Capitolo 39.

Levi's pov.

05/04/1945 - 9:30 a.m.

I cinque australiani vennero giustiziati nello stesso giorno, decisi di riservare al ragazzo biondo il miglior spettacolo, permettendogli di assistere a tutte le morti dei suoi compari.
Il suo modo di affrontare le situazioni era nettamente differente da quello dei suoi compagni.
Essi più grandi, sapevano che cosa era bene dire e che cosa era meglio tacere. Tutti all'interno di quella cella conoscevano i loro destini, ma non tutti sapevano chi avrebbe avuto l'omaggio di morire in modo rapido e indolore, e risiedeva proprio qui la buona condotta da mantenere negli ultimi istanti di vita.

Il primo uomo che giustiziai fu quello che ritenni più meritevole, non solo per il fatto che mi avesse esplicato le informazioni in modo veloce e preciso, ma anche perchè era uomo di famiglia e altro dolore non avrei voluto provocarglielo.

...la prego non mi uccida ho una moglie e dei bambini a casa...

Mi accesi una sigaretta ponendo a coppetta la mano davanti alla fiammella dell'accendino nonostante non ve ne fosse bisogno essendo al chiuso. I brutti vizi sono gli ultimi a morire.

Sentii bussare alla porta del mio ufficio.
Mi presi la libertà di aspirare ed espirare il fumo prima di ricevere la persona all'esterno.

Al ciglio si affacciò Erwin, i capelli perfettamente ingellati e tirati indietro incorniciavano un viso dalle fattezze rigide e spigolose.

"Caporale, penso sia la prima vera volta che sarà felice di vedermi "
Entrò definitivamente in stanza con un sorriso, nella mano destra stringeva elegantemente fra l'indice e il pollice dei documenti... no, erano dei messaggi.

Puntai i miei occhi sull'uomo che nel giro di pochi secondi riuscì a ricevere tutta la mia attenzione.

Posò i fogli sulla scrivania accomodandosi su una sedia di fronte a me. Lo squadrai scocciato nonostante il biondo fosse perfettamente consapevole di aver preso posto senza chiedere nè esitare, ma non gli riferii nulla al riguardo, invece, poggiai i polpastrelli della mano libera sui fogli trascinandoli fino a me.

Sgranai gli occhi riconoscendo subito da quale dipartimento provenisse, la Marina Militare Imperiale, Farlan.

Nel frattempo l'uomo accavallò la gamba all'altra e poggiò il gomito sul poggiolo della sedia sorreggendosi il viso impercettibilmente inclinato con il pugno.
Un sorriso lieve e tenue gli si balenò non appena la mia espressione prese a cambiare per la felicità e sollievo.

Iniziai a leggere impaziente di capire come stesse procedendo la missione, come fossero ostili le acque del Pacifico e di come stesse Farlan.

Ciò che ne lessi però non fu del tutto piacevole come nelle mie aspettative, vi era scritto che sarebbero rientrati appena possibile, data la terribile minaccia degli Alleati.

La crittografia impossibilitava i nemici a decifrare, e quindi comprendere, i messaggi inviati dalle proprie truppe o dipartimenti, ecco perchè rimasi del tutto tranquillo quando il Generale entrò con in mano quei fogli.
In Giappone ad esempio vi era un codice di alto livello designato con il nome di "RED" per tenere all'oscuro del testo, chiunque non fosse stato un militare giapponese.

"Allora? Yamamoto non mi ha riferito nulla al riguardo-"

"Com'è giusto che sia"
Intervenni fumando, la stanza completamente chiusa portava con sè un considerevole odore di fumo, -come quasi in tutte le stanze del campo- alzandosi appena una leggera nebbiolina.

"-mi ha rassicurato del fatto che sarebbe stato lei ad illuminarmi"
Finì lui non variando il tono di voce nonostante la mia interruzione.

"Non sono mai stato un amante della luce se devo essere sincero"
Risposi facendo uscire il fumo dalla mia bocca al movimento delle mie labbra.

L'uomo ora con le braccia conserte e la schiena appoggiata allo schienale mi puntò un sorriso di scherno, facendomi intuire di non avere la minima voglia di scherzare.

"Dice che rientreranno il prima possibile."
Confidai senza troppi giri di parole.

"Sta andando male?"
Chiese frugando nelle tasche alla ricerca dei suoi sigari.

"A quanto pare."
Finii puntando uno sguardo ai fogli abbandonati ormai sul tavolo.

Eren's pov.

12:15 a.m.

Dopo l'esperienza all'interno dell'incubo le mie nottate si animarono di immagini raccapriccianti, pregando che il sole sorgesse prima che uno di quei soldati venisse a prendermi per trascinarmi giù all'inferno insieme a loro.

Raccontai tutto ad Armin, l'unico di cui mi sarei potuto fidare ciecamente all'interno del mio gruppo. Si trovava di fronte a me con una zuppa fra le mani, i suoi occhi incrociavano i miei in modo cauto e schivo, sapevo che cosa stesse pensando perchè infondo era il mio stesso pensiero.

Da quanto non dormi Eren?

"Jeager che faccino oggi"
Reiner si sporse verso di me abbozzando un sorriso malizioso.

Voltai appena lo sguardo verso il suo alzando un sopracciglio.
Delle marcate occhiaie presero spazio nella mia pelle olivastra, donandogli un colorito violaceo.

"Non riesco a dormire benissimo ultimamente..."
Tentai di discolparmi riportando in modo robotico lo sguardo verso il mio pranzo.

Nonostante la mensa fosse affollata e traboccante di rumori e risa io percepivo solo suoni ovattati e lontani.

"Qualche scappatella notturna?"
Mi chiese punzecchiando con il gomito il mio avambraccio, mi smosse appena guadagnandosi le risate dei compagni.
Ricambiai anche io, tentando di non crollare sul tavolo davanti a tutti, il sonno mancante si faceva sentire e non avevo modo per migliorare la mia situazione, non potevo sicuramente appisolarmi durante il giorno, sarei stato frustato fino alla morte.

"N-no ma che dici..."
Risposi ritirando istintivamente il braccio ed abbozzando un sorriso divertito.

Scoppiò in una risata che trovai bellissima, avremmo dovuto ridere più spesso.

Dopo pranzo il mio gruppo si spostò nell'ala ovest del campo per sbrigare delle faccende burocratiche, ma io venni interpellato dal Caporale.

"Mi ha chiamato... signore?"
Chiesi sporgendomi cauto da dietro la porta del suo ufficio.

"Sì prego, entra pure"
Mi accolse, era di schiena con lo sguardo rivolto verso la finestra.

Entrai chiudendo la porta alle mie spalle il meno rumoroso possibile, nonostante la lastra in legno iniziò a cigolare in modo acuto.

L'uomo si girò nella mia direzione, lo sguardo fisso sul mio non esprimeva nessuna emozione, completamente apatico.
Istintivamente guardai a terra, la sua autorità mi metteva in soggezione nonostante fossimo entrati parecchio in intimità.

Attesi che iniziasse a parlare in religioso silenzio.
Sentii il suono dei suoi scarponi sul pavimento in legno venire verso la mia figura, strinsi i denti con ancora gli occhi sui miei piedi, finchè non scorsi anche i suoi posizionati davanti ai miei.

Sentii le sue dita posizionarsi sotto il mio mento alzandolo.
"Perchè non mi guardi?"
Chiese in modo inespressivo.

Arrossii istantaneamente balbettando qualcosa per discolparmi.

"Mi guardi in modo diverso ora?"
Chiese staccando le sue dita dalla mia pelle.

Aggrottai appena le sopracciglia.
"Che cosa intende con ora?"
Domandai a mia volta.

"Intendo dopo ciò che hai dovuto assistere nella cella, non ci siamo più incrociati da allora e non sono riuscito a chiederti come stessi."
Mi spiegò nella sua solita apatia rendendomi difficile credere esistesse un uomo con tale autocontrollo.

Iniziai a scuotere il capo in segno di disapprovazione, istintivamente mi smossi in avanti.
"No! Non lo pensi nemmeno per un istante, non la guarderei mai in modo diverso per aver compiuto il suo lavoro in nome della patria"
Contestai in modo sicuro e quasi irritato per aver anche solo potuto pensare a una cosa simile.

Inclinò impercettibilmente il viso di lato smuovendo varie ciocche di capelli, mi posò una mano sulla guancia accarezzandola poi con il pollice. Il suo tocco delicato ma convinto mi ipnotizzò all'istante.

"Ora hai visto anche una delle mie parti peggiori"
Mi sussurrò guardandomi intensamente negli occhi.

Gli strinsi la mano posta sulla mia guancia.
"E mi piace esattamente come tutte le altre"
Risposi con occhi chiusi estremamente sottomesso.

Lo sentii sbuffare appena dal naso sarcasticamente, staccandosi dal mio corpo ed andando a sistemarsi dietro la scrivania poggiandovi entrambe le mani al di sopra. Il capo reclino verso il basso metteva in risalto la sua possente schiena.

"A volte mi chiedo che cosa ci fa un ragazzo come te in un posto come questo"
Finì smuovendo in modo lento e calcolato la testa con dissenso.

Abbassai lo sguardo consapevole di star facendo breccia nel suo cuore e allo stesso tempo di star tradendo la sua fiducia già precaria e rara.

Mi sentii un groppo alla gola. I miei sentimenti verso di lui erano i più veri e vividi che ebbi mai provato nella mia giovane vita, ma come avrei potuto continuare sapendo di star mentendo?

"Mi stai ascoltando?"
La sua voce mi arrivò come uno schiaffo in piena guancia.

"S-scusi dicevamo?"
Chiesi tornando sconnessamente alla realtà.

"Dovrai gestire il rientro della Marina Imperiale, io nel frattempo mi assicurerò non vi siano intoppi, ti farai aiutare dalla squadra speciale e dal cadetto Armin Arlert nell'ala sud del campo."

"Sissignore!"
Risposi con più convinzione.

Levi's pov.

11:45 p.m.

Aspettai tranquillo fuori dalla mensa appoggiato di schiena nella parete che dava direttamente alla cucina, nella mano stringevo avidamente una sigaretta, l'ultima nel mio portasigarette in argento.

La luna era alta e maestosa nel cielo limpido di aprile, capeggiava sul campo come un idolo e la osservai estasiato da tale potenza e mistero.

Sentii subito dopo la porta sul retro aprirsi, l'istinto mi precedette facendomi drizzare la schiena e portandomi sull'attento nonostante fossi perfettamente consapevole di chi si celasse dietro.

Mi staccai prontamente tentando di non spaventare la ragazza in questione.

"Isabel?"
Chiesi con tono basso e tranquillo.

Lei si voltò spaventata, i suoi occhi smeraldini irradiarono il posto triste e cupo nel quale ci trovavamo.
Balzò stringendosi nelle spalle, fece un passo indietro, ma non la biasimai per questo, sarebbe stato uno spavento per chiunque.

"No no, stai tranquilla, sono venuto qui solo per riferiti delle cose"
Tentai di calmarla ponendo le mani aperte verso di lei.

Nonostante il terrore nei suoi occhi non emise nessun tipo di grido e la cosa mi sollevò parecchio.

"Caporale... mi dica"
Rispose lei una volta abituata la vista al buio e riconoscendomi.

"Farlan approderà nel giro di qualche giorno in Giappone... hanno battuto la ritirata."
Le riferii. Infondo non ero del tutto senza compassione, ero solo severo.

Le si illuminarono gli occhi, istintivamente mi abbracciò portando i suoi arti intorno al mio collo.
Mi sorprese parecchio facendomi indietreggiare, gli occhi sgranati, ma nonostante quello non me la sentii di staccarla, così mi limitai a ricambiare cingendole la vita con una mano e l'altra fra i capelli.

Una volta distaccata e scusatasi imbarazzata mi chiese:
"Come mai me lo ha riferito?"

"Vai a dormire ora, è tardi"
Mi limitai a dire salutandola con un cenno del capo.

Spazio autrice.
Buonasera ragazzi!
Come state?
Volevo innanzitutto ringraziarvi per le 10k di visualizzazioni su questa storia, ne sono così contenta 🙏🏻

Spero abbiate apprezzato il capitolo e scusatemi per le pubblicazioni così altalenanti ma è un periodo un po' impegnativo.
Buona serata a tutti♡
-Sof.

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