Capitolo 2 🧡
"E ti diranno parole rosse come il sangue
Nere come la notte
Ma non è vero, ragazzo
Che la ragione sta sempre col più forte
Io conosco poeti
Che spostano i fiumi con il pensiero
E naviganti infiniti
Che sanno parlare con il cielo
Chiudi gli occhi, ragazzo
E credi solo a quel che vedi dentro
Stringi i pugni, ragazzo
Non lasciargliela vinta neanche un momento
Copri l'amore, ragazzo
Ma non nasconderlo sotto il mantello
A volte passa qualcuno
A volte c'è qualcuno che deve vederlo"
∞
CAPITOLO 2
"Odore di mare"
Aprile, 1980
∞
Voce marcata, sopracciglio alzato. L'angolo della bocca sollevato verso l'alto e sguardo altezzoso. Un sorrisetto beffardo si espanse sul volto di quel ragazzo quando finì di leggere una delle poesie di Manfredi. Rodolfo, si chiamava. Il belloccio della classe. Suo padre era il maresciallo; lo ricopriva di preziosità. Ostentava una ricchezza che sembrava autorizzarlo nel sentirsi superiore agli altri.
Sbuffò una risata, poi sventolò il quaderno di Manfredi sotto gli occhi divertiti dei compagni.
«Ma che schifìo è?» disse e lo lanciò ad un ragazzo. Curiosi, lo sfogliavano con fretta. Manfredi seguiva quell'insieme di pagine passare da una mano all'altra. L'ansia cresceva in lui. Quel quaderno era ciò a cui più teneva.
Le risate divennero sempre più rumorose. Manfredi avrebbe semplicemente voluto tapparsi le orecchie e scappare via da lì. Poi, ad un tratto le sue poesie tornarono da lui, atterrando sul banco. Manfredi le recuperò in un attimo e se le strinse al petto per non lasciarle più andare.
«Il pescatore che vuole diventare poeta? Baggianate.»
Manfredi alzò gli occhi e li incrociò con Rodolfo. Lo odiava così tanto. «Ma perché non posso?»
Una fragorosa risata si espanse nell'aula e tante altre se ne aggiunsero. Manfredi si sentì messo in gabbia. Si morse la lingua, pentendosi di aver parlato.
«L'hai sentito mai u ciàvuru d'un poeta? Sa di zagara e tabacco.» Rodolfo si avvicinò a Manfredi, spinse la sua fronte con l'indice ben teso. «Tu puzzi solo di pesci.»
Manfredi abbassò il capo, non seppe come ribattere. Da una parte avrebbe voluto alzarsi, gridare, dir loro che possedere un sogno non era un sacrilegio. Ma stette zitto, chiuso in se stesso, aspettando solo che quel siparietto giornaliero finisse.
∞
La situazione non migliorava. Degli anni erano passati ma Manfredi si pentiva ogni giorno di più di aver avuto quella pessima idea tempo a dietro. Durante il periodo delle scuole medie aveva desiderato essere apprezzato dagli altri per quel che scriveva. E allora, quale miglior modo per inaugurare il nuovo anno scolastico se non leggendo una delle sue poesie? Quando racimolò tutto il coraggio e fece quel passo, fu un disastro. La professoressa di italiano rimase in silenzio con una smorfia sul volto. I suoi compagni scoppiarono a ridere e Manfredi avrebbe solo voluto sotterrarsi dalla vergogna. Se ne andò al suo posto a testa bassa, sfilando tra i banchi, sotto gli occhi deridenti di tutti. Fu il giorno peggiore della sua vita, soprattutto, perché in classe con lui alle medie vi era anche Rosa.
E a Manfredi, Rosa, piaceva.
∞
Aveva passato gli ultimi due anni di scuole medie, sperando che, una volta alle superiori, i suoi compagni sarebbero cambiati. E sì, fu così. Ma vivendo in un paesino piccolo, con a disposizione una sola scuola, tutti si conoscevano e le voci giravano. Così, arrivato in terza superiore, capì che l'aver cambiato compagni di classe non fosse servito a niente.
Anche Rosa non fu più in aula con lui. Almeno Manfredi non dovette più impegnarsi così tanto per evitarla. Ma l'abitudine di osservarla da lontano non se la levò. Il gabbiotto in legno del giardiniere era il posto ideale per farlo. Possedeva una piccola finestra che nascondeva Manfredi dal mondo esterno, ma non il contrario.
La sua scuola era circondata per buona parte da un grande agrumeto. Arance e limoni che sprigionavano un profumo speciale. A occuparsi di quel paradiso era Totò, un amico di famiglia da sempre.
Così, Manfredi, durante la pausa merenda, iniziò a rifugiarsi in quel piccolo ripostiglio per osservare Rosa. Era strano, ma al contempo affascinante vedere come Rosa riuscisse in quel che Manfredi era pessimo: avere degli amici. La vedeva sempre sorridente, allegra, estroversa. Sembrava che il mondo non potesse scalfirla, perché in realtà era a lei a comandarlo.
∞
«Talialo, tutto innamorato è», disse Totò. Poi diede un morso al suo panino con le panelle. Il sapore non lo soddisfò, così lo aprì e ci spremette il succo di un limone colto poco prima.
L'altro panino se ne stava lì, tra le mani del ragazzo, ad aspettare di essere mangiato. «Non prendermi in giro.» Manfredi sospirò rassegnato: «So di essere patetico.»
«Picciutteddu, finiscila di fare il chianciullino.» Quella situazione si stava protraendo fin troppo. «Chiuttosto, spicciati.» Ormai era cresciuto per comportarsi ancora come un bambino.
«E che dovrei fare? Regalarle una mia poesia?»
Immediatamente Totò batté una mano sulla propria coscia. Lo schiocco fece sobbalzare l'altro dalla sorpresa. «Perfetto, sarebbe!» Approvò con un pollice in su quell'idea.
«Scherzi? Farei la figura del cretino», asserì Manfredi. «Ci manca solo che mi prenda di nuovo in giro anche lei.»
«E fosse chista a tua preoccupazione?»
«A te sembra una cosa da poco? Dopo l'umiliazione subita in classe...»
«Oh, ma la vuoi finire? Manfrè, migliorasti assai! Non hai più dodici anni.» Totò era sincero, aveva visto un grande miglioramento nella scrittura di Manfredi.
«Pensi che in quattro anni sia avvenuto il miracolo?»
Totò accartocciò la carta, in pochi morsi aveva divorato il panino. «Logico è che tu non scrivi come il più grande dei poeti, ma quel che fai non è da buttare. Si migliora giorno per giorno. Fa parte del gioco.»
«Sì, ma... potrebbero non piacerle.»
Totò alzò le spalle e girò le mani al cielo: «Amen, ti innamori di un'altra.»
«Non voglio che mi prenda in giro anche lei!» ribatté Manfredi.
«Avanti, ti pigghiano in giro tutti! Uno chiù, uno meno, non è un problema.»
«Beh, grazie.»
Totò si alzò sorreggendosi al manico della zappa.
«Lo so. Sugnu sprecato per sto travagghio. Quindi?» domandò poi.
«Quindi, che?»
«Ti dichiari o no?»
Manfredi girò gli occhi al cielo: «Certo che sei insistente.»
«Che hai da perdere?»
E allora lui provò a riflettere. «Niente, però...»
«Nessun però, recupera la tua poesia migliore e ce la dai.» Totò spinse Manfredi a uscire.
∞
Era domenica. Manfredi e Carmela dormivano beati nei loro letti. Stretti in una piccola stanza ma ugualmente beati. Ogni volta aspettavano quel giorno per una settimana intera. Niente scuola, al contrario, solo riposo sotto una morbida coperta.
Ma ecco arrivare il lato negativo.
Maria tirò su le tapparelle, provocando un rumore improvviso. «Avanti, svegliatevi che sono le dieci!»
Manfredi aprì un occhio e poi si girò dall'altro lato, sconsolato. Bugia. Sua madre mentiva sempre. Li faceva alzare alle otto, così che potesse pulire tutta casa di buona mattina. Dopo di che, la destinazione era la chiesetta del quartiere per assistere alla messa.
Ormai, lui e sua sorella si erano messi l'anima in pace. Dovevano farsi bastare quell'ora di dormita in più.
D'altro canto, a dirla tutta, Manfredi non sarebbe riuscito a riposare ancora, perché un pensiero non indifferente aveva continuato a ronzargli nella testa.
Dichiararsi a Rosa oppure no? Regalarle una poesia o essere il codardo di sempre?
Di certo, restare nella propria zona sicura non sembrava tanto male. Si chiedeva il perché dovesse prendersi quel rischio. Vi erano molti lati negativi, se il tutto fosse andato male. Eppure, appena rivolgeva il pensiero anche solo ad uno dei possibili risvolti positivi, tutto sembrava illuminarsi.
Durante la messa si inginocchiò. Prima sventolò una mano davanti il proprio volto per allontanare tutto quell'incenso che gli bloccava la respirazione, poi chiese il parere di Dio. Gli disse di voler un consiglio, gli chiese di mandargli un segno per capire se buttarsi o no in quella folle situazione.
Nella fila di fianco, a qualche panca di distanza, più vicino all'altare, vi era anche Rosa e la sua famiglia. Macchie di colore le adornavano il volto; la luce del mattino filtrava attraverso le vetrate colorate. Il capo era chinato in segno di preghiera. Le sue labbra, però, immobili.
Il cuore di Manfredi sussultò, il respiro si fece più profondo. La bellezza di Rosa lo colpiva ogni volta come fosse la prima. Il suo sguardo si soffermò sul profilo dolce di lei. Non riusciva a distogliere gli occhi.
Rosa alzò appena lo sguardo e un sorriso leggero si dipinse sul suo volto. Manfredi si sentì sciogliere. Restò a contemplarla per il resto della funzione religiosa, fino a quando tutti si misero in piedi per andare via. La perse, quei corpi gli ostruivano la vista. Poi, solo per un secondo, come un raggio di sole tra le nuvole, la rivide. Molto più vicina di prima. I loro sguardi si incontrarono. Un istante eterno. Poi tutto si richiuse.
Manfredi pregò ancora affinché quel segno gli arrivasse il prima possibile. E quel segno sembrò arrivargli quando quello stesso pomeriggio, intento a scrivere sul suo quaderno di poesie, una folata di vento sfogliò le pagine.
Esse si bloccarono su una poesia dedicata a Rosa.
Non avrebbe voluto che quell'idea si insediasse nella sua mente, ma ci rimuginò così tanto che alla fine si convinse. In fondo, anche Dio lo aveva spinto a provarci. Così, di lì a qualche giorno, a fine lezione prese dallo zainetto di cuoio una delle sue poesie. La piegò in due parti e si incamminò fin sotto l'agrumeto.
Il calore del sole era piacevole mentre filtrava a macchie tra le foglie. Il terreno era una distesa di punti lucenti. Nell'aria sembravano esser state spruzzate boccette intere di profumo. Ma ciò, gli ricordò una cosa decisamente importante: un vero poeta profuma di zagara e tabacco. E allora, le sue gambe si bloccarono. Pizzicò la maglietta blu e la tirò verso il naso. L'annusò e si disperò.
Era vero, puzzava di pesce.
Non avrebbe potuto presentarsi in quel modo.
Eppure, tabacco non ne aveva. Ma al contrario... Era circondato dalle zagare.
Strappò così un paio di fiori e li strofinò su tutto il collo. Pregò affinché potessero coprire il suo odore di mare.
Rosa era seduta sotto un arancio al riparo dal sole. Lei con le sue amiche sembravano allegre. I volti sereni e sorridenti.
Manfredi raddrizzò la schiena, qualche colpetto di tosse per schiarire la voce e tentò di fermare le mani che tremavano dall'ansia. Si avvicinò cautamente con lo sguardo basso. Stringeva così forte il bigliettino che per un attimo pensò di poterlo strappare. Non aveva pensato a come fare per ottenere l'attenzione di Rosa e ciò lo portò a fermarsi a qualche passo dal gruppetto.
Ma, ormai, fin troppo vicino per poter passare inosservato. Di fatti, le tre ragazze lo notarono e i loro occhi puntarono su Manfredi. Panico. Fu obbligato ad uscire allo scoperto. Allora la mente di Manfredi andò in corto circuito. Rimase lì, fermo a boccheggiare, emettendo sillabe casuali.
«Ti serve qualcosa?» fu Rosa a parlare.
Manfredi la guardò, ma prese a balbettare: «Io, io...» Fece vedere appena il bigliettino. «Ho una cosa da– Ma non vorrei disturbare.»
Rosa si alzò. Il vestito lilla che indossava le scese fino alle caviglie e qualche zagara, che le amiche le avevano messo tra i capelli, si staccò e cadde a terra. Rassicurò Manfredi con un sorriso: «Tranquillo, non disturbi.»
«Ma non è il ragazzo delle poesie orrende?»
Manfredi si bloccò e il suo sguardo virò a quelle due ragazze che parlottavano tra loro. L'altra annuì: «Sì, è quello che tutti prendono in giro.» – «Ah! Manfredi, si chiama.»
Il ragazzo neanche se ne accorse, ma il foglietto si accartocciò nel suo palmo. Quel briciolo di coraggio evaporò e la vergogna prese il posto dell'imbarazzo. Tornò a guardare Rosa e non riuscì a sostenere il suo sguardo.
«Mi... mi dispiace», disse. Fece poi due passi indietro.
L'insicurezza prese il sopravvento. Sembrava non potesse più scrollarsi di dosso quel ruolo. Pensò che, ben presto, tutte insieme avrebbero riso di lui e che Rosa non avrebbe mai accettato la sua dichiarazione.
Doveva andar via e sparire dalla loro vista.
«Aspetta, ma dove vai?» Rosa cercò di capire cosa fosse successo, ma Manfredi già le aveva voltato le spalle, allontanandosi a passo spedito. Confusa, non seppe che fare, se non osservarlo andar via.
Notò come Manfredi avesse buttato via quel pezzetto di carta costudito gelosamente fino a poco prima.
«Parlate sempre a sproposito voi due», disse Rosa, guardando le sue amiche. Agata e Giorgia mormorarono delle scuse. «Cavolo, finalmente era riuscito a fare un passo avanti.»
Ma quelle ragazze avevano mandato tutto in fumo.
∞
«Ma che hai? Finiscila d'arriminare la minestra.»
Manfredi guardò sua madre, Maria. Poi abbassò lo sguardo sulla zuppa di lenticchie e sospirò. Non le avrebbe mai raccontato di Rosa.
Fece ricadere la ragione del suo pessimo umore sulle solite prese in giro. I suoi genitori conoscevano già la situazione.
«Madre Santa, e finiscila d'avere sto muso così lungo.» Maria finì di stendere i panni dalla finestra e si asciugò le mani sul grembiule. «Fanno bene a prenderti in giro. Accussì ti levi dalla testa questo stupido passatempo.»
Manfredi sentì il petto stringersi. «Non dovresti stare dalla mia parte?»
«Picchì sei mio figlio? Io sto dalla parte della famiglia, mi preoccupo per tirare avanti. Devi fare la tua parte.» Lo sguardo severo di Maria non fu abbastanza per far rimanere zitto Manfredi.
«Devo essere per forza un pescatore?»
«Ancora insisti? Ci farai morire a tutti di stenti!» Sua madre alzò il tono di voce.
«Potrei guadagnare i soldi in altri modi.»
Nemmeno finì di parlare che Maria, per mettere fine a quella conversazione, batté con forza una mano sul tavolo di legno. «Devo campare con lo spavento di non arrivare a fine mese? Ma cu ti senti, un genio? Un figlio stupido comm'a tia... Sei una cosa inutile!»
Manfredi si arrese a quella volontà. Piuttosto, doveva sbrigarsi a mangiare. Suo padre sarebbe presto arrivato al molo con il pescato.
Carmela, sua sorella, dondolò le piccole gambe sulla sedia. Finì la zuppa e leccò il cucchiaio, prima di sussurrare all'orecchio di Manfredi un: «A me le tue poesie piacciono.»
«Grazie, Melì.»
∞
Alle tre del pomeriggio, Manfredi era già al molo.
«Signore mio... E spicciati!» Suo padre, Gaetano, mise tra le braccia di Manfredi il pesce fresco raccolto nelle cassette. L'odore non era dei migliori e le braccia erano così colme da ostruirgli la vista. «Accussì non finiamo più!»
«E allora, Manfrè? Come è finita? Salve, Gaetano.»
Totò lo raggiunse per comprare qualche chilo di alici da far fritte. Gaetano ricambiò il saluto con un'alzata di mano.
«Oh, Totò.» Manfredi sapeva già a cosa l'altro si riferisse. «Te lo avevo detto che avrei fatto la figura del cretino.»
Il peso che trasportava gli venne alleggerito. Totò prese due cassette. «Non l'è piaciuta la poesia?»
«Non gliel'ho neanche data!», esclamò il ragazzo. «Sono corso via.»
«Pensavi che la poesia non fosse buona?» gli chiese Totò.
«Io. Sono io il problema», disse Manfredi. Rovesciò nel mentre una delle cassette sul ghiaccio fresco del banco. «Non sono un bravo poeta e puzzo di pesce!» – «Mi sono scorticato la pelle per rendermi presentabile, ma a quanto pare sono un pesce anche io. Non è possibile puzzare in questo modo.»
«A mia non mi pare che puzzi. Ti fissasti.»
«Sì, vabbè. I miei compagni non fanno altro che prendermi in giro per questo.»
«Picchì? Ti manca qualche cosa rispetto a iddi?»
E Manfredi sospirò: «Loro hanno un buon odore.»
«E con questo che vuoi dire?»
«Che possono permettersi di comprare dei profumi! Hanno i soldi», specificò. Tirò su la cassetta colma di alici. Un pugno di ghiaccio a mantenerle fresche. Poi continuò: «Hanno i soldi perché i nostri padri fanno lavori differenti. E anche solo per questo io sono qui e loro sono lì.» Indicò le grandi ville che si scorgevano in lontananza.
Totò lo rimproverò con lo sguardo. «Ah, Manfrè. Ma come dobbiamo fare?»
Manfredi si abbassò dietro la bancarella, prese le alghe verdi e le tirò su. «Hanno tutti ragione. Devo solo dimenticarmi delle poesie.»
«Tu lo sai? Le acciughe erano stiddi.»
«Cosa? Stelle?» chiese Manfredi. Non capiva perché Totò avesse cambiato discorso all'improvviso.
«Non conosci la storia?» domandò Totò e il ragazzo scosse la testa. «Bedde stiddi, vanitose come niente prima d'allora. E superbe, tantissimo lo furono. Si vantavano di essere lucenti riflesse nel mare e che tutti li cristiani le taliavano a bocca aperta.»
Manfredi si fermò dal lavoro, curioso.
«Un giorno però la luna fu più splendente del solito e la sua luce riflessa nell'acqua fece diventare u mare d'argento. I stiddi si presero di invidia della luna. Dopo che si lamentarono per giorni, il Signore non ne poté più e le punì. Accussì le buttò nel mare. I cristiani da allora le assaggiarono e si manciarunu. I stiddi furono costrette a correre, a stancarsi e a scantarsi. E da quella giornata si chiamarono solo acciughe.»
Totò vide Manfredi confuso, si sbrigò così a spiegare: «I tuoi compagni pensano di essere superiori a te, ma la verità è che tu sei megghiu di loro. Tu ti stai portando avanti. Ti pare niente? Loro si affaticano. Ti sfottono. A te il cervello ti cammina. A loro, no.»
«Tu pensi?»
«Certamente! Sono solo pidocchi arrinusciuti. Ma dove devono andare?» Finalmente Totò riuscì a strappare una risata a Manfredi. «No, sono solo stupidi pisci che popolano questo mare. Ma tu questi pisci li stai vendendo», disse. Poi strofinò le mani tra loro. Un certo languorino che iniziava a far capolino. «Ora dammene un po'. Che stasira me le voglio fare fritte!»
Nelle ore successive, Gaetano vendette il pesce. Manfredi si occupò di incassare. La clientela era sempre molta, tanta da creare una discreta calca davanti la bancarella. Dopo un po', i gesti divennero automatici e Manfredi si perse nei suoi pensieri. Si chiese perché Dio gli avesse consigliato di agire in quel modo. Poi, capì che forse si era immaginato tutto. Che era stato lui a cercare una scusa per avvicinarsi. "Che stupido", pensò. "Sono solo uno stupido. Come ho potuto credere che potesse funzionare?"
Ma all'ennesimo cliente, si accorse di avere tra le mani non delle banconote, bensì uno strano ma a tratti familiare pezzetto di carta.
All'improvviso, realizzò. Quella era la sua poesia!
Allora alzò di scattò il capo e davanti a sé trovò... «Rosa.» Il suo cuore prese a correre frenetico.
«È un peccato che tu non me l'abbia data», disse lei, cercando di non ridere di fronte il volto sconcertato di Manfredi. «Perché è proprio una bella poesia.»
Manfredi volle quasi farsi pizzicare dal granchio sul bancone per verificare se tutto fosse reale.
L'apice della sua contentezza arrivò quando Rosa gli chiese: «Ti andrebbe di leggerla per me?»
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1_ pidocchi arrinusciuti: Individuo dalle umili origini che ha scalato i gradini della scala sociale con mezzi a volte anche dubbi e la cui immagine è adornata da ogni oggetto di lusso solo con l'intento di far dimenticare i suoi natali. Tuttavia le modalità "raffinate" con cui si pone nei confronti del prossimo ce li fanno ricordare benissimo.
∞
Angolo della parlantina:
Immagino di dovervi augurare un buon ferragosto oggi 😂 Io non l'ho mai festeggiato, sarà che i miei genitori hanno sempre lavorato in questa giornata e niente, piccola storia breve e triste. COMUNQUE, ecco a voi il secondo capitolo! Se non si dovesse capire qualche parola in dialetto, lasciate un commento e vi risponderò immediatamente 🥰 Ho comunque cercato di semplificare il più possibile.
Spero che pian piano la storia vi stia prendendo. La narrazione è un po' lenta all'inizio, ma abbiate fiducia, fatemi sapere che ne pensate💜
Vi ricordo inoltre che il Cartaceo del libro è in vendita su Amazon✨
Ci sentiamo presto!
Un bacio,
Ily_Ely💗
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