Capitolo 23

Sei anni prima.

Oksana
«Vieni qui». In un attimo sono tra le braccia di Dmitriy e lui che mi sussurra all'orecchio: «Per favore, non piangere». Mi abbandono al suo abbraccio, lasciandomi consolare dalle sue parole dolci mentre piango sul suo petto. Quando alzo lo sguardo nella sua direzione, vedo che la sua espressione si è ammorbidita e adesso, sul suo volto ad attendermi trovo un sorriso di incoraggiamento. Gli sorrido debolmente, spostando il mio sguardo e soffermandomi sul taglio sanguinante che adesso si trova sulla sua tempia destra e la realtà mi colpisce in pieno petto perché, se non mi fossi comportata in quella maniera, se non avessi fatto l'incosciente, Dmitriy non sarebbe conciato in questo modo adesso.

«Mi dispiace» sussurro. «È tutta colpa mia».

Allungo la mano verso il suo viso, ma Dmitriy la intercetta e mi impedisce di toccarlo, intrecciando le sue dita alle mie.

«Non puoi toccarlo, Sana. Fa male» dice dolcemente.

«Scusa» sussurro, abbassando gli occhi.

«Dai, non è successo nulla, ma adesso devo disinfettare la ferita».

Mi lascio condurre lungo il corridoio e, quando arriviamo davanti la porta dell'ufficio di Igor, Dmitriy bussa e, non ottenendo nessuna risposta, entra dentro portandomi con sé. Ero stata solo una volta qui dentro, quando Karina e io abbiamo fatto il nostro "colloquio". Comunque, questa è una zona off-limits del locale, per cui non avrei avuto motivo di trovarmi qui altre volte. La cosa che mi stranisce, invece, è la naturalezza con cui Dmitriy si è fatto strada qui dentro. So che lui e Igor sono amici, ma non credevo a tal punto da "invadere" l'uno lo spazio personale dell'altro.

Comunque, libero la mente dai miei pensieri e rivolgo l'attenzione all'uomo di fronte a me che, nel frattempo, sta frugando dentro la cassetta del pronto soccorso.

«Non c'è nemmeno uno specchio» si lamenta Dmitriy.

«A cosa ti serve uno specchio?».

«Per evitare che mi accechi con l'acqua ossigenata» afferma, indicandosi l'occhio e sorridendomi.

«Lascia fare a me. Siediti sulla sedia».
Non ottenendo nessuna risposta, lo osservo e chiedo: «Che c'è?».

«Sei sicura di essere capace a medicare una ferita?».

«Sì, sono sicura» affermo, prendendogli dalle mani l'acqua e i fiocchi di cotone. «Fidati di me».

Dopo un momento di esitazione, Dmitriy fa come gli chiedo e, quando si siede, mi posiziono di fronte a lui. Gli faccio alzare leggermente il volto nella mia direzione e mi metto subito all'opera. Metto un po' d'acqua ossigenata sul cotone e inizio a tamponare delicatamente il taglio.
Non è la prima volta che mi trovo nei panni dell'infermiera. Quando ero più piccola, quando uno dei ragazzini che vivevano con me nelle case affidatarie si facevano male, ero io a disinfettare le loro ferite e anche le mie. I genitori affidatari non erano così premurosi nei nostri confronti, a loro interessava soltanto incassare l'assegno a fine mese. Per il resto, ci prendevamo cura l'uno dell'altro, tra di noi. Quindi, adesso, credo di aver acquisito la praticità necessaria per poter fare questo.

«Ti faccio male?» chiedo, cercando di essere più delicata possibile.

«No, in realtà, pensavo che mi sarebbe finita peggio» scherza lui.

«Non fare lo stupido. Se fossi stata incapace, non ti avrei mai messo le mani addosso. Già sei in queste condizioni a causa mia, avrei peggiorato soltanto la situazione» dico, notando solo adesso la sua mascella tumefatta.

«Non è colpa tua, é colpa di quello stronzo che ti ha messo le mani addosso. Se non fosse arrivato Igor, probabilmente sarebbe finita in un bagno di sangue» conclude.

Mi fermo ad osservarlo perché le sue parole sono forti e mettono i brividi.

«Rilassati, Oksana, stavo solo scherzando».

Gli sorrido e continuo a lavorare. Mi prendo tutto il tempo che mi serve inebriandomi del suo odore e perdendomi in quell'infinito cielo azzurro che sono i suoi occhi. Dmitriy non distoglie mai lo sguardo da me - man mano che concludo la medicazione, coprendo la ferita con la garza sterile - mi avvicina a lui, prendendomi per i fianchi. Dopo avere liberato le mie mani, le appoggio sulle sue spalle e lo guardo anch'io.

«Grazie» sussurra.

«È il minimo che potessi fare».

Respiro il fiato corto di Dmitriy quando, avvicinandomi sempre di più a lui, mi ritrovo seduta sulle sue gambe. Il mio cuore sembra impazzire per quel contatto e soprattutto per quella vicinanza inaspettata. Anche perché il suo viso è sempre più vicino al mio finché, in poco tempo le nostre labbra si toccano. Un brivido di paura misto ad eccitazione mi percorre lungo la schiena. Mi sembra di aver già provato queste sensazioni. Dmitriy mi bacia con decisone e ricambio nella stessa maniera. Quando si stacca da me, appoggio la fronte sulla sua e sussurro la prima cosa che mi passa per la testa: «Ci siamo già baciati, una volta. Quella notte che ho dormito a casa tua»

«Te ne sei ricordata, finalmente».

«È vero, allora?». Dmitriy annuisce e gli chiedo: «Perché non me l'hai detto?».

«Non eri in te quella sera, quindi ho preferito non dirtelo. Pensavo che te la saresti presa con me, accusandomi di essermene approfittato».

«Non l'avrei fatto» lo rassicuro, passandogli le dita tra i capelli e intrecciando i nostri sguardi.

«Non voglio che balli più» dice dopo un po', improvvisamente serio, guardandomi dritto negli occhi.

«Non puoi chiedermelo. A me serve questo lavoro».

«Non ti sto chiedendo di lasciare questo lavoro. Ti ho detto che non voglio vederti ballare su quel bancone».

«Non hai nemmeno il diritto per farlo» affermo, cercando di alzarmi, ma lui me lo impedisce. Sbuffo irritata e continuo: «Noi non stiamo insieme e io ho bisogno di soldi».

«Puoi continuare a fare la barista, come facevi prima. Vederti lì sopra mi ha fatto impazzire per tutti questi giorni. Avrei voluto prenderti, caricarti su una spalla e trascinanti via dal locale come l'uomo di Neanderthal».

«E perché non l'hai fatto?».

«Perché mi sono goduto lo spettacolo» ammicca.

Ma le sue parole non mi fanno molto piacere perché, come si è goduto il mio spettacolo, si è goduto anche quello di molte altre. Per questo stento quasi a contenere la rabbia. Perché in questi giorni, tutte le volte che metteva piedi dentro il locale, vederlo in compagnia di altre donne, mi rendeva sempre più nervosa. Lui non ha mosso un dito fino a questa sera e adesso, nemmeno mi sta chiedendo di non ballare, me lo sta imponendo.

«Non mi piace quello che stai dicendo, Dmitriy».

«Fattelo stare bene, Sana».

Mi alzo di scatto dalle sue gambe e raggiungo la porta per uscire dall'ufficio ma, mentre sto per varcare la soglia, il mio passaggio viene bloccato dall'arrivo di Igor. Quando mi vede quasi si arrabbia, ma non appena getta uno sguardo alle mie spalle, si rilassa visibilmente.

«Aspetta» dice il mio capo. «Entra che devo dirti una cosa». E sono di nuovo al punto di partenza.

«Devi licenziare Maksim» interviene Dmitriy. «Doveva essere lui a occuparsi della sicurezza».

«Già fatto» gli conferma Igor e poi, rivolgendosi a me, dice: «E tu non creerai più problemi. Per questa sera puoi tornare a casa, da domani lavorerai solo come barista».

Una risata amara si fa largo sul mio viso perché sento che tutto va contro di me. A volte il destino sembra essere davvero bastardo.

«Complimenti, ci sei riuscito» dico, parlando direttamente con Dmitriy. «Perché nessuno vuole mettersi nei miei panni? Io ho bisogno di quei soldi!» esclamo. «Mi pagherai allora quanto mi paghi per ballare?» chiedo a Igor, con una punta di arroganza.

«Sognatelo, ragazzina» ribatte lui.

«Sei uno stronzo!» urlo e mi avvicino minacciosa a lui, ma Dmitriy blocca la mia corsa, prendendomi per le braccia. «Lasciami! Non mi toccare!» continuo, dimenandomi, nel vano tentativo di cercare di liberarmi.

«Falla ragionare e se non le sta bene il lavoro è meglio se non si presenta nemmeno domani» conclude Igor, minaccioso, avviandosi verso l'uscita e chiudendosi la porta alle spalle.

«Sono qui, brutto figlio di puttana!» gli urlo dietro e cercando di raggiungerlo. «Dimmele in faccia le cose!».

«Ma porco cazzo, Oksana! Vuoi darti una calmata?!» urla Dmitriy alle mie spalle, strattonandomi e facendomi voltare. «Sei ancora sconvolta per quello che è successo poco fa. Igor non diceva sul serio. Perciò calmati perché se ti rivolgerai a lui di nuovo in quella maniera, credo che non ci penserà su due volte prima di licenziarti sul serio» conclude serio. «Nessuna mai gli si era rivolta in quel modo».

«Mi sono arrabbiata».

«Ero qui. Ti sei calmata?» chiede, adesso premuroso, accarezzandomi la guancia. Annuisco e cerco di calmarmi ulteriormente.

«Andiamo, su. Ti porto a casa».

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