Capitolo 40.
Eren's pov.
06/04/1945 - 3:15 p.m.
Venni convocato dal Generale Erwin Smith nel suo ufficio con notevole urgenza insieme ad Armin. Quando ricevemmo la notizia ci scambiammo un'occhiata a tratti consapevole e a tratti terrorizzata.
Una volta davanti alla porta presi io l'iniziativa di bussare. Tra i due ero il più impulsivo a differenza del biondo coscienzioso e prudente.
Una voce calda e rassicurante ci diede il permesso di varcare il ciglio e così facemmo.
L'uomo ci accolse con entrambi i gomiti appoggiati sulla scrivania, con le mani giunte e la bocca nascosta da quest'ultime.
I suoi occhi erano puntati su di noi, oscurati dalla penombra del suo volto rendendoli più glaciali di quanto non fossero già.
"Soldati ho bisogno di parlarvi urgentemente, non abbiamo più tempo."
Ci riferì drizzando la schiena e scoprendo le sue labbra da sotto le mani.
Noi avanzammo in modo esemplare davanti al Generale aspettando che iniziasse a parlare.
"Siete stati scelti per aiutare i cadetti nell'ala sud, con la missione di far attraccare la Marina Militare Imperiale al porto giapponese."
"Sissignore"
Rispondemmo all'unisono alzando il tono di voce.
Lui prese un respiro storcendo le labbra, la sua espressione suggerì un momento di riflessione intenso e nessuno osò parlare.
"Ebbene, dovrete scoprire alla svelta le loro coordinate e riferirmele, non possiamo permettere a Church di toccare terra"
Il suo tono apparve formale e rigido, nonostante dalla sua compostezza potei percepire un accenno di preoccupazione.
Mi si gelò il sangue, la testa iniziò a girarmi vorticosamente. Attaccare Farlan significava frantumare un pezzo di cuore di Levi, come avrei potuto?
Sei un soldato, il minimo che puoi fare è aiutare la patria oltre che prenderlo nel culo dal Caporale.
Strinsi i denti marcando la mandibola, i miei pensieri mi offuscarono la mente.
"Quanto tempo abbiamo?"
Chiese Armin.
Notai che fra i due s'instaurò un'ottima intesa, l'intelletto era lo stesso e nonostante i caratteri apparissero nettamente differenti ipotizzai che quello del Generale si fosse formato con il tempo, che fosse cresciuto con la sua altezza e corporatura, e che prima di maturare avesse vantato la stessa calma, prudenza e pacatezza di Armin.
"Non molto, dai miei calcoli una notte e due giorni"
Riferì pensieroso e tremendamente affranto, lo si poteva notare dallo sguardo nei suoi occhi ora così spenti e assenti.
"Non sarà un po' troppo rischioso far arrivare le navi americane così vicine alla costa giapponese?"
Chiesi interrompendo un silenzio persistente.
"Eren non possiamo far attraccare quelle navi"
Mi rimproverò Armin sotto voce ma mantenendo sempre un pizzico di dolcezza.
"Arlert ha ragione, permettere il ritorno dell'Ufficiale Church significherebbe una sconfitta in partenza, lui e il Caporale non possono rimanere uniti, sono due uomini fin troppo scaltri insieme, abbiamo bisogno di tenerli separati"
Mi spiegò in modo accurato.
"E lei preferirebbe mettere a rischio la nostra Air Forces per un unico uomo?!"
Mi feci prendere forse troppo da quella situazione alzando il tono di voce.
Le sopracciglia del caporale si alzarono in maniera sorpresa non variando però la sua espressione.
Le mie parole echeggiarono nella stanza per qualche secondo, abbassai subito dopo lo sguardo a terra mortificato.
"Sono desolato"
Accennai appena, la vergogna iniziò a dipingermisi sul volto.
"No, quello che hai detto è legittimo Jeager, il punto è che non hai idea di quanto sia importante mantenere la nostra copertura qui, siamo la regina in una partita di scacchi"
"E tutti gli altri sono solo pedine"
Finì al posto suo Armin.
Il Generale smosse il capo in segno assenso.
Presi un gran respiro annaspando per raccogliere più aria possibile pur di continuare a dar ossigeno ai miei polmoni diventati improvvisamente secchi.
"Ho bisogno di prendere un po' d'aria, vi prego di scusarmi"
Dissi accennando un inchino, mi voltai raggiungendo di corsa la porta, una volta fuori la richiusi alle mie spalle appoggiandoci momentaneamente la schiena.
"Armin, ti prego tienilo d'occhio, non vorrei agisse in modo sconsiderato, il suo ruolo per questa missione è fondamentale"
"Ricevuto signore."
Li sentii in modo ovattato da dietro la porta.
Mi staccai quasi riluttante dalla lastra in legno precipitandomi fuori dalla struttura degli uffici, corsi fino a perdere il fiato, i miei polmoni incendiati, la gola secca e ruvida come carta vetrata sotto ogni mio respiro.
Raggiunsi il luogo in cui giustiziammo gli americani, nonostante il concetto potesse risultare abbastanza macabro il posto mi rilassava.
Mi accasciai alle radici di un enorme albero, le sue foglie mi coprirono dal sole battente di aprile.
Rannicchiai le ginocchia al petto in modo involontario, avevo bisogno di staccare da tutto, non sarei riuscito ancora a lungo a gestire i miei sentimenti e la mia missione.
Il cuore iniziò ad accellerarmi nel petto provocandomi un mezzo attacco di panico, mi sentii esausto, le notti non mi avevano ancora restituito il sonno tanto agoniato e la mia tensione si mischiò assieme alla stanchezza.
Mi premetti i palmi delle mani sugli occhi costringendomi a riprendere il controllo del mio corpo.
Ci vollero dai cinque ai dieci minuti prima che mi riprendessi e non ci riuscii comunque del tutto, la mia situazione era instabile, trovai un equilibrio che non sarebbe rimasto invariato a lungo.
I miei occhi erano chiusi e le mie orecchie aperte a tutti i rumori rilassanti della primavera, i miei respiri ripresero ad essere regolari alzandomi il petto in modo ritmico.
"Ehi Eren..."
Sentii una voce alle mie spalle, i suoi passi tranquilli ma decisi.
Non mi voltai, al contrario, appoggiai le braccia alle mie ginocchia poggiandovi sopra il mento.
"Erwin mi ha detto che ti avrei trovato qui, e non si stava sbagliando a quanto pare"
Riprese, ora si trovava affianco alla mia figura ancora da in piedi.
"Ha domandato della mia posizione?"
Chiesi alzando lo sguardo verso il suo, il mio viso si storse in una smorfia per coprirmi dal sole, anche se non ce ne fu motivo dato che il corvino una volta notato il mio fastidio si affrettò a coprire il fascio di luce con il palmo della mano aperta, proiettando la sua ombra perfettamente sui miei occhi.
"Me lo ha riferito lui, mi ha chiesto di venire a recuperarti"
Mi confidò lui con aria tranquilla.
Indossava una normale maglietta nera e dei pantaloni militari appena larghi sulle gambe, la mano libera inserita svogliatamente all'interno della tasca.
Mi limitai a guardarlo per poi riportare il mento appoggiato sulle braccia.
Lo sentii sospirare appena accovacciandosi subito dopo al mio fianco.
Mi sentii scostare i capelli in modo delicato dietro l'orecchio, mi abbandonai a quel tocco.
"Eren... che hai combinato con il Generale? Sai bene di non poter fare la prima donna, gli ordini sono ordini e non puoi certamente sgattaiolare via in questo modo"
Me lo riferì in modo stranamente dolce e tranquillo, quasi in tono paterno.
Mi lasciai trasportare dal suo tocco sporgendo il capo verso la sua mano.
"Erwin fortunatamente è un uomo comprensivo verso i suoi uomini, sennò a quest'ora saresti già stato rimesso in riga, lo sai questo vero?"
Chiese ritirando la mano e sporgendosi in avanti per attirare il mio sguardo perennemente fissato davanti a me.
Se solo avesse saputo che cosa mi chiese Erwin...
"Ohi... che hai?"
Mi domandò, lo trovai stranamente umano in quel momento.
Levi's pov.
Non vedere alcuna risposta da parte sua mi fece scattare un senso di preoccupazione dentro di me.
Mi sentii come in dovere di aiutarlo senza saperne il motivo.
"Senti Eren, ho davvero tante cosa da fare, non posso sicuramente starmene qui a farti da psicologo-"
"Allora perchè ha deciso di raggiungermi?"
Chiese in modo estremamente sfacciato.
Mi irritò parecchio, sopratutto perché non seppi rispondergli.
"Non ho bisogno di una balia! Sono stanco di essere manovrato come una cazzo di pedina!"
Sbraitò all'improvviso lasciandomi estremamente confuso.
Tentai di poggiargli una mano sulla spalla ma la scostò subito in modo determinato e estremamente istintivo, c'era bisogno di rimettere in chiaro le cose.
Mi alzai in piedi spolverandomi i vestiti, mi avvicinai al ragazzo che intanto si fece irrequieto e gli posizionai la mia scarpa sul petto facendolo sdraiare a terra.
"Ti ho lasciato fare il ragazzo ribelle per un po' troppo, direi che ora è il momento di farla finita"
Gli parlai con calma e freddezza.
In tutta risposta il ragazzo tentò di scostarmi afferrandomi la caviglia invano.
Roteai gli occhi al cielo piegandomi vicino a lui e ritirando la scarpa.
"Te la finisci?"
Gli chiesi esasperato, sembrava fosse tornato adolescente.
Mi guardò accigliato per poi alzarsi di scatto e volgermi le braccia al collo, i nostri addomi si sfiorarono, per la sorpresa caddi all'indietro, poggiando una mano sull'erba e l'altra lungo la vita del moro.
Le mie gambe aperte permisero il passaggio del ragazzo all'interno accovacciandosi sulla mia figura.
Rimasi paralizzato da quel contatto fisico improvviso.
"Mi sento perso..."
Mi sussurrò.
E come lo capivo.
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