2 │ L'ho imparato con te
art :: Kōhei Horikoshi, manga
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Tu mi hai insegnato a ridere
Tu mi hai insegnato a piangere
L'ho imparato con te che certe volte un fiore cresce anche nelle lacrime
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Katsuki guardava imbronciato fuori dal finestrino. Dietro quella patina, la città appariva ancora più triste di quanto già fosse.
Non che a lui importasse qualcosa, del panorama o del resto. Voleva solo arrivare il prima possibile alla Yuuei, mandare tutto e tutti a fanculo e rintanarsi in camera sua.
Più che altro cercava di ignorare la voce della vecchia strega, quella mattina in particolare un pericolo alla guida, più impegnata a sbraitargli contro che sulla strada.
«MA MI STAI ASCOLTANDO?!»
Il figlio non si lamentò neanche tanto quando uno scappellotto, con invidiabile precisione, gli si assestò su quella testa ultimamente sempre persa per i fatti suoi.
«E tira giù quei piedi!» Mistuki gesticolò verso il cruscotto, «Dio perché non puoi comportarti come una persona normale per una volta?!»
Grazie come al solito, mamma.
E bella domanda.
Da non fraintendere: a Katsuki non era mai interessato essere "normale". Omologarsi alla massa, rispettare le regole se gli andavano strette... No. Aveva sempre voluto far sentire la sua voce e distinguersi e lui era destinato a brillare e fare grandi cose cazzo, meglio di tutte le comparse! Però, quando sua madre gli ripeteva spesso così, anche se non faceva apposta o non intendeva quello, davvero si chiedeva perché in certi aspetti non poteva solo essere come tutti.
Magari pensava troppo in quel periodo e avrebbe dovuto fregarsene come sempre. A fingere che nulla gli fregasse.
L'auto frenò bruscamente in prossimità di un semaforo. L'ennesimo incrocio vuoto quella giornata, così come la maggioranza delle strade del centro di Musutafu. Mentre le periferie erano in preda alla guerriglia fai da te e alla distruzione, lì sembrava una città fantasma. Gli unici segni di vita venivano dagli avventurosi che uscivano di casa anche dopo il tramonto o dai vandali, e comunque erano di più le pattuglie di poliziotti che presidiavano gli snodi principali eppure non riuscivano mai a fare abbastanza. Di heroes neanche l'ombra.
Da Mistuki arrivò un respiro profondo. Le mani che scivolavano sul volante e le spalle che si rilassavano di pochi millimetri indicavano quanto si stesse sforzando. In che direzione, se essere paziente o farlo impazzire in modo definitivo, Katsuki non poteva stabilirlo con certezza.
«Almeno con Hizashi-sensei e i tuoi compagni, adesso che torni, prova a fare un po' il bravo. A dare una buona impressione. Ok?»
«E questo cosa dovrebbe significare», sbottò lui.
«È un consiglio. Sto cercando di aiutarti.»
«Bell'aiuto di merda.»
«Katsuki...»
La macchina ripartì superando la linea d'arresto e allo stesso modo lei passò oltre.
Il ragazzo no, invece, anche se nella sua testa e basta. Per lui era un altro torto da parte di sua madre, che indipendentemente dalla volontà, a suo dire, di aiutarlo di fatto continuava a metterlo in difficoltà. Prima invitava Inko a casa, poi lo costringeva a tornare a scuola, dopo che altro?
Già: la sua permanenza fuori dall'istituto era passata da qualche ora concessa illegalmente dal suo professore ad un paio di giorni, con la giustificazione mezza vera che non stava bene. Poteva darsi che avesse leggermente gonfiato un raffreddore come un'influenza. Ma se in via eccezionale gli era stata abbonata la pausa, sua madre non era stupida, a maggior ragione adesso che la Yuuei aveva incrementato le misure di sicurezza e lei si era convinta delle parole dell'amica. Quindi quella mattina lo aveva spedito a calci in culo fuori dalla sua stanza-tana per riportarlo a scuola e non farcelo uscire più. Lei e Masaru avrebbero finito di spostarsi al rifugio con tutti i bagagli la sera stessa.
«Non so più come fare con te. Voglio solo il tuo bene...» La voce della donna si incrinò, di pochissimo ma non accadeva spesso. Se la schiarì. «Non voglio che ti lasci andare. In più i prof e i tuoi compagni saranno in pensiero.»
«Pff. Sì, sì.»
«Non è giusto farli preoccupare per niente. Ai tuoi amici manchi, saranno felici di rivederti-»
«Sì, sì.»
«Puoi non essere così strafottente per favore?!»
Non era una richiesta gentile e Katsuki la guardò fisso, stavolta. Era concentrata sull'imboccare la salita che conduceva sulla collina della Yuuei, perché quelle strade erano state concepite dal demonio ed erano ancora più impossibili con controlli ovunque. Comunque poteva sentire come quegli occhi che le bruciavano addosso già da soli gridavano.
Ti sembra che ci sia più qualcosa di cui me ne fotta? Per cui valga la pena fregarmene, che mi importi?
Per il momento la conversazione si chiuse. Non erano mai stati dei grandi chiacchieroni, soprattutto tra loro e riguardo cose assurde tipo come si sentivano veramente.
Giunti nel cortile del dormitorio, il silenzio si rifece insopportabile.
Mitsuki tentava di trovare delle parole e sperava almeno che il figlio facesse qualcosa; lui si ostinava a guardare dall'altra parte senza la minima intenzione di parlarle né di scendere.
Si stava comportando come un moccioso viziato che fa i capricci, ne era consapevole. Alla fine quello lo era sempre stato e non era il punto. Si sentiva così... Niente. Non sentiva niente e non aveva nessun termine per chiarirlo. E stare ingabbiato lì, tra la prospettiva di sua madre che palesemente si sarebbe rimessa a criticarlo per una cosa qualsiasi e quella di tornare dentro scuola... Non sapeva quale fosse peggiore e non voleva affrontare nessuno di quegli argomenti. Punto.
Qualcosa sulla guancia e si scostò di colpo: finì con lo schiaffeggiare via le dita con cui Mitsuki si era azzardata ad attirare la sua attenzione con una carezza. Erano più le volte che gli metteva le mani addosso per altro e comunque perché non voleva capire di lasciarlo in pace?!
La mamma aveva la sua espressione ferita, da vittima, in questo momento. Cazzo, come se il suo atteggiamento e l'intera situazione non fossero anche colpa sua! Odiava quando faceva così, scaricava le colpe sugli altri e si rammolliva. Fatto che aveva ereditato e anche questo lo odiava.
Ma fu la frase che disse, mormorata con una dolcezza rara, a farlo scattare definitivamente.
«Lo so che ti manca.»
«... Hah?»
«Ho visto la lettera.»
«La- Cosa?»
«Quella che stringevi ogni notte prima di addormentarti...»
Gli era stato toccato un tasto che neanche sapeva di avere, o piuttosto nascondeva anche a sé stesso. Fu la goccia che contribuì a fargli perdere la testa lasciando che fosse la parte più impulsiva e brutta di lui a parlare. «Ma cazzo mamma! Mi spii anche adesso? Mi controlli? Che cazzo! Solo una cosa ti avevo chiesto, di non rompere! Di non immischiarti nelle MIE cose!»
Dal canto suo, lei non era di certo il tipo che si faceva gridare contro. «Come faccio ad aiutarti se non capisco perché stai male?! Non permetti mai di avvicinarsi a nessuno! Non ti rendi conto di quanto distruggi tutti con il tuo comportamento? Sei così... Sei...»
«Sono? Dai, dillo.» Impossibile? Un figlio ingrato? Un peso? Una persona di merda? Non c'era bisogno che glielo ricordasse, ci pensava l'immagine riflessa allo specchio ogni dannata mattina.
Si era ammutolita, probabilmente perché si stava pentendo di come si esprimeva sempre male e inoltre Katsuki era diventato all'improvviso serio.
Non era la prima volta che il ragazzo aveva l'impressione di spaventare i suoi stessi genitori. Concluse solo: «Nessuno ti ha chiesto di aiutarmi. Non devi. Sto bene».
«Ma-»
«Stai fuori dalla mia vita! È difficile da capire?!»
«Katsuki-»
«No, Katsuki niente! Basta! Vaffanculo mamma, vaffanculo!»
Uscì dalla macchina sbattendo la portiera e poi il baule dal quale recuperò il borsone. Sua madre non fu abbastanza veloce a seguirlo mentre tornava a gridare di non parlarle così e bla bla... Con quell'ultimo augurio se la lasciò alle spalle, marciando a passi pesanti verso l'ingresso del dormitorio racchiuso nelle nuove mura che gli davano lo stesso senso di claustrofobia del cazzo di Wall Maria in Attack on Titan.
Present Mic lo stava aspettando. Non disse nulla sulla scenetta, per quanto stesse palesemente morendo dalla voglia di farlo. Gli fece rimpiangere il buon vecchio Aizawa, che almeno non ficcanasava nelle cose dei suoi studenti e in generale a quell'ora era ancora troppo stanco per vivere, quando gli scoccò un ironico «Buongiorno, Bakugō».
Lo sorpassò guardandolo torvo. Per non farsi mancare niente, quando fu abbastanza lontano borbottò un buongiorno un cazzo accompagnato da un bel dito medio.
Peccato che il sensei lo vide. Comunque non ebbe tempo di riflettere sulla punizione più appropriata, che in ogni caso non avrebbe mai superato quelle del più temibile collega: Mistuki lo raggiunse ed iniziò a scusarsi per la maleducazione del ragazzo – chiamato con epiteti meno carini di questo. Il professore non dovette rimanere con molti dubbi da chi aveva preso il caratterino; dunque la rassicurò di non preoccuparsi, che erano abituati a come era fatto e del resto era un momento difficile per tutti, se le andava poteva venire dentro a parlarne.
Katsuki sgattaiolò via prima che potessero includerlo in quella stronzata. "Tutti", eh? E a che serviva "parlarne"? Di cosa poi? Non c'era un cazzo di cui dover parlare.
Attraversò l'entrata imponente che riportava le iniziali della Yuuei.
Da sempre quelle lettere messe in fila erano state il suo obiettivo e ce l'aveva fatta, ovviamente, aveva percorso le orme del suo idolo All Might e non si sarebbe fermato lì, avrebbe continuato fino a superarle e diventare il migliore che vinceva sempre...
Eppure, quella mattina, a varcare la soglia dei suoi sogni con la cosa fastidiosa tornata a stringergli il petto, gli sembrò di risprofondare direttamente all'inferno.
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Avrebbe sul serio passato tutto il giorno chiuso in stanza con la scusa di dover recuperare lo studio arretrato se i suoi amici, implorati in modo non proprio antisgamo da Present Mic, non l'avessero costretto a presentarsi almeno all'allenamento pomeridiano.
Era andata male. E Bakugō Katsuki non andava mai male.
Capelli di Merda lo aveva battuto nel corpo a corpo, quando al Festival sportivo e in ogni esercizio amichevole Katsuki aveva chiaramente sempre primeggiato, mentre Bastardo a Metà sembrava voler fare apposta a non finirlo del tutto nel combattimento durato diversi minuti, come in una sorta di karma a proposito dello stupido festival.
Anche in questo momento, sotto alla doccia negli spogliatoi alla fine della lezione, si sentiva uno schifo.
Se non altro la sensazione delle gocce fredde e impetuose che gli si schiantavano addosso era una delle migliori. Lo sollevava l'acqua che dal soffione aperto al massimo gli scivolava sul viso, gli occhi chiusi, e poi il collo e il petto, lo sferzava quasi... Aveva sempre odiato il freddo, ma quello era diverso. Facendogli male era come se fosse un vero contrappasso e sciacquasse via ogni pensiero.
Non che stesse sviluppando idee... autolesioniste. Per carità, rispettava chi si trovava in quella condizione ma lo reputava un atteggiamento da deboli e lui non era un debole – non lo era, giusto? – e in più si amava troppo, per non dire che era un egocentrico di merda come gli ricordavano tutti, per arrivare a tanto. Era più come un'innocua, piccola punizione per... Cosa? Il fatto che nella stessa misura si odiava? Quello succedeva da tutta la vita. Però no, non c'era assolutamente nulla di specifico e non si voleva fare male sul serio. Solo, gli andava...
In fondo non stava già facendo l'autolesionista dal punto di vista emotivo o quello che era? Comportandosi peggio del solito, allontanando chi gli tendeva una mano e standosene intrappolato nella sua testa, come aveva detto sua madre lasciandosi appassire nelle piccole cose?
Fanculo. Lei e tutti loro. Cosa ne volevano sapere? Perché si aspettavano che stesse male, per cosa? Ci tenevano tanto?
E alla fine lui era sempre Bakugō Katsuki, stava... stava bene. No?
Stava. Bene.
«Preso!»
«Ma porco Di-»
Katsuki sussultò allo schiaffo sulla pelle sensibile della nuca. Rischiò di bere troppa acqua e soffocare.
Lottando con gli occhi pieni di gocce e shampoo che bruciavano da morire fulminò Faccia da Scemo che sghignazzava. Coglierlo di sorpresa con un coppino doveva far parte della sua lista da spuntare di azioni più malvagie di cui fosse capace o qualcosa del genere.
Gli sbuffò soltanto, stancamente: «Ma sei deficiente?»
«Non rispondevi. Eri come in trance», spiegò Capelli di Merda, sotto la doccia alla sua destra. Entrambi avevano finito e da un po' lo stavano chiamando per andare via.
«Ero impegnato a rilassarmi.»
Percepì addosso gli sguardi dei due cretini anche mentre chiudeva l'acqua e recuperava asciugamano ed accappatoio.
«Beh?» Anche se con minor energia del solito, l'irritazione era la stessa. La buttò su una battuta. «Se continuate a fissarmi così diventate inquietanti.»
«È che è un po' senza senso», notò Denki dall'alto della sua sagacia, «Se ti devi rilassare come fai ad impegnarti? O è il contrario, se ti devi impegnare come fai a...? Vabbè. Poi tu non ti rilassi mai.»
Sapessi tutto quello che è dannatamente insensato per me ormai.
«Allora? Non posso?»
«Sai che non intendeva quello», intervenne l'amico dai capelli rossi. Denki stava per obiettare che in realtà sì, ma fu zittito con una mano. «Sei strano ultimamente. Ci stiamo solo chiedendo se-»
«Tch.»
Eijirō non si arrese. Se il verso con cui lo stava liquidando era tipico, poco altro del migliore amico gli sembrava rimasto. Si affrettò ad asciugarsi e seguirlo nella stanza attigua dove anche altri compagni si stavano cambiando. «Baku, lo sai che ci stiamo solo preoccupando per-»
«STO. BENE.»
Il ringhio rimbombò tra le pareti dello spogliatoio. Non si curò degli sguardi delle comparse, anche perché quella era la normalità.
Non aveva ancora perdonato Capelli di Merda per essere andato a parlare a sua madre. Soprattutto, era stanco di non essere lasciato in pace e di ripetere che stava bene, stava bene, stava bene maledizione!
Sbatté la salvietta con cui si era asciugato i capelli sulla panca, davanti al proprio armadietto. Identico destino toccò a quella per il corpo e all'accappatoio; quindi al ricambio che fu tolto da degli appositi sacchetti, divisi per intimo e tipologia di vestiti, e che con altrettanta furia repressa si infilò.
Sì, Katsuki era molto organizzato con le sue cose e nella cura del corpo.
Spesso si ritrovava a squadrare quell'energumeno di Capelli di Merda che, ok, era un gigante gentile, ma sempre un gigante e maledettamente maschio, che come la maggior parte dei maschi usava un unico asciugamano per tutto e lo lasciava dove capitava. Per non parlare del bordello nel suo armadietto.
Dall'altra parte, si ritrovava a squadrare Faccia da Scemo che come lo stesso si definiva era una fighetta. Sempre l'ultimo ritardatario per creme, accessori e leggero trucco da mettersi. Era però il più disordinato del trio, così a Katsuki partiva la mania di sistemargli tutto senza che gli fosse chiesto e per ringraziarlo Denki gli faceva provare le sue creme. Lo costringeva, più che altro, e doveva ammettere che non erano male.
Ecco, Katsuki si sentiva come in una strana metà tra loro due.
Ma non era il tempo di farsi complessi su... quelle cose.
A Faccia da Scemo non ci volle molto per dar di nuovo aria alla bocca mentre iniziavano a vestirsi. «Però è vero che non ti rilassi mai.» Era rimasto ancora al ragionamento tutto suo di prima. Anche questa era la normalità. «Ammetti che sei un po'... intrattabile. A volte eh, solo a volte», alzò le mani falsissimo, «Stressato insomma. Sai, dovresti tirartela una sega ogni tanto».
Katsuki si sentì particolarmente magnanimo. Al posto di una sberla frantuma-costole, optò per ripagare il coppino di prima e quello simboleggiò la concessione della sua grazia. La verità era che non aveva la forza di arrabbiarsi per come l'amico lo punzecchiava cercando sotto sotto di tirarlo su, quello schifoso pomeriggio di quella schifosa giornata di quello schifoso periodo.
Aggiunse un'altra battuta, sconcertante considerando che veniva dal temibile Grande Dio delle Esplosioni Mortali Dynamight: «Sai, è fraintendibile se me lo dici mentre siamo nudi».
Intanto uno scioccato Mineta passava di lì. «Io... Io non ho sentito niente...» cantilenò spaventato per tutto il tragitto verso l'uscita.
Lo ignorarono.
Faccia da Scemo rise. «Vedi che quando fai meno l'esplosivino riesci a stare al gioco! Sei persino simpatico! Comunque mi dispiace deluderti», si vantò rimirandosi teatralmente le unghie, fatte quella mattina da Mina al posto di seguire la lezione, «Sono impegnato con un manzo sexy dai capelli viola della sezione ordinaria. Mica lo conosci?»
Gli occhi rossi si levarono al cielo. «Contento tu.»
«Dai, lo so che il menefreghismo è il tuo modo di interessarti a me, perché mi vuoi bene. Oh dato che non c'eri questa non te l'ho ancora raccontata. Hitoshi è fantastico. Sai che l'altra sera...»
Denki si perse nelle sue chiacchiere, e lui lo ascoltò a malapena ma felice che ci fosse quell'idiota a distrarlo. Non pensare era la cosa migliore. Quel periodo sarebbe passato da sé e fine.
Eijirō non riusciva proprio a ridere, invece.
Si sentiva in una situazione così scomoda. Era preoccupato per Katsuki ma allo stesso tempo non voleva insistere contro i suoi limiti che, in pochi mesi di breve ma intensa amicizia lo aveva capito, erano pronti a sgretolarsi facilmente. Una mossa sbagliata anche con la migliore delle intenzioni e gli avrebbe procurato come minimo un breakdown.
Ostinandosi a negare il proprio stato di salute, gli faceva male di riflesso. Voleva solo aiutare il suo migliore amico e anche se Katsuki non sempre considerava lui come tale non importava... Midoriya non era l'unico a conoscerlo bene. Eijirō in effetti sentiva il peso di quel confronto, nonostante non si paragonasse a lui anche perché da fuori non aveva mai compreso tutto del loro rapporto, comunque ciò non gli vietava di preoccuparsi per il biondino. E attualmente non stava trovando proprio tanta collaborazione, tra lui e quell'idiota di Denki che pure ci provava a modo suo.
Così si era chiuso in uno strano silenzio dopo che Katsuki gli aveva urlato contro. A differenza di lui che era più bravo a nascondere le emozioni, era abbastanza una schiappa a mentire e anzi nemmeno ci provava, non ne vedeva il motivo.
Era davvero così buono e trasparente, Kirishima. Katsuki lo sapeva e si accorse presto di come si era abbattuto. Di più, era come se avesse percepito tutto ciò che c'era dentro quella stupida testa rossa. Intercettò il suo sguardo in un raro momento in cui Faccia da Scemo si era zittito per concentrarsi a rimettersi i suoi innumerevoli anelli e anellini. Se lo comunicarono silenziosamente e Katsuki sussurrò, infine, un altro «Sto bene».
Ad Eijirō apparve più rassicurante, quasi dolce, rispetto al solito. E se da una parte ne era rincuorato, dall'altra sapeva che quando voleva era un perfetto bugiardo.
Nell'uscire finalmente da quel buco di testosterone e deodorante e chiacchiere post-allenamento a livelli troppo alti per i suoi gusti – esattamente in questo ordine mentale -, Katsuki si imbatté in Bastardo a Metà.
Lo stava fissando, da diversi minuti.
Oh principino, non è proprio giornata. Non hai idea di quanto cazzo non lo è.
Riflettendoci il bastardo non prestava mai tanta attenzione a qualcuno. Se proprio, soltanto a...
Si scrollò di dosso il nome scuotendo la testa.
Ricambiò con sfida gli occhi eterocromi, accompagnati da dei bei cerotti sulle sopracciglia e una guancia per via di come si erano divertiti in palestra.
«Che hai da guardare Mezzo-Mezzo? Che c'è, vuoi il secondo round?»
Lui lo avrebbe fatto volentieri. Se non aveva voglia di combattere stranamente, sarebbe stato più per sfogarsi e farsi ancora un po' di quel dolore fisico che non lo faceva rimuginare.
Nemmeno una spallata quando passò accanto servì a qualcosa. Il gelo più totale. Shōto continuò a fissarlo che usciva coi suoi amici, con quella faccia impassibile pensando solo lui sapeva cosa.
Se fosse stato più in sé avrebbe ripreso a menarlo. In generale quel suo atteggiamento lo aveva sempre irritato. Magari perché un po' desiderava essere come lui... così controllato e che non provava niente.
Katsuki invece stava capendo che non era proprio niente quello che sentiva lui. Non era il vuoto o l'immobilità che qualche giorno prima aveva paragonato alle nuvole nel cielo sospeso tra sereno e tempesta. Il tutto rimaneva ancora fermo ai suoi occhi, ma solo dall'esterno. All'interno era come se il pizzicore al petto si stesse muovendo, pur impercettibilmente.
Aveva ragione Denki: era meno esplosivo. Si sentiva così scarico e insieme in grado di scattare per la minima cosa. Uno scattare diverso dal normale, diverso da quando si incazzava ed esplodeva... Più uno scattare per quel qualcosa che gli si rompeva dentro, una crepa che da minuscola si allargava, in un frantumarsi invisibile, lento, quanto irreversibile.
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«Non toccare lì.»
«Tch.»
«Neanche lì.»
«Tch.»
«Bakugō... Vedi di ascoltarmi o ti mando via. Sto provando a farti un discorso serio. Fino a prova contraria, sei tu che sei venuto da me a notte fonda.»
Proprio così, l'ennesima follia nella routine perfetta di Katsuki: non era riuscito a prendere sonno entro le otto e trenta, si era rigirato nel letto per ore perché era fuori discussione passare un'altra sera in sala comune con gli amici e le comparse, e quando il dormitorio era rimasto deserto impulsivamente si era presentato davanti alla stanza di Aizawa. Ci aveva trovato Hizashi, che aveva preso alla lettera l'incarico di sostituire il collega durante la sua convalescenza. Soprattutto, gli mancava l'amico e stare lì lo faceva sentire più vicino a lui.
«È solo mezzanotte», bofonchiò qualcosa giusto per prendere tempo.
Present Mic era più buono e ingenuo, non completamente idiota. «Tralasciando che è mezzanotte e cinquanta... Smettila di temporeggiare e dimmi cosa vuoi», lo incalzò.
In uno sbuffo Katsuki si abbandonò sulla sedia girevole non occupata, dall'altra parte della scrivania sovrastata da un computer, compiti da correggere e altre scartoffie. L'insegnante lo aveva accolto nello studio ricavato da Aizawa nel proprio alloggio e cinque minuti buoni erano trascorsi così, lo studente che ci gironzolava e Mic che lo pregava di non toccare niente sui mobili e spiegare perché diavolo lo aveva disturbato a quell'ora. Anche se qualcosa lo sospettava e parlargli duramente era l'unica strategia per cavargli fuori qualcosa, parola di Shōta Aizawa.
All'apparenza dunque il ragazzo era il meno consapevole dei due. Aveva forzato l'incontro per... Cosa, di preciso? Magari sperava che, con la scusa di cazziarlo per il recente comportamento, lo avrebbe... aiutato, gli avrebbe dato un consiglio che era troppo orgoglioso per chiedere? Il suo punto di riferimento a scuola era sempre stato All Might prima ancora che Eraser Head, ma anche lui non si faceva più vedere. Era praticamente scomparso. Come-
«Dimmi cosa dovrei fare con te», era ripresa la predica, «Se stai alla Yuuei non va bene perché infrangi le regole messe apposta per la tua sicurezza, se stai a casa non va bene perché peggiori e ti riportano, se torni sei più strano del solito. Che è un tutto dire. Già eri poco gestibile prima, adesso-»
«Perché cazzo non possiamo fare di più per ritrovarlo?»
La domanda cadde nel silenzio. Non c'era niente di aggressivo o impulsivo. Era tranquillo e, anzi, dal tono quasi impotente, di fastidiosa rassegnazione.
Perché anche Katsuki era stanco. Di dire che andava tutto bene e tenersi quelle domande dentro. In fondo sapeva perché aveva voluto andare lì. Aveva aspettato di giungere al punto più basso della sopportazione come se non parlarne a voce alta lo avrebbe reso meno reale, un'illusione di equilibrio, per il tempo necessario a capire come affrontarlo... ma non ce la faceva più. Ed era giunto alla conclusione che mai ce l'avrebbe fatta.
Era ancora lui il vero motivo.
Un po' lo era sempre stato, di tutto. Odiava che persino a chissà quanti chilometri di distanza, e nascosto chissà dove e facendo chissà che tutt'altra cosa, avesse quell'involontario controllo su di lui. Il potere di mandarlo fuori di testa per il semplice fatto di esistere anche lontano dai suoi occhi, o lo aveva proprio per questo.
Il sensei esibì un mezzo sorriso. «Finalmente.»
«Finalmente cosa?»
«Ti sei deciso.» Sottinteso, a buttare fuori ciò che era palese lo tormentasse senza che volesse ammetterlo tenendo quella facciata: il suo rivale-amico andato via dalla Yuuei.
«E allora?» ringhiò come previsto, colto sul vivo. Poi, forse voleva estorcere informazioni, forse solo non riusciva più a reggere e chiedeva tacitamente un supporto... Si sbloccò e cominciò a ragionare a macchinetta. «Finalmente è tutto quello che ha da dire, hah? Voglio- Vogliamo delle risposte. Perché lei e tutti voi professori vi comportate come se niente fosse? Come se... Cazzo, come se fosse normale! Come se non importasse che se ne sia... che uno dei vostri studenti sia là fuori. Gli avete permesso di scappare, non state facendo niente e non ci state dicendo niente. Potrebbe anche star andando stupidamente in contro alla morte per quel che ne sapete. Anzi, All Might stronzo non si sta facendo vedere nemmeno lui, quindi sa qualcosa. Lo starà aiutando. E voi siete tutti complici oppure vi state davvero fidando di quei due, che saranno degli eroi ma sono anche dei maledetti incoscienti che si sacrificano mettendo sempre gli altri prima di sé stessi.»
Il discorso era senza un vero punto, eppure il succo sembrava chiaro. «Quindi... Sei semplicemente preoccupato per il tuo stupido compagno? È questo che stai cercando di dirmi?»
«NO!»
Il professore alzò un sopracciglio. Nella foga il ragazzo si era alzato in piedi. E aveva lanciato la preziosa sedia girevole di Shōta contro la finestra dietro facendo tremare il vetro...
Katsuki si prese qualche secondo per calmarsi, il respiro più pesante e i pugni stretti lungo i fianchi. «No». Era la prima volta che la sua voce tremava davanti a lui. «Non è semplicemente... E non è- non è preoccupazione per- in qualsiasi modo la stia intendendo. È solo maledetto buon senso. Il fatto che non stia rispondendo alle mie accuse è già ammettere che ho ragione anche se non lo può dire, no? Perché, per quale cazzo di motivo, sentiamo? Perché non mi- ci... permettete soltanto di parlarci? Di vederlo, almeno?! Non è- Cazzo...»
Eccolo lì, il Bakugō più umano e fragile. Anche se faceva il ribelle, era solo un ragazzino coinvolto in qualcosa di più grande di lui, come lo stesso Midoriya, che non sapeva come gestire le emozioni le quali allora lo rendevano instabile. Prima era bravo a mettersi dei limiti, un controllo. Hizashi, così come Aizawa e All Might e in realtà un po' tutti perché era sempre più evidente, aveva compreso che era proprio il suo rivale a fargli da baricentro, in un legame complicato di cui aveva a malapena visto la superficie. Lo scontro con il Fronte che l'aveva spedito in ospedale e subito dopo la dipartita dell'amico lo avevano lasciato all'improvviso senza appigli, gli avevano tolto una colonna portante facendo crollare tutto. Le sicurezze, le convinzioni che si era sempre detto su di sé e altro ancora che non poteva immaginare.
Una mano fu sfregata con stizza contro le palpebre gonfie. «Sa che c'è? Lasci perdere. È stato inutile anche parlarne con lei. Tutto è inutile... Ci dovrò pensare da solo.»
«Bakugō, aspetta-»
Con la stessa velocità con cui si era catapultato nello studio, se ne stava andando.
Lo seguì. Anche Yamada si trovava più coinvolto di quanto credesse. Aveva sperimentato sulla propria pelle cosa si provava a perdere un amico da un momento all'altro e non riuscire a fare niente a parte negare e fuggire. Cavolo, non lo augurava al suo peggior nemico. Perciò avrebbe dovuto rimproverarlo con cose tutte giuste e sensate, trattenerlo, dirgli di non fare qualsiasi cosa spericolata avesse in mente, un'altra volta, che non si stava comportando in modo maturo come un vero hero... Invece non sapeva come reagire. Non sapeva che consigliargli davvero, non avendo fatto pace lui in primis con ciò che era successo ad Oboro.
Ma sapeva che questa situazione era diversa per una cosa: Midoriya era ancora vivo là fuori, e se Bakugō se lo sentiva paradossalmente era come se fosse proprio questo a fargli più male. Quindi doveva battere su quel nervo ancora scoperto. Ammettere la verità non è facile e non risolve le cose, però può disporre a vederle diversamente, magari facendo accettare di condividere il dolore con qualcuno.
«Sii sincero per una volta, almeno con te stesso», l'inaspettata provocazione riecheggiò fino al più giovane già in fondo al corridoio. «Cosa ti ferisce davvero del fatto che Midoriya se ne sia andato?»
Il semplice correre del nome tra quelle mura strette restituiva un effetto strano. Sproporzionato e surreale. In giorni e giorni tutti lo avevano evitato, specialmente quando nei paraggi c'era il ragazzo dai capelli biondo cenere come temendo di gettare sale sulla ferita e farlo sbarellare sul serio. Ma solo chiamando le cose con il proprio nome si può iniziare ad affrontarle.
Katsuki si immobilizzò. Dava ancora la schiena al sensei, eppure era un modo implicito per significare che stava finalmente ascoltando.
«Sai che la sua è stata la scelta migliore, dal suo punto di vista. Probabilmente te lo aspettavi anche dato che lo conosci bene. E secondo me è proprio questo che ti infastidisce. Non sei arrabbiato per cosa ha deciso, per come non stia dando notizie, per noi insegnanti che come voi non sappiamo altro... Sei arrabbiato perché lo conosci talmente bene che sai che è nel suo stile e che è testardo quindi non avresti potuto fargli cambiare idea. Nemmeno adesso potresti. Ti fa male che, mentre lui è potuto fuggire seguendo quello che voleva fare, tu sei intrappolato qui senza che ti abbia incluso. Sei quello che più vorrebbe scappare da quello che sente. Dalla sensazione di essere stato lasciato indietro... tradito, abbandonato. Dico bene? Ti fa male che vorresti essere con lui ora.»
Dal ragazzo non vennero segnali di vita per un po'. Un tempo indefinito, che parve dilatarsi facendo rimbombare quelle parole nella sua mente.
Le spalle irrigidite cominciarono a tremare, così i pugni che non riuscivano più a rimanere fermi, portati di continuo al viso.
«Lei che ne sa?»
«Credimi, lo so.»
«Non è vero... E non capisco cosa stia cercando di- Tutto questo è assurdo...»
Ancora pochi passi e l'insegnante lo raggiunse. «Lo so.» Si spostò davanti a lui, che di risposta abbassò la testa e si allontanò più volte prima, infine, di cedere.
«Smetta di dirlo. Non ho bisogno della sua compassione. Io non ho bisogno- di nessun aiuto, di nessuno... Io-»
«Lo so. Ma intanto appoggiati a me.»
«No...»
«Ssh, ssh.»
Hizashi lo accolse tra le sue braccia. Lottando un po' e prendendosi diversi pugni, ma anche convincendolo a lasciarsi andare. Non era così sbagliato interessarsi dei suoi studenti e il sale sulla ferita aveva funzionato: era sicuro che anche Shōta avrebbe fatto lo stesso.
Trattenendo i singhiozzi, impedendosi ancora di piangere ma permettendosi per la prima volta di essere sincero, Katsuki si fece abbracciare. Mormorò qualche sconclusionato «Lo odio... Fa tutto schifo... Lo odio...». Anche se non riusciva a pronunciare a voce alta il nome, era chiaro ad entrambi a chi si riferisse.
Anche Present Mic aveva ragione. E non poteva più nascondersi quelle cose.
Chi voleva prendere in giro? Ci pensava eccome a Deku. Ogni singolo secondo di ogni singolo giorno da quando aveva riaperto gli occhi sul soffitto bianco della stanza dell'ospedale, così tanto che aveva paura di dire il suo nome prima ancora che a voce nei suoi stessi pensieri.
La cosa, il dolore al petto non sarebbe mai passato da solo, tutta quella merda di sabbie mobili su cui sentiva di camminare non sarebbe mai passata da sola, gli si sarebbe avvinghiata ai piedi, alle gambe, a tutto e lo avrebbe trascinato giù senza accontentarsi finché lo avesse sepolto vivo.
Stava toccando il fondo e stavolta quello stronzo non ci sarebbe stato per lui. Evidentemente, Katsuki non era il più forte tra i due che poteva andare avanti senza l'altro come se niente fosse. E non era così speciale come si era illuso se lo aveva lasciato ingabbiato lì.
Mi hai insegnato che si può sorridere tra le lacrime. Che i fiori resistono anche nella tempesta. Ma come faccio se sto appassendo? Anche se ammetto che dentro di me ha cominciato a piovere, come faccio a non annegarci se da solo non so nuotare?
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