♡ │ bakudeku :: drunk
art :: @/ ?? (se riconoscete l'artista fatemelo sapere!)
data :: 05 - 15/03/24; pubblicata 15/03/24
lunghezza :: 6.000+ parole
au :: quirkless, aged up to 18+
genere :: introspettivo, fluff
*prompt :: prime volte - compleanno
in cui :: Anche se Katsuki sta con Izuku da qualche mese e tutto adesso va per il meglio tra loro, qualcosa gli stona. Forse il tempo cura ogni ferita ma non le cicatrici permanenti. Soprattutto, il fatto è che c'è quell'unica cosa in cui Katsuki Bakugō non eccelle: non l'ha mai provata prima e continua a coglierlo impreparato, e un po' questo lo odia. Riuscirà il suo primo bicchiere di troppo con lo zampino dei suoi amici a fargli capire ciò che non vuole uscire?
*importante !! Questa one shot è una partecipante alla challenge Prime Volte indetta da Dylanation su KomorebiCommunity - Fanfiction Italia. Passate sul profilo se vi va di mettervi in gioco o anche trovare spunti e storie da leggere!
Altra cosina: sarebbe un episodio bonus della mia storia "My Italian Academia" ambientato in un ipotetico futuro. Per questo è scritto in terza persona come quella. Non è necessario averla letta e questa os non spoilera nulla, in caso vi fosse venuta curiosità; vi basta sapere che i due sono fidanzati. Spiego meglio nel solito angolino finale. Non vi rubo altro tempo, buona lettura!
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Era la prima volta che Katsuki si ubriacava.
Beveva, si sbronzava, si autoinfliggeva un hangover per la mattina seguente che lo avrebbe fatto rimpiangere di essere nato e di condividere il quoziente intellettivo della specie umana tanto intelligente quanto stupida... Quello.
Si era ubriacato.
Mai fatto prima.
No, d'accordo, forse quella volta a Capodanno in baita con quegli sfigati dei suoi amici – insultarli anche nella sua testa era il suo modo di dimostrare affetto – ci era andato vicino. Ah, e quella volta al suo compleanno a sorpresa. E quella della festa dopo la maturità...
Il punto era che mai, mai si era spinto tanto oltre. Poteva giurare.
Per un soffio non era finito dritto in ospedale. Non si era mai devastato in quel modo. Tipo... Fino a raggiungere il fondo della sua dignità, se glien'era rimasta.
Si stava già odiando a sufficienza per questo, mentre si rigirava nei sedili posteriori dell'auto di qualcuno di non meglio identificato per la fatica che faceva soltanto a tenere aperti gli occhi.
Fosse tornato indietro, avrebbe fatto tutto al contrario.
Non avrebbe assecondato gli incoraggiamenti del suo migliore amico Eijiro, meglio noto come Capelli di Merda. Né Denki aka Faccia da Scemo che gli urlava nei timpani che era ad una festa, non un funerale cazzo, doveva sciogliersi! Magari alla fine era per quello che si era scolato una birra troppo velocemente: per farlo stare zitto. Già che c'era, un'altra, un'altra ancora forse, per dimenticarsi quanto odiava le feste e ogni altro pensiero.
Ecco, non aveva funzionato.
Perché Deku era...
Deku era davvero felice, quella sera.
Non smetteva di sorridere. Scherzava con i suoi amici, oppure aveva la malsana idea di andare tra la folla a ballare in quel suo modo imbarazzante, che però in fin dei conti lo faceva solo sembrare così... vivo.
Di tanto in tanto, sbucava nei paraggi dell'angolo del bancone dei drink di cui Katsuki si era ferocemente appropriato, per controllare come stesse. Tentava anche di coinvolgerlo, senza successo; allora se ne andava ancora un po' con gli altri, non prima di avergli lasciato un'invisibile carezza sul braccio fingendo fosse casuale.
E Katsuki riprendeva segretamente a spiarlo dietro il suo boccale nuovo fedele compagno di vita. O era rimasto a fissarlo in modo inquietante tutto il tempo, punti di vista.
Il fatto era che... Non era mai dipeso da nessuno. Non aveva mai avuto bisogno di qualcun altro prima. Eppure sentiva quella felicità di Izuku rispecchiarsi in lui, se ne sentiva pervadere solamente a guardare da lontano il suo ragazzo che sorrideva e l'avrebbe fatto per sempre perché sentiva di non averne mai abbastanza.
Forse si era illuso per tanto tempo che stesse bene da solo? Forse non lo era mai stato, perché dopotutto Deku era sempre rimasto una presenza costante nella sua vita?
Allora perché non sapeva come sentirsi a riguardo? A volte non era sicuro che gli piacesse quella sensazione di essere così dipendente da qualcuno. Significava essere legati nel bene e nel male e non si sarebbe più potuto tirare indietro come faceva prima, quando preferiva ferire e allontanare e tutto in fin dei conti era più semplice.
Izuku era come se lo sapesse e per qualche motivo a lui incomprensibile fosse disposto ad aspettarlo. Lo aveva sempre fatto e lo aveva promesso quando mesi prima gli aveva dichiarato i propri sentimenti.
Sapeva anche che "il suo Kacchan" non era pronto per ricambiare in modo normale, tanto meno per farlo sapere a tutti. Detestava stare al centro dell'attenzione se si trattava del loro rapporto, infatti non l'avevano mai esplicitato ufficialmente e in pubblico evitavano gesti affettuosi. Poi i loro amici avevano capito tutto prima di loro stessi, ma questa è un'altra storia.
Per la verità, il biondino spesso non si esprimeva neanche in privato. Se dall'esterno faceva ridere il pensiero che quel ragazzo bravo e perfetto in tutto ciò che faceva in quelle occasioni fosse tanto impacciato, a lui faceva solo sentire così... inadeguato. E Katsuki Bakugō non aveva mai sopportato, in nessuna circostanza, sentirsi inadeguato. Non essere capace, non essere preparato e non poter controllare ciò che poteva succedere... Peggio, ciò che poteva sentire.
Niente di nuovo. Un'aggiunta alla lunga lista dei motivi per cui si odiava per non riuscire ad essere una persona normale.
Fanculo, ci mancavano le seghe mentali da sbronza. Il mondo si divideva in due grandi categorie: chi da ubriaco perdeva tutti i freni inibitori e si divertiva come se fosse il giorno più bello della sua vita, e chi si deprimeva in un angolino. Non era felice di aver scoperto che faceva decisamente parte della seconda.
Quindi, se fosse tornato indietro, ancora prima avrebbe evitato di acconsentire a quell'uscita. Il grave errore che a domino aveva generato tutti gli altri era stato cedere all'espressione da cerbiatto del ragazzo dagli occhi verdi e le lentiggini.
Però... era appena finito il liceo. Si respirava quella strana libertà di fronte all'ignoto e ai nuovi inizi, erano le ultime occasioni per stare tutti insieme... prima che la vita li separasse poco a poco inesorabilmente finché nessuno si sarebbe più ricordato di nessuno – Katsuki aveva anche una spropositata fiducia nei rapporti umani.
Soprattutto, quella sera di luglio si festeggiava il diciannovesimo compleanno di Izuku.
Non voleva rovinare tutto con il suo caratteraccio e dare dispiacere al suo ragazzo e farlo convincere che era sempre il solito caso perso e paranoie del genere.
Fino a pochi mesi prima quei complessi non gli sarebbero manco passati per l'anticamera del cervello. Quanto si stava rammollendo.
"È l'amour" quasi sentiva riecheggiare la voce di Denki.
Già. Il suo amico per gli esami aveva fatto un percorso intensivo di ripetizioni con Aoyama, perché il francese era una delle tante materie in cui vantava una media stratosferica, e in quel periodo lo aveva ossessionato col francese, gli parlava sempre in francese, gli scriveva persino alle due di notte in francese... Alla fine, era stato a malapena sufficiente.
Comunque.
A Katsuki tutto questo, questo che gli ribolliva dentro, non sembrava "amore".
Non nella concezione arcobaleni e fiorellini che sembravano averne tutti. Erano più sentimenti negativi che altro.
Era pesante, soffocante certe volte. Lo faceva sentire incapace e uno schifo per il doversi dimostrare sinceramente fragile abbassando le sue difese. Aveva ancora quell'istinto di nascondersi e scappare alla minima difficoltà, non perché fosse stronzo – oddio, anche – ma perché non sapeva come gestirlo e non voleva trascinare con sé anche Izuku, a causa di quel filo che li aveva e sempre li avrebbe legati.
La più letale delle armi a doppio taglio.
Non erano queste le prime parole che venivano in mente alle persone pensando all'amore, no? A lui invece la prima volta che lo stava vivendo lo faceva sentire così.
E se l'amore era questo... Beh, bella merda.
Sapeva di essere lui il problema. Con il tempo, una cosa l'aveva capita, si era arreso all'idea che con i sentimenti faceva fatica. Stava facendo progressi in confronto a quando si rifiutava categoricamente di affrontarli, sì. Ma andava così lento che gli sembrava che tutti attorno a lui fossero sempre stati avanti anni luce e ancora andavano avanti e avanti mentre lui arrancava.
Impantanato nelle catene delle sue ristrettezze emotive, nell'essere straordinariamente bravo in tutto tranne nella cosa che forse più importava.
Essere... umano.
Davvero, perché cazzo non poteva essere normale?
«KACCHAN!»
Katsuki elaborò a scoppio ritardato che la macchina doveva aver frenato di colpo o qualcosa così e che si era preso una bella capocciata contro il sedile davanti.
Non ebbe nemmeno la forza di smadonnare come al suo solito. Izuku lo stava guardando allarmato invece, col fiato sospeso, aspettandosi la catastrofe. Oppure era solo preoccupato per lui.
Fece mente locale: Quattrocchi e quella stramba della sua ragazza si erano offerti di dare un passaggio a lui, Deku e Faccia Tonda. Loro tre stavano dietro tutti appiccicati. Non che non ci fosse spazio – Iida viveva perennemente con un palo in culo, dal suo punto di vista, e non avrebbe mai trasgredito una regola basilare come portare un passeggero in più rispetto alle capacità del veicolo -, piuttosto quello spazio era per la maggior parte occupato da Katsuki che era stato fatto sdraiare, perché non riusciva a stare seduto decentemente. Ochako ed Izuku erano spiaccicati sul sedile a destra, facendogli appoggiare rispettivamente la schiena e il collo sulle loro gambe e tenendosi pronti a girarlo su un fianco e farlo rimettere in caso in un sacchetto, anche se lui era abbastanza certo di aver già vomitato tutta l'anima al locale.
«Kacchan!» Deku lo richiamò mentre gli riposizionava con cura la testa sopra le proprie cosce, «Kacchan, stai bene?»
No che non stava bene, e che cazzo.
Perché il sedile doveva essere così duro? Le luci della città che entravano a intermittenza dai finestrini erano sempre state così accecanti e fastidiose? Ancora un po' e sarebbe andato in crisi epilettica. Perché la musica era così alta e perché tutti urlavano in quella maledetta macchina?!
Quattrocchi continuava a scusarsi e scusarsi per l'inchiodamento brusco, la sua ragazza invece non smetteva di ridere.
Il semaforo brillava ancora di un molesto rosso quanto Iida approfittò per voltarsi verso di lei cupo. «Lo trovi divertente, Mei?»
Hatsume – il biondino non aveva ancora trovato un soprannome sufficientemente offensivo per la comparsa che da qualche mese infestava indirettamente anche la sua esistenza – si strinse nelle spalle e non nascose un altro risolino. Il suo passatempo preferito era punzecchiare il suo fidanzato tanto rigido. Di preciso, quella sera aveva deciso di dargli fastidio alzando il volume ogni volta che lui era troppo impegnato a guidare per fermarla. Poi lui lo riabbassava, lei lo rialzava e così via, ormai Katsuki stava impazzendo.
Altrettanto esaurito, il conducente inspirò a fondo. Il chiaro segnale prima della tempesta. «Mei. Ti rendi conto che all'incirca potEVAMO MORIRE?!»
«Dai, esagerato!» intervenne Ochako, «Alla fine non è successo niente... Intanto respira, ok?»
L'amica riuscì a calmarlo e lui concluse che non si sarebbe arrabbiato con Hatsume solo perché era palesemente in preda a una ridarella incontrollata, oltre che alticcia.
Katsuki ringhiò a Faccia Tonda di parlare per sé, che la parte della testa che aveva sbattuto gli faceva ancora male. O meglio, quello era l'intento. Il risultato fu più un grugnito indefinito che non la sfiorò minimamente.
Al contrario, preoccupò di nuovo Izuku. Il ragazzo dagli occhi verdi continuò a scrutarlo dall'alto a viso inclinato. Scostò la frangia bionda dalla fronte leggermente imperlata di sudore, in una carezza. «Ci sei, Kacchan? Dammi un segno o penserò che sei morto.»
Con tutte le sue forze mugugnò un «Mh». Izuku era serio e infatti non sembrò molto tranquillizzato.
Eccolo che rientrava in modalità crocerossina. Si assicurava sempre che Kacchan stesse bene... fin troppo, anche a scapito di sé stesso.
Ma Katsuki non stava annuendo solo per farlo contento. La sua mano fresca contro la fronte lo faceva davvero sentire bene. Mosse la testa per ricercare il piacevole contatto e se lo godette chiudendo gli occhi bollenti.
Stava per cadere in dormiveglia di nuovo quando sentì il commento di Faccia Tonda.
«Quindi è così Katsuki con te quando beve.»
Lo sbuffo divertito del ragazzo col viso sopra al suo lo solleticò, facendogli arricciare il naso. «Già.»
«Questo va a favore della teoria mia e di Mina che dovremmo farlo ubriacare più spesso. Comunque è bello che ti prendi cura di lui, Deku.» Non c'era più malizia nella voce dell'amica, ora, soltanto tenerezza. «Davvero. Sei adorabile...»
Katsukì riaprì le palpebre in due fessure. Non riusciva più a capire le sue intenzioni. E in ogni caso era troppo vicina a Deku, per i suoi gusti.
Per sicurezza si spalmò meglio su di lui, aiutandosi con le mani almeno quelle non del tutto fuori uso per afferrargli la maglietta. Strofinò ancora la testa contro le sue dita ricercando quel sollievo e quindi la affondò con più prepotenza nella sua pancia.
Giunse l'inconfondibile, vaporosa risata di Faccia Tonda. «Hai capito Kat! Prima fa le fusa e poi marca il territorio!»
«Ma- Ma cosa fai Kacchan!» anche Deku rise, più imbarazzato. «Così non respiro... E s-smettila di muoverti proprio lì o...»
Si zittì realizzando di star parlando troppo ma era tardi, e la sua migliore amica sghignazzò per un altro paio di minuti buoni e Katsuki fece finta di non capire continuando a stringerlo gelosamente.
Non che ci volesse molto a fingere, la sua mente era annebbiata veramente. Tuttavia doveva ammettere che stava facendo il coglione anche un po' di proposito. Aveva il briciolo di lucidità sufficiente a realizzare che la situazione stava sotto sotto eccitando quel finto santarellino di Deku... Strofinare casualmente la guancia sopra la patta dei pantaloni di Izuku e godersi come avvampava e dissimulava male guardando fuori dal finestrino, nel suo tipico gesto nervoso di mordersi le labbra troppo forte, non aveva prezzo.
Non era geloso di Ochako dunque; non davvero, non più. La ragazza si era fatta passare la secolare cotta per il suo migliore amico, mettendosi da parte per vederlo felice. Anche con il biondino aveva sviluppato una strana amicizia che li portava a stuzzicarsi in quella maniera.
«Anche tu sei adorabile», lo rassicurò per l'appunto lei non appena la fulminò ancora, giusto per precauzione.
Qualcosa di rosa fece capolino tra i due sedili anteriori. Hatsume squadrò un attimo la situazione e disse solo: «Oook non voglio sapere. Cioè ovvio che sì ma sono troppo fuori per capire, quindi Ocha mi racconterai domani sì? Taxi Tenya è arrivato a destinazione!»
«Ah, di già», sospirò Ochako. Guardò ancora una volta Izuku e Katsuki e ripeté quanto erano adorabili. Anche se non aveva bevuto che un goccio, erano in generale quelle occasioni a renderla più affettuosa di quanto già fosse.
Scoccò un bacio sulla guancia del primo e gli arruffò i ciuffi verdi. «Ancora buon compleanno, Deku. Notte a tutti!» Riservò lo stesso destino ai capelli di Katsuki, suo malgrado, e scese dalla macchina.
Con il suo augurio di sogni d'oro – e, prima di quello, di arrivare a casa sani e salvi senza rischiare altri incidenti per strada –, il viaggio riprese.
Izuku si era... calmato e ora si premurava di tenere ferma la testa a Katsuki in una posizione comoda. Dato che nessuno lo poteva vedere, per tutto il tempo gli fece dei grattini tra i capelli, come segretamente gli piaceva tanto.
Cazzo, era così rilassante che Katsuki si sarebbe addormentato. Sul serio.
Se non fosse stato per gli altri due soggetti.
«Like a virgin... Pa, pa- Touch for the vERY FIRST TIIIME»
«Mei, per favore, gentilmente potresti-»
«... WITH YOUR HEARTBEEAAT NEXT TO MINE»
«MEI STAI FERMA PER LA MISERIA!»
La vittima della voce stonata di Hatsume in questo momento era "Like a Virgin" di Madonna, alzata e abbassata in continuazione dai due che battibeccavano. In tutto ciò quella si dimenava come un'ossessa, ignorando Iida che le ripeteva di non continuare la serata anni Ottanta nella sua macchina o era la volta buona che l'avrebbe lasciata a piedi.
Katsuki si appuntò di insegnargli a imprecare come si doveva, comunque.
Che coppia di psicopatici. Come ci erano finiti insieme?
D'accordo, lui era l'ultimo che poteva parlare.
In più doveva riconoscere che in qualche maniera contorta anche loro avevano riguardo l'uno per l'altra: per esempio quando Quattrocchi le schiaffeggiava le dita sulla manopola del volume ma mai bruscamente, quasi sfiorandola; o quando la ragazza infine si calmò e all'ennesimo semaforo, perché tutto nell'universo sembrava star complottando per far durare quella agonia di viaggio all'inverosimile, si sporse a rubargli un bacio di scuse avendo cura di sistemargli gli occhiali.
Anche discutere, spingere l'altro oltre i propri limiti e in fondo farsi del bene era una forma di amore. Katsuki ci rivedeva un po' sé stesso e Izuku. Di sicuro con molti più alti e bassi, con il suo rovinare tutto più volte per il suo fragile io dietro il suo ego gonfiato... Il concetto gli sembrava quello.
Negli anni, aveva fatto più male che bene a Deku. E lui nonostante tutto non si era mai arreso con Kacchan perché, sì, un po' era proprio una crocerossina masochista, un po' semplicemente aveva capito di averlo sempre amato troppo. Allo stesso modo, Katsuki con il tempo aveva accettato che il loro legame non si poteva spezzare e se voleva migliorarsi e andare avanti c'era un solo modo per farlo: insieme. Avevano imparato a ricucire piano piano quello strappo tra loro e a stare vicini senza scottarsi.
Eppure... Il ricordo, la cicatrice, di quel male passato rimaneva e sempre sarebbe rimasta, così come le cicatrici sul corpo di Deku che non sarebbe bastato accarezzare di nascosto quando dormiva come a scusarsi perché era ancora difficile dire tutto a voce alta.
In fondo Katsuki era soltanto spaventato da quella che era la sua prima volta in tutto. Se conosceva Deku da una vita, adesso che stavano insieme paradossalmente era tutto nuovo e... C'era quell'incessante voce nella sua testa, volte come quella notte più forte di altre, che gli diceva che lui non sarebbe stato mai abbastanza.
Era quella la sua più grande lacuna: non saper tenere alle persone, non aprirsi, non saper dimostrare niente e preferire mandarle via e tornare punto e a capo da solo. Lui e il suo ego di merda.
Forse, lui e la sua paura di perdere le persone a cui nascondeva di tenere di più. Prima tra tutte quella che non gli aveva mai veramente voltato le spalle, rimanendo a guardare da lontano e tentare un contatto anche quando si erano allontanati.
Invece Katsuki si era arreso con lui tante di quelle volte... Adesso andava tutto bene, ma sarebbe durato? Quanto?
La voce dei vortici più neri dei suoi pensieri gli ripeteva che sarebbe bastato poco, una volta, un poco un'altra e un'altra volta ancora, a riaprire le ferite. Allora, per quanto avrebbero continuato a sanguinare e volersi nonostante tutto? Ne valeva la pena? Izuku di sicuro, ma Katsuki? Lui ne valeva la pena, sarebbe mai stato abbastanza?
«Ehi...» la voce di Deku suonò come quella di un angelo. Un angelo con gli smeraldi, incastonati tra le costellazioni del suo viso, che lo aveva custodito sin da bambini, perché il più forte in realtà era sempre stato lui.
Un'altra carezza fresca alleviò le guance in fiamme. «Cosa c'è?»
Scosse la testa e si rituffò contro la sua pancia, nascondendo gli occhi che all'improvviso pizzicavano. Izuku, senza capire, lo strinse solo un po' di più.
Perfetto, eh? Ci mancava l'optional dei pianti immotivati alla sua sbronza che già si era rivelata la più merdosa del secolo.
Dio, si sentiva scoppiare. Si giurò che era la prima ed ultima volta che avrebbe bevuto fino ad ubriacarsi completamente così. I suoi amici poco prima, mentre lo facevano rimettere in bagno, gli avevano assicurato che il peggio era passato... Ecco, non ne era così sicuro attualmente.
Se il viaggio in macchina fu un'epopea infinita in cui temette diverse volte la morte, rientrare nell'appartamento di Izuku si rivelò ancora peggio.
Il suo ragazzo insistette con l'amico che ce la faceva da solo e di andare a casa che era molto tardi, così Quattrocchi e la sua tipa li avevano piantati davanti al vialetto del condominio.
Quanto mai.
Se avesse avuto le forze avrebbe rivolto uno sguardo al fondo della strada così intenso da riportarli lì con la forza del pensiero, oppure avrebbe costretto Izuku a corrergli dietro come un pazzo. Ma era già bello se riusciva a stare in piedi e Deku era un maledetto testardo, quindi fecero da soli.
Ci misero cinque minuti per percorrere i pochi metri che li separavano dalla porta d'ingresso e altri cinque per convincere il malandato alla cosa peggiore: l'ascensore. Fare le scale era fuori discussione e, sebbene Katsuki fosse lievemente claustrofobico e lo stomaco sottosopra non fosse il massimo per prendere quel coso infernale, dovette accettare quell'unica alternativa.
Arrivarono in casa entrambi sudati. Katsuki per quanto il suo corpo si sforzava e cercava anche di disperdere l'alcol residuo; Izuku per l'impresa di fargli ricordare come si metteva un piede dopo l'altro evitando all'incirca una decina di volte che col suo dolce peso il ragazzo più grande cadesse trascinando entrambi.
Pensandoci... Era sempre stato così cocciuto, Deku. Quello lo condividevano. Era tenace e forte nonostante l'apparenza ed era sempre stato lui a sostenere tutti e due nei momenti peggiori.
«Attento Kacchan! Piano! Piano... Ecco, così...»
Izuku riafferrò in tempo Katsuki che si stava irremediabilmente accasciando troppo veloce a terra, come se la gravità si fosse moltiplicata all'improvviso. Lo guidò più dolcemente a scivolare contro la porta che si erano appena chiusi alle spalle.
Gli si sedette davanti e gli sollevò il mento per studiarlo meglio. «Come va? Stai meglio? Sicuro che non devi vomitare?» partì a raffica per la volta numero... Katsuki aveva perso il conto.
Intanto che si sorbiva di nuovo il suo fidanzato – ancora dopo settimane gli faceva strano chiamarlo così – in versione iper apprensiva, pensò che, ancora, il punto era proprio lì.
Nelle piccole cose si annidava la verità, in un paradosso che la rendeva troppo evidente per essere vista. Non lo voleva accettare che la cosa che più lo spaventava era quella: dimostrarsi così rintontito, in generale vulnerabile e ammettere di aver bisogno di qualcun altro. Per rientrare in casa come nella vita.
Non di qualcuno qualunque: di Deku.
Qui stava il problema. Perché se era giusto accettare che nessuno di noi è invincibile e vive senza gli altri, con Deku era legato da qualcosa di più intricato di questo che, no, non era sempre stato giusto. Era una dipendenza affettiva e possessiva tutta contorta che li aveva sempre portati a farsi male e bene, bene e male, dai tempi del bullismo fino quando si erano marchiati a vicenda la pelle la prima volta con le unghie e con i denti e con i loro maledetti sentimenti.
Ora dopo tante difficoltà avevano trovato il loro equilibrio, ma qualcosa continuava a stonare per Katsuki. E non era nient'altro che la sua insicurezza. Di fronte a quella situazione per lui tutta inedita, era costante la paura di perderlo ricadendo nei comportamenti peggiori di cui sapeva di essere capace. In questi sì, era un esperto e bastava un attimo a fare ciò che gli riusciva meglio: distruggere e fuggire.
Eppure, eppure... Deku non si era mai arreso e avrebbe sempre avuto quella pazienza. Come in questo momento in cui gli stava sorridendo dicendo che non importava se non riusciva a rispondere e che non si doveva preoccupare, ci avrebbe pensato lui al suo Kacchan.
Katsuki si sentiva come in profondo debito emotivo con lui, senza saperlo esprimere o ricambiare. E lui odiava avere debiti.
Avrebbe mai potuto ripagarlo?
«Ok, uff, felpa tolta. Adesso le scarpe... Così quando te la senti ti porto in bagno, mh? Fai quello che devi fare e ci sciacquiamo un po'. Senza fare troppo rumore che se mia mamma si sveglia e vede che siamo tornati adesso ci ammazza. Sai com'è con lei, l'apparenza inganna... Dopo ti sistemo il divano, va bene? Vado a prendere dei cuscini più comodi e puoi dormire qui...»
Gli occhi castano intenso di Katsuki, completamente perso nei suoi viaggi mentali che in un loop si rincorrevano e ricadevano sullo stesso punto, vagarono sul viso di Izuku che straparlava senza essere ascoltato.
Si soffermarono sul suo sguardo, altrettanto stanco e un po' lucido. Qualcosa aveva bevuto anche lui. Evidentemente non così tanto – eh, si disse con un moto di discutibile orgoglio, anche questa volta aveva vinto lui se la vedeva come una delle loro sfide.
Forse si era trattenuto proprio volendo prendersi cura di Katsuki fino alla fine di quella festa a cui lo aveva convinto. L'idea lo fece arrossire. Lo fece anche sentire in colpa, dato che non gli aveva fatto godere del tutto il suo compleanno obbligandolo a fargli sostanzialmente da babysitter.
«Hai ancora caldo, Kacchan? Stai diventando rosso di colpo.» Izuku tornò a spostargli i capelli dalla fronte, stavolta con il dorso di una mano. «Non vorrei ti stesse venendo la febbre... Aspetta...» Per qualche secondo appoggiò le labbra per sentire meglio la temperatura. Dopo quel gesto inaspettato, che probabilmente era anche una scusa per fare l'appiccicoso approfittando che il biondino non fosse in sé, poteva stare sicuro che sarebbe schizzata alle stelle.
«Mi sa di sì. Mi dispiace tanto, Kacchan, è anche colpa mia. Mi sbrigo a toglierti questi cosi e andiamo in bagno a rinfrescarti...»
Il percorso immaginario tracciato sul suo volto dagli occhi di Katsuki proseguì, bloccandosi sul particolare di una ciocca di capelli troppo cresciuta che si infrangeva sulle ciglia lunghe, nonostante Deku la scacciasse all'indietro sulla fronte tutta corrucciata. Sfilare le stringhe dei "cosi", ossia i suoi anfibi, sembrava il compito più difficile del mondo. La punta della lingua affiorava tra le labbra leggermente morsa tra i denti, come quando si concentrava in qualcosa ed esisteva solo quello.
Si accorse in ritardo, difatti, di essere fissato, in uno di quei modi che ancora non sapeva bene decifrare. Gli rivolse un sorrisino mentre si riavviava distrattamente i capelli. «Scusami», borbottò qualcosa tornando alla sua missione, «Sono più imbranato del solito stanotte. Ce la faccio, ce la faccio... È solo che questi cosi sono davvero impossibili, o no? Come fai a trovarti bene? Chiunque li abbia concepiti non poteva semplicemente farli un po' più-»
Le dita si mossero da sole.
Izuku scattò di nuovo con la testa all'insù. Gli occhi verdi si sgranarono in un'espressione sorpresa, che fu completata dalle guance lentigginose subito imporporate quando realizzò che Kacchan lo stava... accarezzando?
Katsuki attorcigliò con più convinzione la ciocca di capelli tinti ribelli attorno ad un indice. Ci gioco un po' e infine la risistemò con cura dietro all'orecchio in fiamme di Deku. Indugiò sulla pelle calda in quella specie di coccola, più unica che rara da parte sua, sorridendo. Anche se probabilmente somigliava più a un ebete o un gremlin, ma non importava.
Totalmente sconnesso, andato, no more signal, mormorò solo: «Sei un cazzo di angelo».
«Oh.» Le ciglia scure sfarfallarono, le labbra schiuse vennero inumidite e mordicchiate nel tentativo di processare. «Ehm... Grazie?»
Si dovette correggere nella sua mente. Se prima aveva pensato che mettere a disagio Deku non aveva prezzo, la cosa più preziosa in realtà era la sua risata. Non una di quelle false, né eccessive da far venire le lacrime. Di quelle contenute fatte sottovoce come in quell'istante, occhi bassi e guance rosse, di un imbarazzo piacevole e che sembravano venirgli dal cuore così incapace di trattenere ogni volta ciò che provava come gli aveva sempre invidiato.
Izuku scoppiò a ridere e un'altra consapevolezza molesta colpì e affondò Katsuki.
Deku era... bellissimo, solo bellissimo.
«Ha ragione Ochako che devo farti ubriacare più spesso se diventi così dolce. Comunque anche tu sei carino, Kacchan.»
Stavolta non scacciò il pensiero e non si impedì di arrossire a sua volta, anche se Deku non aveva colto il significato profondo di quello che voleva dire. Nemmeno lui lo sapeva precisamente. Perché era così difficile esprimere tutto quello che riguardava loro due a parole...
Si limitò a distendere i lineamenti e sorridere come un cretino con lui, brillando della sua felicità riflessa. Non pensò più che dipenderne lo rendesse debole.
Alla fine non era così male lasciarsi andare ogni tanto – che fosse stato spinto dall'alcol era un altro discorso, ora. Doveva solo prendere il coraggio di permetterselo e di dirgli che... nonostante tutto lui, anche lui...
«Bentornati.»
«M-MAMMA!»
Izuku sobbalzò e dopo un vergognosamente lungo lag mentale altrattanto fece Katsuki.
Quest'ultimo ci mise un po' a collegare ciò che stava succedendo. Inko era sull'uscio della cucina a guardarli da chissà quanto tempo. Deku stava panicando per essere stato beccato dalla madre in quell'attimo di dolcezza. La sgridò farfugliando che doveva smettere di spiarli, al che lei ribatté che erano troppo carini per interromperli. Inoltre era da letteralmente ore che stava aspettando il suo ritorno. Da brava madre apprensiva, tratto che non a caso il figlio aveva ereditato, aveva stabilito il coprifuoco a mezzanotte: sapeva benissimo che sarebbe stato infranto, ma nemmeno immaginava che rincasasse a quasi le tre! Non sarebbe potuta andare a dormire con quell'ansia.
Dopo che Izuku si scusò e la tranquillizzò che nessuno aveva tentato di rapirli o investirli per strada, parlarono di come si sentiva ad essere maggiorenne e di come era andata la festa. Più che altro fu un interrogatorio.
Il ragazzo rispose vago, più impegnato a tenere contro la porta Katsuki che gli crollava addosso. Il suono della sua voce era così rassicurante che era come se lo invitasse a quel lasciarsi andare, letteralmente, addormentandosi lì.
«Allora, se sei sicuro che non ti serve una mano, io vado a letto», concluse Inko.
«Sì, sì», Izuku annuì alla mezza frecciatina della madre che osservava divertita quella specie di lotta con il suo amico d'infanzia. Certe cose non cambiavano mai.
«Adesso andiamo in bagno e poi vedo di preparargli il divano e vado a letto anch'io e-»
«Mh...» Con un mugugno Katsuki testimoniò di essere ancora vivo, ma soltanto per sistemare la testa nell'incavo del collo di Deku e stringerlo per la maglia sulla schiena in un debole pugno.
La donna ridacchiò. «Qualcuno non sembra d'accordo.»
«Kacchan... Potresti collaborare...» sospirò sconsolato quanto a disagio. Rinunciando ufficialmente a staccarselo di dosso, gli soffiò tra i denti: «Domani me la paghi stronzo». Dopo qualche secondo avrebbe giurato di poter sentire il suo ragazzo russare già sulla propria spalla.
Inko si avviò alle scale che conducevano alle camere da letto al piano superiore. Prima di sparire si voltò, d'un colpo commossa – anche le lacrime facili erano una specialità della famiglia Midoriya. «Sapevo che vi sareste riavvicinati, sai? Me lo sentivo da quel pomeriggio in cui vi ho visti tornare insieme dal parco sotto lo stesso ombrello. Ormai sono passati diversi mesi... Ne avete fatta di strada. Sono contenta, 'Zuzu».
Come ultima cosa, Katsuki captò dal ritmo leggermente diverso del respiro di Deku che stava sorridendo. «Anch'io ma'.»
Rinsavì dopo un tempo indefinito.
Capì di trovarsi sul divano. Izuku era riuscito per qualche miracoloso congiungimento astrale a tirarlo in piedi; tuttavia era inciso nelle tavole del destino che il bagno non dovesse essere raggiunto quella notte: erano caduti rovinosamente lì, alla bellezza di tre passi e mezzo di distanza.
Un record di tutto rispetto comunque.
Di preciso, in questo istante il ragazzo dai capelli verdi si stava dimenando sotto il suo peso. «Kacchan, ti prego, cerca di spostarti! Mi stai spappolando!» pregava sottovoce o, più verosimilmente, a corto di fiato. «Guarda che così mi distruggi e puoi dire addio al tuo fidanzato.»
«Mh... No...!»
Nella confusione Katsuki reagì in modo molto più spropositato del dovuto. Lo prese alla lettera e in pratica nel muoversi si buttò giù dal divano.
«Ma che- Oddio! Ti sei fatto male?!»
«... Mh.»
Non sapeva se fosse il suo volo, la faccia preoccupata di Deku che non aveva mai realizzato quanto fosse divertente vista sottosopra o l'assurdità generale della situazione o tutto quanto insieme... Sbuffò una delle sue rare e strane risate ed Izuku, dopo un immenso sospiro, lo seguì a ruota.
Dunque lo aiutò a riarrampicarsi sul divano, stavolta cercando di non farsi schiacciare come in un panino.
«Adesso andiamo in bagno?»
«Mh... No...» fece il biondino a disco rotto. Trascinò Deku a risdraiarsi. Gli si strofinò un po' addosso proprio come un tenero gattino, avrebbe detto Ochako, nel tentativo di ritrovare una posizione comoda. «Solo due minuti.»
A quelle prime parole messe insieme con un senso compiuto dopo ore, Izuku cedette. Era anche un po' la loro cosa quella, una frase tutta di loro due, dal significato che soltanto loro due conoscevano e custodivano.
Passarono più di altri due minuti di piacevole silenzio in quell'abbraccio.
Katsuki si faceva coccolare in stile micetto, stretto a Deku con la guancia sul suo petto e i capelli accarezzati dalle sue dita dai grattini magici, e pensava solamente a quanto era bello.
Se l'alcol gli aveva sciolto un po' i neuroni, soprattutto gli aveva sciolto il cuore.
Non c'era niente di male a perdere tempo in quel modo come avrebbe pensato tempo prima, perché una perdita di tempo non lo era; né a dimostrarsi fragili e permettere che qualcun altro si prendesse cura di lui, se sapeva che era la persona giusta. Quella che lo avrebbe accolto sempre con ogni sua insicurezza e l'avrebbe colmata come poteva pur con a sua volta le proprie imperfezioni.
Amare era questo. Il tempo non curava le ferite permanenti e nemmeno l'amore avrebbe potuto, perché non era magia e nella vita non si poteva tornare indietro. Ma si poteva andare avanti e l'amore era ciò che permetteva di sopportare quelle cicatrici insieme.
Amare era... un insieme di quei sentimenti negativi e anche di questi altri. Il conforto del non essere mai lasciati soli nonostante tutti gli sbagli, una mano sempre tesa che dopo aver avuto il coraggio di afferrare adesso doveva solo averne un altro po' per tenerla stretta.
Qualcosa di così complicato e insensato... quanto bello. Proprio come Izuku.
Non sapeva davvero come ripagarlo, Deku...
«Ka... chan?»
«Scusa. Ti ho rovinato il compleanno.»
«Kacchan...»
«E non ti ho fatto il mio regalo», lottò ancora con la bocca impastata. Con una mano scivolò sull'addome piatto a riposo del suo fidanzato, che al tocco si irrigidì istantaneamente. C'era anche altro di impastato e poco sveglio laggiù, ma non implicava che dovesse rinunciare al suo programma di fa star bene Deku quella notte, giusto?
«Ehi, cosa-»
«È anche per farmi perdonare per prima... In macchina...»
Le dita avevano ormai raggiunto l'orlo dei jeans e si stavano infilando sotto, con non pochi problemi perché sembrava che una dopo l'altra ogni parte del suo corpo stesse decidendo di abbandonarlo proprio adesso.
«Whoah ok ok!» esclamò Deku bloccandolo. «È... Oddio... gentile da parte tua, ma- ma non serve. Aspetta... Guardami.»
Gli fece spostare il viso con la sua delicatezza, mento puntato sul proprio sterno per potersi specchiare negli occhi nocciola lucidi.
«Pff», ridacchiò, «Che situazione! Tu che non riesci a rimanere sveglio eppure vorresti farmi una... Ed io che rifiuto. Non so cosa sia più assurdo... Cioè-»
Se fosse stato più in sé, Katsuki avrebbe replicato uno dei suoi "Una sega. Puoi dirlo, Deku". Finta verginella...
Izuku si riprese dal piccolo attacco di tosse nervosa per le sue stesse ammissioni in cui nel frattempo stava soffocando. Lui da ubriaco diventava ancora più logorroico ed imbarazzante.
«Seriamente», mormorò dopo nel suo tono più dolce, «Ho capito cosa stai cercando di fare. Non la... quella, in generale, dico. So cosa pensi. Ma non voglio che ti senti in debito con me e che ti sforzi di aprirti se non è ancora il momento. Io ti aspetterò sempre, ricordi? E non voglio nient'altro, perché è già questo il mio più bel regalo di compleanno. Averti qui con me. Poterti coccolare senza che mi ammazzi...» un altro risolino e la mano piena di cicatrici che si apriva timidamente sulla guancia liscia di Katsuki, «Sapere che sei... mio».
Gli incisivi morsero il labbro inferiore nel modo che, tra tutte le sfumature che il biondino conosceva a memoria, significava che temeva di aver parlato troppo spaventandolo con i suoi sentimenti, sempre così impetuosi e limpidi.
L'unica cosa che pensò fu che avrebbe voluto baciarlo.
Ma il suo sapore non doveva essere dei migliori e prima di tutto non ne aveva la facoltà, stando a come era messo, fatto che aveva notato lo stesso Izuku. Quest'ultimo, inoltre, sembrava inconsapevole della tensione che aveva scatenato. Dell'effetto che gli faceva perennemente.
Aggiunse infatti, rovinando tutto: «Va bene? Devi dirmi che hai capito e che ti ricorderai. Sarebbe imbarazzante dover rifare questo discorso domani quando ti sarai ripreso dovendo spiegarti che-»
Katsuki impiegò le sue ultime energie per appoggiargli un dito sulle labbra. «Mh.»
Zittito in quella maniera, Deku le distese in un sorriso stordito, ma più sollevato.
Accettò la sua tacita richiesta e lo riaccolse nel loro abbraccio scomposto, stretto e scomodo su quel divano minuscolo, eppure il più bello che Katsuki avesse mai vissuto. E non era affatto tipo da abbracci.
«Deku...?»
«Sì?»
«Mh. No, niente.»
Poteva contare sulle dita di una mano le volte che si erano abbracciati, in effetti. "Paradosso" gli sembrava di nuovo la parola ideale per descriverli anche in questo perché, se avevano già fatto sesso, quelle erano ancora le prime volte passate così, in quell'intimità tutta nuova.
La verginella lì era lui...
Il punto era: il loro percorso era sempre stato tutto strano e tortuoso, e ora Katsuki voleva fare le cose per bene.
«Deku...?»
«Sì?»
«...»
«Se mi dici ancora niente non ti parlo più.»
Soffiò un'altra piccola smorfia divertita. Nella sua mente persa quella risposta gli aveva ricordato, per qualche motivo, come litigavano da bambini.
Si sentì riportato ad allora. Quando avrebbe dovuto ammettere una semplice cosa, prima che a Deku a sé stesso, che invece per paura si era portato dentro tutta la vita convincendosi che fosse rivestita solo di sentimenti negativi per non doverci fare i conti.
Ma forse per la prima volta gli fu chiara più che mai.
«Deku... Tu sei mio ed io sono tuo...»
Per tutti quei mesi avevano fatto tira e molla e anche l'indomani sarebbe stato incerto. C'era soltanto questa cosa veramente sicura.
Si strinse a lui, come se sentirlo vicino, con il respiro accelerato per quell'affermazione, gli desse la forza di chiarire ciò che lo spaventava ancora un po' e allo stesso tempo faceva sentire anche lui vivo. Come sempre era e sempre sarebbe stato.
«Ti amo. Buon compleanno, Izuku.»
D'accordo, aveva fatto un po' confusione con l'ordine delle cose.
In fondo importava?
Per lui importava solo la stretta delle braccia di Deku attorno a sé, perché l'aveva lasciato senza parole, e il suono del naso tirato su e dei suoi battiti veloci nell'orecchio che lo cullarono nel poter finalmente crollare addormentato.
Crollarono molti dei suoi pensieri viziosi e molte delle sue sbagliate convinzioni, quella sera.
Tutto per un drink di troppo.
Perché era la prima volta che Katsuki si ubriacava.
Beveva, si sbronzava, accettava di farsi prendere cura da colui che lo amava senza temerlo più.
Era la prima volta che aveva il coraggio di dire lo stesso a voce alta. Perché non erano due parole come tante per lui, per via di tutto quello che ci stava dietro. E che avrebbe potuto continuare ad affrontare soltanto insieme in un noi che non faceva più paura. Deku e Kacchan, Kacchan e Deku.
Era la prima volta che si abbandonava vulnerabile tra le braccia di qualcuno e in quella vulnerabilità stava bene, sentiva di star facendo la cosa giusta.
Musica di battito contro battito che si coordinavano l'uno accanto all'altro, questa era la cosa più bella... Chi l'avrebbe detto? Come cantava Madonna.
Se si era detto mai più sbronze così in vita sua, Katsuki alla fine si dovette ricredere.
C'era una prima volta per tutto, giusto? E quella era proprio servita. Quindi no: se avesse potuto non sarebbe più voluto tornare indietro da quella birra obbligata da Capelli di Merda e Faccia da Scemo.
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angolino sclerotico ::
Come si dice... Meglio tardi che mai? Chi non muore si rivede? Alle poche (penso) persone che conoscono la vecchia storia da cui viene tutto questo e aspettavano veramente il continuo, porgo le mie scuse per l'anno di attesa. Io stessa mi ero dimenticata di avere dei capitoli bonus da sviluppare riguardo quel racconto che per me era un po' un capitolo chiuso. Più che altro, l'idea era sempre lì in un posticino della mia testa ma ci stavo rinunciando.
Leggere della challenge è stato un segnale divino o qualcosa del genere che mi ha convinto a riprendere l'idea semimorta negli appunti. Della serie che anche l'universo era pieno tanto così della mia procrastinazione.
Quindi ringrazio la community per la sua iniziativa carina e l'incoraggiamento, e tutti quelli che partecipano che hanno sparso il verbo. Come Katsuki, ho pensato che non è così male buttarsi... È bello per me confrontarmi con persone che stimo o che potrò conoscere in futuro. Ed è bello per voi che se aveste aspettato me avreste visto l'episodio bonus tra minimo un altro anno e col binocolo proprio!
La one shot (il correttore mi dà "shoto", capisce sempre tutto) è sicuramente banale e molto semplice, una delle mie classiche in cui non succede nulla. Ma capitemi dovevo dare loro una gioia. Mi è sempre piaciuto pensare a questa ipotetica fine per i BakuDeku di quella storia, o di qualsiasi altra che potete immaginare essere successa prima se non avete letto l'originale (in questo caso spero che il concetto sia arrivato lo stesso).
In fin dei conti, poi, questa non è una vera fine, perché mi è anche sempre piaciuto pensare che la loro storia non finirà mai.
Curiosità inutili: 1) è stato più forte di me mettere Iida×Mei o come si chiama, mia guilty rare pair, 2) il titolo l'ho rielaborato da un capitolo della storia originale, cioè là è in italiano e qua in inglese, l'inventiva l'immaginazione il genio-
Ho finito, giuro, vi mollo. Come sempre, se volete fatemi sapere se vi è piaciuta e io vi do appuntamento alla prossima os!
— Melissa
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