Capitolo 8

Oggi.

Veronica
Quella mano sulla bocca mi toglie il fiato. Inizio così a dimenarmi e a urlare il nome di Matt - per quanto sia possibile fare con una mano sulla bocca - invano. Lui era dietro di me, è l'unico che può sentirmi e aiutarmi adesso.

«Shhh, Sana. Sono io» mi sussurra all'orecchio quella dolce voce dal familiare accento russo.

Di colpo smetto di muovermi e le lacrime iniziano a scorrere copiose sul mio viso. Quando mi giro, scoppio a piangere e le butto le braccia al collo. Karina ricambia il mio abbraccio, stringendomi forte. Mi è mancato tutto di lei, il suo viso, la sua amicizia, la sua folta chioma rossa...

«Tesoro, non piangere» dice, rassicurandomi.

«Stai bene?» chiedo per prima cosa. Non voglio che sia qui solo perché le è successo qualcosa. «Perché non mi hai detto che saresti venuta?».

Mi stacco dal suo abbraccio e la fisso negli occhi, ancora incredula per averla qui di fronte a me.

«Sai quanto mi piace l'effetto sorpresa» esclama allegra, dandomi un altro breve abbraccio.

Non posso far altro che sorridere insieme a lei. «Scusa ma come hai fatto a trovarmi?» chiedo, inarcando un sopracciglio.

«Ho rintracciato il tuo telefono» ribatte con nonchalance. «Tieni sempre il GPS attivo. Non è una cosa buona, Oksana. Te l'ho detto mille volte».

Già, perché alla fine Karina si è laureata in Informatica e - grazie ad alcuni suoi colleghi - è diventata un "genio del male". Riesce a fare tutto ciò che per me è impensabile.

«Comunque, stavi correndo o il mio cellulare è impazzito? Il tuo segnale continuava a muoversi velocemente».

«Sì, scappavo dal mio capo» affermo.

«Di nuovo?» chiede, preoccupata.

«No. Almeno, non credo. È solo un tipo un po' invadente».

«Chi dei due? Matt Jefferson o Jason Morris?».

«Come fai a saperlo?» chiedo accigliata.

«Internet, tesoro. Sai quanto mi piace tenermi informata. L'altro giorno, casualmente, stavo leggendo alcune notizie di economia e ho visto la tua faccia sul giornale. O meglio, tu facevi da sfondo però quella foto ha attirato ugualmente la mia attenzione perché, cavolo, sia Matt che Jason sono due gran bei...» dice, lasciando la frase a metà, per poi ricominciare. «Comunque, mi sono detta: "Ma quella non è la mia amica Oksana?"».

«Veronica» la correggo.

«Giusto, Veronica. Comunque, sta di fatto che non mi avevi detto di lavorare con dei figoni del genere. Perché stavi scappando, comunque?» chiede ancora.

«Volevo evitare Matt. Stavo pranzando da Starbucks e ho visto un uomo che somigliava tantissimo a... Insomma, hai capito. E nulla, ho avuto la solita reazione. Matt era anche lui al ristorante e ha visto tutto. È la seconda volta che mi becca in questa situazione, ma non volevo affrontarlo, né tantomeno dargli spiegazioni su quello che era appena successo, quindi sono uscita e l'ho seminato. Anche se adesso lo rivedrò a lavoro» concludo.

Ora che ci penso la mia non è stata un'idea geniale. È il mio capo, è normale che adesso vorrà delle spiegazioni e in più sono in ritardo.

«Senti, Kari, adesso devo andare. Dove hai le valigie?».

«Ho prenotato una camera in hotel qui di fronte».

«Ascolta, non abito molto lontano da qui, con la metro arriverai in fretta. Questa è la chiave del mio appartamento» dico, dandole il mio mazzo di chiavi. «Prendi le valigie e vai a casa mia, ti mando l'indirizzo tramite sms».

«Speravo sul serio che mi invitassi a casa tua. Odio gli alberghi».

«Vai. Ci vediamo alle otto. Fammi trovare la cena pronta» dico, scherzando.

Karina scoppia a ridere e, dandomi un altro abbraccio, si premura a raggiungere il mio appartamento. Tiro un sospiro di sollievo e mi preparo mentalmente ad affrontare Matt.

Matt
«Amico, cosa fai ancora là fuori?» mi chiede Jason da dietro la sua scrivania.

Sono fuori dal mio ufficio, precisamente appoggiato alla scrivania di Veronica che la sto aspettando esattamente da quindici minuti. Oggi è il primo giorno che lavoreremo assieme e lei è in ritardo. Mia madre non si è mai lamentata dei suoi dipendenti. Non so come li abbia abituati, ma io esigo puntualità nel mio ufficio. Io lo sono, per cui pretendo che anche gli altri lo siano. Adesso mi tocca fare la parte del cattivo, ma non m'importa. Voglio che sia chiaro che le mie regole devono essere rispettate e poi Veronica mi deve delle spiegazioni su cosa l'abbia spinta a scappare da me.

Aspetto ancora altri dieci minuti e poi vedo aprirsi le porte dell'ascensore. Veronica sembra non avermi neanche notato quando smette di parlare al cellulare e lo ripone nella sua borsa. Quando alza la testa i nostri sguardi si incrociano e - facendo finta che prima non sia successo niente e che è arrivata con un ritardo di venticinque minuti - mi passa davanti, mi saluta come se niente fosse, mi sorride e si siede dietro la sua scrivania.

La sua espressione è totalmente rilassata.

«Sei in ritardo» dico nervoso.

«Mi dispiace».

E poi? Mi dispiace e basta? Nessuna spiegazione? «Perché?» chiedo.

«Ho avuto un contrattempo» dice e nel frattempo lancia un'occhiata in direzione di Jason. Il suo sguardo si assottiglia mentre lo scruta con attenzione e un lampo di sorpresa le passa dagli occhi mentre, impercettibilmente, annuisce. La cosa che mi fa più indisporre è che mi sta ignorando totalmente. Sembra non avere nessuna considerazione di me e questo mi fa veramente incazzare.

«Di che genere?» chiedo, per attirare di nuovo la sua attenzione, ma non serve a nulla perché sembra totalmente focalizzata sul mio socio. «Jason è impegnato».

«Mmmh?» mugugna, rivolgendomi finalmente la sua attenzione.

«Jason» ripeto, «è impegnato. Perché sei in ritardo?».

«Te l'ho detto, ho avuto un contrattempo».

«Si dà il caso che io sia il tuo capo. Pretendo ordine in questo ufficio e se sei in ritardo sei pregata di avvisare e pretendo una spiegazione. Perché sei scappata oggi?» insisto, chiedendo esattamente ciò che voglio sapere.

Adesso ho tutta la sua attenzione. Il suo volto è impassibile ma si vede che non aprirà bocca. Se avesse voluto non sarebbe scappata prima. Invece l'ha fatto e adesso non ha intenzione di parlare.

«Non so di cosa tu stia parlando» nega.

«Io credo che tu lo sappia bene».

«È una questione personale» mi liquida, mentre inizia a rovistare tra le scartoffie.

Mi abbasso sulla sua scrivania, invadendo di proposito il suo spazio personale, in modo da fissare i miei occhi dritti nei suoi. Solo a questa distanza mi accorgo di quanto sia ancora più bella e del profumo delizioso di ciliegie che emana. Questo mi fa momentaneamente perdere di vista il mio obbiettivo, ma riprendo velocemente possesso delle mie capacità cognitive.

«Te lo chiedo di nuovo, Veronica. Perché sei scappata?».

«Okay, non volevo dirtelo, ma se proprio insisti... Mi sono ricordata di aver lasciato il forno acceso e quindi sono dovuta correre a casa prima di far saltare in aria tutto il palazzo. Contento?».

No, cazzo! Mi sta prendendo per il culo. Ho visto terrore nei suoi occhi e di sicuro non aveva nulla a che vedere con «...il forno acceso».

«Sai, hai una bella faccia tosta» affermo.

«Anche tu» ribatte, mettendosi le braccia conserte.

Sono sempre più scioccato, ma in senso buono. Nessuno mi aveva mai sfidato in questa maniera e per qualche strano caso l'insolenza di Veronica mi piace e la rende persino sexy. Per questo non riesco a trattenermi e scoppio a ridere. Lei mi guarda di traverso per un secondo, ma poi un sorriso sincero si fa largo sulle sue labbra.

«Questo non dovrà più ripetersi, bocconcino» dico, tornandomene nel mio ufficio e mi rendo conto che devo lasciar perdere perché non mi dirà mai la verità.

«D'accordo, signor Jefferson».

«Michiamo Matt. Il signor Jefferson è mio padre» taglio corto. Più che altroperché voglio avere un bel rapporto con i miei dipendenti. Voglio creare unambiente amichevole dove, sì, ognuno ha il proprio ruolo, ma tutti lavorino inarmonia senza trovarsi sotto pressione. Ecco, e voglio che Veronica si sentapiù a suo agio possibile sia con me che con Jason.

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