Capitolo 74.

Eren's pov.

02/07/1945 - 6:15 a.m.

La brezza marina iniziò a pervadermi i sensi da cima a fondo, il pungente odore dell'oceano mi avvolse fra le sue dolci onde cullandomi gentile come le gesta di una madre, le nostre pelli nude che da sotto le lenzuola emanarono un soave profumo d'affetto dopo una notte passata a scoprirci a vicenda tra baci e sospiri.
Mi ritrovai a fissare con occhi innamorati l'uomo posto davanti a me ancora addormentato fra le braccia di Morfeo, i suoi lineamenti tanto duri in quell'istante emersero delicati ed angelici, la sua mano abbandonata in un ultimo gesto d'affetto della notte prima, sul mio bacino e l'altra affondata sotto il cuscino.

Sei così bello Levi...

La pace percepita quella prima mattina fu tale da farmi rilassare senza pensieri ossessivi in mente, sorrisi appena contemplando con ancora sguardo assonnato l'uomo che respirando finì per far smuore delle ciocche di capelli dal suo viso in modo ritmico.
Mi avvicinai delicatamente alla sua figura iniziando a stampargli dei dolci baci lungo il viso che per il contatto si contorse in una lieve smorfia di confusione.

Lo sentii mugugnare qualcosa di incomprensibile per poi aprire in una fessura l'occhio non affondato nel cuscino, riconoscendomi e rilassandosi subito dopo.
"Buongior-"
Non riuscii a finire la frase che il corvino accentuò la presa sul mio bacino con uno strattone ben poco elegante, le coperte si stropicciarono sotto il suo movimento facendomi arrivare attaccato al suo corpo, il viso sprofondato nella sua clavicola ed il suo mento posto sui miei capelli, le sue braccia intente a stringermi con maggiore affetto, socchiusi gli occhi lasciandomi trasportare dai suoi respiri.
"Buongiorno piccolo"
Sussurrò baciandomi affettuosamente la fronte, ricambiai posando le mie labbra sul suo collo in un crescendo di intensità, lo avrei riempito d'amore se solo me lo avesse permesso, tutto l'amore di cui venne privato in quegli anni ombrosi e decadenti della sua persona.

"Oggi approderemo... sei pronto?"
Mi chiese in un sussurro continuando a far scorrere le sue dita fra i miei capelli, toccandomi con l'altra la schiena, leggero come se premendo maggiormente mi fossi volatilizzato.
Annuii affondando maggiormente il volto nel suo petto che vidi abbassarsi istantaneamente per via di uno sbuffo delicato quanto divertito.
"Ti lascerei qui..."
Riprese poi, smettendo di accarezzarmi la nuca e poggiando invece in modo più corposo la sua mano sopra, come per proteggermi, il suo mento posto sui miei capelli intento a fissare un punto indefinito della stanza.

Non me la sentii di proferire nulla non scomponendo quella disposizione tanto artistica ed amorevole. Intrecciai le mie gambe con le sue smuovendo di ancora le lenzuola sotto i nostri corpi svestiti di ogni insicurezza.
"Ieri mi ha chiamato amore"
Ripresi smorzando il silenzio rilassante che andò creandosi per qualche secondo.
Solo allora l'uomo riprese ad accarezzarmi allentando la presa spasmodica dal mio corpo, come se si fosse ripreso da uno stato di trance.

Chissà che cosa le passa per quella testa... se solo potessi bloccarle tutti quei flussi di pensieri negativi, chissà quanto soffre...

"Sì, scusami"
Rispose con tranquillità e senza il minimo accenno di sarcasmo. Corrugai in quel momento le sopracciglia sinceramente confuso.
"Perché si sta scusando? è una cosa bellissima che mi abbia chiamato in quel modo"
Ripresi alzando lo sguardo sul suo, abbozzando un sorriso, ciò che vi scorsi però furono occhi argentati affilati come lame.
"Mi scuso perché non era sincero"
Proferì come se l'uomo che mi strinse un attimo prima fosse scomparso del tutto.

Mi morsi l'interno della guancia riabbassando lo sguardo, un dolore al petto mi colpì profondamente facendomi salire un magone.
"Stava pensando a lei mentre lo diceva?"
Chiesi con un filo di voce riferendomi alla donna della sua vita.
La risposta non arrivò facendomi intuire la conclusione da solo, decisi così di alzarmi dal letto cercando i boxer lasciati la sera prima in un qualche angolo della camera.

"Oh andiamo Eren non fare così"
Iniziò lui mettendosi seduto con le lenzuola che arrivarono a coprirgli il giusto per non sfociare in volgarità.
Non risposi reprimendo ogni forma di dolore, non ero più un ragazzino, avrei dovuto smetterla di farmi prendere da tutte quelle emozioni.

"Eren..."
Continuò lui sinceramente dispiaciuto smuovendosi dal letto per infilarsi l'intimo posto proprio sotto il letto. Mi raggiunse tentando di avvolgere le sue mani lungo i miei fianchi, scostandole con una mossa abbastanza brusca, l'uomo rimase con gli arti a mezz'aria fissandomi, strinsi i denti pur di non scoppiare in lacrime.

"Lei non c'è più Levi, dovrebbe accettarlo ed andare avanti e se non ci riesce non avrebbe dovuto intraprendere bhe... questo con me!"
Iniziai abbastanza agitato sentendo la mia voce spezzarsi in un crescendo sotto ogni parola.
"Dai smettila-"
La sua voce apparve molto piccola rispetto alla mia, donandomi la forza necessaria per continuare a sputare fuori tutta la frustrazione che la sua affermazione mi provocò, insomma, l'uomo a cui affidai tutto pensava ad un'altra persona, poteva esserci dolore più grande?

"Non starò buono e zitto dopo che di me ha preso tutto, sa quanto io tenga a lei e quanto fragile mi faccia essere la sua presenza e quanto le sue parole mi influenzino"
Continuai avvicinandomi con fare minaccioso preso dalla delusione appena ricevuta, fu come uno schiaffo in pieno volto, che messo a confronto con le percosse ricevute il giorno prima non vi fu paragone.

"Eren, ho detto di smetterla"
Tentò di placarmi poggiandomi le mani sui fianchi in un ultimo disperato gesto di riappacificazione, ma la mia testa calda non fece altro che peggiorare la situazione.

"SE TANTO LE MANCA DOVREBBE RAGGIUNGERLA"
Mi lasciai sfuggire in un momento d'estremo odio dettato dall'ira incontrollabile del momento. Mi tappai in un gesto istintivo la bocca rendendomi conto dell'inappropriata frase che pronunciai.

I suoi occhi dapprima ricurvi pur di apparire dispiaciuto, in quel momento si mostrarono del tutto privi di una qualsiasi luce, come se all'interno non vi fosse altro che desolazione, completamente svuotati, riflessovi potei vederci la mia presenza resasi piccola ed imbarazzata.
"Non volevo dire quelle cose... mi scusi"
Pronunciai con un filo di voce abbassando lo sguardo, tutta la rabbia di poco prima andò a scemarsi osservando il volto deluso dell'uomo posto davanti a me che ritirò le braccia facendosele scorrere lungo la figura invece che provare a posarmele addosso come poco prima.

"Eren in quel momento stavo pensando unicamente a te, è che non mi sentivo ancora pronto per pronunciarlo, ieri mi è scappato inconsapevolmente, scusami"
Finì non alterando né il suo sguardo né la sua voce bassa e greve.
"L-Levi-"

"É tardi, scendi nella cabina coi tuoi compagni"
Mi ordinò passandosi una mano fra i capelli munendosi di un gran respiro.
Mi morsi entrambe le labbra comprendendo d'aver fatto un errore madornale.
"Sissignore"
Pronunciai con ancora sguardo basso. Terminai di vestirmi raggiungendo la stanza all'interno della nave trovandovi sia Niccolò che Connie svegli e desolati, ognuno rivolto verso la propria fetta di muro, ipotizzai nemmeno loro avessero tutta quella gran voglia di parlare, così mi sistemai sul mio letto ancora intatto stendendomici sopra, il soffitto mi apparve più spoglio di quanto non fosse in realtà, divorandomi nella sua oscurità piena di sensi di colpa.

8:50 a.m.

Approdammo in perfetto orario, tutti i soldati si prepararono compresi i miei compagni di stanza ed io.
"Appena torneremo faremo una di quelle sbornie di vino che non si dimenticheranno facilmente"
Prese parola Connie abbozzando un sorriso isterico volto a coprire il terrore nel suo sguardo.
"Non ti sono bastati i postumi dell'ultima volta?"
Domandò sarcasticamente Niccolò mentre finì di preparare il borsone. Abbozzai un sorriso delicato e genuino.
"Non sono un amante del vino a dirla tutta"
Ammisi, trovandoci paradossalmente a fare discorsi del tutto inappropriati per quella situazione tanto tragica.
"Perché non hai assaggiato quello italiano"
Mi ammiccò il ragazzo dai capelli rasati lanciandomi una gomitata scherzosa.
Sorrisi smuovendo il capo con dissenso, veramente divertito dal suo modo di apparire davanti alle ingiustizie di una vita tanto breve.
"Bhe l'importante è che tu non beva solo acqua... sai, fa la ruggine caro Eren"
Finì lui annodandosi i lacci dello scarpone.

"Fortunatamente non sono ancora del tutto arrugginito per quello"
Risposi a tono allacciandomi la cintura.
Ci sorridemmo tutti all'unisono nel mentre che dal ponte e dalle cabine fuoriuscirono dei lamenti raccapriccianti di consapevolezza.

Lungo tutta la nave vi fu il caos più totale, persone che iniziarono a rimettere l'intera colazione ed altre rannicchiate presso gli angoli più remoti delle loro stanze, come attraversai il corridoio principale dell'imbarcazione mi sentii come impassibile, nonostante quelle anime mi strisciassero accanto fu come percepirli in terza persona, come se io non mi trovassi veramente lì, l'atmosfera angosciante che iniziò ad aleggiare fu tale da chiudermi lo stomaco e la gola.
Arrivammo al fronte un'ora più tardi, i fucili in mano e camion stracolmi di uomini pronti a morire.
Decisi di mia spontanea volontà di seguire i miei compagni, dopo la discussione con Levi preferii di gran lunga tenermi alla larga, non sarei mai riuscito a meritarmi un uomo come lui e d'altronde mi sarebbe servito vedere con i miei occhi il mondo crudo e duro nella sua interezza, sarebbe stata ora di crescere e non lasciare sempre che i miei problemi venissero risolti da altri.

Tutti i ragazzi del mio camion apparvero taciturni e pensierosi, chissà a chi pensarono in quegli istanti, alla loro famiglia? Ai propri amori? O a sé stessi?

E tu a che cosa stai pensando?

Il mio sguardo si soffermò sulla figura di Niccolò seduto parallelamente da dove mi ritrovai io, il suo sguardo distrattamente finito sul mio ammiccò un sorriso estraneo in tutta quella situazione, fu come un raggio di sole nel pieno di una tempesta in grado di scaldarmi il cuore per una frazione di secondo.

Avevamo ventidue anni quando finimmo in campo per la prima volta e solo allora cominciammo ad amare a pieni polmoni il mondo, la vita e le sorprese che essa aveva in serbo, dicevano che chi avesse visto la guerra avrebbe finito per portarsela per sempre negli occhi, nel silenzio assordante della notte e nella desolazione del giorno, questa fu la nostra storia, di noi, che un giorno fummo soldati e... giovani.

Fu in quel giorno che le granate nemiche esplosero avvolgendo fra loro un altro nemico, lo stesso che finii per reggere fra le braccia, quanto paradossale poteva essere quella scena?
Chi erano i veri nemici? Chi stavo reggendo fra le braccia?

Perché non riesco a mettere a fuoco?

Gli occhi arrossati per la polvere ed il fumo, le mie ginocchia premute a terra ed una pozza di sangue lungo l'area circostante non ricordando oltre di quella giornata, finendo per ombrarsi come un ricordo lontano ed opaco quasi con sollievo. Dicevano che il cervello fosse in grado di selezionare i ricordi negativi e nasconderli, realizzando una sorta di auto-inganno, e lo ringraziai per questo.

"EREN"
Ma dicevano pure che ci sarebbe potuto essere un malfunzionamento in grado di far riaffiorare i ricordi negativi come una frustata in pieno volto.

Misi solo allora a fuoco la scena, le mani calde dal sangue di Connie riverso per metà a terra e per metà sulle mie ginocchia, il suo sguardo rivolto verso l'alto in contemplazione del cielo che iniziò solo allora a liberarsi della nube provocata dalle granate.
Notai come il suo braccio destro mancasse, un afflusso di sangue impressionante lungo tutti i suoi vestiti ormai appiccicatosi al suo corpo in fin di vita. Le lacrime iniziarono a sgorgarmi dagli occhi senza però essere in grado d'esternare ulteriori emozioni o smuovere nessun muscolo.

Mi sentii afferrare per il colletto della divisa da Niccolò che con un gesto disperato tentò di trascinarmi via dalla scena macabra a cui presi parte, nel tirarmi cademmo entrambi sul terreno sabbioso diventato melmoso per il tanto sangue riversatovi.
Continuai a guardare il ragazzo mutilato a terra che mi lanciò un ultimo sguardo terrorizzato, chiunque abbia immaginato i soldati come eroi invincibili si è sbagliato, non vi fu nulla di invincibile o insormontabile in quegli attimi, solo paura, solo chiara e limpida paura, non facendo in tempo ad aprir bocca che un'ulteriore mina disperse il suo corpo in mille coriandoli.

Rimasi a terra addosso a Niccolò quando ciò avvenne, il sangue del soldato italiano mi finì in pieno volto non riuscendo però a smuovermi dal mio stato di trance.
Che cos'è successo? Perché non riesco a ricordare?

Le orecchie presero a fischiarmi, percependo la scena tutt'attorno a rallentatore, come se il mondo avesse gradualmente deciso di fermarsi vedendo quali orrori i suoi figli stessero compiendo.
"Eren, dobbiamo andare ora!"
La sua voce così sottile mi solleticò le orecchie.
Che cosa hai detto?

Non feci in tempo a voltarmi che Niccolò mi scaraventò qualche metro più distante dalla linea di tiro di un soldato nemico. Alzai lo sguardo nell'esatto momento in cui vidi il ragazzo dall'altra parte del campo inginocchiarsi puntando il fucile al biondo, in quel momento mi tornò tutta la lucidità persa poco prima, sentii il bagnato delle lacrime solcarmi il viso, le mani viscose dal sangue e gli occhi arrossati dall'orrore.
Misi a fuoco la scena scoprendomi a terra, il soldato nemico posizionò il dito sul grilletto che contrastò col suo volto pallido dal terrore, mi chiesi solo allora se i soldati si inginocchiassero prima di sparare per chiedere perdono.

Il colpo partì trapassando il petto dell'italiano che pochi istanti prima ebbe la forza di reagire preservandomi la vita, si addormentò per l'eternità fra le montagne di una terra che non fu la sua con un'espressione di pace in volto.

Avevamo solo ventidue anni, ubriachi della vita.

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