1 │ Non esistono parole
art :: Kōhei Horikoshi, manga
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Parlarti di quello che sento mi sembra impossibile
perché non esistono parole per dirti cosa sei per me
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Indietro.
Pausa di tre secondi e mezzo.
Avanti.
Indietro.
Pausa di tre secondi e mezzo.
Avanti.
I cigolii del ferro vecchio, regolari e assordanti nel silenzio del pomeriggio dal cielo carico di pioggia, erano l'unico suono che rimbombava nelle orecchie di Katsuki. Eppure a lui non sembrava importare. Sembrava proprio non sentirli, ed ostinarsi a dondolare a pause intermittenti senza un preciso perché.
Aveva smesso di chiedersi il perché delle cose, in effetti. Ormai niente aveva più senso. La sua vita trasformata in un cazzo di circo e l'attrazione principale era lui.
Quella mattina aveva dovuto litigare con Present Mic, il sensei dalla voce spaccatimpani responsabile ad interim della sua classe, per ottenere il permesso di uscire da quelle quattro mura soffocanti altresì note come dormitorio della Yuuei.
I fatti della guerra contro il Fronte di liberazione sovrannaturale, o qualsiasi nome altisonante avesse scelto quel pazzoide di Shigaraki, avevano gettato la società nipponica nel caos. Heroes e villains, villains ed heroes, nulla era più distinto nettamente; le persone disperate, senza più fiducia, davano la colpa agli eroi dei loro mali praticamente da quando erano nate e anzi dell'intera merda che era il mondo.
Insomma, con ogni cosa che andava a rotoli era pericoloso che uno studente della miglior scuola per eroi del Giappone, la quale in fin dei conti aveva formato quegli stessi fallimenti di heroes, girasse per la cittadina di Musutafu come uno qualunque rischiando di essere preso di mira. E bla, bla, bla...
Se si fosse trattato di Aizawa sarebbe stato diverso, ma lui era ancora in ospedale e Katsuki aveva saputo corrompere Mic per sfinimento. Così lo aveva convinto a qualche ora d'aria, in cambio che fosse in incognito. Ecco come si era ritrovato vestito da teppista a camminare a testa bassa per le strade che conosceva a memoria fin da bambino, ora tanto desolate e grigie più del cielo.
Scalciò con più forza la terra sotto di lui per darsi un'altra spinta, in un impeto di... rabbia? Frustrazione? Impotenza? Qualsiasi barlume di emozione fosse stato quel pizzicore di un attimo, finì in fretta e il ragazzo risprofondò nella sua bolla in cui non sentiva né i cigolii, né i lamenti delle nuvole, né quelli provenienti da dentro di lui se qualcosa lì ci era rimasto.
Indietro.
Pausa di tre secondi e mezzo.
Avanti.
Indietro.
Pausa più lunga.
Niente più "avanti".
Katsuki non sapeva più come si faceva, ad andare avanti.
Un piede e poi l'altro messi male contro il terreno scombinarono il dondolio del suo corpo sospeso in aria su quell'affare arrugginito. Per un soffio non cadde da solo come un cretino e, se tempo prima ne avrebbe ridacchiato dandosi del coglione – cosa che, chiaramente, solo lui poteva fare pena morte causa esplosione -, adesso niente lo attraversò.
L'equilibrio non esiste. L'equilibrio è un'illusione.
Di sicuro, Katsuki aveva definitivamente perso il suo tre giorni prima. O forse erano cinque? Stava perdendo anche la cognizione del tempo. E alla fine che importava.
Tutto è un'illusione, niente ha più senso.
Con quell'unico pensiero lucido, cercò una nuova posizione. Visto da fuori un ragazzo dall'aspetto tanto minaccioso, cappuccio da vandalo provetto calato sui capelli, tutto muscoli e sguardo truce, che si striminziva per stare su un'altalena di un piccolo parco giochi... Faceva ridere. Se non proprio era grottesco. Ma dato che niente più gli importava, si sistemò meglio e ci rimase.
Piegò una gamba al petto mentre l'altra rimaneva distesa verso terra, a fare da contrappeso. Il tessuto e le catenine dei cargo quasi fecero più rumore del suo respiro. Era diventato così silenzioso anche con sé stesso, Katsuki.
Incrociò le braccia sopra al ginocchio, ci appoggiò la testa, tentò di riposare gli occhi.
I colori di quel mondo più merdoso del solito si confusero dietro al nero delle palpebre e formarono un'unica immagine chiara.
Lui era lì, sull'altalena vuota accanto alla propria.
Il suo piccolo maldestro amico non riusciva ad arrivare bene con i piedini per terra e i suoi occhioni verdi cercavano quelli di Katsuki. Quest'ultimo, come sempre, sbuffava che era un incapace a cui doveva insegnare tutto, poi si spostava a spingerlo sulla schiena. Il bambino dai capelli biondo cenere ghignava agli urli di paura del minore perché lo faceva andare troppo forte, e si riempiva di orgoglio quando, passata la paura, quello gridava che era bellissimo, gli sembrava di volare, Kacchan era il migliore e non voleva tornare a casa perché avrebbe voluto continuare a giocare all'infinito con lui.
Katsuki sobbalzò su sé stesso, scampando per la seconda volta una caduta. Doveva essere andato in dormiveglia e la mente stanca gli aveva giocato un brutto scherzo.
Lo sapeva fin troppo bene, lo sapeva eppure... Fu automatico scattare a controllare alla sua destra. Giusto per precauzione, per convincersi di non essere totalmente pazzo oppure per farsi ulteriormente del male almeno qualcosa lo avrebbe risvegliato, oppure tutte queste cose.
Ovviamente, lui non c'era davvero.
Adesso, guardando quelle altalene dove avevano volato insieme, sentiva solo la sensazione di quando voli perché stai cadendo nel vuoto. Non ti schianti, non ancora, vivi soltanto quel senso di caduta per un tempo interminabile. Quasi preferiresti che finisse anche se equivarrebbe a morte certa e invece non finisce mai.
Sollevò il viso. Anche il parco con i suoi giochi sembrava congelato nel tempo, tutto nelle strade era fermo e persino il cielo sembrava in bilico. Tutto era fastidiosamente bloccato e Katsuki si sentiva precisamente allo stesso modo.
Né sereno, né tempesta.
È tutto insensato e sospeso. Fa così schifo.
Espirò più a fondo in quello che doveva lontanamente essere uno dei suoi sbuffi. Andiamo, che cazzo gli prendeva? Non ci voleva pensare, giusto? Era uscito o per meglio dire scappato da scuola proprio allo scopo di non pensare a niente o no? Allora perché era finito lì a deprimersi come uno sfigato?
Le mani lasciarono presto la presa sulle catene di metallo, le nocche tornarono al loro colore naturale. Non aveva più voglia nemmeno di arrabbiarsi con sé stesso.
Decise di rientrare a casa, trascinandosi appresso quel malessere che ogni tanto pizzicava nel petto ma niente di più. Era davvero fastidioso. Avrebbe voluto che quella cosa gli esplodesse dentro come al solito, per avere la forza di buttarla fuori a suon di pugni o simili, invece subdola e silenziosa se ne rimaneva conficcata lì costantemente.
Affrettò il passo. Ci sarebbero voluti meno di dieci minuti ma il suo sesto senso gli suggeriva che era meglio sbrigarsi o la vecchia strega avrebbe cominciato a rompergli sul cellulare, che aveva dimenticato proprio a casa e via altre discussioni che non aveva la forza di sorbirsi. Era già bello che avesse reagito bene, e con bene si intendeva che aveva sclerato solo per un totale di un quarto d'ora, quando aveva saputo che un professore aveva assecondato il capriccio del figlio nonostante la scuola in quei giorni avesse ripetuto ai genitori fino allo sfinimento che avrebbe tenuto i loro ragazzi là al sicuro, ad ogni costo.
Mitsuki era tutt'altro che una vecchia strega in realtà. Il quirk che produceva su tutta la pelle era come la nitroglicerina che si trova nei cosmetici e che perciò le dava un aspetto sempre giovane, perfetto, mentre la sua stregoneria più grande erano i decibel che raggiungevano le urla furiose quando rincorreva per i corridoi il figlio che ne aveva combinata una delle sue. Il povero Masaru, elemento più pacifico dei tre, si ritrovava in mezzo a quelle allegre conversazioni familiari circa ad ogni occasione passata insieme e doveva intervenire prima che ci scappasse il morto.
Quando Katsuki aprì la porta di casa, percepì subito qualcosa di strano.
Alcune cose all'ingresso erano fuori posto. Delle vecchie fotografie sul mobile dove erano soliti appoggiare le chiavi ed altro erano leggermente spostate e c'era un cappotto non loro sull'attaccapanni. Due voci, entrambe riconoscibilissime ma di cui una fu inaspettata, arrivavano dalla cucina.
«È che sono preoccupata...»
«Lo capisco, cara. Ma quello che mi hai raccontato mi sembra un po' una piccolezza. Intendo che forse non dovresti allarmarti tanto. Insomma, sono ragazzi.»
«Allora non stai capendo!»
Era Mitsuki quella che aveva alzato la voce. Farfugliò delle scuse incomprensibili, che il ragazzo interpretò come tali solo perché la conosceva bene e, infelicemente, aveva ereditato quel tratto caratteriale. Lo aveva sempre messo a disagio il fatto di assomigliare così tanto alla mamma in molti aspetti ed ecco perché non andavano d'accordo ma, allo stesso tempo, si capivano più di quanto volessero.
«Scusami, non so cosa... Non so più-» Un sospiro e forse un singhiozzo. «Proprio perché sono piccole cose mi preoccupo...»
«Ehi... Va tutto bene. Su, sfogati. Ti ascolto.»
Ormai era andato oltre all'origliare: stava spudoratamente spiando. Attento a non farsi notare, fece sporgere un occhio dallo stipite della porta, sondando la cucina fino ad individuare le due figure sedute al tavolo. Poteva vedere bene sua madre in faccia, con il trucco colato e il naso rosso che per essere gentile la rendevano un disastro, che veniva accarezzata sulla schiena da una mano più piccola e tozza della persona che a lui dava le spalle.
«Te l'ho detto, Katsuki è sempre stato molto ordinato. Metodico fin da piccolo ai limiti dell'inquietante. Trovare quei calzini fuori posto nella sua stanza mi ha scioccato! Non è da lui!»
«Mh, mh...»
«Sembro pazza, lo so. Ma conosco il mio bambino.»
Le labbra di Katsuki si incresparono in una smorfia. Preferiva quando gli dava della testa di cazzo.
«Non si è mai comportato così e mai lo farebbe. È quasi... apatico, che è assurdo da dire di lui. È più silenzioso, non mi parla. Prima non mi ha neanche risposto quando l'ho rimproverato perché non aveva finito il pranzo! Quell'ingrato... Pollo al curry extra piccante, il suo piatto preferito che mi sono sbattuta a preparargli... E poi- e poi-»
Un altro «Mh, mh» e il rumore di un naso soffiato con forza.
«Sapessi cosa mi ha detto Kirishima, il suo amico. Ah, un ragazzo d'oro lui... Mi ha chiamato perché quel deficiente sta facendo preoccupare anche i suoi amici del suo stato e non sa più come aiutarlo. Mi ha detto... Oh... Che ieri ha fatto una serie di pesi in meno in palestra. Una serie! Non ha controllato le calorie della sua cena, mangiando a spizzichi e bocconi quello che gli è capitato, e ha passato la serata con i ragazzi completamente assente ed è andato a letto alle dieci. Alle dieci, Inko! Capisci?!»
«Sì, sì...»
Katsuki si sentì un po' morire. Per come la madre lo stava sputtanando raccontando le sue cose a qualcun altro, per il discorsetto che avrebbe dovuto fare a Capelli di Merda, per il colore verde e l'abbraccio sentito tra le due amiche davanti ai suoi occhi che cominciarono a pizzicare. Non necessariamente in questo ordine.
Che cosa ci faceva Inko a casa loro, in quel periodo? D'accordo che gli ultimi eventi le avevano unite molto, ma in quella situazione, dopo che... Soprattutto, cosa cazzo saltava in mente alla vecchia, di lamentarsi di suo figlio con una donna che il figlio manco sapeva dov'era, se stava bene? E come poteva Inko essere così comprensiva? Consolare sua madre, sorriderle tra le lacrime...
Perché ci rivedeva troppo lui e faceva così male?
Picchiò per sbaglio un piede contro il legno. Mitsuki alzò la testa dalla spalla amica e lo beccò, lo guardò per un attimo in quegli occhi così simili ai suoi prima che facesse ciò che ultimamente, a quanto pareva, sapeva fare meglio: scappare.
«Katsuki, sei tu?»
Corse velocemente le scale in direzione di camera sua. Se di recente aveva meno energie, qualcosa in tutto quello gli aveva fatto scattare una botta di adrenalina in corpo. Di quelle che ti dà la parte più primordiale del cervello quando si sente in una situazione di pericolo alla "o fuggi o muori".
Sì, era proprio come aveva pensato. Si sentiva morire.
«Oi, ti ho visto! Non fare lo stronzetto e torna qui!»
«Ma no Mitsuki, non serve. È difficile anche per lui... Non oso immaginare quanto...» la voce di Inko giungeva sempre più sottile dal piano inferiore. «Anche per questo insisto che tu e la tua famiglia venite al rifugio della Yuuei. Ormai è tutto pronto e a breve si dovrebbero aggiungere ulteriori misure di sicurezza. Sinceramente, sono così complesse che non le ho capite bene quando il preside me le ha spiegate. Però, sai... Sono fiduciosa. All M- Tutti mi hanno rassicurato che faranno il possibile, per prendersi cura anche del mio I-»
Katsuki chiuse ferocemente la porta prima di ascoltare altro. Non lo voleva sentire quel nome.
I capelli erano gli stessi. Gli occhi erano gli stessi. Persino la leggera inclinazione della voce mentre consolava qualcuno era la stessa. La premura e il mettere al primo posto gli altri erano gli stessi.
Tutto quello... era semplicemente troppo.
Dov'è?
Si infilò le mani tra i capelli e li tirò con forza, come a costringersi a concentrarsi. C'era una cosa che all'improvviso aveva bisogno di ritrovare. Urgentemente.
Dov'è finita quella stronza?!
Cercò in tutta la stanza fino a ribaltarla. In verità sapeva dove la nascondeva, ma era come se la sua mente non volesse collaborare e preferisse sfogarsi di quella oppressione alla gabbia toracica in quel modo, come non faceva da tempo.
Dopotutto distruggere era sempre stata la sua specialità.
Con il fiatone raggiunse il cestino accanto alla scrivania. Lo svuotò spargendo il contenuto, principalmente pagine di brutta strappate dai quaderni quando i mesi passati, prima di tutta quella merda, trascorreva dei weekend a casa. Ci era tornato solo una volta dopo l'ospedale e con l'occasione aveva nascosto sul fondo ciò che infine rinvenne. Inconsciamente, tenendola sempre in quel posto segreto non aveva mai avuto il coraggio di buttarla via. Di dimenticare...
Si rigirò tra le mani la palla di carta, del tutto consumata per quanto era stata lì.
Lasciò il resto sul pavimento. Se di solito era fin troppo pulito ora faceva invidia ad un porcile, di quelli dove sfruttavano e macellavano gli animali che un giorno gli aveva fatto vedere Faccia da Scemo piangendo su YouTube – storia lunga.
Stava davvero impazzendo.
Si abbandonò sulla sedia e riaprì la pallottola, con qualche difficoltà. Ah, sì, quella volta per la rabbia aveva strappato tutto in mille pezzetti.
Gli si ruppe sfasciandosi tra le dita tremanti.
Di nuovo, Katsuki immaginò che chi l'avesse visto così lo avrebbe ritenuto un pazzo, che disperato tentava di rimettere insieme degli stupidi pezzi di carta appiccicandoli male con dello scotch.
Tu ricucivi sicuramente meglio le mie ferite.
A impresa terminata, fissò quel poco che ancora si capiva della lettera stropicciata e rattoppata come meglio poteva.
Forse quel suo meglio arrivava troppo tardi.
Ormai è tardi, troppo tardi...
Si addormentò lì. Appoggiato alla scrivania con le braccia, con la testa inclinata sopra a guardare l'inchiostro inciso sul foglio che quasi aveva paura a sfiorare con un dito, finché le palpebre avevano ceduto al loro stesso peso.
Paura perché, questo generava il suo insolito stato d'animo, avrebbe voluto poter fare qualcosa e invece doveva rimanere intrappolato in quel loop del cazzo ed ormai era troppo, troppo tardi.
Ironico che l'ultimo pezzo di lui che gli era rimasto fossero degli stupidi frantumi di carta, vero? Maltrattata come aveva fatto a lui in passato. E come Katsuki si sentiva ora.
"All'infinito con me", eh? E adesso dove cazzo saresti?
Non aveva più energie, più nulla da dare, niente più parole per esprimere tutto e nemmeno più... sentimenti, se la sua solita rabbia, l'unica che realmente si fosse mai concesso, valesse tra questi.
Aveva dato tutto ed era rimasto senza niente.
Mitsuki ritrovò il figlio così, crollato in quella posizione scomoda, quando la sera salì a chiamarlo per la cena senza ricevere risposta.
La furia di una ramanzina si tramutò in un singhiozzo vedendolo stringere quella lettera come la sua cosa più preziosa. La lesse e pianse, lo fece al posto suo perché il suo Katsuki sembrava talmente esausto che non aveva neanche più la forza di far scendere delle lacrime.
Forse iniziava a capirlo. Era tutto così evidente, in fin dei conti.
Gli accarezzò teneramente la guancia, come a trasmettergli quanto voleva esserle vicina anche se non ne era in grado e lui non lo permetteva. E gli asciugò la bava sul mento.
Il suo bambino si era sempre vantato di aver insegnato tutto a quel "buono a nulla" di Deku. Ma era stato Deku ad insegnargli a migliorarsi, e a ridere, a piangere, ad aprirsi ed esprimere le sue emozioni. Ora che lo aveva abbandonato, Katsuki non era più capace. Semplicemente, si sentiva tanto solo.
❝ Ehi Kacchan.
Ho pensato che fosse giusto che tutta la classe A conoscesse il mio segreto. Per questo ho lasciato delle lettere per voi. Ma tu già l'avrai capito: dato che il mio potere mi è stato donato da All Might ed è un potere speciale, Shigaraki e All For One agiranno puntando sempre a me e ho paura di coinvolgere tutti voi. Non posso permetterlo. Quindi lascio la Yuuei.
Sono davvero felice di essere entrato nella sezione heroes con te e aver incontrato tutti gli altri della classe A.
Addio. ❞
Così aveva scritto Izuku nelle lettere che, codardamente, aveva fatto lasciare da All Might sotto alle porte dei suoi compagni al dormitorio a notte fonda, perché non sarebbe più tornato a scuola nemmeno per prendere le proprie cose. Dal preciso istante in cui si era risvegliato in ospedale dopo la battaglia aveva già deciso ed era stato irremovibile: da quel giorno avrebbe abbracciato la via dei vigilantes del passato, per continuare a combattere nell'ombra senza ferire nessuno di coloro a cui teneva né degli sconosciuti che, dal suo punto di vista, non dovevano pagare le sue scelte che avevano in fondo condotto alla guerra e a tutta quella situazione.
C'era un appunto, però, nella lettera per l'amico d'infanzia che per il resto era simile a quelle destinate agli altri. Era proprio al margine finale del foglio, in una penna più sottile o magari scritto più di fretta.
Sull'ultima frase Izuku doveva aver pensato molto, perché strati di bianchetto nascondevano ciò che aveva tracciato in principio. Un po' come Katsuki che nascondeva la lettera distrutta in mille pezzi sul fondo del cestino.
Se una cosa non era cambiata, era che loro due continuavano a nascondersi molto l'uno all'altro.
❝ P. S. Grazie per aver mantenuto il mio segreto fino ad adesso. Grazie anche per avermi salvato sempre a modo tuo. So che odi quando provo a darti ordini, ma ora lascia che sia il mio turno.
Ti voglio bene, Kacchan. ❞
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