dai miei appunti disordinati sparsi persino sulla penisola e sul frigo dove sono accompagnati da quelle lettere magnetiche coi colori di All Might che insistetti a prendere tempo fa.

D e D. Deku e Dynamight.

Da mesi mi dico che è finita e che l'ho sbattuto fuori dalla mia vita. Deve essere così. Dovrebbe... Invece tante piccole cose sono ancora qui, in questa villetta comprata tutta per noi cinque anni fa dove ora sono rimasto solamente io. Questa casa sa ancora troppo di lui, di noi. Ecco perché sono fuggito in America. Ma non sono tornato con la forza necessaria per disfarmi definitivamente di tutto. E anche se lo facessi, i ricordi... quelli non li potrei cancellare mai.

«Com'era? Almeno accettabile?» butto lì una mezza battuta riprendendo dal tavolo il piatto e il bicchiere vuoti.

Kacchan fa un piccolo sorriso sarcastico e torna ad osservarmi soltanto.

Non ha insultato il mio cibo, troppo strano. Si vede che si è ubriacato! Anche se adesso sembra aver smaltito una buona parte della sbronza.

In realtà... Non è sempre così quando beve. L'alcol gli fa un effetto strano. Lo rende l'essere più docile del pianeta come adesso oppure violento, senza una via di mezzo. E sono più tante le volte che è capitata la seconda. La rabbia per cose da nulla, il quirk che gli impazziva, il panico, il prendere a pugni e calci tutto ciò che aveva intorno... e me che cercavo di aiutarlo perché era tutta colpa mia. Di cosa, non lo capivo mai. Sapevo solo che la mattina dopo mi sarebbero rimasti la casa distrutta e i lividi a costellarmi la pelle.

Negli ultimi tempi era migliorato. L'avevo convinto a ricominciare psicoterapia e stava risolvendo i suoi problemi di gestione della rabbia, i complessi e tutto quanto. Finché un giorno d'aprile siamo finiti a litigare per non ricordo neanche cosa, una delle sue scenate di gelosia forse, sono volate ancora delle botte da entrambi che invece ricordo bene e ho detto basta per la volta definitiva dopo una vita intera passata così. A perdonarlo e riaccoglierlo sempre, a prometterci che non ci saremmo più fatti male a vicenda. Ad amarlo con tutto me stesso e non è stato abbastanza.

Dev'essere dovuta a questo l'ansia che mi ha preso all'improvviso, accanto alla sorpresa e devo ammettere un certo sollievo nel rivederlo pure non nel suo stato migliore. Eccomi qua, in una notte umida e afosa di fine luglio con la paura di ingabbiarmi in quella stessa situazione. Prima ancora, di andare a fuoco per quanto sento i suoi occhi bruciarmi addosso mentre pulisco il bicchiere nel lavello dandogli le spalle, e penso che ci sono anche troppi ricordi brutti a legarci e nemmeno questi si possono cancellare.

Mi arriva il rumore della sua sedia e mi sbrigo a finire. Ho le mani sotto l'acqua calda da così tanto che mi scottano.

«Ah sì, puoi già andare di là se vuoi. Ce la fai? Ti aiu...»

Il profumo simile al caramello misto al mio docciaschiuma è la prima cosa che mi immobilizza. Poi subito le braccia altrettanto familiari che mi cingono da dietro e stringono spalmandomi contro il suo petto.

Il bicchiere mi scivola via e se la distanza fosse stata poca di più si sarebbe rotto nel lavello in mille pezzi.

«Ka... Katsuki cosa stai...»

Inspira piano con il viso appoggiato su una mia spalla, con qualche difficoltà data la buona decina di centimetri che ci separa. Un po' di più di quando eravamo ragazzini e senza renderci conto avevamo cominciato... tutto questo che si è rivelato troppo più grande di noi.

«Izuku...»
Mi infila le dita sotto la maglietta del pigiama. Sono bollenti contro il resto del mio corpo freddo, paralizzato. Conoscono il percorso a memoria e lo stesso vale per le labbra che lasciano una scia dalla spalla scoperta sul collo fino all'orecchio.
«Mi manchi.»

«Kacchan...»

Grave errore, me ne rendo conto appena apro la mia stupida incosciente bocca.

I baci si fanno più cattivi, di lingua e di denti, le mani passano a torturarmi la pelle giocando con il quirk, lasciando leggere scottature, e con il bordo dei miei boxer.

«Aspetta, no...»

«Mi manchi.»

Con un gesto secco, rude mi fa girare faccia a faccia. Si spinge contro di me e si aiuta afferrandomi le gambe per mettermi seduto sulla penisola, lui tra di esse già troppo facilmente ed oscenamente aperte e riprende a martoriarmi il punto sotto l'orecchio e stringermi le cosce risalendo da lì sotto i pantaloncini.

Sì, siamo sempre stati così un po'... Meno chiacchiere e più fatti, poco vanilla e bisogno di lasciare i nostri segni l'uno sull'altro. Mentirei se dicessi che non mi piace quando mi prende all'improvviso ovunque capiti facendomi anche male e mentirei se dicessi che già adesso non sto impazzendo perché sa perfettamente quali punti toccare, che toni usare, come mormorare il mio nome.

Ma non lo voglio, giusto? Non dovrei... Non posso.

Non so con quale forza mi ribello e gli dico di no, per una volta.

Lo prendo per le braccia e provo a staccarlo da me, il più irremovibile possibile. «Kacchan, no. Fermati.»

«Mi manchi. Mi manchi così tanto», sembra saper cantilenare solo questo, cercando di imporsi a forza, e mentre inizia a svestirmi della maglietta con urgenza bruciacchiando il bordo e per poco anche il braccio che metto in mezzo i brividi di eccitazione si mischiano ancora a quella inconfondibile sensazione.

Paura.

«Ho detto no!»

Tra i due sembra Kacchan quello più spaventato, quando riesco ad allontanarlo costringendomi a ricorrere a Frusta Nera e mi guarda negli occhi per la prima vera volta stanotte. I suoi sono lucidi e d'un tratto confusi, come se non si capacitasse della situazione.

«Io... Pensavo- Non volevo...» farfuglia. «Scusa, scusami davvero Deku. Per... tutto.»

Anche quando mi colpivi a pugni e parole dicevi sempre che non volevi, Kacchan.

Però... Delle scuse così sentite non le ha fatte mai. Mi curava le ferite, mi scopava gentile e delicato come non mai ma nessuna volta diceva chiaramente scusa.

Non credo alle mie orecchie e anche lui sembra spaesato da sé stesso. Oppure è che l'ultima fase della sbronza si fa sentire.

«Non è... Non è successo niente. È tutto ok.»

Minimizzo e mento per il bene di entrambi. Anche questo, a posteriori, mi accorgo quanto accadesse spesso tra noi. Come il mio dover essere forte per tutti e due e in questo momento devo esserlo di nuovo.

Lo libero da Frusta Nera. Mi risistemo la maglietta sulla spalla e scendo dal ripiano.

Kacchan mi lascia spazio compiendo un passo indietro, e nel farlo rischia di cadere.

«Cavolo, quanto hai bevuto di preciso? Non ti reggi in piedi... No, non lo voglio sapere. Siediti qui... Ecco, così, bravo. Adesso ti riposi un attimo e quando te la senti ti aiuto ad andare in camera, ok?»

Mentre parlotto riportandolo sulla sedia lo fa ancora. Guardarmi in quel modo, con quello sguardo languido e da cane bastonato con cui fa sembrare che sia lui la vittima di tutto, semplicemente di sé stesso, forse anche se a parole dice che è a causa mia che impazzisce perché ci tiene troppo e non sa dimostrarlo, e un'altra volta provo compassione per questo stronzo e nostalgia anch'io.

Perché mentirei pure se dicessi che non mi manca un po' sgridarlo e prendermi cura di lui senza riuscire a lungo a fingermi arrabbiato, litigare e risolvere tutto tra amore e lacrime. Ogni momento bello o brutto illudendomi sempre che c'è una possibilità per noi.

Sono la solita crocerossina masochista, ecco cosa.

Ma se non potrò mai liberarmi dalle catene di questo rapporto malato, da una parte gli abusi e dall'altra la dipendenza affettiva, almeno ho una visione più lucida oltre la nebbia che le nasconde. Mi sono arreso, io che come eroe non mi arrendo mai, al fatto che è complicato da risolvere, probabilmente non si risolverà mai e finché stanno così le cose le possibilità per noi non esistono più e devo lasciarli andare, lui e quei momenti di cui ora possono rimanere soltanto i ricordi.

Ed è tremendamente difficile se lui fa così e non me lo permette.

Si rannicchia sulla sedia. Mi trattiene per le dita, con premura tutto d'un tratto, sfiorandomi e niente di più. Le intreccia alle sue, le osserva attentamente come se quelle orrende cicatrici fossero la cosa più bella del mondo.

Ci gioca un po' fino a portarsele vicino. Lascio che le trascini ad avvolgersi il collo e così trascini anche me, l'ultimo passo sufficiente affinché possa abbracciarmi la vita e nascondere la testa contro la mia pancia.

«Scusa per tutto. Vengo sempre qui a cercarti anche se so che è inutile per dirti questo. E stavolta che c'eri per davvero ho rovinato tutto come sempre... È solo che- Mi manchi. Fa male, non sai quanto...»

Credimi, lo so.

Dopo il suo discorso compiuto più lungo di questa notte e più sincero di anni e anni di relazione, non ho idea di quanto tempo rimaniamo congelati così. Mi bagna con qualche lacrima mentre continua con la sua cantilena rotta dai singhiozzi del mi manchi; io lotto contro l'istinto di accarezzargli i capelli come gli piace tanto e cullarlo dicendo che va tutto bene.

Non basta che si apra emotivamente a me solo adesso e da ubriaco. Non basta che chieda scusa e non basta che gli manco perché è troppo tardi. Non si può tornare indietro e i ricordi devono rimanere ricordi. Non si devono ripetere e Kacchan deve restarci e basta.

.•*:。♡。:*•.

I wish that you would stay in my memories
But you show up today, just to ruin things
I wanna put you in the past 'cause I'm traumatized
But you're not letting me do that, 'cause tonight
You're all drunk in my kitchen, curled in the fetal position
Too busy playing the victim to be listening to me when I say
"I wish that you would stay in my memories"
In my memories, stay in my memories

.•*:。♡。:*•.

«Ehi... Rimani qui? Solo finché mi addormento.»

Mi pietrifico, già sull'uscio della camera.

Non può. Davvero questo bastardo non può piombare a notte fonda in casa mia dopo mesi, provare a entrarmi nelle mutande da mezzo ubriaco, poi crollare e piangermi addosso e ora fare il cucciolo così. Non può e io non posso reggere se continua a...

Sospiro. «Prendo una sedia.»

Quando torno dalla cucina lo trovo ancora sdraiato sul letto, adesso si tiene un po' su con i gomiti e guarda verso l'armadio. L'ho dimenticato aperto, prima, e non ci vuole un genio a notare che è tutto vuoto tranne che in quell'angolo con le sue cose.

Mi sbrigo ad andare a chiuderlo.

«Ecco dov'era finita quella felpa, ah e anche quel libro... Pensavo di averli persi in qualche hotel del cazzo in trasferta o qualcosa del genere. Sul serio stavo uscendo pazzo a non trovarli più, meno male che sono qui.»

«Puoi portarli via domani mattina.»

Ignora completamente la mia freddezza. Scherza, addirittura. «Nah, tanto le prossime volte mi ruberai qualcos'altro».

Pianto la sedia accanto al letto in un tonfo.

Mi ci aggrappo e racimolo tutte le mie forze per non scoppiare in questo preciso istante. «Katsuki, smettila.»

«Smettere cosa?»

Lo chiedi pure, stronzo? Fai il tenero, sei loquace all'improvviso dopo lo sfogo di prima, scherzi. Con il passato e con i miei sentimenti. Parli come se fosse tutto normale e non fosse finita tra noi e come se non sapessi perfettamente anche tu che solo stando qui, nella casa che era destinata ai nostri sogni, nel mio letto che era il nostro, ci stai distruggendo silenziosamente entrambi per l'ennesima volta e io ci provo con tutto me stesso ma non posso mettere un punto e fine a qualcosa che tu continui a ricominciare ancora e ancora.

Alzo la testa e fisso gli occhi appannati nei suoi.

Per una volta sembra ascoltarmi, anche se gli grido questo soltanto dentro di me. Dopotutto lo sa già. Non gli serve una risposta che ha sempre conosciuto e per lungo tempo evitato per ritardare la fine. Adesso è arrivata veramente e non possiamo più illuderci di ritrasformarla in un nuovo inizio, dobbiamo accettarlo e smetterla di farci male così.

«Solo, non farmi questo.»

.•*:。♡。:*•.

Now I can't say goodbye
If you stay here the whole night
You see, it's hard to find an end to something that you keep beginning
Over and over again
I promise that the ending always stays the same

.•*:。♡。:*•.

«Non rispondi?»

«Dio- Katsuki che spavento...!»

Nel buio della stanza, la mia mano raggiunge a tentoni il comodino e prende il cellulare che vibra per la seconda volta in pochi minuti per mettere giù di nuovo a Shoto. Non è normale che io non risponda subito, si starà preoccupando, qualsiasi cosa ha da dirmi a quasi le cinque del mattino suppongo di ritorno dalla festa.

«Non rispondi?»

Cerco gli occhi di Kacchan nell'oscurità, aiutato dalla poca luce emessa dallo schermo quando lo sblocco. È sdraiato su un fianco a filo del letto a due piazze, girato verso di me ancora seduto qui accanto a vegliare su di lui, che studia attento i miei minimi movimenti al posto di cercare di riposare.

«Non rispondi?»

Oh, non ne usciremo più così.

«E tu non dovresti dormire?» Sono stanco e non modero bene il mio tono. È pericolosamente vicino a quello di quando battibeccavamo per cose idiote e lo rimbeccavo dolcemente e... Basta. Rimanete nel vostro angolo, stupidi ricordi.

Scrivo veloce al mio migliore amico che non posso parlare e gli spiegherò tutto con calma domattina promesso, e torno a Kacchan.

«Bastardo a Metà?»

Probabilmente ha spiato il nome mentre riattaccavo. Poi quello della coppia che stalkera l'altro in ogni singola cosa che fa e conosce ogni particolare di lui sono io. Ero... Ero io.

«Sì.»

«Si preoccupa per te.»

«Sì.»

«Ti cerca. Si prende cura di te. Ammirevole.»

Ah, che non si azzardi a iniziare. Lo so come fa. «Se hai da ridire su qualcosa fallo e basta, Katsuki.»

«Rilassati. Dici sempre che inizio io a discutere ma tu sei il primo a metterti sulla difensiva. Non sto cercando di litigare... Dannazione Deku.»

Le coperte frusciano, l'abat-jour viene accesa e mentre mi abituo alla luce lui si mette seduto, sbuffando per lo sforzo.

Le nostre ginocchia si sfiorano e prova a riprendermi le mani tra le sue. Arretro strisciando la sedia che stride sul pavimento.

«Deku...» sospira di nuovo. «Voglio soltanto dire che Bastardo a Metà può... può meritarti. Odio dirlo ma è ok se vai da lui.»

«Come scusa?»

«Quello che ho detto. Per quanto mi costi ammetterlo il bastardo è una brava persona quindi va bene se vuoi... voltare pagina. Mi sembra di essere stato chiaro.»

«No sei solo il solito stronzo e tale ti riconfermi», esclamo senza pensare. Mi metterò subito sulla difensiva, me la prenderò per nulla ed è vero ma sono stanco e non mi posso più fingere freddo e forte nascondendo quanto qualsiasi cosa faccia o dica mi riduce ancora in pezzi.
«Non decidi tu per me chi mi merita. Come se fossi di tua proprietà o potessi avere tutto questo controllo sulla mia vita. E cosa pensi, che mi lascerei andare subito tra le braccia di qualcun altro?»

«Non è quello che hai fatto?»

«Co... Cosa?»

«È quello che hai fatto, col Bastardo a Metà. Sbaglio?»

Ritorna anche quella vecchia sensazione di sentirmi minuscolo mentre boccheggio, schiacciato sotto il suo sguardo.

Come se i sentimenti che ho tentato di esprimere esplodendo in quel modo non valessero niente, ciò che provo io non vale mai niente a confronto. Porta il discorso dove vuole lui e mi fa sentire una merda: lo conosco, di cosa mi stupisco?

E prima o poi sarebbe saltato fuori. Forse, volevo che saltasse fuori proprio da Shoto che, gli voglio un bene dell'anima, ma è troppo ingenuo e si fa cavare di bocca facilmente le cose senza rendersene conto.

Volevo che Kacchan lo venisse a sapere.

Questo mi rende uno stronzo? Probabilmente sì. O soltanto un disperato? Probabile anche questo.

Più o meno consciamente, in questi mesi non ho fatto altro che tenermi lontano il più possibile da Kacchan da una parte e tenerlo legato a me in qualche modo dall'altra. Più che il mio innato istinto all'autosabotaggio, è che Kacchan non è l'unico stronzo qui a continuare a farci del male perché, al di là di ciò di cui vogliamo convincerci, non sappiamo lasciarci andare.

«Come lo sai?» chiedo solo, più cauto.

«Eijiro.»
Eijiro, eh? Niente più "Capelli di Merda"?
«Eijiro a cui l'ha detto il Fulminato a cui l'ha detto Faccia Piatta a cui l'ha detto Bastardo a Metà. Quindi? Niente da dire? Quante volte? Va ancora avanti?»

Eccola, l'altra sua tattica. Dopo le accuse, finge di non essere arrabbiato per niente quanto deluso dal mio comportamento con quell'espressione ferita. Per farmi sentire in colpa, farmi piangere delle giustificazioni e delle scuse, e farmi ristrisciare da lui.

Ma le cose si fanno in due. Le colpe si spartiscono. E io non devo nascondere né giustificarmi proprio di nulla.

«Sì è successo. Una volta, appena dopo che te ne sei andato e-»

«Su questo stesso letto, magari», fa una smorfia ironica. Ora lo pesto.

«Vuoi lasciarmi finire?» sbotto balzando in piedi. «Lo vedi, non ascolti mai, è questo il tuo maledetto problema! Non saremmo nemmeno qui adesso se mi avessi ascoltato qualche volta!»
Volevo rimanere calmo? Come non detto. So anche che non è affatto così semplice, il nostro casino di rapporto non si può ridurre a questo, ma non ragiono più.
«Stavo una merda ok? Con Shoto è successo perché cercavo di dimenticarti anche se era ovvio che non ci sarei riuscito, non ci riuscirò mai cazzo... E tu- tu hai subito pensato al peggio anche questa volta per i tuoi stupidi complessi dell'abbandono e perché non ti fidi di me. Cosa pensi sinceramente di me, eh? Che sono una puttana che aprirebbe le gambe a chiunque? A questo punto lo vorrei ma come faccio se non posso dimenticare l'amore della mia vita!»

Il suo impulso di replicare cade all'ultima frase. Kacchan sgrana solo gli occhi su di me che altrettanto incredulo lotto con me stesso per riprendere fiato, con la gola incasinata dal magone e il petto che si alza e riabbassa furiosamente.

«Ehi...» Si alza anche lui, apre piano le braccia. «Ehi Deku, vieni qui...»

«No», stronco il suo tentativo sul nascere indietreggiando fino alla porta. Perché so che se cedessi a un suo abbraccio adesso ci ricascherei di nuovo, ci sprofonderei fino ad affogarci.
Scaccio via con stizza le lacrime dalle guance. «Avevo bisogno di sfogarmi anch'io, tutto qua.» Gli do le spalle e, prima di uscire, volto indietro la testa. «Sto bene, vado solo in bagno. O vuoi controllare anche questo aspetto della mia esistenza? Tu vedi di dormire o quando torno ti faccio riaddormentare io, perché non hai idea di quanta voglia ho di prenderti a schiaffi in questo momento.» E di baciarti.

.•*:。♡。:*•.

So there's no good reason in make believing that we could ever exist again
I can't be your friend, can't be your lover
Can't be the reason we hold back each other from falling in love
With somebody other than me

.•*:。♡。:*•.

Non ho idea di quanto tempo ancora passiamo in questa situazione: io sulla sedia accanto al letto con la testa che crolla e rimbalza su più volte, Kacchan più sveglio di me.

«Deku, vieni a letto», mi ripete per quella che credo sia la terza volta, se non ho già perso il conto. «Sei scomodo lì. Sdraiati qua.»

Maledico il sonno accumulato nelle ultime settimane e la sua testardaggine. E il fatto che con quella discussione di prima ho dato fondo a tutte le mie energie e un po' anche ai propositi di tenere un solido muro tra noi.

In altre parole finisco per dargliela vinta stavolta, così magari se ne starà zitto e si deciderà a dormire, e borbottando tutto questo vado a buttarmi sull'altro estremo del materasso dandogli la schiena.

Comunque non dura molto, perché inizio a rigirarmi su me stesso senza tregua. Non trovo una posizione comoda e soprattutto andiamo, come posso rilassarmi in queste condizioni?

«Lo fai ancora. Mangiarti le unghie.»

Sussulto. Finito a pancia in su, scatto con la testa di lato quando mi sento sfiorare la mano.

Non la tiro via. Mi limito a ribattere qualcosa. «E tu lo fai ancora di ostinarti a tagliarti i capelli da solo. Hai sbagliato tutto lì dietro, lo sai?»

«Oi, non è colpa mia se non posso più sfruttarti come mio parrucchiere personale e gli altri sono tutti dei cazzo di incompetenti.»

In quale parte di "non farmi questo" non stato chiaro? Anche se... Gli sto dando corda anch'io. Sì, posso prendere la scusa che sono esausto per il sonno e la mia sfuriata e il resto, ma la verità è semplicemente che manca pure a me tutto questo e che quel muro si sta già sgretolando da quando lui ha rimesso piede in questa casa.

«Puoi chiedere a Eijiro o qualcun altro.»

Kacchan non risponde, si limita a continuare in una lenta tortura il percorso sul mio braccio.

Fa a zig zag tra le lentiggini per seguire i bordi delle cicatrici, concentrato, ed è troppo vicino e io non controllo la pelle d'oca.

«Ka... Katsuki...»

«È nuova questa?» sorvola sulla mia implicita richiesta, l'ultima barriera che ho avuto la forza di mettere o ci ho provato.

Guardo anch'io il mio bicipite su cui la cicatrice più recente affiora a malapena e che lui scopre piano dalla manica del pigiama. «Già. In America c'era questo villain che...»

Non riesco a continuare e del resto non importa.

«Non andartene più, Deku», mi prega sottovoce, scandendo con dei baci leggeri sulla pelle rovinata e poi sul collo, l'orecchio, «Non scappare. Non mi lasciare più solo. Resta con me».

Faccio l'errore di ricambiare il suo sguardo. Determinato, ferito e bisognoso.

E allora perdo ogni ragione, ogni volontà di ricostruire anche quell'ultima barriera ormai in frantumi al pari di me stesso.

Lascio che Kacchan si accoccoli su di me, in un goffo abbraccio dei suoi con la testa contro il mio collo.

In automatico il mio braccio lo avvolge, le dita finiscono tra i suoi capelli. Il suo calore e il suo profumo sono così forti che mi sento annegarci e morire per davvero, e presto il viso mi viene rigato da una lacrima.

.•*:。♡。:*•.

Since you came
I guess I'll let you stay
For as long as it takes
To grab your books and your coat
And that one good cologne
That you bought when we were fighting
'Cause it's still on my clothes, everything that I own
And it makes me feel like dying
I was barely just surviving

.•*:。♡。:*•.

Mi sono lasciato alle spalle quel periodo di merda. Ho buttato Kacchan e tutta quella tossicità fuori dalla mia vita. Non lo penso più ogni singolo giorno. Sto meglio... Quante bugie mi sono raccontato per mesi, che in una sola ora o poco più sono state smontate una ad una.

Non potrò mai mettere una fine. Amici d'infanzia, nemici, rivali, amanti, conviventi, ex... Ed ora rieccoci qui nello stesso letto come se il tempo fosse stato riavvolto, o fosse passato solo per illudermi di essere guarito e poi riportarmi brutalmente nella stessa situazione a ricordarmi la verità: siamo legati in una simbiosi malata da sempre e mai potremo farne a meno. Lui non può vivere senza di me e io non posso vivere senza di lui ferendoci e amandoci.

«Mmh...» Kacchan mugugna qualcosa mentre mi si spiaccica ancora di più addosso. Non sta ancora dormendo, è più a metà tra il mondo dei sogni e il mondo reale e quando è così abbassa le sue difese, in questo caso rendendomi partecipe che sta apprezzando i grattini.

L'ho detto, che è un cucciolone.

Al di là della sua arroganza intrattabile in pubblico e di quanto è... aggressivo anche nel privato, nell'intimità ha bisogno di questo. Sembra un controsenso, ma prima che amare, nei suoi modi singolari e spesso non giusti, ha bisogno di sentirsi amato. Di avere un porto sicuro in cui tornare la sera quando nessuno lo vede e di non sentirsi solo. L'ho sempre sospettato, più o meno consapevolmente fin da bambino. E mi sono imposto a forza io come la sua casa, standogli vicino ovunque andasse e in qualsiasi modo mi trattasse. Volevo solamente essere quello che lui era per me.

Provo a stiracchiare le braccia e le gambe che mi formicolano, in realtà per distogliere l'attenzione da come mi riasciugo di sfuggita la faccia.

Preso dai pensieri quasi non sento Kacchan che brontola di nuovo. «Deku basta muoverti o...»

Il fatto è che nemmeno io so come si fa ad amare. In tutta la vita ho avuto occhi soltanto per Kacchan e nessun altro termine di paragone o riferimento. Forse l'ho amato troppo e in modo sbagliato fin da subito perché ero ancora piccolo per capire. Mi sono convinto che amare sia questo distruggersi e ricomporsi male continuamente come due pezzi di puzzle che si insiste a voler incastrare dal lato sbagliato, ed è anche per colpa mia che Kacchan è così, che il nostro rapporto è così.

E allora, penso stringendolo a me più forte, se siamo nel punto del nostro personale loop di amore e massacro in cui mettiamo una fine cioè ce ne illudiamo, prima voglio averlo ancora. Se Kacchan deve rimanere nei miei ricordi, voglio imprimermi un suo ultimo ricordo prima di lasciarlo andare.

«Deku...»

Il suo sospiro caldo nell'orecchio mi riempie di brividi in ogni centimetro del corpo.

Non sono l'unico, a giudicare da Kacchan duro contro la mia pancia.

«Oh.» Ora realizzo cosa aveva da lamentarsi.

«Deku bastardo, te l'avevo detto...» Sbuffa e rotola via. O meglio, ci prova e io lo tengo più forte nell'abbraccio. «Adesso... Adesso mi passa. Devi lasciarmi andare però. O-Oi che fai?»

«Mi imprimo il tuo ultimo ricordo.»

«... Hah?»

«Niente. Sta' zitto e basta.»

«Ma...»
La sua debole, confusa protesta termina in un gemito strozzato quando lo spingo contro il materasso di schiena e, reggendomi su di lui con un braccio, con la mano libera vado a cercare senza troppi preamboli la sua mezza erezione da sopra i pantaloncini.
«De-Deku... Ah- Aspetta non avevi detto... che non volevi-»

Gli blocco i polsi sopra la testa prima che possa fermarmi. È semplice, i suoi riflessi sono rallentati per il fatto che è ancora mezzo andato. «Rilassati», gli sussurro a fior di labbra, «Non mi dirai che ti dispiace. Solo una condizione: niente baci e niente sentimenti. Allora, ti va, Kacchan?»

Ammutolisce. Sia perché sa benissimo anche lui che non può resistere, sia perché non gli do tempo.

Una delle cose che più fa impazzire Kacchan è il contatto visivo. Non gli scollo gli occhi di dosso per un secondo neanche per sbaglio mentre scendo tra le sue gambe.

Lo libero in fretta dai vestiti e solo allora, a scoppio ritardato perché adesso ritorna davvero alla realtà oppure perché non ci sta credendo, le sue mani mi raggiungono il viso.

«Deku... Stai piangendo...»

«Non è niente.» Le scosto via, le sue mani e le lacrime. Inizio ad accarezzarlo e gli lancio un'ultima provocazione prima di leccarlo perché, se lui sa come far impazzire me, io so come far impazzire lui. «E poi non ti piaceva vedermi piangere, Kacchan?»

Si abbandona a un sospiro brusco. «Adesso è un'altra cosa- Ca... Cazzo...» Affonda la testa indietro sul cuscino e le mani tra i miei capelli, stringendo forte. Ora si ragiona.

Kacchan è abbastanza grande. Non grandissimo, non piccolo. Perciò sarebbe meglio se mi aiutassi con le mani ma sappiamo che non lo farò e che il modo che preferiamo entrambi è un altro.

Smetto di torturargli la punta per prendere il suo cazzo completamente in bocca. Pompo lento e poi veloce e poi di nuovo lento, autosfidandomi a raggiungergli la pancia con il naso e a resistere all'istinto del vomito ogni volta che si spinge con più bisogno contro la mia gola, continuando a tenere incollato il mio sguardo al suo.

Schiena inarcata, dita roventi incastrate tra le mie disordinate ciocche verdi, lui solo lo ricambia, quando non finisce a roteare gli occhi all'indietro, e trattiene altri gemiti soffocati.

Kacchan è bellissimo quando viene.

È bellissimo sempre, ma quando si permette di cedere così è davvero, davvero di una bellezza unica. Forse perché non se lo concede mai, non si concede mai niente e vederlo lasciarsi trasportare da qualcosa di tanto basso, animale, autoproibito senza che possa né voglia fare nulla per trattenersi è... Davvero, semplicemente bellissimo.

Il suo volto sempre corrucciato o serio si distende, è così in pace come non capita mai. Con gli occhi cerca di nuovo i miei colmi di lacrime, arrossisce sulle orecchie e sulle gote mentre l'unico pensiero è godersi ogni sfaccettatura di me che ingioio fino all'ultima goccia.

Si ributta sul cuscino, tenta di regolarizzare il respiro impazzito. «Cazzo... Dio- Cazzo...»

Già, non è un tipo di molte parole. Anzi, è proprio silenzioso durante il sesso, altro controsenso di questo controsenso vivente. È che parla di continuo nella vita di tutti i giorni, sbraita e smadonna più che altro contro tutto e tutti, quindi in questi momenti vuole dedicarsi unicamente all'altra persona lasciando le parole, i problemi, tutto quanto fuori dalla bolla. E poi, dice che vuole sentire le mie urla già sufficienti a riempire i muri della stanza e oltre che lo implorano piagnucolanti di distruggermi.

Rimane in silenzio anche adesso, mentre risalgo e mi metto a cavalcioni su di lui. Ancora annebbiato dal piacere dell'orgasmo non reagisce a come gli tolgo velocemente la maglietta e faccio lo stesso con la mia. O forse è anche che non gliene do modo, infilandogli l'indice e il medio della mano destra in bocca.

«Quindi vuoi... Aspetta,» protesta debolmente poi, «posso prepararti i-»

«Shh. Faccio tutto io. Rilassati e non pensare a niente.»

L'ultima frase la dico anche a me stesso, per non piangere più di così e non c'entra il dolore a penetrarmi da solo di colpo con l'uno e subito l'altro dito.

«Però rallenta o ti farai male.»

«Non mi interessa.» Lo sai bene, che mi piace il dolore. «E a te non piaceva vedermi soffrire, Kacchan?»

«Non così... U-Un ah- un attimo bastardo sono appena arrivato...» impreca con poca convinzione quando comincio a strusciarmi su di lui, i vestiti che vanno stretti anche a me già da prima che mi venisse in bocca, solo a vederlo godere grazie a me.

«Non mi sembra un problema», è superfluo che faccia notare come lo sento di nuovo duro tra le mie natiche che poco dopo libero dagli ultimi indumenti rimasti a separarci. La sua resistenza fisica non è un segreto dai tempi del liceo, e se come eroe la stamina si aggiunge agli altri innumerevoli suoi pregi nel privato è... particolare da soddisfare.
«Sbaglio?»

Un'altra cosa che fa impazzire Kacchan è quando prendo io il controllo, a letto esclusivamente. Sempre perché nella vita è il contrario, con la fissa e il bisogno di avere il controllo su tutto, e questo è l'unico momento in cui sente di permettersi di lasciarsi andare.

Gli piace essere provocato e messo in ginocchio dai miei capricci.

Così non può niente quando faccio leva sulle gambe per tenermi su e mi aiuto con una mano ad allineare la sua virilità alla mia entrata.

Se davvero non fosse d'accordo con tutto questo mi avrebbe fermato facilmente tempo prima, magari con il suo quirk.

«Aspetta, sul serio, piano ralle-»

Succede prima che se ne possa rendere conto. Stavolta è Frusta Nera a ingabbiargli i polsi sopra la testa, per impedirgli di toccarmi e bloccarmi.

«Ma che...»

La sua voce, non sconvolta perché non è la prima volta ma preoccupata sì, viene sovrastata da un mio grido sordo.

«Cazzo», inspiro a fondo e stringo gli occhi che tornano a pizzicare.

Aveva ragione, ho fatto davvero troppo in fretta e senza lubrificante fa un male boia. Non gli ho neanche chiesto se è il caso di mettere un preservativo, tornato a illudermi anch'io che sia tutto come al solito, che non siano passati mesi in cui potrebbe essere stato con qualcun altro o chissà cosa ha fatto. Ma sono troppo impaziente e anche a lui non dispiace quando lo facciamo un po' violento, no?

«Izuku.»

Rispalanco gli occhi.

"Niente sentimenti". Eravamo d'accordo. Giusto?

No... Gliel'ho imposto e l'ho obbligato io quando sono io il primo a non crederci affatto.

«È tutto ok», farfuglio qualcosa, «Mi serviva solo un attimo».

«Izuku.»

Inizio a muovermi. Aggrappato ai suoi fianchi, guardandolo dall'alto con la vista di nuovo sempre più appannata. «Cosa? Non ti piaceva vedermi soffrire, Kacchan? Stare a guardare che prendo il controllo e mi fotto da solo?»

Di nuovo, non sa come rispondere alla verità che sto rigirando come una frittata a mio favore. Perché sì, tutto questo è vero e perché sì, lui sarà uno stronzo manipolatore psicologico ma io so esserlo altrettanto almeno fisicamente, farlo cedere a ciò che voglio anche se ci fa male nei sentimenti.

Quei sentimenti che lui sembra voler calpestare ancora e ancora. Però sono io ad aver iniziato. In fin dei conti, siamo entrambi a ferirci incessantemente.

«Izuku...»

Fa male, mi sento lacerare e le gambe mi tremano già dopo qualche affondo, eppure riabituarmi alla sua presenza dentro di me fa comunque meno male dei suoi richiami. Sono questi le vere coltellate, le vere fucilate che senza più quel finto muro a proteggermi mi trivellano in pieno petto.

Niente sentimenti un cazzo.

Sono pieno, sopraffatto io di sentimenti che strabordano dai miei occhi come cascate tra spinte e gemiti rumorosi più simili al pianto, ed è in preda ai sentimenti anche Kacchan che tenuto fermo dal mio quinto quirk può solamente guardarmi che rimbalzo sul suo cazzo e sospirare il mio nome.

«Izuku... Liberami», riesce ad ansimare una frase sensata. Potrebbe benissimo farlo da solo usando a sua volta il suo quirk, ma vuole che sia io a farlo. Vuole che io ceda, vuole demolirmi anche emotivamente sempre che qualcosa di intero sia rimasto. «Voglio... Voglio toccarti. Voglio farti stare bene, Izuku...»

Tempo fa ho letto da qualche parte che la sensazione arrecata dal calore bollente sulla pelle è la stessa del gelo più spietato. Mettere una mano su una fiamma è equivalente a lasciarsela congelare tra la neve, a livello di recettori del dolore.

Perciò riavere le mani di Kacchan su di me in questo modo dopo un'eternità mi fa sentire come se mi stesse bruciando e paralizzando, congelando insieme e non mi fa capire più niente.

Dopo che ho ritirato Frusta Nera, si è rimesso su e le sue dita hanno trovato questa mia pelle, le cicatrici sulle braccia e le gambe come se fossero nate per questo. Un po' apposta, un po' no, il suo sudore simile a nitroglicerina comincia a lasciare scottature che colpiscono come fitte ovunque percorre e mi fanno perdere la testa.

Un'altra cosa che ho letto sui recettori del dolore è che sono gli stessi del piacere. Non che servisse leggerlo, è per questo che sono ossessionato dal dolore fisico ed emotivo a cui sono abituato da una vita e che negli anni ho cercato e ricercato in modo sempre più estremo.

Mi afferra le cosce, il sedere aiutandomi a cavalcarlo in tutta la sua lunghezza, tenendomi sempre più stretto a sé. Mi ritrovo ad avvinghiarmi al suo collo.

Il mio membro è dolorosamente duro ad ogni rimbalzo schiacciato tra i nostri addomi, la stimolazione di Kacchan è troppa.

Brucio e congelo, fuori e dentro.

Brucio e mi piace da morire.

«Kacchan... Kacchan...»

Non so di preciso se è l'improvvisa vicinanza, la melodia dell'intrecciarsi scomposto dei nostri corpi fatta di ansiti e pelle contro pelle, oppure i suoi baci sulle lentiggini delle spalle che conosce a memoria a portarmi al culmine insieme a lui mentre piango il suo soprannome. La sensazione di essere pieno di lui fa venire di seguito anche me, senza nemmeno che ci sia bisogno di toccarmi.

Mi morde una spalla soffocandoci il gemito più profondo, io rimango stretto alle sue che preso dal tutto non mi sono reso conto di aver rigato fino a incidere questi miei dannati sentimenti con le unghie.

Rimaniamo così, abbracciati, il tempo necessario per far calmare l'orgasmo con i cuori che scalpitano nel silenzio e i respiri che lottano insieme per tornare regolari.

«Izuku... Izuku, guardami.»

Mi scosto un poco, lasciando le nostre fronti distanziate di qualche centimetro.

Lui riannulla le distanze lentamente, facendole scontrare. Sposta le mani attorno alle mie guance, accarezza le lacrime con i pollici.

In una tacita richiesta di permesso, fa incontrare le punte dei nostri nasi e le sue labbra ancora schiuse alla ricerca d'aria cercano e sfiorano le mie come se il suo solo ossigeno potessi essere io.

Per un attimo, sto per cedere anch'io.

Lo scruto tra le ciglia che sfarfallano. «Kacchan... Niente baci.»

Ricordo ad entrambi questa stupida condizione che ho posto, questa che è palesemente una bugia come il "niente sentimenti".

Lo sarebbe, se Kacchan non annuisse e basta e tornasse a stringermi forte.

Perché, in fondo, basta che non sia una bugia nelle nostre menti. E sappiamo tutti e due che è così.

Si sbilancia all'indietro sul materasso trascinando anche me, tenendomi attaccato a sé con le gambe piegate e le braccia ad avvolgermi la schiena scossa ogni tanto dagli spasmi. «Restiamo così solo ancora un po'. Va bene?»

Kacchan ordina le cose agli altri, non chiede mai se sono ok, e non parla mai al plurale. Che sia solo mezzo rintontito, come me che non riesco a ribattere i mille pensieri che dovrei, vorrei? Che sia il segno di un cambiamento più generale che sta facendo negli ultimi mesi senza di me e che potrei aver arrestato ancora, intrappolandolo con me a ripercorrere i nostri ricordi?

«Penso a tutto io. Tu riposati.»

Non ho più la coscienza di rispondere qualcosa, tutti i pensieri si accavallano e diventano una poltiglia confusa, un disastro al pari del mio corpo. Tutto passa in secondo piano fino a svanire.

I nostri addomi sporchi, Kacchan ancora dentro di me e il liquido caldo che defluisce poco a poco tra le gambe che non sento più.

Un bacio tra i capelli e le sue mani che si legano possessive alle mie, impedendomi di andarmene in tutti i sensi.

Il suo sussurro rotto al mio orecchio poggiato sul suo petto ad ascoltarne il battito, proprio sopra la cicatrice che si procurò anni fa in battaglia per proteggermi, mentre è convinto che stremato da tutto mi sia già addormentato.

«Ti amo Izuku.»

Accompagnato da queste parole così rare da parte sua svanisco anch'io nel sonno, il primo sonno profondo dopo mesi in cui non ho fatto altro che mentire a me stesso.

Perché questo che doveva essere l'ultimo ricordo e l'ultimo addio non mi ha ucciso come avevo pensato vedendo Kacchan ubriaco alla mia porta. È stato proprio ciò che mi ha fatto rivivere mentre piano piano morivo.

.•*:。♡。:*•.

I wish that you would stay in my memories
But you show up today, just to ruin things
I wanna put you in the past 'cause I'm traumatized
But you're not letting me do that, 'cause tonight
You're all drunk in my kitchen, curled in the fetal position
Too busy playing the victim to be listening to me when I say
"I wish that you would stay in my memories"
In my memories, stay in my memories

.•*:。♡。:*•.

«Se n'è... Solo... Lui se n'è...»

Shoto mi chiede di ripetere con più calma dall'altra parte dello schermo. Tra tutti e due ce la giochiamo a chi ha rivendicato meno ore di sonno e soprattutto non si deve capire niente tra il mio tirare su con il naso e i singhiozzi.

Abbandono il telefono e prendo l'ennesimo fazzoletto dal comodino.

Ce lo riappallottolo sopra e torno a rannicchiarmi su me stesso nel centro del letto immacolato, illuminato in tutto il suo candore dalla luce delle dieci di mattina che irrompe dalla finestra.

Come previsto, al mio risveglio l'altra metà era vuota. Mi sono ritrovato con dei vestiti puliti addosso, alcuni di quelli di Kacchan rimasti nell'armadio, i vetri aperti per arieggiare, le lenzuola cambiate, e ancora in bagno la lavatrice che già lavorava e in cucina i dorayaki da riscaldare.

L'avevo previsto, no? Oggi non lavora, ma non c'è. Ha sistemato tutto, cancellato le sue tracce e si è dileguato. Non è rimasto.

Non è rimasto e non tornerà perché siamo entrambi consapevoli che questa notte non doveva esistere, che lui è venuto da me per disperazione e che per altrettanta disperazione ci siamo concessi l'uno all'altro un'ultima volta.

Sì, un'ultima volta. Anche se dovessero risuccedere altre mille ultime volte.

Finché il nostro rapporto rimarrà un casino senza possibilità di risolverlo né di lasciarci perdere, continuerà questo loop. Aver bisogno di lui e lui di me, volerci così tanto, provare a relegarci nei nostri passati. Senza via d'uscita.

«Se n'è andato, Todoroki-kun.»

Il mio migliore amico percepisce il mio sorriso triste anche senza potermi vedere, quando infine formulo una frase degna di essere definita tale. Capisce anche al volo di chi parlo pur non essendo lui esattamente l'uomo più sagace della storia. Si sono ripetute tante scene del genere negli anni, c'è un'unica persona al mondo che sa ridurmi così ogni singola volta.

«Colazione da Sato?»

Faccio un respiro profondo, un po' tremante, e mi sforzo a un sorriso più confortato. «Colazione da Sato.»

Già, forse io e Kacchan ci rincorreremo facendoci bene e male per sempre.

Ora, però, l'unica certezza è che rimango soltanto io. Il letto vuoto, le lettere magnetiche sul frigo con dentro le spezie che mangia solo lui, la foto rialzata sul mobiletto e io che mi stringo nella maglia che profuma di Kacchan e riaffogo nei nostri ricordi.

Oggi è stato lui che se n'è andato. Non tornerà e devo essere anch'io a lasciarlo andare. Almeno per questa ultima volta.

─────.•*:。♡。:*•.─────

angolino sclerotico ::

Beh che dire, grazie Conan Gray di esistere e aver creato questa canzone - se non l'avete già fatto correte anche voi ad ascoltarla amarla venerarlaa. Dalla prima volta che l'ho sentita ho pensato fosse super adatta ai BakuDeku, ed ecco qua la one-shot che testimonia quanto mi ha ossessionato per tantissimo tempo.

In realtà non sapevo se iniziare la raccolta proprio con questa os (a meno di cambi di indice della Mel del futuro, questa è la primissima in assoluto che ho scritto). Insomma, si vede che è... problematica. Perché mi escono sempre tossichelli i BakuDeku? Davvero non riesco mai a non metterci un goccio di angst e in questa storia direi che ci hanno sguazzato entrambi.
Comunque sì, precisazione su questo: Izuku dipinge Katsuki come la parte tossica della coppia (il che è vero) ma lo è anche lui e molto, se leggete tra le righe e non.
Altra doverosa precisazione: è il mio primo smut, è venuto anche questo kinda malato - whaaat theee hell is fucking wrong with meee - e già non mi convince e domani mi farà schifo but still migliorerò o così spero!

Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate nel complesso, anche gli insulti sono ben accetti puahah (alla sottoscritta, questi Izuku e Katsuki no non toccatemeli o faccio una strage :)).

Prima o poi creerò qualcosa di fluffoso per loro lo giuro, ma intanto c'era questa che aveva bisogno di essere scritta e io di scriverla. Scusandomi e sperando che non saranno così lunghe e traumatiche, ci si sente alle prossime os!

— Melissa

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top