XXXVII-La Promessa (part 2)

CAMERON

Io e Maison, restiamo in macchina ad attendere che il penitenziario apra le porte al pubblico.
Il clima fuori dall'abitacolo è algido stamane, così per non intirizzirci, avvio il dispositivo per l'aria calda. Metto un po' di musica in sottofondo e, vuoi per il freddo e per la stanchezza, cadiamo in un sonno ristoratore. Che poco dopo, viene interrotto dall' insistente bussare di un poliziotto sul finestrino. Facendoci trasalire di colpo. Quando tiro giù per sentire cosa vuole e dargli eventuali spiegazioni, mi vedo un' arma puntata nella mia direzione. E che gli agenti sono in due.
« Cosa ci fate fermi qua e con il motore acceso, peraltro. Scendete subito dalla macchina» Ci intima. Facciamo come ci dice.
Una volta fuori l' abitacolo, veniamo perquisiti, l' altro, con tono autoritario:
« Favorite i documenti! E tirateli fuori lentamente! »
« Mi scusi agente! Mi chiamo Cameron Breft e lui è Maison Carter, stiamo solo aspettando che aprano i cancelli per entrare. Vede, la mia compagna è... mio figlio è con lei e io sono venuto a riprenderlo!»
Intanto Maison, che non ha gradito l' atteggiamento del poliziotto, espone le sue lamentele.
« Ehi! Calma! Il mio amico le ha appena riferito il motivo per il quale ci troviamo qui, mi sembra eccessivo puntarci delle pistole in faccia e trattarci come fossimo due criminali!»
L' agente di custodia, lo fissa in malo modo, mentre attende di parlare con la centrale dalla ricetrasmittente, che indossa sopra la spalla.
« Faccia silenzio lei!»
« Sei impazzito?! Vuoi farci arrestare per caso? Vuoi stare un po' zitto!» declamo a voce bassa.
Nel contempo, uno dei due agenti, dopo aver avuto informazioni positive sul nostro conto, ci rende i nostri documenti affermando:
« Potete andare! Buona giornata signori!»
Maison, li fissa contrariato mentre si allontanano.
Intanto, giunge il momento dell' apertura dei cancelli. Comunico al mio amico.
«

Io vado! Vieni con me o preferisci rimanere in macchina?»
« Ti aspetto qui!»
Annuisco e mi avvio. Faccio la fila attendendo il mio turno.
Subito dopo l' accesso di tre visitatori, tocca ad un altro gruppetto, all' interno del quale ci sto io. Mi viene fatto cenno di avanzare. Il caso volle che il poliziotto che mi deve condurre in parlatorio, fosse lo stesso di poco prima. Il suo disagio è tangibile.
« Aspetti qui la detenuta!»
« Va bene! »
Nell' attesa penso " Spero che insieme a mio figlio, ci sia anche Bridget. Sarà un' occasione per rivederla... un' ultima volta!"
Improvvisamente, si disserra la porta e ne viene fuori un agente di custodia donna, che tiene il bambino all' interno del trasportino. " Purtroppo lei non c'è, non è venuta... Non glielo hanno permesso!"

L' agente mi porge mio figlio, insieme a un borsone contenente tutte le sue cose, preparato da sua madre.
Afflitto, le rivolgo un saluto e esco fuori dal penitenziario.
Raggiungo il più in fretta possibile la macchina, non voglio che prenda freddo. Maison, quando mi avvista, apre la portiera per sistemare mio figlio sul sedile posteriore. Si mette alla guida, mentre io vado a sedermi dietro con il bambino.
Osservo Maison che mi osserva dallo specchietto retrovisore, dalla mia espressione rammaricata, intuisce che non ho visto Bridget. Prorompe nel silenzio dell' abitacolo.
« Non l' hai... ( si schiarisce la voce) Non l' hai vista non è vero ?»
« Purtroppo no! È stata un' agente donna, a riportarmi mio figlio! Ho sperato di poterla rivedere! Ma io non mi arrendo! Semmai ci riuscissi, potrebbe essere l' ultima volta, Maison! »
Il mio amico distoglie lo sguardo dallo specchietto, per seguire la strada che stiamo percorrendo. Ma non è solo questo il motivo, so che ha dei sensi di colpa a proposito dell' indagine svolta per conto suo.
« Mi dispiace amico mio! Se io... »
« Piantala Maison! Ti ho già spiegato che ha scelto lei di costituirsi! E non per paura che tu la denunciassi alle autorità, ma perché, seppur serena, la vita che stava conducendo era da reclusa. E poi non voleva più mentirmi»

MAISON

"Povero Cameron, vorrei poter fare, o dire qualcosa che possa farti stare meglio, ma proprio non saprei cosa! Non posso dichiarare con certezza che la rivedrai, ne tanto meno che non la condanneranno".
I sensi di colpa mi divorano! Penso se mi fossi impicciato dei fatti miei, sarebbero insieme. Ma è anche vero che lei ha procurato tanto male. E dietro di sé, ha lasciato una scia di sangue.
Adesso comunque la priorità è di Cameron, ora che ci siamo riappacificati, gli starò vicino per non farlo sentire troppo solo e per non fargli sentire la mancanza della sua Bridget.

Seguito ad osservarlo dallo specchietto, mentre conduco l' auto, notando che è molto cambiato. In questi anni vissuti con lei e la nascita di suo figlio.
Lo vedo alternarsi fra, il perdersi nei suoi pensieri e brevi sorrisi quando guarda il suo bambino.
" Io ho già provato questa gioia, la prima volta, e le successive due ! Katrhina, mi ha lasciato e li portati con sé! Crescendo, me li metterà contro! Non mi resta più niente! Ho solo il mio amico Cameron!"
« Non si sa ancora, quando le faranno il processo? »
« No, stamattina aspetto la chiamata del suo avvocato, se non lo fa lui, lo chiamerò io? È una vera tortura non sapere niente sulla sorte della donna che ami! »
« Già!»
Dopo un lungo tragitto in macchina, finalmente, siamo a casa. Prima di scendere dall' auto, si assicura che il piccolo sia abbastanza coperto, aperta la portiera, Cameron, si avvia al portone d'ingresso. per fortuna ha dormito tutto il tempo.
Entrando in casa, si dirige nella stanzetta del figlio, adagiandolo nella sua culla. Io lo seguo, qualora necessitasse di aiuto, ammirando che la cameretta dispone di elementi e oggetti adatti a un bambino di quell' età. Rigorosamente, di un tenue celeste. Con le pareti che raffigurano l' ambiente spaziale. Con stampe di colorati pianeti e piccoli razzi.

Mentre socchiude la porta, enuncio:
« Carina la cameretta! Specialmente le pareti, chissà che non diventi un astronauta da grande!»
Sorridendo, ci avviamo in cucina, mentre mi comunica:
« È stata un' idea di Bridget!»
« Ti va un caffè ? No, perché io ne ho proprio bisogno! » Afferma risoluto.
« Certo! »
Ci mettiamo seduti, sui sedili alti di legno massiccio, componenti della cucina bianca laccata, che comprende una confortevole penisola.
Appoggiato allo schienale della seduta, inaspettatamente, Cameron, tira fuori tutta l' angoscia che lo pervade. Mentre i suoi occhi diventano lucidi. Apprensivo gli chiedo:
« Cos' hai? Non stai bene?»
« Per niente amico! Ma non sto avendo un attacco di cuore, tranquillizzati! È che ho paura! Non so se ce la faccio a crescere Jason da solo! »
« Cameron! Tu non sei solo! Non sarà facile lo so, ma io ti darò una mano, lo sai che puoi sempre contare su di me per qualunque cosa! »
« Grazie Maison! Lo apprezzo davvero! »
Leggo la preoccupazione nei suoi occhi, teme di non essere in grado di gestire la situazione. Non lo lascerò solo in "quest'avventura"... è una promessa!

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