🇯🇵 Junko Furuta

Nel caso non sapeste chi era Junko Furuta: il caso Junko Furuta è, secondo me, il femminicidio più brutale della storia. È una grossa macchia nera come la pece che compromette il senso di giustizia del Giappone dal 1988.

Una minorenne di nome Junko venne rapita il 25 novembre 1988 da quattro ragazzi appartenenti alla mafia giapponese. Venne violentata e torturata per 44 giorni fino al 4 gennaio 1989, data della sua morte.

Junko fu vittima di indicibili torture che definire "raccapriccianti" è troppo poco. Nessun aggettivo è adatto a definire quanto sia stato orrendo il suo supplizio, un supplizio che è rimasto impunito, dal momento che molti dei carnefici non hanno ricevuto alcuna condanna perché minori di 18 anni.

Se necessitate di saperne di più prima di leggere, guardate il video nella copertina del capitolo che riassume questo caso di cronaca nera giapponese. Non lo consiglio affatto a chi è particolarmente sensibile.

Io mi chiamo Junko Furuta
non è una bella storia da scrivere
però, tutti voi, la dovreste conoscere.



Ho camminato tranquilla per strada

muovendo solo i primi passi

verso una vita che veloce si dirada,

ma non avevo mai imparato

a odiare chi mi sta intorno

o a non pregiudicare le azioni,

fino a quando un giorno

non mi costrinsero a sbagliarmi.


Dicono che questi siano gli anni più belli,

ma avrei preferito arrivare a quellii più brutti.

Non so se è vero, ma me lo dicevano tutti.

So, però, che non avrei dovuto subire danni

perché a diciassette anni

nessuno si immagina

che dall'introduzione della vita

si salti già all'ultima pagina.


Mi avete presa e legata, sono in arresto?

Ho fatto qualcosa che non dovevo?

Va bene, ho capito: ti ho offeso,

ma come può un rifiuto essere un pretesto?

Il mio destino sarebbe studiare,

crescere, cambiare il mio mondo,

non impersonificare il dolore,

così esile, come potrei mai fare?


Mamma, non ti ho avvisata, scusami.

Vorrei scappare sì, ma non da te.

Non ho avuto il coraggio di dirtelo...

sono in quattro a decidere la mia sorte.

Papà, questi non sono come te,

non sono nemmeno imitazioni di un uomo,

son troppe copie... posso soltanto sperare.

Vi prego: almeno venitemi a cercare.


I miei occhi non vedono bene

e non ho più nulla da mostrare,

loro fanno con me ciò che gli conviene.

Non sono trattata da essere umano,

né da animale e nemmeno da oggetto.

Ho troppo bruciore alla pelle

troppe punture sul petto.

Non so nemmeno che dolore sia questo.


Sono io contro il mondo,

abbandonata, sola, violata e sconfitta.

Sono inerme, il mio corpo fa da scudo.

E sto andando sempre più a fondo

senza aver nemmeno combattuto.

Perché non mi aiuta nessuno?

Ho visto più gente ora salita

che in tutta la mia vita in discesa.


È l'organo dei miei piaceri

a essere il veleno d'un taglio

dal giorno di un qualsiasi ieri.

Sospesa, con dei pugni per ali,

allo stomaco ho pesi che non sono cibo.

Vorrei fuggire come le blatte,

ma esse muoiono, dentro di me.

Qualsiasi cosa ormai muore, dentro di me.


Sola, con una compagnia crescente,

la mia bellezza si perde a ogni goccia

e la mia speranza è morta da un pezzo.

Vorrei soltanto Furuta finita.

Mamma, papà: mi avete chiamato alla vita,

senza mai più avermi trattenuta,

e tra le poche strade che ho preso

è in quella più vecchia che mi hanno rapita.


Mi disseto di ciò che ha il colore dell'oro,

è uno scarto umano come me,

non è preziosa e, in più, viene da loro.

Illumina, brucia il mio portale di vita.

Squarcia, toglie lo scopo di crescere.

Strappa, cuce il mio seno che ha latte.

Unisce, uccide due vite mai vissute:

nel cemento ci finisco già morta.


Non volevo fare del male a nessuno,

ma io sono ormai nessuno,

perché nessuno mi ha voluto bene.

E questo l'ho capito in poco più di un mese.

Che triste vivere in un paese

dove il male vince sul bene.

Mi hanno derubato della mia vita

e non ho nemmeno avuto giustizia.



Io sì, mi chiamavo Junko Furuta.
Non è stata una bella storia da leggere,
però in qualche modo ve l'ho fatta conoscere.

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