𝘂𝗻𝗼


Within you lies the part of me
that I left behind

Don't look for it,
because I'm no longer here

Inspirò a pieni polmoni; occhi blu come il cielo che lo sovrastava fissi a terra, stanchi. Labbra secche e fumo chiaro che si innalzava dalla sigaretta che vi pendeva.

Era sfinito, e si ritrovò ad accordare le corde della sua chitarra con svogliatezza. Nonostante amasse suonare, quella sera avrebbe solo voluto rintanarsi sotto le coperte del suo letto e crollare in un sonno profondo.

Ma era sabato, e la band con cui si ritrovava nei week-end in quel pub di periferia era quasi pronta per esibirsi. Sfilò dai suoi jeans sgualciti il cellulare per controllare l'ora: le dieci e quarantacinque. Sapere che mancavano ancora quindici minuti lo rassicurò.

Seduto su una cassa di legno nel retro del locale, rimase fermo a occhi chiusi. Ispirando la sigaretta ormai quasi terminata, intento solo a concentrarsi sui suoni in lontananza delle auto che sfrecciavano sulla strada poco distante.

Sbuffò appena.
Altro fumo chiaro.
Altro retrogusto amaro.

Si annoiava facilmente.

Nonostante i suoi diciassette anni, la testa era già fin troppo pesante per stargli sulle spalle. Aveva sogni che sapeva già di non poter realizzare.
Viveva giornate uguali che sapeva di non poter cambiare.

Semplicemente, la vita, a volte, gli stava stretta.

Là, in quel piccolo spiazzo dove amava rintanarsi da solo prima di ogni concerto, quella sensazione di oppressione svaniva un po'.

Per Kageyama era terapeutico.
Quasi essenziale.

E quei pochi che lo conoscevano lo sapevano, e non perdevano più tempo a stargli dietro.

Sapeva di essere una persona noiosa e monotona. Non percepiva niente da tempo, ma non si era mai preoccupato troppo di quella strana - ma al tempo stesso rassicurante - apatia nei confronti del mondo.
Andava bene così.

«Fanculo.», imprecò appena, spegnendo la sigaretta contro il muro, addocchiando male la sottrazione appena svolta sulla calcolatrice del cellulare di fronte a lui. Togliendo dalla somma totale i pochi soldi che avrebbe guadagnato anche quella sera, gli mancava ancora troppo per permettersi di pagare un'auto.

Secondo i suoi calcoli, non sarebbe riuscito a comprarne una nemmeno in sei mesi di lavoro - compreso il misero stipendio che riceveva come cassiere part-time di un piccolo mini market sotto casa.

Ricacciò il cellulare in tasca.

I capelli corvini gli finirono sugli occhi, ma non ci diede peso. Suonò quasi inconsciamente una melodia che aveva sentito, in un posto che non ricordava.

Gli era rimasta impressa, e si sforzava ogni giorno di ricordare il resto della canzone, fallendo.

Intento, ancora a occhi chiusi, a strimpellare note a orecchio, udì delle urla in lontananza. Frenò il piede che aveva iniziato a muovere a tempo e riaprì gli occhi.

Si corrucciò, fermando anche le corde della chitarra, per ascoltare meglio. E più si focalizzava sulle grida, più le sentiva avvicinarsi.

Non era strano assistere a risse di zona in quel quartiere trasandato. Kageyama scrollò appena le spalle. In fondo, non gli interessava molto. E doveva ancora sbollire la tensione della giornata prima di salire sul palco. Riprese a suonare, ma si vide costretto a interrompersi nuovamente.

Si gelò sul posto mentre, con la coda dell'occhio, in lontananza, vide un corpo minuto barcollare, fino a cadere a terra, in mezzo a dei sacchi per l'immondizia. Un tonfo sordo; risate. Il corvino focalizzò subito l'attenzione lì, oltre la strada che fiancheggiava il locale. Una cerchia di una decina di persone si mosse intorno al ragazzino steso a terra. Sembravano fatti. Alcuni avanzavano per colpirlo, altri divertiti filmavano con il cellulare le percosse.

Kageyama sbarrò gli occhi.

Uno tra i tanti aveva raccolto da terra barcollando una bottiglia di vetro rotta.

Era da tempo che il corvino non percepiva quel miscuglio di emozioni nello stomaco. Quell'ansia strana. Una paura amara quasi quanto il gusto di nicotina che ancora aveva in bocca. Non gli piaceva affatto.

Il cuore gli salì in gola.

Già sapeva che non era un buon segno.
Doveva solo farsi gli affari suoi.
Ignorare.

Lo aveva sempre fatto.
Non era difficile.

Avanzare a testa bassa.
L'omertà era il suo scudo.
L'apatia la sua maschera.

Era semplice.
Molto più semplice dell'essere in balia di emozioni che odiava provare. Emozioni che non voleva più percepire.

Eppure, fu inutile.

Non riuscì a ignorare il corpo di quel ragazzo a terra, tra i rifiuti, ormai immobile. Non ce la fece, neppure sapendo che da solo non avrebbe potuto fare niente.

Aveva bisogno di inscenare un diversivo.
Ma non aveva tempo per pensare.

Agì d'impulso.
E iniziò a correre.

Si sfilò veloce di dosso la tracolla della sua chitarra, attraversando la strada che lo distanziava dal gruppetto in poche falciate.
L'aria fredda si scagliò contro il suo corpo; le mani presero a tremare quasi quanto i denti stretti.

Prima che potesse rendersene pienamente conto alzò le braccia e spinse con forza il ragazzo di schiena che brandiva la bottiglia. Un rumore assordante sovrastò il resto, ogni risata ora interrotta, ogni volto ora rivolto verso l'intruso. Con un lamento soffuso, il ragazzo colpito finì a terra, in mezzo ai cassonetti del vetro.

Kageyama corse veloce, nella confusione del momento, e sollevò di peso il ragazzino dai capelli rossi in mezzo ai rifiuti. Se lo strinse al petto, facendogli in parte da scudo, scoprendo con stupore quanto, in realtà, fosse leggero.

Non esitò ad allontanarsi, spalleggiando e tirando calci contro chiunque provasse a mettersi sulla sua strada. Il lato positivo era che la maggior parte di quei ragazzi era visibilmente ubriaco. Il lato negativo era che erano in troppi.

Un pugno finì per colpirlo allo zigomo destro, riuscendo a farlo barcollare, e strinse con forza gli occhi.

Faceva così male. Una lacrima gli rigò la guancia. Lottò, non sapendo nemmeno in che modo, e riuscì a distanziarsi dal branco per pura fortuna. Più gli insulti crescevano nei suoi confronti, più le persone al suo seguito sembravano aumentare. Ringraziò gli anni di pallavolo delle medie, e le corse che il suo ex allenatore pretendeva facessero ogni pomeriggio.

Allo stesso tempo, si maledisse per quello che stava facendo. Perché non era decisamente da lui intromettersi nelle faccende altrui. Difendere il prossimo. Uscire da sotto il suo velo invisibile.

Ma il danno era fatto.
E ora doveva uscirne.

Corse a perdifiato, senza una meta precisa: non era familiare con la zona, fatta eccezione per il solito locale e la solita fermata del bus. Stringeva con forza il ragazzo, ancora inerme tra le sue braccia, e pregò che chiunque gli stesse alle costole si stancasse prima di lui.

Le sue preghiere vennero stranamente esaudite: una decina di minuti dopo, il corvino stava boccheggiando, a corto di fiato, in una via secondaria nascosta perfino alla luce dei lampioni. Sicuro di aver seminato il resto dei ragazzi al suo seguito, lasciò scivolare con cura il corpo dell'altro sul marciapiede. Fece in modo di farlo sedere a terra, e si preoccupò di controllare che quella che aveva davanti non fosse già una salma.

Fortunatamente, il ragazzo respirava ancora, seppur lievemente e visibilmente dolorante. Aveva però gli occhi ancora chiusi e gli arti immobili. Non facendo caso ai segni delle percosse e alle ferite sul suo viso, si sarebbe potuto pensare che stesse dormendo e avendo un incubo. Kageyama lo squadrò appena, ma la penombra non lo aiutò a identificare meglio i suoi lineamenti.

Provò a svegliarlo - o, perlomeno, indurlo ad avere una reazione.

«Hey...Mi senti?», gli chiese, accasciandosi accanto al suo corpo minuto nascosto da abiti fin troppo grandi. Sussultò nell'istante in cui il ragazzo aprì per metà gli occhi, incrociando i suoi. E non seppe perchè, ma Kageyama rimase senza fiato. Raggelò.

Quegli occhi erano completamente vuoti.

«Ti chiamo un'ambulanza. Se vuoi, avviso la tua famiglia o la polizia-», il corvino non ebbe il tempo di finire la sua frase. Aveva sfilato dalla tasca il cellulare, ma il minuto aveva fermato istintivamente la sua manica, serrando il suo polso in una presa ferrea.

Kageyama sussultò, stupito e confuso insieme. Si accigliò. Probabilmente quel ragazzino non era una persona qualunque per essere finito al centro di un pestaggio per strada. Forse era in qualche giro di droga o alcol - non era poi così poco comune in quell'ambiente. Il corvino decise quindi di assecondarlo.

In fondo, non erano affari suoi.
Aveva già fatto fin troppo.

Eppure, qualcosa non gli quadrava.

C'era qualcosa negli occhi di quel ragazzo che stonava. Una nota che rovinava tutto.

Non sembravano gli occhi di qualcuno grato di essere appena stato salvato.
Erano spenti.

Infastiditi.
Offesi.

Kageyama non comprese quel miscuglio di emozioni celate in quelle pupille.

«Riesci almeno ad alzarti?», provò ancora, ma questa volta non ricevette nessuna risposta, nemmeno un cenno. Il ragazzo inspirò a scatti, richiudendo gli occhi.

Quando Kageyama lo vide tremare, capì che quel corpo stava raggelando. Era fine settembre, ma le temperature erano già fin troppo basse.

Normalmente, avrebbe ignorato il tutto. In fondo, non conosceva quel ragazzo e non gli doveva nulla, specialmente dopo avergli salvato le penne e non aver ricevuto nemmeno un ringraziamento in cambio.

Ma quel pensiero non riuscì comunque a impedirgli di sfilarsi di dosso la sua giacca di pelle, certamente non adatta a quelle temperature neppure per lui. La poggiò a mo'di coperta sull'altro, che non si smosse.

Il corvino, sfinito e ora più infreddolito di prima, finì per sedersi accanto al minuto, poggiando il capo contro il muro alle sue spalle. Per un attimo, quella sensazione di impotenza con cui aveva imparato a familiarizzare lo assalì nuovamente, più aggressivamente del solito. Probabilmente la sua band lo stava cercando. Magari stavano perfino discutendo se continuare a tenerlo con loro per quelle esibizioni o meno - non aveva legato in modo particolare con nessuno di loro, in fondo. Forse i titolari del locale avevano già deciso di detrargli dalla paga il compenso per quella serata. Per non parlare del livido che gli si sarebbe formato sulla guancia dopo quel pugno. E quasi se ne pentì.

Si strofinò il volto con le mani dalle dita affusolate. Se prima era stanco, ora era a pezzi.

Ci mancava solo questa, pensò tra sé.
Eppure, in fondo, sapeva che non era dipeso da lui, né da altri. Il suo corpo si era mosso da solo, in difesa di quel tizio. E se ne doveva assumere le conseguenze.

Era abituato a far fronte a problemi continui. Aggiungerne un altro alla lista non avrebbe comunque risolto gli altri.

La sua vita sarebbe rimasta un casino, in qualsiasi caso.

Doveva solo trovare un modo per spiegare la situazione agli altri del gruppo o cercare un altro lavoro sostitutivo nel caso non funzionasse.

Tutto come prima.
Il suo volto si spogliò di ogni emozione, come sempre. Ed espirò lentamente.

Non provava nemmeno più rabbia.
Era già svanito tutto.

Quella rassegnazione mascherata da indifferenza, ormai, era parte di lui. E divorava ogni altra emozione.

Sobbalzò, però, quando qualcosa urtò appena la sua spalla.

Un battito mancato.

Non ci mise molto a comprendere che era la testa arruffata dell'altro. Ma respirava profondamente, quindi Kageyama dedusse che fosse crollato per il sonno o per gli stenti.

Rimase in silenzio, e non si smosse.
Nulla.

Ma qualcosa era diverso.
Avere il peso della testa di qualcuno sulla spalla era qualcosa che non aveva mai sperimentato.
Stranamente, non gli dispiacque.

Non seppe ponderare quanto tempo il ragazzo ci mise a tornare in sé. Si scostò appena, facendo leva sulle mani, faticando per cercare di rimettersi in piedi. Il corvino rimase a guardarlo con la coda dell'occhio, senza alcuna espressione dipinta in viso.

Prima che potesse dire altro, lo sconosciuto si alzò da terra da solo e, in modo goffo, si tolse la giacca del corvino di dosso.

Gliela porse, attendendo che l'altro la afferrasse. Non lo guardò nemmeno in faccia. E senza proferire parola, si incamminò a passi lenti verso l'estremità più vicina del vicolo nel quale si erano rifugiati.

Kageyama, accigliato, non poté fare altro che guardare la sua figura traballante scomparire man mano nel buio. Volle quasi metterlo in guardia. Quel branco era sicuramente ancora nei paraggi.

Ma ci ripensò.

Perché, in fondo, quel tipo non era affar suo.
E nemmeno aveva accennato a proferir parola. Averlo salvato era già stato abbastanza.

Se lo ripeté fino allo sfinimento. Fino a quando non si decise a retrocedere sui suoi passi per poter tornare al pub, ignorando il tutto.

Non avrebbe mai immaginato che quel sabato sera come tanti la sua routine sarebbe stata stravolta per sempre.

Né che quel ragazzo, ben presto, sarebbe diventato il centro del suo piccolo mondo. Assorbendo ogni cosa.



HEY HEY HEEYYJXJS

spero stiate tuttx bene!! rieccoci again con un'altra storia che impiegherò decenni a continuare, ma alla quale tengo particolarmente :") ho troppe emozioni e troppi personaggi in testa, abbiate pazienza, ma devo esternarli e farli esistere in qualche modo, e solo scrivendo ne sono in grado, a quanto pare.

grazie a chiunque sia qui a leggere, as always <3 spero di rivedervi e nulla, buon proseguimento di giornata/serata/nottata :))

see you soon!!!

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