Capitolo 1 🧡
"Non basta un raggio di sole in un cielo blu come il mare
Perché mi porto un dolore che sale, che sale.
Si ferma sulle ginocchia che tremano, e so perché.
E non arresta la corsa, lui non si vuole fermare.
Perché è un dolore che sale, che sale e fa male.
Ora è allo stomaco, fegato, vomito, fingo ma c'è."
∞
CAPITOLO 1
"Ciò che è stato e ciò che è"
Aprile, 2006
∞
Nell'aria vi era il profumo dei libri. Lo rilassava, perciò la stanza ne era stata riempita.
Le tende socchiuse lasciavano tutto in penombra, consentendo a un solo fascio di luce di stagliarsi sul volto di Manfredi. La scrivania di legno massello sosteneva le sue braccia mentre l'inchiostro tracciava eleganti lettere sul foglio color crema. Una calligrafia che gli ricordava la forma delle onde del mare. Quel mare che ormai vedeva di rado, ma che incarnava con la sua fragranza pungente, uno dei pilastri portanti dei ricordi d'infanzia. L'altro era l'immagine degli scaffali dell'adorata biblioteca che erano apparsi così alti agli occhi del sé bambino. In ultimo, vi era quel gusto, che aveva tanto, tanto amato, del panino con le panelle.
Lontano dal suo paese natio era Manfredi Sapuppo, un uomo che lavorava come professore per mantenere sé e la famiglia, ma che al contempo si destreggiava nell'arte d'essere un poeta. Mentre ad Otro, era, e sempre sarebbe stato, semplicemente Manfredi, il figlio del pescatore.
Quarant'anni sulle spalle, metà dei quali trascorsi in quel paesino costiero nel nord della Sicilia.
Ma non tutto ciò, che riguardava quel periodo, gli era gradito. Alcuni ricordi li aveva chiusi in un cassetto con la speranza di non dover più guardare cosa ci fosse all'interno.
I restanti anni erano serviti a tirar su carriera e famiglia. Torino non era una così brutta città in cui abitare, ma Manfredi sentiva costantemente qualcosa mancare. Eppure, non capiva cosa fosse. In fondo, aveva tutto: una moglie che amava, una splendida figlia e il lavoro dei suoi sogni.
Ma si sa, spesso la vita è così. Certe volte profuma di zagara e altre... puzza di tabacco.
∞
«Papà! C'è zia Melina al telefono!»
Manfredi si fermò dallo scrivere, chiuse la penna e la lasciò rotolare sulla scrivania. Si alzò e lasciò la stanza per sbucare sul corridoio che percorreva orizzontalmente l'appartamento. Raggiunse sua figlia ferma vicino il mobile all'ingresso. Le lasciò una carezza sui capelli per dirle che poteva tornare a giocare.
«Grazie, principessa.»
Si fece passare la cornetta del telefono fisso.
«Ciao, Melì, come stai?»
Non ebbe risposta in un primo momento. Manfredi sentì solo un pesante sospiro. Poi sua sorella parlò: «Io... bene».
«Sicura? Mi sembri strana.»
«Nino, devo dirti una cosa.» Il tono di voce serio lo scosse. «Dovresti tornare ad Otro.»
Manfredi corrucciò la fronte e si appoggiò con una spalla al muro.
«Melì, così mi fai scantare. Si tratta di mamma e papà?»
Carmela esitò, ma si fece coraggio. «No, Nino, no.» Susseguì un lungo silenzio. «Si tratta di Rosa».
Manfredi abbassò il capo e sentì il petto stringersi.
«Rosa...»
Carmela annuì per quanto suo fratello non potesse vederla.
«Sì. Lei–», ma prima di continuare venne bloccata.
«Ti prego, Melì. Ti prego, non lo dire.» La supplicò. Percepì la gola chiudersi in una morsa dolorosa.
«Arriverò il prima possibile.»
∞
Manfredi prese la prima valigia che gli capitò tra le mani. L'appoggiò sul letto e iniziò a riempirla alla rinfusa di vestiti. In quel momento non gli importò niente del lavoro, delle lezioni da tenere in università, degli impegni. Voleva solo correre dall'altra parte dell'Italia.
«Se li metti così disordinati, ne entreranno ben pochi.»
Manfredi si fermò e si rese effettivamente conto di star combinando un gran casino. Si disse di calmarsi; agitarsi non lo avrebbe portato a niente. Si passò, disperato, una mano tra i capelli ricci.
«Sì, hai ragione.» Guardò sua moglie Anita e cercò sostegno in lei.
«Ti aiuto io, dai.» Anita si sedette sul letto, prendendo poi a una a una le magliette e piegandole sulle sue gambe. Manfredi iniziò a fare lo stesso.
«Hai già fatto i biglietti?»
«No, ci penserò direttamente in aeroporto.»
«Vuoi che ti preparo qualcosa da mangiare?»
«No, lascia stare, ho lo stomaco chiuso.»
«Stai bene?»
Manfredi esitò per un attimo, poi rispose: «Certo...»
«Sicuro?» Non l'aveva affatto convinta.
«Sono solo un po' confuso.»
«È normale», disse Anita, «lei era importante per te.»
«Lo sei anche tu.»
«Non sto dicendo questo. Ma devi ammetterlo, con Rosa era diverso. E questa notizia ti sta logorando dentro.» Anita posò l'ultima maglietta e andò verso l'armadio per recuperare qualche paio di pantaloni. Manfredi non ne aveva messo neanche uno.
«Non posso evitarlo.»
«Non devi evitarlo. Piuttosto devi tornare a casa e far pace con il tuo passato.»
«Lo avevo già fatto.»
«Non a quanto pare. Se si è appena riaperta una crepa, è perché non tutto si era perfettamente rimarginato.»
Manfredi accarezzò piano la guancia di Anita. «Tornerò presto.»
«Sì, lo so. Ma prenditi il tuo tempo.»
Lui l'abbracciò, stringendola a sé.
«Ti amo», le sussurrò, venendo ricambiato un instante dopo.
∞
Il taxi avanzava lentamente lungo le strade di Torino, il cielo era di un grigio opaco, come se anche il tempo stesse condividendo il suo dolore. Manfredi era seduto sul sedile posteriore, lo sguardo fisso fuori dal finestrino, ma senza realmente vedere. Si sentiva svuotato. Percepiva solo l'eco interno del suo corpo e quel nome che risuonava in continuazione: Rosa.
Le gambe tremavano, un tremore che non riusciva a controllare, e il cuore sembrava impazzito nel petto. Cercava di respirare, di mantenere un minimo di controllo, ma ogni respiro lo soffocava sempre più.
Il tassista, un uomo di mezza età con i capelli grigi e l'aria stanca, lanciava occhiate furtive nello specchietto retrovisore. Manfredi ne era consapevole, ma non trovava la forza di spiegare e giustificare il suo stato.
Le strade di Torino apparivano lontane, quasi estranee. Le piazze, i caffè, i palazzi storici, tutto era avvolto in una nebbia distante. Si sentiva prigioniero dei suoi pensieri, incapace di percepire davvero ciò che lo circondava. Ogni dettaglio della città sembrava rimbalzare sulla superficie della sua mente, senza mai penetrarla.
Ogni secondo sembrava eterno, ogni chilometro un tormento. L'aeroporto era ancora lontano, ma il suo ritorno a casa imminente.
∞
«Tutto okay?»
Carmela lanciò un'occhiata a suo fratello, aveva la testa riversa contro il finestrino della macchina. Era atterrato da meno di mezz'ora sul suolo Palermitano.
«Non lo so», rispose lui. Si sentiva stanco, ma non per colpa del viaggio. I pensieri nella testa erano tanti, probabilmente troppi.
«Mi dispiace», disse sua sorella. Manfredi le lanciò un'occhiata, la vide concentrata a guidare. Fuori il paesaggio correva veloce.
«E di cosa dovresti dispiacerti?»
Carmela scrollò le spalle. «Forse non avrei dovuto dirtelo.»
«L'avrei saputo comunque.»
Lei annuì e sospirò. «Vuoi passare un attimo da casa? Puoi darti una rinfrescata e poi...»
«Lo sai, mamma mi odia», affermò Manfredi, rimettendosi dritto. Quasi preferiva non farsi vedere.
Aveva già un pessimo umore, non vi era bisogno di farlo calare ancor più a picco.
«Ma non è vero, Nino, finiscila. È solo che non vuole dartela vinta.»
Manfredi scosse la testa. «Pensavo di averle dimostrato, in questi venti anni, che ne è valsa la pena.» Sapeva di aver deluso i suoi genitori e, soprattutto, le loro aspettative. Ma anche per lui non era stato facile partire e restare così tanti chilometri lontano da casa.
«Per prima cosa non hai niente da dimostrare a nessuno e secondo, lei lo sa. Sa quanto ti sei impegnato. Ma è cocciuta, la conosci.»
Forse sua sorella aveva ragione, lo sperò veramente. All'improvviso, un pensiero di natura diversa, attraversò la sua mente.
«Avrei dovuto portare qualcosa, mi dispiace.» Era la tradizione e presentarsi a mani vuote era quasi reato. «Scusa, non mi è proprio passato per la mente.»
«Tranquillo, lo so, e infatti ci ho pensato io.»
Carmela lo rassicurò, indicando i sedili posteriori. Manfredi si girò a guardare il vassoio incartato.
«Cannoli?» chiese. Sua sorella confermò: «Prima sono passata da Palermo e ho preso un pensierino per tutti. Magari addolcirà gli animi».
«Ti ridarò i soldi.»
«Non serve, Nino. Non ti preoccupare per queste cose. Piuttosto, cerca di tirare su un sorriso davanti mamma e papà. Più ti vedranno felice, più capiranno che la strada che hai intrapreso è quella giusta.»
Pur sapendo che in fondo, in una giornata come quella, nessuno avrebbe potuto accennare a un sorriso.
∞
Quando Manfredi la rivide, pensò solo una cosa: la sua casa d'infanzia era rimasta la stessa. Certo, tranne per quelle mura rosse ormai sbiadite. Non vi era più il bisogno di rinnovarle. Il tempo della pesca era finito.
I suoi genitori si erano rinchiusi in casa. Erano poche le volte uscivano. Lo facevano solo per la messa domenicale, così almeno gli riferiva sua sorella. A Manfredi sembrava strano, non tanto per sua madre, piuttosto per suo padre perché aveva pensato che quelle quattro pareti forse gli sarebbero rimaste strette messe a confronto all'immensità del mare, essendo stato pescatore per tutta la vita. E invece, eccolo lì.
Manfredi entrò in casa e li trovò entrambi seduti su due poltrone reclinabili. Gli riservarono il solito sguardo severo, come se ancora avessero di fronte il loro bambino disobbediente. Manfredi li salutò con un veloce bacio sulla guancia, chiese loro come stessero e ricevette in cambio un: «Il solito, che ti devo dire?»
«E Vincenzo?» Manfredi preferì parlare con sua sorella.
«A lavoro», rispose. «Staccherà verso l'ora di pranzo.»
«Ci vedremo più tardi.»
«Ma sì, certo. Tanto ti fermi a mangiare, giusto?»
Lo sguardo di Manfredi si alternò tra Carmela e i suoi genitori. La prima speranzosa di una risposta positiva, gli altri sembravano ignorarlo.
«Se non è un problema...»
«Nino, ma scherzi? Ci fa piacere che rimani. E anche a quei due che hanno fatto voto di silenzio.»
Sentendosi presa in causa, Maria aprì il ventaglio e iniziò a sventolarsi. Borbottò in sottofondo e le uniche parole, che i suoi figli recepirono, furono: «Ma quale silenziu e silenziu... Non ho niente da dire, ecco tutto».
Carmela allora guardò suo fratello per dirgli di non prendersela. Tentò così di cambiare argomento.
«E quindi come lo volete il sugo?»
«Qualsiasi andrà bene», rispose Manfredi con un sorriso.
«Statti ferma chi fazzu io», incalzò Maria, lamentandosi dei dolori alla schiena mentre si alzava.
«Ma no, mamma, riposati. Non ci metto niente.»
Eppure, l'altra insistette: «Fermati che sai sulu bruciare l'aglio ogni santa volta».
Manfredi osservò sua sorella sollevare le spalle nella sua direzione. Lei gli si avvicinò per sussurrargli: «Vedi? Tratta così anche me. Non te la prendere troppo». Rialzò poi la voce per coinvolgere gli altri due. «Manfredi ha comprato un po' di cannoli. Di pomeriggio, un po' di caffè e ci facciamo merenda, che ne dite?»
«Il dottore ci disse che non lo possiamo mangiare u zùccaru», disse Maria.
Manfredi col passare del tempo aveva capito che era meglio starsene zitto, tanto l'ultima parola l'avrebbe sempre avuta sua madre.
«Tano!» Maria interpellò a gran voce suo marito Gaetano. «Come disse il dottore?» Il loro udito non era dei migliori.
Gaetano finì di asciugarsi il naso col suo fidato fazzoletto. Sembrava avere una sorta di raffreddore cronico, neanche l'aria di mare faceva più effetto. «Diabete», rispose asettico. Non aggiunse nient'altro, ma a sua moglie bastò per continuare.
«Ecco, diabete. I cannola ve li potete mangiare tu e tua sorella, nuatri non ne vogliamo.»
«Io, per dire la verità–» Gaetano provò a contraddirla, ma lei lo interruppe subito.
«Tano! Non ne vogliamo.»
Manfredi ne restava sempre più sconvolto. Quel padre autoritario e rigido di un tempo, oramai sembrava aver lasciato il posto ad un docile cane addomesticato.
«Dai, Nino, hai dei giri da fare, vero?» gli chiese sua sorella. Sapeva già la risposta ma era meglio farlo uscire da quella casa per un po'. Prima o poi, Carmela avrebbe trovato un modo per riconciliare i genitori con il figlio, ma non era di certo quello il giorno.
Manfredi annuì. «Tornerò per pranzo.»
«Non preoccuparti, fai con calma», gli disse sua sorella.
Venne subito seguita da Maria che aggiunse: «Ma non tornare a tavola cunzata. È maleducazione, lo sai!»
∞
Una voragine gli si apriva nel cuore ogni volta che a Manfredi chiedevano di descrivere la sua città natale. Tutto era cambiato. Quasi non la riconosceva più. Nei suoi racconti non poteva di certo basarsi su ciò che ricordava, ma era così difficile riportare l'attuale descrizione dei suoi posti d'infanzia. Vedere quei posti in continua evoluzione era un sacrilegio. Era come se tutto ciò che aveva vissuto, continuasse a sparire pezzo per pezzo. E la parte peggiore era che le sue memorie si sfocavano sempre più. Lì, su quelle strade dove da bambino aveva corso a per di fiato, adesso sorgevano case.
Anche quel giorno si era ritrovato a camminare su una pavimentazione sbucata dal nulla. La piazza era stata rimessa a nuovo, ma ciò aveva portato a sacrificare parte del vecchio porticciolo. Quelle barche che un tempo avrebbero dovuto trovarsi lì accanto a lui, avevano retrocesso verso il mare.
I colori del legno erano sbiaditi, il ferro corroso della salsedine e la spazzatura era ovunque. Per non parlare degli accumuli di posidonia che non lasciavano un facile ingresso alla spiaggia.
Non c'era altro da aggiungere: Otro era cambiata.
Vide ai suoi piedi un bicchiere di plastica. Si fermò, lo raccolse e raggiunse il secchio dell'immondizia. Ma era pieno. Trasbordava. Una cupola di rifiuti si ergeva su di esso e tanti altri si riversavano lì attorno.
Manfredi amava la sua terra, ma ecco come si era ridotta.
Si costruiva, per cosa? Se poi lo sporco li sommergeva ogni giorno un po' di più.
Eppure, quella puzza venne mitigata da qualcos'altro. Manfredi alzò gli occhi e guardò dall'altro lato della piazza. In parte, si rincuorò e un sorriso appena abbozzato gli nacque sul volto. Forse, l'unica cosa a non essere cambiata era l'odore sprigionato dalle panetterie.
∞
Manfredi continuò a camminare. La destinazione non era lontana. Ma per arrivare a casa di Rosa, avrebbe dovuto lasciare il lungo mare per inoltrarsi in città. Percorse qualche vicolo sotto il sole che, in quella giornata di aprile, donava un piacevole calore.
Durante il viaggio aveva pensato molto. Si era chiesto come fosse opportuno presentarsi. Cosa dover indossare. Cosa dover portare. Alla fine, era ricaduto sul classico completo. Camicia bianca, pantalone a sigaretta grigio scuro e, dello stesso colore, una giacca leggera mantenuta sbottonata. I capelli senza gel, tagliati corti sui lati. Ricci come li aveva da ragazzo, ma adesso costellati da qualche ciocca bianca.
Prima di uscire da casa, sua sorella aveva approvato tutto quanto e per un attimo si era sentito più sicuro. Ma fu quando si ritrovò di fronte la villa di Rosa che capì che lui, in quel posto, era davvero fuori luogo.
Una strana consapevolezza lo riportò con i piedi a terra. Era arrivato. Stava per succedere. Avrebbe rivisto Rosa ma non nel modo che avrebbe voluto. Si domandò se avesse veramente il coraggio di entrare lì dentro. Il piede gli si bloccò sul primo gradino e nessun muscolo fece forza per sollevarlo e portarlo a continuare la sua avanzata.
Si guardò attorno. Il portone era aperto. Le persone entravano e uscivano con espressioni tristi in volto.
Manfredi prese a respirare angosciato. Si staccò dalla scalinata e fece qualche passo indietro. Sentì il bisogno di passarsi una mano sul volto. No, non aveva ancora assimilato la notizia. Decisamente, non se ne rendeva conto.
«Non riesci ad entrare?»
Manfredi si voltò alla sua destra e lì, vi trovò una donna. La scrutò per bene, cercò di capire chi fosse. Lei, capita l'antifona, decise di dargli un indizio per aiutarlo.
«Sono Agata. Non ricordi? Frequentavamo la stessa scuola.»
Poi aggiunse: «Ero sempre con Rosa durante la ricreazione. Fuori, nell'agrumeto».
Molto lentamente l'espressione di Manfredi sembrò distendersi e le sue labbra si schiusero dalla sorpresa. «Capelli a caschetto, giusto?»
«Indovinato.» Agata annuì con un sorriso.
Manfredi allora le porse una mano, la stretta venne ricambiata.
«Mi dispiace non averti riconosciuta subito.»
«Figurati, con questa situazione siamo un po' tutti...» Agata sembrò cercare la parola più adatta, poi nell'incertezza disse: «Scombussolati, penso».
Manfredi rivolse nuovamente lo sguardo all'entrata e cercò di difendersi con un timido sorriso.
«Hai ragione. Non riesco.»
«Ad entrare?»
«Già.»
«Allora sediamoci un attimo al fresco.»
Agata si accomodò, per modo di dire, su un muretto ombreggiato. Posò la borsa di fianco e si sistemò i capelli, tirandoli all'indietro per non soffrire il caldo. Manfredi la seguì.
Sentirono qualcuno piangere. Vi fu un momento di silenzio. Non seppero che dire.
«Sei già... entrata?» chiese lui.
«Di prima mattina. Adesso, ho accompagnato una conoscente.»
«Capisco.»
Agata allisciò la propria gonna. Accavallò i piedi. Rimase a fissare la breccia sul terreno. «Come hai saputo...»
«Mia sorella Carmela», rispose Manfredi. «Me lo ha detto lei.»
«Sei arrivato presto», osservò Agata.
«Il prima che ho potuto.»
Poi, all'improvviso, una domanda a bruciapelo: «Ma tu e Rosa perché non siete rimasti più in contatto?»
Manfredi sentì il terreno mancargli da sotto i piedi, un grande vuoto nel petto e tanta amarezza in corpo.
«Sarà stato per lo stesso motivo che non mi permette di entrare adesso.»
«Ne vuoi parlare?»
«Vedresti una versione di me molto patetica.»
Agata gli tirò uno schiaffo giocoso sulla schiena. Risultò decisamente potente, tanto da sbilanciare Manfredi in avanti.
«Amunì, non sono più la bambina di una volta che ti prenderebbe in giro.»
Manfredi la fissò ad occhi sgranati. Sapeva solo lui quanto ci fosse stato male da ragazzo. Gli avevano reso la vita scolastica un inferno. Non era stata solo Agata, ovvio, ma quando si sentì chiedere scusa poco dopo, riuscì a rivolgere uno sguardo più sereno al suo passato.
«Siamo stati infantili. Mi dispiace. Ma siamo cresciuti, abbiamo compreso», disse Agata. «L'unica cosa è il non poter cambiare ciò che è stato.»
«Il problema è il non poter cambiare neanche ciò che è», osservò Manfredi, cercando di guardare quella villa senza riuscirci. «Mi è mancata tanto e mi manca tutt'oggi. Ma la verità è che io e lei non eravamo destinati a stare insieme.»
∞
Angolo della parlantina:
Eccociiiiii. Ma buon salve fiorellini, è sempre un piacere tornare qui! Come state?
Allora, eccoci qui col primo capitolo. Dire che sono contenta è dir poco🥹🥹 Non vedevo l'ora di farvi leggere questa storia~ A dir la verità, alcuni ricorderanno che questa storia era stata già pubblicata a inizio anno, ma dovetti poi stoppare la pubblicazione, e annullarla addirittura, per poter partecipare a un concorso purtroppo. Ma eccoci di nuovo, con la storia migliorata, messa a nuovo e soprattutto ho semplificato di molto le frasi in dialetto palermitano per rendere la storia più accessibile!
Come avete constatato, questo primo capitolo è ambientato nel 2006 quando il nostro protagonista Manfredi ha ben 40 anni. Ma dal prossimo capitolo partirà la vera e propria narrazione, faremo un bel salto indietro nel tempo!
P.s. ogni capitolo è collegato ad una canzone. 👀 Occhio, perché potreste trovare degli spoiler/ delle anticipazioni attraverso di loro.
P.p.s Mi trovate su tiktok a fare un po' la pazza se volete, parlo di libri, scrittura e tanto altro. Se vi va, fate un saltooo ✨🤭
Ci vediamo quindi ogni giovedì a venire fino alla fine della storia!
Passate una buona giornata e circondatevi di belle sensazioni ed emozioni. Un bacio,
Ily_Ely 💗
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top