𝒰𝒩𝒟𝑅𝐸𝒮𝒮𝐸𝒟 (𝑗ℎ𝑠)
a Vex e Izzy ♡
➽───── un 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑚𝑜𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑒𝑔𝑜𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 e una 𝑠𝑡𝑖𝑙𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑖𝑛𝑐𝑎𝑧𝑧𝑎𝑡𝑎 si trovano a lavorare insieme.
New York
Settembre 2021
La settimana della moda era appena cominciata e i disinteressati se ne accorsero perché a popolare taxi gialli, metropolitane e Starbucks di Manhattan erano gambe coperte da calze di seta, décolleté scamosciate di Jimmy Choo e cellulari che suonavano impazziti perché Kaya Takeichi aveva deciso di annullare la sfilata.
La pioggia cadeva in raffiche trasversali, rendendo gli ombrelli pressoché inutili tanto che chi indossava impermeabili con cappuccio veniva fissato con invidia lungo i marciapiedi, tra cui Bob Turner, l'assistente personale di Kaya che una volta ai piedi del grattacielo vetrato One57, sulla cinquantasettesima strada, chiuse gli occhi, gonfiò le guance ed espirò tutta la frustrazione degli ultimi mesi.
Ad aspettarlo all'ultimo piano, seduta a gambe accavallate con un bicchiere di whisky con ghiaccio che picchiettava con le lunghe unghie smaltate di nero, Kaya ammirava la vista di Central Park, sperando di vederla sempre così vuota, triste e circondata da nebbia al posto dei colori accesi dell'autunno che odiava a morte.
Più volte si era chiesta il motivo per cui avesse comprato quell'appartamento. Se l'avesse visto in prima persona, si sarebbe accorta che, anche al 73 piano, gli ultimi metri del parco rovinavano la vista dal salotto che aveva espressamente ordinato di pennellare come il suo costante stato d'animo. Un mare in burrasca le cui onde risucchiavano le povere anime dei marinai sui pescherecci.
Gli occhi a mandorla allungati ulteriormente da uno spesso strato di kajal saettarono a destra all'aprirsi della porta d'entrata. Bob entrò in punta di piedi, le braccia rigide lungo i fianchi e il viso pallido imperlato di sudore e pioggia.
Raggiunse la stilista senza accomodarsi sul divano grigio. Il pomo d'adamo faceva su e giù e quando provò ad aprire bocca, il cuore batté così forte da fargli ingoiare le parole.
Kaya sbuffò. Ecco il colpevole. Era stato il suo giovane assistente britannico appena uscito dalla Central Saint Martins a consigliarle la zona quando viveva ancora a Tokyo, convincendola al è la Billionaire Row, non esiste posto migliore per una persona come te.
Billionaire Row. Pur affermandosi nel campo della moda, dimostrando di avere un cervello funzionante e talento da vendere, nessuna collezione, nessun trasferimento l'avrebbe allontanata dall'ombra della sua famiglia, i Chiba, tanto potenti quanto privi di umanità. Odio, freddo, nero. Un paradosso grande quanto la multinazionale di cancelleria Chiba Rainbows che invece faceva la sua fortuna con colori sgargianti e sorrisi a trentadue denti dei bambini testimonial.
Kaya Chiba nemmeno aveva ascoltato Bob. Nel momento in cui le parlò dell'appartamento era impegnata a insultare i critici che la definivano noiosa, ripetitiva e priva di gusto solo perché non voleva fiocchetti e pizzi nei suoi vestiti, ma soprattutto non voleva i colori che l'avevano circondata per tutta l'infanzia e le ricordavano casa.
Così continuo a proporre i soliti pezzi dall'anima dark, dolcevita al polpaccio che evidenziano il punto vita, stivali lucidi al ginocchio con cerniera argentata e gonne dal tessuto sfrangiato che erano il massimo a cui si poteva spingere. Collezione dopo collezione, Bob rivolgeva occhiate preoccupate a Mary del marketing che non sapeva più come evitare il declino di Kaya Takeichi.
Fino a che, sei mesi prima della NFW Primavera-Estate 2022, dopo nottate spese a mangiarsi le pellicine delle labbra per il nervoso, Bob ricevette una notifica dal magazine di gossip a cui era iscritto che commentava, con tanta ironia, l'outfit eccentrico del protetto di Jeremy Scott, Jung Hoseok.
Accappatoio a forma di orsacchiotto e ciabatte da tremila dollari verde, azzurro e rosa fluo puntavano i riflettori sul modello che adorava mettersi in mostra. Si cibava dei flash fotografici sollevando il mento e, alla richiesta di sorridere, il piccolo swarovski sull'incisivo destro splendeva di luce propria, fino a che il ragazzo non ci posava sopra la lingua.
Bob allargò una delle foto scattate al JFK Airport. C'era un accessorio, infilato a tracolla sopra l'accappatoio, che fece scattare qualcosa in lui. Una borsa, piccola e quadrata, sufficientemente capiente per infilarci telefono e portamonete, con disegnate sopra figure stilizzate in pose provocatorie, spille e applicazioni pacchiane e tutto ciò che rappresentava men che meno che Victoria Robinson.
Solo Victoria poteva firmarsi la Bad Bi*ch dell'Upper East Side.
Una donna eccentrica, dai ricci capelli rossi che svolazzavano da una parte all'altra anche nei giorni senza vento e che, come Hoseok, le provava tutte per focalizzare l'attenzione su di sé e ci riusciva alla grande. Una volta sponsorizzò le sue creazioni coperta soltanto da rotoli di carta igienica.
L'assistente di Kaya corse a comporre il numero della stilista, conosciuta ad un party di beneficenza organizzato da Vanity Fair.
Le promise la cena con Kaya di cui era una grande ammiratrice in cambio del contatto dell'agente di Jung Hoseok.
Forse il supermodello più ricercato del momento poteva cambiare le sorti della Takeichi.
New York
Marzo 2021
Kaya non reagì bene all'arrivo di Hoseok nel suo showroom. Bob sapeva che non avrebbe mai accettato di incontrare una persona così stravagante che le ricordava il sacchetto di caramelle gommose tutti gusti che Mary del marketing divorava per evitare di strapparsi i pochi capelli in testa.
Accortasi del moro in sala riunioni, la stilista lo spiò a lungo dietro le pareti vetrate e non si mosse nemmeno quando quest'ultimo si accorse di essere fissato, abbassò i Rayban arancioni ed incurvò un angolo del labbro superiore verso l'alto, accompagnato dal solito occhiolino che piaceva tanto alle amiche del fashion.
A Bob mancò l'aria. Kaya non fiatava, ma nonostante le non-espressioni riusciva a scorgere un luccichio negli occhi color tenebra, segno che, questa volta, sarebbe stato licenziato in tronco.
Eppure, la stilista tirò fuori gli occhiali da sole ultra sottili dalla lunga giacca di pelle e li indossò. L'assistente si mise quasi a piangere dall'emozione al sentiamo cosa vogliono prima di entrare senza nemmeno salutare.
Kaya camminò diretta alla poltrona girevole a capotavola del tavolo rettangolare. Era il suo posto, quello del capo, ma Hoseok pensò bene di accomodarsi per avere una visione a trecentosessanta gradi di ciò che sarebbe accaduto nel corso dell'incontro, ma, soprattutto, per fare in modo di essere al centro dell'attenzione e lasciare che i presenti pensassero a quanto fosse perfetto, affascinante ed indubbiamente il migliore nel campo della moda.
Bob spalancò gli occhi e pensò che anche Kaya l'avesse fatto, seppur di spalle con una Philip Morris fra indice e medio.
La stilista prese posto dall'altro lato, cinque sedie lontane dal modello che le chiese di sorridere beccandosi, in risposta, una soffiata di fumo in faccia a Bob.
Quest'ultimo si schiarì la gola. Sfogliò tra le pagine del quaderno degli appunti verde bottiglia ed, arricciando le dita con fare nervoso, salutò il capo, Mary, due membri del team creativo, l'agente di Hoseok, e la star.
«Bene. Lo scopo della riunione è delineare la collezione primavera-estate che verrà presentata a Settembre. Dai dati raccolti sembra che i buyer non gradiscano molto la monotonia dei capi. Vorrebbero qualche novità, l'effetto sorpresa.»
Kaya fece un mezzo sorriso con la sigaretta fra le labbra ed appoggiò i talloni sul tavolo a un centimetro dagli appunti dell'assistente. «Cazzate. Qui di monotonia ci sono solo i loro culi sporchi e raccomandati che non accettano la cruda verità, ovvero che non capiscono un cazzo.»
Bob annuì in silenzio, così come Mary e il team creativo. L'agente di Hoseok si mise comodo sulla sedia, mentre il modello appoggiò la schiena alla poltrona ed ammirò, quasi ipnotizzato, i cerchi di fumo perfetti che volavano in aria uno dopo l'altro dalla bocca carnosa della donna di cui aveva tanto sentito parlare.
Kaya Takeichi era un mistero. Un bel mistero. Ribelle, senza peli sulla lingua e lontana anni luce dalle chiacchiere della sua famiglia che finiva sempre, in un modo o nell'altro, sui giornali per motivi futili e insignificanti.
Kaya odiava il gossip, rilasciava pochissime interviste e dopo le sfilate ringraziava unicamente sé stessa per essere un genio che si era fatta strada da sola.
L'unica pecca era il costante muso lungo, come se qualcuno le avesse fatto un torto o le stessero tutti sulle palle, cosa molto probabile.
La sua scommessa, preannunciata all'agente dopo che gli rivelò della chiamata di Bob Turner, era quella di strapparle una risata in modo tale da confermare che sotto la spessa corazza fosse viva e non un essere privo di cuore non ancora identificato.
«Non capiscono un cazzo ma ti portano soldi» intervenne, per niente scosso dallo sguardo glaciale della stilista, la quale tirò giù lo stivale dal tavolo e continuò a fumare, incurante della tosse dei colleghi che a furia di starle accanto avevano i polmoni più carbonizzati dei suoi.
«Per questo, se ti dicono di svegliarti, ti devi svegliare zuccherino Kaya-chan. Ho dato un'occhiata ai tuoi abiti, poco fa, e non ci siamo affatto. Anche Donatella, si quella Donatella è della stessa opinione. Dice che sei, uhm, ba-na-le?» scandì l'ultima parola aiutandosi con l'indice.
Bob sbiancò. La Philip Morris finì a terra e gli occhi del suo capo sembravano gli stessi di quando aveva la congiuntivite.
Come osava, quel microbo, insultare le sue opere?
Kaya lo pensò anche nel momento in cui sparì dalla sala riunioni veloce come un treno. Sbatté la porta d'entrata ed uscì all'aria aperta. I pugni serrati e il rischio di prendere a ceffoni il suo assistente che le corse dietro e si inchinò per scusarsi, nel tentativo di tamponare la situazione.
«No, no, no. Si è spiegato male. Ama molto i tuoi vestiti, solo che...»
«SOLO COSA?» Kaya urlò portandolo ad indietreggiare di scatto contro il muro. Le mani tremanti si appoggiarono alla parete. Provò ad ammorbidirla comunicandole che Victoria l'avrebbe portata a cena nel posto più esclusivo della città a mangiare una bella bistecca al sangue, ma le orecchie parvero esplodere alle strilla che definirono il supermodello un ragazzino che giocava a fare il grande.
«Non lascerò che un moccioso mi dia consigli su come migliorare. Ha ancora i denti da latte e si permette di dire a me come lavorare!!»
«Ha solo tre anni in meno di t-»
«Sta' zitto, cazzo!»
Kaya rinfrescò la gola in fiamme con un sorso d'acqua offerto da chi credette fosse del team creativo. In realtà, Hoseok giocherellava con la bottiglietta. Aveva la testa inclinata da un lato, gli occhiali fra i capelli castani come cerchietto, un sorriso beffardo che dilatava le guance e la voglia di continuare a prendersi gioco di lei mandandola su tutte le furie.
«Sono gli ormoni? le mestruazioni?» si avvicinò in maniera pericolosa. La stilista sollevò i pugni, ma con sorpresa di Bob, li fermò a mezz'aria.
«Naaah, è la quotidianità. Ti si è formata una ruga al centro delle sopracciglia, l'hai notato?»
«Sparisci razza di...»
«Potrei aiutarti a calmarti, se ti va» la lingua bagnò le labbra e una mano finì sul fianco ossuto della donna.
Kaya digrignò i denti. Guardò Bob.
«Decidi tu. O commetto un omicidio, oppure me lo levi di torno.»
Hoseok, però, lasciò subito la presa.
«Lascialo stare, poverino. Guarda me. La tensione sessuale è salita alle stelle. Non mi stupisco, sono meraviglioso.»
La zip della giacca venne riaperta.
«Pronto, polizia? Vorrei denunciare. Sì, diffamazione. D'accordo, aspetto in linea.»
Bob spalmò una mano dalla fronte al mento. «Voglio morire»
Voleva solo fare del bene ed evitare di perdere il lavoro, invece Kaya sembrava sul punto di scagliarsi su Hoseok da un momento all'altro nel senso opposto rispetto a quello sperato dal supermodello.
«Smettila di fare la stupida» Hoseok la rimproverò. Si avvicinò per rubarle il cellulare dalle mani e roteò gli occhi al cielo «va bene, forse non avrei dovuto parlare di te a Donatella Versace o a Olivier o ad Anna Wintour...» questa volta, indietreggiò di un passo perché conscio di avere, un po', esagerato «ma sappi che ho un'idea. Un'idea molto interessante che ti farà acquisire nuovi clienti e mantenere i fedeli.»
Kaya sbuffò. «Ti ricordo che sei un modello, non uno stilista. E la mia risposta è no.»
«Okay, okay. L'idea non è mia, ma di Vic e sua» indicò il muro perchè Bob era rientrato di corsa nello showroom per la propria incolumità «però, se ancora non lo sai, sono sulle copertine delle migliori riviste in circolazione e ho appena, fammi controllare, superato Kendall Jenner su instagram.»
Ondeggiò i fianchi tenendo gli occhi chiusi, pavoneggiandosi come un perfetto galletto.
Quando li riaprì, però, Kaya era scomparsa.
E lo showroom chiuso a chiave impedendogli, così, di poter rientrare.
New York
Aprile 2021
Il mese successivo, al Kaya Takeichi HQ le cose procedevano di male in peggio. Nessuna idea piaceva alla stilista, convinta che dei semplici tubini neri facessero più successo di altre robacce proposte gli anni passati dai colleghi del fashion.
Scartava gli schizzi piegandoli in quattro ed immergendoli nell'acquario dei pesci nel suo ufficio. Si alzava, appoggiava i gomiti sulla ringhiera del balcone e Bob, nel frattempo, raccoglieva i pezzi di carta bagnata per non far morire Bob senior, junior e baby e Kaya senior, junior e baby come lui li aveva chiamati.
Kaya accese una sigaretta e si massaggiò le tempie. Non era stupida. Sapeva di avere vita breve se non avesse accettato almeno un suggerimento. Eppure, qualsiasi cambiamento avrebbe allontanato il suo pensiero nel marchio e il mare in burrasca nella grigia notte di tristezza avrebbe trovato uno spiraglio di luce. Lei non lo voleva perchè non lo vedeva. Non lo sentiva. Sarebbe sempre stata definita la stilista infelice, ma almeno era reale. Nessuna doppia faccia.
Una Cadillac Escalade nera parcheggiò davanti all'HQ. Il cuore cessò un attimo di battere e le labbra rosse si schiusero mentre gli occhi, coperti da un cappello cilindrico, si incatenarono all'auto pensando che il fatidico giorno fosse arrivato e sua madre l'avesse raggiunta a New York per annunciarle con falsi singhiozzi e fredde carezze che suo marito, suo padre, l'uomo che l'aveva cresciuta a suon di ceffoni e delusione di avere avuto una figlia femmina, aveva esalato l'ultimo respiro nella camera matrimoniale del castello dell'ombra, dove aveva sofferto per i primi ventuno anni di vita, alle porte di Tokyo.
Kaya sentiva addosso quello stesso sguardo pieno di sofferenza di lei minorenne. Non voleva vedere sua madre, che chiudeva gli occhi alle urla, ai pianti e alle richieste di aiuto.
Per lei, sua madre, era solo una donna rassegnata che aveva scelto di vivere come una Chiba solo per convenienza o sacrificio.
Era certa, lo era sempre stata, che anche lei avesse pianto alla sua nascita, dopo aver finto di tenere in grembo un maschio degno di essere chiamato l'orgoglio di papà.
Un sospiro di sollievo e i muscoli si rilassarono all'uscita di Victoria dalla macchina, vestita con un brillante e peloso abito oro e un fresco tatuaggio all'altezza della caviglia che recitava in corsivo Lick Me All Over.
Kaya controllò l'orologio al polso. Le sette e un quarto. Cosa ci faceva la Robinson all'ora del tramonto un venerdì di Aprile?
Bob la sorprese alle spalle e chiarì ogni dubbio.
«La cena, da Amélie, è prenotata per le otto. Si trova a due passi dall'Empire, ma il traffico è indecedente quindi ho pensato di farli arrivare ora. La bistecca è senza dubbio la migliore della città. Ne sarai entusiasta.»
«Farli? Chi c'è oltre a Victoria?»
L'assistente attorcigliò la lingua alla domanda della stilista.
«Nessuno! Cioè, nessuno chiamato da me..» gesticolò, ma poi si inginocchiò con i palmi uniti verso l'alto «ti prego, non arrabbiarti. So che non lo sopporti, ma Victoria ha tanto insistito che ci fosse anche...»
«Buonasera, Kaya-chan! Sei pronta per la nostra prima cena di lavoro? O dovrei dire primo appuntamento a tre?»
Il forte profumo di pino di un elegante Hoseok con tanto di papillon arricciò il naso della stilista. Kaya si scansò affinché il modello non le toccasse il fianco col gomito. Incrociò le braccia al petto e fulminò il suo assistente, pregandolo di alzarsi perché era ridicolo.
«Buona cena» si sforzò di fare un falso sorriso ad Hoseok, il quale domandò a Bob se lo sbattere delle porta fosse un vizio quotidiano della donna.
Kaya riuscì giusto a prendere la borsa e il bouquet di fiori mandati da Jeremy Scott che regalò a un barbone. Decise di chiamare il suo autista solo una volta attraversati due semafori che, immancabilmente, lampeggiavano per dei lavori in corso causando l'ira dei folli in auto.
Victoria era dietro di lei. Faticava a tenere il passo. I tacchi alti le impedivano di correre anche piegando le ginocchia, ma alla risposta dell'autista che disse a Kaya di aspettarlo davanti all'headquarter e la portò a voltarsi, riuscì a spiaccicare la faccia sul blazer carbone scivolando in basso fino alla spessa cintura che stringeva la vita.
«Tesoro, finalmente ci vediamo! Hai ricevuto i miei schizzi? Le spille sui tuoi fantastici abiti stanno un incanto! Ne parliamo da Amélie? Fanno la bistecca miglior-»
«No. Ho da fare stasera.» Kaya la liquidò senza mezzi termini.
Victoria incurvò la bocca verso il basso. Poi scoppiò a ridere.
«Sai, ho invitato anche il testimonial perfetto. La rappresentazione di sublime e fascino. La carezza degli angeli nel giorno più luminoso che-»
«Smettila di fumare erba. Ti rincoglionisce. Limitati a queste.»
Kaya le offrì una Philip Morris per farla smettere di blaterare.
La donna, in risposta, posò una mano sul cuore. Sollevò l'altra di poco.
«Giuro, ho smesso quattro mesi fa. A Capodanno sono andata alla festa di una mia cliente negli Hamptons e a causa di quella robaccia non ricordo più come ho fatto a trovarmi nuda come un verme accanto a Bob. Anche lui era nudo. Molto nudo.»
Kaya sbarrò gli occhi.
«Bob? Il mio assistente? Hai scopato con il mio assistente?»
«Non lo so di preciso.. forse ci siamo solo assaggiati a vicenda...»
«Cazzo, Victoria! Non puoi andare a letto con tutto il mio team! Prima, James, poi Matthew. Ti sei fatta anche Barbara! E poi Bob è..Bob. è molto religioso e ha un fottuto anello al dito. L'anello di purezza! Hai violato la sua promessa di rimanere vergine fino al matrimonio!»
«Non dire stronzate..» Victoria ridacchiò e tirò fuori specchietto e spugnetta dalla borsa per incipriarsi il naso «Non mi sembrava così tanto fedele al giuramento quando la sua lingua danzava sul mio clit-»
«Allora te lo ricordi! Dio mio, Victoria. Avrà la metà dei tuoi anni!»
«E quindi? Sono ancora molto trombabile!»
«Voi due! Volevate cenare senza di me?»
Hoseok arrivò con il fiatone, ma rivolse il suo solito, bellissimo, sorriso specialmente alla stilista il cui riflesso negli occhi raffigurava delle lame intrise di sangue. «Che si dice? Perché quella faccia?»
«Hobi!» Victoria lo prese a braccetto. Lo costrinse a fermarsi di fronte a Kaya che guardava tutto tranne che i due. «Ho una domanda da porti. Ascoltami bene perché ci tengo tanto.»
Il modello annuì. «Sono tutto orecchie, Vicky.»
«Mi ritieni una donna trombabile, vero?»
Kaya abbassò il viso. Scosse la testa bisbigliando al suo autista di darsi una mossa. Hoseok scoppiò a ridere e in un primo momento Victoria sembrò rimanerci male, per poi abbracciarlo squittendo come un'adolescente in piena pubertà non appena piegò un angolo della bocca e le rispose che sì, Victoria Robinson, sei decisamente trombabile.
«Amore mio, anche tu lo sei. Molto.» lo lasciò per ammirare il suo viso pulito e il corpo tonico frutto di lunghe sedute in palestra.
Gli prese la mano e, con suo disappunto, prese anche quella di Kaya, obbligandola senza via di scampo a passeggiare fino alla trentaquattresima per cenare con bistecca al sangue.
Amélie non era un ristorante a portata di tutti. I prezzi alle stelle sul menù a prova di cieco facevano sbarrare gli occhi a chi non poteva permettersi un rolex, al polso di Jung Hoseok, una Cadillac come Victoria Robinson oppure una timeless Chanel da seimila dollari che Kaya Takeichi lanciò sulla sedia prima di afferrare il menù e confermare la voglia di carne.
Evitò come la peste il posto al centro del tavolino quadrato. La tovaglia beige si macchiò subito di gocce di vino per la foga di Victoria di sentire lo stomaco bruciare e Hoseok, per la prima volta, sembrò essere a disagio.
Kaya lo notò subito. Si sporse appena in avanti e lo guardò negli occhi, scoprendo una sfumatura nocciola in quelle pupille scure che si muovevano agitate sul menù e si girarono verso Victoria già al secondo bicchiere di rosso.
«Fanno solo carne? La cucina francese non comprende altre pietanze? tipo il formaggio. Come mai non hanno il formaggio?»
Victoria sollevò le spalle. «Non lo so, dolcezza. Perché me lo chiedi? Non ti piace la bistecca?»
«C'è qualche problema, superstar?» la seguì Kaya. L'accenno di un sorrisetto nascosto dalla mano destra.
Hoseok brontolò per un minuto. Poi, sbatté il menù sul tavolo.
«Sono vegetariano.» confessò «la carne mi fa venire i brividi.»
«Oh, povero piccolo. Mi sa che sei finito nel posto sbagliato..» la stilista si beccò lo stesso sguardo d'odio che lei gli rivolse al primo incontro.
«Che ne dite di spostarci a Koreatown? Vi va un delizioso kongnamul gukbap? è una zuppa di germogli di soia e riso. A voi piace il piccante, vero? Tra l'altro, Vic, è una medicina per la sbornia e dato che ti stai scolando l'intera bottiglia da sola ti servirà.»
«Passo.» Kaya scosse la testa.
Fece avvicinare il cameriere ed indicò la foto più grande nella prima pagina del menù.
«Vorrei una bistecca. Al sangue. Vic, la vuoi anche tu?»
Hoseok la guardò male. Ordinò un'insalata con lattuga, cetrioli e pomodorini e sbuffò contrariato perché il ristorante aveva appena finito il formaggio brie.
«Incredibile.» brontolò «non hanno neanche la pasta. Solo animali. E questa misera foglia d'insalata che mi farà indigestione..» proseguì all'arrivo del suo triste piatto.
«Quindi» Victoria sorseggiò un altro bicchiere di vino e sbatté le ciglia sporche di grumi di mascara «che ne pensi degli schizzi?»
Kaya addentò il primo boccone di bistecca rosata proprio come piaceva a lei.
«Quali schizzi?» aggiunse del sale e buttò l'occhio sul pomodorino che saltò sopra il suo piatto.
Hoseok appoggiò stancamente la schiena sulla sedia.
«Non li hai visti. Immaginavo.»
«Non ho intenzione di collaborare con voi. Volete mettere delle stupide emoji e frasi motivazionali sopra i miei abiti per far sì che i clienti non vedano sempre tutto grigio. Ma cazzo, i miei clienti comprano perché ritengono, come me, che questo sia un mondo di merda. Una frase motivazionale o un'emoji con linguaccia e pollice in su non cambieranno di certo le cose. Victoria, sei sicura di aver studiato alla Parsons? Che idea da principiante, fattelo dire.»
Victoria, per sorpresa di Kaya, scostò una ciocca di capelli fragola dal viso. Un sorriso increspò le labbra «però hai visto i disegni. Lo so, Kaya. Bob me l'ha detto. Se una cosa non ti interessa affatto non perdi tempo ad aprire l'email, invece l'hai fatto. Vedi che hai paura?»
Kaya aggrottò le sopracciglia. «Paura di cosa?»
«Paura di fallire.» Hoseok abbandonò la forchetta sul piatto. «il declino di Kaya Takeichi. Ecco cosa scrivono su di te. Vuoi davvero andare dritta per la tua strada, convinta di non voler cambiare, rischiando di buttare all'aria tutto ciò che hai creato?»
Sostenere lo sguardo di Hoseok diventò piuttosto difficile, perciò la stilista fissò il vino rosso che si muoveva nel calice di Victoria.
«Non posso mostrare un'immagine diversa da quella che sono.»
«Non puoi o non vuoi?»
A quel punto, una sottile linea elettrica apparve tra due unendo gli sguardi.
«La Takeichi che conosco, dopo le sfilate, ringrazia sempre solo sé stessa per il duro lavoro, ma è evidente che sia ancora incatenata dal suo passato. Non sarebbe il caso di voltare pagina? La tua vita è davvero così nera come vuoi far credere? anche nella città dei sogni?»
Si fermò dopo che Kaya infilò la lama dentata nella bistecca e penetrò la carne strappandola in pezzettini. Il coltello era talmente stretto dentro il pugno chiuso che le nocche sbiancarono ed Hoseok si accorse della voce tesa che la tradì.
«Non sono cose ti riguardano» rispose a denti stretti.
Lasciò sul tavolo dei contanti.
La sedia stridette.
«Una volta l'alcool era come acqua, invece adesso..»
Hoseok dovette portare in braccio Victoria che si lamentava con una mano sullo stomaco. L'odore di carne era sparito dalle narici, ma in compenso il vestito sporco della donna puzzava di vino.
Faticò a portarla al Takeichi HQ ed infilarla nella Cadillac. Non appena provava ad allacciare la cintura, lei allargava le gambe e lo stringeva a sé come una piovra in cerca di affetto.
«Victoria, ti prego. Fatti portare a casa.»
«Sono ancora trombabile, vero?»
«Sì, sì, certo. Ora fai la brava ed entra qui.» la spinse ai sedili posteriori.
Chiuse la portiera.
La luce accesa all'ultimo piano dell'azienda lo portò a sospirare. Pensò di aver esagerato. Si era addentrato come un razzo dentro la corazza di Kaya senza neanche bussare, toccandole a mani nude il suo punto debole.
Kaya non voleva che qualcuno guarisse le sue ferite. Hoseok se ne accorse quando si asciugò velocemente le lacrime e gli chiese secca cosa ci facesse lì come se nulla fosse accaduto, nonostante l'ufficio intorno a loro fosse un ammasso di fogli sparsi e strappati.
Il cellulare ancora illuminato sulla scrivania riepilogava la durata di una chiamata. Mezzo minuto.
«Ti ho chiesto cosa ci fai qui» Kaya tirò su col naso. Stropicciò gli occhi rendendo meno offuscati i lineamenti del modello. «Hai ancora voglia di impicciarti negli affari degli altri?»
«Mi dispiace» Hoseok si avvicinò. I capelli scuri ricadevano spettinati sulla fronte per colpa del tragitto con Victoria sulle spalle.
«Hai ragione, non sono affari miei. è la tua vita privata e ho esagerato. Volevo chiederti scusa.»
Kaya gli diede le spalle. Guardò la luna riflessa sul palazzo vetrato di fronte all'azienda.
A braccia conserte ed occhi spenti, gli fece una domanda.
«Ti sei mai liberato di un peso?»
«Mmh?» fece il modello, avvicinandosi per scorgere quell'angoscia che circondava il corpo di Kaya immobile al finestrone.
Si schiarì la gola. «Sì, parecchie volte. Il mio lavoro non è facile e lo sai. è una continua ansia e stress, ma allo stesso tempo porta tante soddisfazioni.»
«Lascia perdere il lavoro.» Kaya scosse la testa. Si girò dalla sua parte e lui si sentì come se lo stesse tempestando di pugni nel petto.
«C'è mai stato qualche episodio che ti ha portato a dire ora finalmente posso ricominciare a vivere?»
Hoseok ci pensò su, ma in assenza di risposta, la stilista tornò a fissare il vuoto.
«Mio padre è morto, un'ora fa, mentre ti lamentavi della carne. Mia madre ha chiamato piangendo dicendomi che il funerale sarà tra due giorni e che, nonostante tutto, vuole che ci sia anche io.»
Abbassò lo sguardo e rise. «Te ne rendi conto? Vuole che prenda un volo per Tokyo e finga di essere triste per un uomo che mi ha fatto vivere anni d'inferno. Roba da matti.»
Una mano di Hoseok strinse la sua spalla. Lei tremò, ma stranamente non si allontanò.
«Per questo ti ho fatto quella domanda. Credevo che la sua morte mi avrebbe fatta sentire meglio, ma è tutto così, tristemente, uguale. Ho questo...subbuglio dentro che non mi fa respirare. è come se il ricordo del passato mi impedisca di essere felice. Vorrei solo dimenticare, ma non è possibile.»
Nel momento in cui Kaya lo guardò con occhi luccicanti che chiedevano aiuto, dai quali si leggeva la storia della sua vita, Hoseok non ci pensò due volte e la tirò a sé per stringerla in un caldo abbraccio a cui lei non rispose. Mantenne le braccia rigide lungo i fianchi.
«Come si guarisce un cuore spezzato?» sussurrò con le palpebre chiuse e il freddo nelle ossa. «Non si può, vero?»
Il cuore di Hoseok battè forte. In un primo momento pensò di mentire, ma quella donna all'apparenza forte, ma fragile come una farfalla, non si meritava un'illusione.
«No. Non si può» rispose, percependo il collo inumidirsi a causa delle lacrime «però, si può andare avanti. La ferita ci sarà sempre, bisognerà conviverci, ma possiamo ricoprirla di cerotti.»
Le strinse le spalle e obbligò a guardarlo. Giurò di aver visto le guance imporporarsi per la troppa vicinanza che permetteva di inquadrare solo le loro labbra.
«Se non te la senti di partecipare al funerale, non andare. Non sei obbligata a fare qualcosa che ti fa stare male. Piuttosto, vieni con me a mangiare kongnamul gukbap. Mi dovrai tirare su di morale dopo lo shooting spaventoso che il mio agente mi ha tenuto all'oscuro.»
«Pensavo fosse un vizio di Bob non dirmi le cose» Kaya sbuffò «comunque no, non verrò con te a mangiare una zuppa. E ora via, ho un sacco di lavoro da fare.»
Si piegò sulle ginocchia per mettere in ordine il casino che aveva combinato e gli bloccò un polso non appena provò ad aiutarla.
«Ho detto via» ripeté dura, ma subito dopo il suo volto si addolcì. «Per favore.»
«E.. azione! Fammi vedere come muovi quelle piume!»
L'obiettivo fotografico inquadrò il modello il cui sorriso non era raggiante come al solito. Seguiva professionalmente le direttive di Edwin Park, fotografo di fama mondiale entusiasta di lavorare con lui, ma non appena il flash lo accecava, chiudeva gli occhi ed erano costretti a ricominciare da capo.
«Eh no, devi resistere!» si lamentò Edwin, allargando le mani in un gesto espressivo come a chiedere all'agente di Hoseok cosa stesse passando per la testa del modello.
«Credo che sia solo stanco» spiego quest'ultimo «sta lavorando senza sosta, ma non si preoccupi. Diamogli cinque minuti di pausa e si riprende.»
Edwin schioccò la lingua. «Gliene concedo due.»
Hoseok non ebbe tempo di togliersi l'ammasso di piume che faceva parte del costume da pollo che doveva indossare. Sponsorizzare una salsa barbeque non era stata una sua scelta, ma si sa che ai soldi non bisogna mai dire di no.
Uscì fuori dallo studio ai pressi dell'Hudson ad aspirare e soffiare una nuvola di fumo. Un vegetariano come testimonial avrebbe, sicuramente, riscosso tanto successo.
Il tramonto era già passato da un pezzo. Ancora una volta, non aveva visto il giorno e solo le stelle sopra la Statua della Libertà gli avrebbero tenuto compagnia in una tiepida notte di primavera.
Sospirò sconsolato. Dopo aver portato Victoria a casa, ebbe quasi l'intenzione di tornare da Kaya, ma il pensiero di disturbarla gli fece girare il volante e proseguire fino al proprio appartamento dove ordinò del kimchi e tentò di tirarsi su sfogliando le riviste che lo elogiavano aumentando a dismisura l'autostima.
Due giorni dopo, una sigaretta schiacciata sotto i piedi e un costume da pollo le cui piume irritavano il collo, Jung Hoseok non era tornato a pensare a sé stesso, ma ad una stilista incazzata che pensò gli fosse appena passata di fronte urlando al cellulare.
«Bob, rispondimi! Hai detto tu a Victoria di trasferirsi nel mio ufficio? No, non ho accettato di- pronto? Bob Turner, non provare a mettermi giù!»
Hoseok sbarrò gli occhi. Non se l'era immaginata. A parlare del diavolo, il diavolo si era presentato allo studio fotografico.
Kaya spettinò con una mano i capelli neri freschi di taglio corto. La frangia era rimasta uguale a coprire parte degli occhi e la matita era sfumata oltre il bordo superiore della palpebra.
Le labbra erano rosso ciliegia ed il modello le fissò meglio quando interruppe la chiamata e lo raggiunse, assumendo un'espressione perplessa al costume da gallina.
«Che sorpresa...» lo squadrò dall'alto in basso «Sembri la classica mascotte fuori dai ristoranti. Mancano testa e volantini e saresti un volatile perfetto.»
Il modello sbuffò scocciato. «Non commentare. Ancora un'ora e quarantacinque minuti, poi posso scappare.»
Tacque per un istante. Morse le labbra. La curiosità non gli lasciava mai scampo perciò parlò «Passavi di qui per caso, Kaya-chan? Ti è venuta un'improvvisa voglia di kongnamul gukbap?»
Kaya sollevò le sopracciglia e abbassò il mento.
«Una zuppa.. a quasi Maggio. Sul serio, Hoseok-kun? Potremmo farci portare caviale e champagne nel mio appartamento, ma vuoi restare umile e mangiare zuppa piccante. Non me la racconti giusta, superstar.»
Hoseok sorrise. Si avvicinò, ignorando la richiesta del suo agente di rientrare e si grattò la nuca con accenno di imbarazzo nelle guance.
«Mi ricorda casa. Mia nonna la faceva a mio nonno.»
Kaya allungò una mano e gli tolse una piuma dai capelli.
«Si sbronzava spesso?»
«Può darsi» lui rise e la stretta al petto svanì alla visione della stilista con gli occhi rimpiccioliti e un sorriso smagliante che la rese ancora più bella.
Un'ondata d'amore lo travolse in pieno. Le mani pizzicavano dalla voglia di prenderla ed abbracciarla come la sera nel suo ufficio, ma allo stesso tempo non voleva rovinare quella risata cristallina che l'accompagnò anche quando lo spinse dentro allo studio e gli disse che l'avrebbe aspettato al One57, ultimo piano.
«Dobbiamo iniziare a mettere i cerotti, non credi?» disse, ringraziandolo in silenzio, con due occhi grandi pieni di brillantini argentati.
Hoseok rimase incantato a guardarli. Kaya sorrise alla sua reazione ed annuì appena, come se gli stesse dicendo che avesse notato anche lei, davanti allo specchio quella mattina, una luce diversa che si addentrava nel mare agitato quale era il suo cuore e lo illuminava ponendo tregua alla tempesta.
Kaya aveva pensato molto alle parole di Hoseok. Per due giorni si era chiusa in camera. Le gambe incrociate sopra il letto matrimoniale, le tapparelle abbassate e le luci spente. Si era domandata se il ragazzo avesse ragione, il suo cuore non poteva guarire, ma con gli anni, magari, la ferita avrebbe fatto meno male. Era arrivato il momento di reagire.
Così, a pochi metri dalla Statua della Libertà illuminata su Liberty Island, un grande sorriso le dipinse il viso sempre imbronciato e decise di mostrarglielo, per poi richiamare Bob che, nonostante lo trattasse sempre male, sapeva che c'era e ci sarebbe sempre stato.
«Bob? Non mettere giù, non ti sto per sgridare. Volevo solo dirti che anche se non ho ancora accettato la collaborazione con Victoria, può restare da noi. Darò una seconda occhiata agli schizzi. Ma dimmi un po'...sei il suo scopamico o è stata solo una botta e via?»
Un'ora e quarantacinque minuti dopo, Hoseok abbandonò il vestito da pollo e sollevò un braccio per chiamare un taxi. L'agente gli propose un passaggio, ma lui ripeté di avere fretta e di non aver bisogno di lui.
«Ricordati che domani mattina devi essere da Donatella alle sette un quarto. Devi riposarti.» disse con l'ipad stretto tra le mani e la schedule piena anche durante la pausa pranzo.
«Spostala.» Hoseok ordinò senza staccare gli occhi dalla strada «Domani voglio il giorno libero.»
«Non posso farlo.»
«E perchè?»
«Perchè i soldi non possono essere ignorati.»
Il modello portò la lingua tra i denti. Non ribatté. Si limitò ad annuire dicendo al suo agente di non preoccuparsi, che si sarebbero visti da Versace alle sette e un quarto di mattina.
«Buona serata» chiuse la portiera e a fatica, tra semafori rossi, suoni di clacson e traffico allucinante, raggiunsero la Billionaire Row.
Mai si sarebbe aspettato di trovare Kaya totalmente diversa dal solito. Indossava un accappatoio color panna, il viso era struccato e i capelli erano raccolti da un mollettone rosa pallido. Sorseggiava lentamente un calice di prosecco. Il sapore frizzante e delizioso la portò a leccarsi le labbra per non sprecare una goccia del liquido ed Hoseok deglutì, constatando che la tensione sessuale che li legava, o legava lui a lei da quando l'aveva intravista alla sua prima sfilata, avesse raggiunto il massimo livello.
«Purtroppo non ho resistito e ho già mangiato.» Kaya ruppe il silenzio. Camminò intorno all'isola della cucina. Saltò su uno degli sgabelli ed accavallò le gambe nude. L'accappatoio scopriva mezzo polpaccio ed Hoseok lo guardava a bocca aperta, occhi spalancati e goccioline di sudore sulle tempie seduto sul divano in salotto.
«Non importa» biascicò. Strisciò le mani sudate sulle gambe coperte dai jeans. «Non ho fame.»
La stilista appoggiò il calice sul tavolo. «Sicuro? Posso farti preparare qualcosa.»
Hoseok scosse la testa. Si sentiva come quando, in incognito, entrava in una sala giochi, tirava un pugno al sacco da box e la macchinetta suonava una canzoncina congratulandosi per avere appena vinto un premio.
Kaya Takeichi era il suo premio e da grande viziato quale era, si sarebbe offeso se non l'avesse preso.
«Allora che facciamo? Vuoi baciarmi?»
Il suo corpo si irrigidì un attimo a sentire quelle parole. Voleva baciarla, eccome se lo voleva, ma non pensava sarebbe stato così semplice.
La mano fredda di Kaya finì dietro il suo collo. Gli guardò il pomo d'Adamo muoversi, seguito dalla bocca che si schiuse in un sorriso malizioso. Infine lo baciò, succhiando appena il labbro inferiore tirandolo verso l'esterno. Il gesto gli causò uno scatto delle gambe che si allargarono per avvicinarla al corpo, permettendo ai loro petti di scontrarsi. La mano destra di Hoseok arrivò dietro la sua schiena nel momento in cui le lingue cominciarono a danzare. Un lento, bagnato ballo che terminò solo perché un pendente all'orecchio del modello solleticò il collo della stilista che, a quel punto, decise di rimuovere gli strati di troppo e dare inizio al divertimento.
Scese dalle sue gambe e gli prese una mano, dandogli le spalle mentre camminavano uno dietro l'altro lungo il corridoio, fino all'ultima porta, a destra, il cui letto era ancora disfatto dopo il breve periodo di riflessione.
Kaya sollevò le braccia per aggrapparsi ai capelli di Hoseok. Lui le sfiorò le costole e pian piano scivolò ai fianchi snelli fino a che la mano della ragazza non velocizzò il viaggio che lo condusse alla meta. Hoseok le strinse il fondoschiena. Le mani si chiusero a pugno, palparono i glutei come degli antistress e mentre abbandonava le sue labbra per dedicarsi a collo e clavicole, la fece voltare in modo tale che la schiena aderisse al suo petto ed il cavallo dei pantaloni premesse sul sedere, il che la fece sorridere.
«Mi stai facendo sentire la tensione sessuale?» sorrise e tremò al calore del fiato caldo sul collo causato dalla risata del moro.
«Massimo livello» rispose Hoseok, afferrandole la vita per tirarla su.
༻✿༺
La fece stendere sopra il letto. Portò le ginocchia ai lati delle sue gambe che tenne chiuse con i polpacci mentre toglieva giacca e maglietta e scopriva gli addominali scolpiti senza esagerare troppo. Sempre sotto gli occhi della stilista, abbassò i pantaloni. Tirò un sospiro di sollievo perché gli skinny neri, in piena eccitazione, non erano affatto comodi.
Gli occhi di Kaya studiarono il terreno prima di toccarlo con mano. Gli accarezzò il contorno dell'ombelico, provocandogli un secondo, pesante, sospiro, poi le dita cominciarono a giocherellare con l'elastico dei boxer chiari che fece scendere fino a metà e, quindi, impedendo all'erezione di sbucare fuochi come sperato.
«Dovrei vestirti, ma sto facendo esattamente il contrario» l'affermazione lo divertì e, senza replicare, l'aiutò a sciogliere il nodo dell'accappatoio scoprendo che sotto non ci fossero altre barriere da rimuovere.
Hoseok tornò improvvisamente serio. Non era una sorpresa scoprire che Kaya Takeichi fosse perfetta, ma dovette dirglielo perché doveva sapere quanto lo fosse. Il seno non troppo grosso, ma pieno che strinse subito con una mano, si muoveva a ritmo dei suoi respiri che aumentarono all'abbassarsi del suo sguardo sulla femminilità. Il cuore batteva forte a entrambi e, al lancio dei boxer sul pavimento scuro, furono felici di non avere più alcuno ostacolo a fermare la loro notte.
«Sei pronta?» Hoseok le diede un bacio a stampo, preparandola con movimenti circolari al clitoride e due dita che scivolarono in lei con facilità.
Un gemito più acuto dei precedenti risposero alla domanda. Il modello si rimise sulle ginocchia e, sollevato all'idea che Kaya prendesse la pillola non avendo preservativi nel portafoglio, posizionò la punta della lunghezza all'entrata lubrificata dalle dita.
Le unghie della stilista penetrarono nella pelle delle sue spalle quando entrò, con lentezza quasi fastidiosa, in lei.
Hoseok non era tipo da fregarsene della propria partner. Non voleva farle male, perciò, prima di aumentare le spinte, si assicurava a suon di gemiti e parole dolci che la ragazza stesse bene e così fece anche con la fredda, incazzata, Kaya Takeichi.
Eppure, un'esclamazione acida non tardò ad arrivare.
«Non voglio dormire»
Rimase basito dalla maniera in cui Kaya ribaltò le posizioni, ondeggiando subito i fianchi e facendo in modo che fosse completamente dentro di lei facendolo gemere a gran voce.
Hoseok roteò gli occhi al cielo. Fin da subito aveva azzeccato il movimento che più gli provocava piacere e, sebbene preferisse avere il controllo, Kaya lo stava deliziando così bene che gettò le braccia sulle lenzuola e la lasciò fare, intrecciando la lingua con la sua quando le spinte si fecero più intense.
Kaya allungò le braccia verso l'alto sgranchendosi la schiena. Il modello ne approfittò per sollevarsi sui gomiti e baciarle il seno, mordendo il capezzolo che tirò, senza farle male, come lei aveva fatto con le sue labbra.
Le afferrò i fianchi, diminuì i movimenti, non perché non gli stesse piacendo il ritmo, ma perché a furia di andare così in fretta, sarebbe venuto in poco tempo e non voleva che il rapporto finisse subito.
Tuttavia, un movimento di bacino e una spinta decisa fece tremare la ragazza che strizzò gli occhi e spalancò la bocca.
Lo abbracciò forte. Una serie di gemiti lo stuzzicarono nell'orecchio ed Hoseok, a malincuore, dovette salutare presto quell'appagante sensazione.
Al segnale che Kaya stesse per arrivare al limite, si rassegnò all'idea che stessero per finire. Colpì ancora una serie di volte il punto più sensibile della stilista e, al suono dell'ultimo gemito più acuto e lungo, si lasciarono andare insieme, buttandosi uno sopra l'altro sul materasso con il cuore a mille, gli occhi chiusi e la voglia, dopo pochi secondi, di unire le loro labbra in un casto, dolce bacio al sapore di felicità.
༻✿༺
Il giorno successivo, un caffè fumante di Starbucks si piazzò sulla scrivania di Bob e Mary. I due si guardarono per un lasso di tempo indefinito e, all'unisono, girarono le teste alla porta dell'ufficio di Kaya appena chiuso.
Bob lesse il post it giallo che accompagnava la bevanda. La calligrafia corsiva di Kaya recitava per un buongiorno dal vostro capo preferito, ma ciò che lo sconvolse ancora di più erano la serie di cuoricini che riempivano i bordi del foglietto.
«Buongiorno!» un urlo lo fece saltare sulla sedia. La stilista aprì di scatto la porta scorrevole e lo chiamò da lei, saltellando fino alla postazione dove afferrò il cellulare e si lanciò sulla sedia accompagnata da una risatina che risuonò nell'ufficio più scuro della città.
Bob le provò tutte per fare finta di nulla. Avrebbe voluto chiederle se si fosse fatta di quella robaccia che, pur affermando il contrario, sapeva che Victoria tennesse ancora nascosta da qualche parte in casa.
Tuttavia, decise di mordersi la lingua e domandarle, invece, se avesse bisogno di qualcosa.
«Sì, vorrei che mi mandassi in produzione questi abiti. Gli schizzi di Victoria sono approvati e voglio creare la Kaya X Vic Motivational Collection con testimonial Jung Hoseok. Penserò io ad avvisare la superstar. Abbiamo tanto di cui parlare.» concluse con un sorriso che gli fece scoprire per la prima volta i denti bianchi e diritti.
Bob annuì. Prese il book con gli appunti del capo e sfogliò tra le pagine simulando un minimo interesse ai pezzi disegnati.
C'era qualcosa sotto. Kaya non sorrideva, non arrivava mai in ritardo in ufficio e, men che meno, lo ringraziava.
«Finito di organizzare tutto prenditi pure il pomeriggio libero. Vai da Vic. Ti meriti un'altra scopata dopo lo stress che ti ho causato.»
«C-come?» Bob rispose diventando dello stesso colore delle fragole mangiate a colazione.
Kaya spostò gli occhiali da sole sul naso e lo fissò sotto le lunghe ciglia «Vuoi farmi credere che fosse solo una botta e via? Vallo a raccontare a qualcun altro. Ti è piaciuto e non vedi l'ora di riassaggiarle la pizzetta»
«P-pizzetta?»
«Non hai mai sentito questo nomignolo? La mia la chiamo sempre pizzetta, oppure patatina, topina, fragolina...»
Le fragole della colazione gli tornarono su. Bob gonfiò le guance bordeaux e, con la scusa del telefono che suonava impazzito, indietreggiò sbattendo la schiena contro la porta chiusa.
Kaya scoppiò a ridere, ma non per la reazione del suo assistente, bensì per un messaggio di Hoseok che svelò di dover rifare, completamente, lo shooting vestito da pollo.
K: Vuoi venire da me stasera? rispose. Posso tirarti su di morale.
H: Non posso. Ho una cena con Jeremy e sai bene che le cene con Jeremy durano un'eternità.
Kaya brontolò.
K: Va bene, non preoccuparti. Facciamo domani?
H: Mi dispiace, ho un volo per Milano alle sei e dieci.
K: Milano?
H: Non te l'ho detto?
K: No.
H: Beh, ora lo sai.
«Ma che cazzo di risposta è?» la stilista posò il cellulare sulla scrivania «Ora gli scrivo quanto ci rimane. No, non lo faccio. Devo lasciargli i suoi spazi. Però sono curiosa..»
In realtà, non ci pensò più di tanto, impegnata per il tutto il resto della giornata a lavorare sul nuovo progetto con Victoria Robinson.
Un sensazione d'ansia le raffreddò le ossa alla scrittura del discorso che avrebbe tenuto alla sfilata. Si trattava di una nuova Kaya, un nuovo graduale inizio che non aveva mai voluto accettare.
L'arrivo di Hoseok nella sua vita era stato improvviso, era successo tutto così in fretta, ma era stato fondamentale. Le aveva fatto spostare il piede dal freno della macchina della vita che la bloccava dentro un vortice continuo.
Sua padre era morto senza portarsi nella tomba tutta la sofferenza che le aveva causato, ma lei non si sarebbe data per vinta e avrebbe cercato di illuminare anche con uno spiraglio di luce il buio del suo cuore.
Avrebbe trasmesso quella sua speranza nella nuova collezione, rendendola un punto di partenza per i suoi clienti che, magari come lei, scarseggiavano di fiducia e voglia di ricominciare.
Kaya dovette chiudere gli occhi all'ultima riga del suo discorso. I battiti del cuore erano gli stessi di quando per sfogare la rabbia correva chilometri e chilometri fino a raggiungere la baia con il suo stesso cognome. Chiba.
Batteva così forte che dovette appoggiare una mano sul petto ed inspirare ed espirare profondamente fino a che, sempre ad occhi chiusi, chiuse il portatile ed uscì dall'ufficio, accompagnata da un leggero venticello caldo che le scompigliò i capelli scuri e le accarezzò le guance mentre si lasciava andare a un pianto liberatorio.
Aveva appena cambiato marcia e premuto l'acceleratore.
Aveva appena messo i primi cerotti alle ferite.
Parigi
Giugno 2021
I lampioni illuminavano l'Avenue des Champs-Élysées e Kaya non ne saltava nemmeno uno. Reggeva con una mano la bottiglia di prosecco rubata alla festa di Dior. L'altra stringeva il palo, l'anello provocava un tintinnio e la stilista girava, girava e girava fino a che, barcollando non proseguiva a stento e si incollava al successivo lampione.
«Bob?» lo chiamò ridendo. Sollevò il mento e guardò la lucina rossa di un aereo che passava proprio sopra la sua testa «dove sei?»
«Sono qui, sono qui.» l'assistente la raggiunse e le arrivò accanto giusto in tempo per prenderla in braccio e trasportarla come una sposa fino all'albergo.
«Kaya.. è da una settimana che ti ubriachi. Non credi di stare esagerando? Siamo qui per lavoro. Non stai facendo bella figura.»
«Non rompere i coglioni. Questa qui» indicò la bottiglia vuota che non si frantumò in mille pezzi solo grazie alla prontezza di Bob «ti permette di dimenticare tutto. Quello stronzo.. si è infilato nella mia testa e non riesco a cacciarlo via.»
La stilista si alzò. Passeggiò a caso per la suite, fece finta di sdraiarsi sul letto a pancia su, ma subito si tirò su e si sedette accanto all'assistente sul divanetto bianco all'entrata.
Quest'ultimo si tappò il naso. L'alito di Kaya puzzava di alcol in maniera nauseabonda come gli ultimi sette giorni dal loro arrivo in Francia.
Non l'aveva mai vista così conciata. Le piaceva bere, ma non si era mai spinta oltre tanto da finire ai piedi di Maria Grazia Chiuri e provare a toglierle le décolleté davanti a mille invitati.
Pur provando a fermarla, lei continuava ad attaccarsi alla bottiglia. La nascondeva, ma riusciva a procurarsene un'altra ed ogni volta che perdeva la lucidità insultava il supermodello sparito dai radar da due mesi mezzo.
«Basta. Voglio annullare tutto. La collezione non si farà. Jung Hoseok deve andarsene a fanculo.»
«Non possiamo. Non avremmo niente da presentare a Settembre»
«Fanculo anche a Settembre» replicò lei. Chiuse gli occhi e unì le mani per una preghiera silenziosa «vorrei che non esistesse nessun Settembre.»
Dopo averlo fatto, aprì il finestrone che si affacciava sulla Torre Eiffel. La guardò a lungo senza battere ciglio, mentre la mente ripercorreva i momenti che se prima provocavano brividi piacevoli ora la disgustavano.
Non avrebbe dovuto ascoltarlo. Hoseok era un idiota come suo padre e tutti gli uomini che conosceva. Si era lasciata andare perchè in carenza di sesso ed era stata una stupida ad illudersi che tra di loro potesse nascere qualcosa.
Non gliene faceva una colpa. Hoseok non aveva mai detto di volerla vedere anche dopo quella notte. Le aveva fatto dei complimenti, la riteneva bellissima, ma dalle sue labbra morbide a forma di cuore non erano mai uscite frasi come iniziamo una relazione.
Ciò nonostante ci era rimasta male ed era questo che la faceva più arrabbiare.
Strinse le mani sulla ringhiera del balcone. Era andata così. Era scivolata su una buccia di banana, ma sarebbe stata capace di tirarsi su.
Una notifica sul cellulare di Bob la riportò alla realtà. Tornò dentro, pronta a farsi una dormita dopo aver vomitato l'anima piegata in due con la faccia verso il water, ma il volto pallido dell'assistente, che al suo arrivo nascoste il cellulare dietro la schiena, la portò ad aggrottare le sopracciglia e, insospettita, lo costrinse a farsi consegnare il dispositivo.
«No, non è niente. Te lo giuro» Bob boccheggiò, venendo schiacciato di peso dal suo capo che gli bloccò entrambi i polsi con una mano, mentre l'altra frugava dietro la schiena premuta sul divano.
Si ritrovò da un momento all'altro immersa nel punto più basso dell'oceano. Mise a fuoco la notizia in prima pagina sul magazine di gossip preferito di Bob e spalancò gli occhi.
Le parole passione e flirt erano in grassetto nel titolo in prima pagina e la foto di Hoseok con una ragazza non dava spazio a fraintendimenti.
Il respiro si fece corto. Provò a riemergere, pensando che non fosse vero e, se anche se lo fosse stato, che non fossero affari suoi, ma le orecchie fischiavano come il bollitore all'ora del tè a casa Chiba e a quel punto Kaya lanciò il cellulare sul pavimento e strinse i pugni trasformandosi in un perfetto ventriloquo che giurava vendetta all'uomo che l'aveva usata e gettata in mezzo ai sacchi dell'immondizia.
«Bob? Trovamela.»
L'assistente non rispose, fermo nella stessa posizione. Sdraiato sul divano. Era troppo stanco, mentalmente e fisicamente, per ricomporsi.
«Hai capito?» Kaya lo fulminò «Trovami quella ragazza.»
Riprese il cellulare e rilesse l'intero articolo. «Qui dice che è una modella. Mi sembra troppo bassa, ma potrei sbagliarmi. L'hai mai vista prima? Sai dirmi il nome?»
«Non sono il tuo scagnozzo.»
La risposta dell'assistente prese la stilista in contropiede. Negli anni che si conoscevano, non si era mai permesso di rifiutarsi.
Anche Bob sembrò realizzare la risposta. Fece per alzarsi e inginocchiarsi pregandole di non licenziarlo, ma il briciolo di lucidità rimasto gli fece realizzare di aver fatto bene perché, come le disse subito dopo, si stava comportando da bambina e Kaya Takeichi non lo era affatto.
«Capisco il colpo di fulmine, ma datti una calmata. Non devi preoccuparti, nemmeno l'articolo li definisce una coppia, quindi pensa alla tua collezione e mettiamoci al lavoro.»
Kaya aprì la bocca per rispondere, ma il palmo caldo dell'assistente la costrinse a rimangiarsi le parole.
Bob la guardò dritta degli occhi. Scorse la scintilla infuocata nelle pupille ed aspettò che sbiadisse con il passare del tempo scandito dalle lancette dell'orologio ai loro polsi.
Le sorrise con le labbra ed annuì appena.
«Come faresti senza di me?»
Kaya rispose, ma non lui capì per colpa del palmo sulla bocca. La liberò e la stilista finse di pulirsi le labbra con la manica del cappotto.
«Potrei assumere un nuovo assistente e licenziarti, lo sai questo vero?»
Bob scosse la testa. «Non lo faresti mai» rispose, seppur con un tremolio nella voce. Era fregato.
Il sorriso accennato di Kaya lo tranquillizzò. La stilista lo tirò a sé e lo abbracciò forte dondolando da una parte all'altra.
«Hai ragione. Sei l'unico che mi sopporta e se non fosse per te sarei già finita in un mare di guai. Perciò grazie, Bob Turner.»
Una sensazione umida sulla sua spalla la fece allontanare. Kaya deglutì a disagio alla vista di Bob in un mare di lacrime che sfilò un fazzoletto di stoffa dalla giacca e lo soffiò ringraziandola per averlo appena fatto sentire speciale.
«Non hai idea di quanto lo aspettassi. Ti voglio bene, Kaya. Ti voglio, tanto, tanto ben-»
«Si, ok. Va bene così» mise le mani avanti e gli diede una serie di pacche sulla spalla con fare imbarazzato.
Guardò il book con le foto scattate degli abiti appoggiato sul tavolino accanto al portatile. Appoggiò la fronte su quella dell'assistente e chiuse gli occhi.
«Mettiamoci al lavoro e dimentichiamo tutto.»
«Ma io non voglio dimenticare il tuo grazie!»
«Ora basta piangere, Bob. Mostrami gli scatti e l'agenda di domani. Ah, e dammi anche il numero di Maria Grazia. Devo scusarmi per averle sfilato le scarpe...»
New York
Settembre 2021
La pioggia non accennava a smettere. Per Bob creava l'atmosfera perfetta nella casa delle tenebre di Kaya.
La stilista finì di bere il whisky ma continuò a ticchettare le unghie sul bicchiere, rendendolo nervoso tanto che i capelli si appiccicarono alla fronte e non udì il suono del citofono.
«è colpa tua» Kaya ruppe il silenzio ed assottigliò gli occhi «Se non fosse stato per te non vivrei qui. Guarda quanto è brutta Central Park»
L'assistente si girò verso il parco che, invece, amava molto, dagli alberi in ciliegio, agli scoiattoli, al laghetto artificiale che ogni tanto percorreva noleggiando una barca.
Roteò gli occhi al cielo. Il suo capo non capiva quanto fosse fortunato non dover affrontare un viaggio di due ore e trentacinque minuti per potersi godere quel panorama.
Mantenne la calma. Avrebbero discusso sull'argomento un'altra volta. Ciò che più gli importava era portare Kaya Takeichi nella location della sfilata che aveva appena annunciato tramite Instagram di voler annullare.
Non voleva crederci, ma allo stesso tempo non poteva negare di sentirselo nelle viscere. Era troppo strano non aver avuto intoppi negli ultimi quattro mesi e Kaya cambiava spesso umore e non era una novità che buttasse all'aria un duro lavoro in pochi secondi.
Rinunciò a domandarle il motivo per cui avesse preso quella decisione. Se l'avesse fatto, molto probabilmente, la stilista avrebbe iniziato un monologo senza fine, aggiungendo insulti e lamentele a fatti e avvenimenti di anni prima che non avevano un nesso logico con la sfilata della giornata.
Bastò un'occhiata e la stilista gli lesse nel pensiero.
«Non mi interessa se gli invitati sono già alla location. Non voglio farlo. La collezione non mi rappresenta.»
«Non è vero. Ti rappresenta eccome. Hai scritto un discorso fantastico e se non la sentissi come tua non saresti riuscita a scrivere due righe.»
Kaya trattenne il respiro. Non era stato Bob a parlare, nemmeno la donna delle pulizie che aveva appena tirato un urlo alla vista del serpente che si era fatta regalare da Victoria.
Hoseok avanzò dalla ragazza che finse di non essere scossa dalla sua presenza. Incrociò le braccia al petto e si mise fra lei e la vista del parco.
Un sorrisetto si fece spazio sulle labbra perchè si accorse che stesse cercando in tutti i modi di non toccargli il completo della sua collezione che stava indossando, il suo preferito, con una frase motivazionale che partiva dal collo e proseguiva fino al termine della schiena che recitava proprio ciò che Kaya aveva bisogno di sentire, ovvero di non avere paura del cambiamento, che sarebbe andato tutto bene e che ci sarebbero sempre state tante persone a sostenerla, tra cui lui. Non sarebbe mai stata sola. Doveva solo ricominciare a fidarsi.
La stilista non resistette. Si alzò e sistemò il colletto della camicia, evitando il contatto visivo che l'avrebbe messa a disagio. Buttò quindi l'occhio sulla cintura che stringeva in vita. Si soffermò sulle KT che facevano parte del suo marchio, ma rabbrividì al fiato caldo di Hoseok che sbattè sul collo nudo.
«Come stai? Non ci vediamo da tanto...»
Kaya lo spinse via sorpassando anche Bob «come vuoi che stia? sono incazzata come non mai.»
Hoseok sorrise. «E io sono sempre meraviglioso, quindi nessuno di noi è cambiato. Tu come stai, Bob? Scopi ancora con Vicky?»
Bob arrossì ed asciugò ogni singola goccia di sudore dal viso.
«Immaginavo» continuò Hoseok, prima di tornare a dedicare la piena attenzione alla stilista che sparì in camera dal letto.
Infilò le mani in tasca e si guardò intorno. L'aria profumava di ammorbidente e la signora delle pulizie scappò dalla stanza con in mano il detersivo.
Trovò Kaya seduta a gambe incrociate sul letto. Il muso lungo e tutta l'aria che non gradisse molto la sua presenza.
«Perché ignori le mie chiamate?» le chiese dunque di getto, beccandosi, in risposta, un cuscino dritto in faccia.
«Perchè sei uno stronzo.» gli lanciò anche il secondo e terzo cuscino. «Credi che sia stupida? Con chi credi di avere a che fare?»
Il modello assunse un'espressione perplessa. Il modo in cui Kaya lo guardava era spaventoso e per un istante si preoccupò della sua vita. Non aveva idea di cosa avesse combinato, perciò ebbe il coraggio di chiederlo trovandosi, di punto in bianco, sdraiato sul materasso.
«Mi chiedi di vederci dopo che ti fotografano con un'altra? Mi dispiace, hai capito male, non sono tipo da sveltine!»
Hoseok schiuse la bocca non capendo nulla e Kaya, sopra di lui, se ne accorse.
Lo liberò per prendere il cellulare e mostrargli a un centimetro dalla faccia la foto con la modella nel magazine di gossip.
Arricciò le labbra disgustata «Sei pure un traditore. Mi fai vomitar-»
Le parole morirono in gola perchè Hoseok le rise in faccia. Continuò a lungo. Una mano sulla pancia e l'altra fra i capelli pettinati all'indietro.
«Non è possibile.» disse fra le risate «Sei gelosa, Kaya-chan?»
«Non è questione di gelosia!» la stilista ribatté con le guance in fiamme «è che non sono disposta a fare la parte dell'amante. Non è corrett-»
Non riuscì ancora a finire.
Le labbra di Hoseok premettero sulle sue e per quanto fosse tentata di spingerlo via, non lo fece ma si gustò quella bocca invitante che aveva sognato di ribaciare innumerevoli notti.
Il modello si staccò per primo. Le scompigliò appena i capelli lisci e si piegò per guardarla bene in volto.
«Non è la mia ragazza» confessò e Kaya si sentì leggera come una farfalla «è mia sorella, Jiwoo.»
La stilista non seppe cosa dire. Il suo corpo parlava chiaro ed Hoseok non poté fare a meno di sorridere leccando lo swarovski sul dente.
«Vuoi sapere una cosa? la mia autostima è appena aumentata, di nuovo.»
Kaya fece un colpo di tosse chiaramente a disagio.
«Perché?»
«Perché ho appena rubato il cuore alla stilista più stronza in circolazione.»
«Non è vero» lo sorpassò, ma sorrise quando Hoseok le impedì di scappare abbracciandola da dietro. Appoggiò il mento sulla sua spalla e la strinse. Giurò di averlo sentito mormorare uno scusa per non essersi fatto sentire prima. Se l'avesse fatto, si sarebbero subito chiariti e non avrebbero fatto disperare il povero Bob.
«Bob è forte» Kaya agitò una mano al vento «ci vuole ben altro per metterlo ko»
«Tipo sapere che Victoria Robinson è incinta.»
«INCINTA?»
«Glielo diciamo dopo la sfilata, che ne dici?»
Non sono brava a fare gli angoli autrice quindi vi chiedo solo se vi è piaciuta e se vi aspettavate una one shot di questo tipo! L'idea come alcuni di voi già sanno è iniziata con una chat con @Vex-xeV e una moodboard se non ricordo male e così, piano piano, mi sono messa a scrivere di Hobi versione modello e di Kaya Takeichi :)
Lascio la parola a voi, sono tutta orecchie!
Ci risentiamo con la prossima one shot nella lista, FOOLS in cui il protagonista sarà Yoongi :)
A presto!
Stella
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top