Capitolo 12 🧡
"Stammi vicino quando tutti diranno di stare lontano da me
Che queste braccia sono così stanche, stanche di respingerti ora
Che queste braccia ti stanno aspettando ancora"
∞
CAPITOLO 12
"Nino! Nino!"
Settembre, 1983
La scomparsa di Totò fece dimenticare a Manfredi i suoi problemi con Rosa. Aveva qualcosa di più grande da elaborare. Passava le sue giornate sul dondolo in cucina, osservando tristemente la porta con la speranza di vederlo entrare ancora e dire: «Manfrè, dammi mezzo chilo di acciughe che me le voglio fare fritte!»
Il funerale era stato veloce. Organizzato da Gaetano, nessuno al di fuori di Manfredi e famiglia aveva presenziato. Avevano provato a scrivere alle sorelle di Totò, ma non ricevettero alcuna risposta. Chissà se quella lettera fosse arrivata in tempo o cestinata appena letto il mittente.
Così trascorse una settimana in pieno lutto. Gaetano vide Manfredi così abbattuto che non si sentì neanche di chiedergli di uscire in barca con lui. Decise di concedergli un paio di giorni per riprendersi, comprendeva l'importanza.
«Mi dispiace, condoglianze.» Era la panettiera a parlare, l'unica a vedere Manfredi. Andava lì, comprava il pane, ovvero il suo pranzo e la sua cena, per poi rifugiarsi in casa sul dondolo.
Vi era un'altra cosa di cui occuparsi però. In veranda, dei piccoli uccellini e un modesto pappagallo aspettavano il cibo. Manfredì li sfamò per un po', poi un giorno aprì le gabbie e li lasciò andare. Liberi.
Inizialmente timorosi, poco dopo si presero di coraggio e uscirono.
Quando Manfredi vide tutte le casette vuote, tornò dentro, bloccandosi però sulla porta-veranda. Loreto era sul tavolo, fermo a fissarlo.
«Ancora qui sei?»
E in risposta il pappagallo: «Nino! Nino!»
«Dovresti andare.»
Ma lui ancora: «Nino! Nino!»
Manfredi fece il giro del tavolo, lo afferrò delicatamente e lo portò in veranda. Lo lanciò nell'aria per indurlo a volare e lui così fece. Sparì allora dalla sua vista.
Manfredi sapeva di dover tornare a casa, non si era fatto vedere molto e comprendeva che il lavoro dovesse essere portato avanti in un qualche modo. Così raccolse le sue poche cose, chiuse le finestre, abbassò le serrande e girò la chiave nella serratura principale. Si chiese cosa ne avrebbero fatto di quella casa.
Camminò per le strade cercando di passare inosservato. Non voleva ricevere più condoglianze, non voleva sentire nessuno parlare.
"Lasciatemi solo", pensava. Tanto l'unica persona che avrebbe voluto accanto a sé, se ne stava fregando altamente dell'accaduto.
Arrivò in piazza, vide suo padre caricare le cassette di pesce fresco sulle bancarelle e si avvicinò.
«Sei qui», disse Gaetano, accennando a un piccolo sorriso.
Manfredi annuì. «È giusto così», rispose. Ma prima che potesse metter mano a qualsiasi cosa, un fruscìo lo fece sobbalzare dallo spavento, sentì una spalla essere stretta sotto una forte presa e delle piume sfiorargli il volto.
«Nino! Nino!»
Manfredi fissò ad occhi sbarrati suo padre, il quale ricambiò lo sguardo con stessa intensità.
«Che ci fa qua iddu?»
«Io li ho lasciati liberi», esclamò Manfredi.
«Tutti gli uccelli?»
«Eh, sì.»
«E iddu?»
«Lui non si stacca, torna sempre.»
«Nino! Nino!» garrì ancora Loreto.
«Che facciamo?» chiese Manfredi.
«Se resiste con noi fino alla fine del lavoro, lo portiamo a casa nostra.»
«Sul serio?»
«Tua madre non griderà dalla gioia, ma per dire la verità, un po' mi dispiace lasciarlo andare accussì.»
Manfredi sorrise.
Loreto restò lì con loro per il resto della sua vita.
∞
Passati dieci giorni, Manfredi aveva quasi ripreso del tutto la sua vita ordinaria. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Si era anche reso conto che andare in mare aperto, lontano dalle persone, lo aiutasse a calmarsi. Brutto era il rientrare in porto e dover presenziare alla vendita del pesce, soprattutto quando i clienti arrivavano e dicevano: «Gaetà, sentisti la notizia?»
«Che notizia?» domandava di rimando, ogni santa volta, suo padre.
«La figlia del sindaco si sposa tra venti giorni!»
Manfredi girava gli occhi al cielo, sempre più frequentemente, perché poi quei venti giorni, divennero due settimane, quelle due settimane, divennero una settimana. E tutti sempre lì a ricordarglielo.
Poi venne un giorno come gli altri, durante il quale, a pranzo, si recò in panetteria mentre suo padre portava la rimanenza di pesce a casa. Acquistò due filoni. Nel momento stesso in cui mise tra le braccia il pane caldo, la campanella della porta suonò e Manfredì sentì prima il fruscio della tenda di plastica e poi un: «Buongiorno».
Riconobbe la sua voce.
Fu strano vedere Rosa. Non era nei piani e l'aveva tenuta distante anche dai pensieri, quindi perché era riapparsa proprio in quel momento? Rosa non era solita andare lì a comprare il pane. A dirla tutta non era proprio solita comprare il pane.
«Rosa...» Quando lui sussurrò quel nome, lei lo vide e subito fece retromarcia, uscendo alla velocità della luce dal negozio. Manfredi d'istinto la seguì.
Forse non avrebbe dovuto correrle dietro, non dopo il trattamento che gli aveva riservato Rosa. Ma lo fece, ripetendosi quanto fosse scemo e che sicuramente la fregatura fosse dietro l'angolo. Non desistette per amor di Totò che gli aveva consigliato di parlarle.
«Ros esclamò Manfredi e lei si voltò, facendogli segno di stare zitto.
«Abbassa quella dannata voce, Manfredi.»
Gli fece male l'essere chiamato col suo interno nome, sembrò creare più distanza di quanta già ce ne fosse.
Lei si avvicinò di qualche passo, lo afferrò dal braccio e lo strascinò in un vicoletto al riparo dagli occhi della gente. «Non puoi stare qui. Se ti vedranno, saranno guai», gli disse.
«Scusa...» Per un attimo Manfredi si sentì in colpa. Poi si ricordò di non aver fatto niente di male. «Guarda che sei tu ad essere entrata in panetteria e ad essere fuggita appena mi hai visto.»
«Non sono fuggita.»
«Ah no?»
«E allora tu perché mi hai seguita?»
«Perché sto uscendo fuori di testa.»
Rosa abbassò il capo. Era tutta colpa sua, lo sapeva. Lui stava impazzendo, ma a lei la testa stava scoppiando.
«Ho bisogno di risposte», aggiunse Manfredi.
«Ma quali risposte? Per favore, vai.» Rosa indicò l'uscita del vicolo allungando il braccio. Sapeva che si sarebbe cacciata in guai tremendi se li avessero scoperti. Rodolfo l'avrebbe asfissiata ancor di più.
«Aspetta, due secondi», la pregò Manfredi e Rosa fu divorata dai sensi di colpa, immergendosi negli occhi supplichevoli di lui.
«Ti prego, sbrigati.»
«Hai ricevuto le mie lettere?»
«Ti ho già detto di sì», rispose asettica Rosa, con una freddezza in volto mai vista prima.
«E perché non mi hai più risposto?» chiese Manfredi per quanto sapesse già la risposta.
«Non ho avuto tempo...»
«Inventatene un'altra, per favore.»
Manfredi iniziò a pensare che lei lo avesse fatto apposta. Pur sapendo che dall'altra parte ci fosse una persona ad aspettare settimana dopo settimana, lei gli aveva voltato le spalle.
Rosa rimase in silenzio. Sapeva di non avere scusanti.
«Sono passati anni», mormorò Manfredi.
«Lo so bene.»
«Ci eravamo promessi–»
«Eravamo solo dei ragazzini», lo interruppe Rosa. «E a quell'età si fanno promesse stupide.»
«Stiamo parlando di tre anni fa, non di venti», precisò lui e Rosa si strinse le braccia al petto, come a volersi difendere.
«Fa lo stesso.»
Manfredi scosse la testa, poi si passò le mani sul volto. «Non ti riconosco più.»
«È vero, sono cambiata.»
«O forse, sei sempre stata così.»
A quelle parole fu Rosa che desiderò solo sotterrarsi e sparire dalla vista dell'altro. Si pentì amaramente di quelle parole che gli aveva detto tempo a dietro: «Sicuro di non esserti innamorato di una versione di me che, in realtà, non esiste?» Quelle parole le si stavano rigirando contro.
«Ho visto in te una persona che non esiste», asserì Manfredi.
«Nino...»
Odiava così tanto che nella mente di lui fosse rimasta solo la versione peggiore di lei.
E Manfredi odiava sentirsi chiamato con quel nomignolo, più di quanto odiasse il suo nome intero scandito dalla bocca di Rosa. Ogni volta che lo udiva sembrava che una fioca speranza si riaccendesse in lui.
«È vero che ti sposi?»
«Sì.» Rosa abbassò il capo. Sembrò vergognarsi ad ammetterlo.
«Perché non me lo hai detto?»
La dolcezza, che Manfredi ripose in quella domanda, fece tremare il cuore di lei.
«Perché avrei dovuto dirtelo?»
«Perché ti ho promesso di restarti accanto!»
Manfredi scoppiò e per un attimo mostrò tutta la frustrazione accumulata in quegli anni. Rosa pregò di resistere e non scoppiare a piangere. Si strinse ancora di più nelle spalle.
«Ti prego, abbassa la voce», sussurrò con la gola stretta in una morsa.
Manfredi la guardava e poi distoglieva gli occhi. Lo fece per un bel po' di volte. Una mano posata su un fianco, l'altra a scompigliarsi i capelli dal fastidio. «Ma poi, tra tutti... tra tutti, lui? Rodolfo? Cosa ti passa per la mente?!» Avrebbe accettato qualsiasi altra persona. Ma non lui. Lui che l'aveva infastidita e trattata male così tanto, giusto pochi anni prima.
Per qualche secondo le labbra di Rosa si schiusero più volte senza riuscire ad emettere alcun suono. Poi disse: «Non puoi capire».
«Infatti non capisco. Non ti capisco. Prima sembrava così semplice. Adesso...»
«Adesso tutto si è evoluto ed è il momento che cambi anche tu.»
Tornarono a guardarsi. Il cuore di Manfredi andò in frantumi. I suoi occhi si inumidirono. Rosa lo notò e si trattenne dal rivolgergli qualsiasi gesto d'affetto. «Come puoi dirmelo? Sono stato tutto questo tempo ad aspettarti. E tu, tu nel frattempo con Rodolfo...»
«Mi dispiace.»
«Perché non dirmelo a Roma? Se me lo avessi detto, non mi sentirei così preso in giro.»
«Hai ragione, forse avrei dovuto dirtelo. Ma ormai è tardi.»
«Puoi sempre ripensarci.»
«No, Nino, no! Non posso ripensarci.»
«Dimmi qual è il problema.»
«No.»
«Posso aiutarti.»
«Nessuno può aiutarmi!»
«Non ti condannare da sola!»
«Vai, Nino, vai!»
Lentamente lo sguardo di Manfredi si abbassò. Così la linea delle sua spalle. Sembrava una battaglia inutile da combattere.
«Hai ancora sette giorni.»
«Nino...»
«Odio tutto questo.»
Anche io, avrebbe voluto rispondere Rosa. Anche io, tantissimo. Eppure, disse soltanto: «Devi accettarlo. Matura un po'. Non puoi essere innamorato di me per sempre». Fu consapevole di aver appena detto tutto quello solo per allontanarlo una volta e per tutte, per ferirlo nel profondo e nell'orgoglio.
Manfredi si voltò. Rosa restò alle sue spalle. Ma prima di andarsene, tornò a parlarle.
«È morto Totò. È stato un momento difficile. Lo è ancora.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Le persone venivano, mi davano le condoglianze. Persone che non hanno mai considerato Totò in tutta la loro vita. Se ne tenevano alla larga perché era quello strano, l'uomo che mai si è sposato per chissà quale assurdo motivo, abbandonato dalla famiglia e che andava dietro a un ragazzino ormai cresciuto: me. Ma tu l'hai conosciuto. Siamo stati tutti e tre insieme tante volte. Lo sai che persona fosse e quanto tutti i pettegolezzi che giravano su di lui fossero falsi. Sai allora cosa avrei voluto? Che fossi venuta, come sua amica e mia amica, in qualsiasi momento, non avrebbe avuto importanza. Che fossi venuta per poggiarmi una mano sulla spalla, infondermi coraggio e dirmi che tutto si sarebbe risolto, che mi sarei sentito meglio».
«Io...» Rosa provò a dire qualcosa, ma si fermò subito. Come trovare le parole?
«Avrei voluto solo questo da parte tua e giusto un po' di sincerità.»
Le lacrime percorsero il volto di Rosa quando Manfredi uscì da quel vicolo. Si appoggiò con la schiena al muro. Le mani sugli occhi a fermare quel pianto senza riuscirci. Il viso bagnato, il trucco colato e i palmi sporchi di mascara. Li fissò. Si odiò. Il suo volto era una maschera informe dipinta di nero. Afferrò con rabbia e mani tremanti un fazzoletto dalla borsa a tracollo e lo sfregò con troppa forza sulla pelle. Doveva eliminare qualsiasi traccia di quel pianto. Nessuno doveva accorgersene.
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