𝟣𝟢. 𝗶𝗹𝗹𝗶𝗰𝗶𝘁 𝗮𝗳𝗳𝗮𝗶𝗿𝘀
Rin tornò a casa con la testa più leggera dopo la breve, vaga conversazione con sua madre.
Ovviamente una piccola parte di lei si sentiva in colpa per aver dato speranze vane a quella povera donna; non sarebbe mai successo nulla di concreto con Dabi, nulla che potesse stare sotto la luce del sole, nulla che potesse essere mostrato con cieca devozione.
Se anche lui fosse stato in grado... No, se anche Rin fosse stata capace di legarsi a qualcuno, se lui l'avesse lasciata fare, avrebbe comunque dovuto dormire con un occhio aperto di fianco a lui.
Avrebbe dovuto osservare bene in ogni direzione prima di concedersi una qualunque tenerezza nei suoi confronti.
Non era quello che Rin desiderava: lei che anelava alla normalità e a una vita noiosa, tranquilla, non poteva tuffarsi di testa verso qualcosa di così disastroso e irregolare come Dabi.
Nonostante quell'istinto di tenersi alla larga, era combattuta anche dalla curiosità: chi era Dabi, come si era ridotto in quel modo, da dove veniva. Voleva sapere così tanto di lui, ma si stava lentamente rassegnando al fatto che non avrebbe saputo un bel niente di lui.
Forse per il suo stesso bene, perché sapere l'avrebbe resa ancora più curiosa, o forse per quello di Dabi.
Uscita dall'ascensore fece qualche rumoroso passo e infilò la chiave nella serratura della porta di casa sua; con un piccolo scatto, la porta si aprì.
Rin si trovò dinanzi Dabi: si era rimesso i suoi vestiti che Rin aveva gentilmente lavato quella notte passata in bianco.
Si stava per infilare gli stivali, ma venne subito distratto dalla figura di Rin che lo guardava dall'alto in basso, letteralmente.
Fu qualcosa di improvviso, fugace come una folata di vento; per un attimo, a Rin non sarebbe dispiaciuto affatto avere un segreto in più. Non le sarebbe dispiaciuto essere un altro segreto momentaneo, l'ennesima fiducia mal riposta, di Dabi.
Guardando in quelle pozze azzurre non vedeva altro che luoghi confusionari da esplorare, con la dedizione della sé bambina e la prudenza della sé adulta.
-Meno male che sono tornata in tempo. Altrimenti saresti scappato. -la sua espressione e neppure il suo tono tradirono alcuna emozione. Sembrava stesse parlando da sola.
-Me ne andrò lo stesso, non mi fermerai. -rispose lui, abbassando nuovamente lo sguardo. Fece per indossare davvero le scarpe, ma le mani di Rin lo fermarono.
Osservando bene, c'era un contrasto onestamente divertente tra le sue mani e quelle di Rin: quelle di lui erano callose, bruciate, più grandi e un po' rozze; quelle di lei erano ossute, delicate, callose seppur di meno rispetto a lui, e le sue unghie erano curate.
-Sì, invece. Ti fermerò. -Rin chiuse la porta dietro di sé, lentamente, come se si aspettasse che Dabi la fermasse.
Poi si sporse in avanti, verso di lui, leggermente. I capelli biondi con le punte blu caddero in avanti, solleticando la guancia di lui.
-E perché mai? Ti sei finalmente decisa ad arrestarmi? -fece un sorriso che non raggiunse mai i suoi occhi, tirando la pelle in un'espressione dolorosa.
-Non ne ho l'autorità, Dabi. Sono una hero, non una poliziotta. -biascicò poco convinta della sua stessa risposta.
-La tua ferita è ancora aperta. -Rin portò la mano destra vicino al suo viso, indicando la sua fronte, dove dei piccoli cerotti coprivano i punti di sutura rudimentali.
-Inoltre, dove pensi di andare? Sei ufficialmente ricercato adesso. -
Dabi la guardò in modo ostile; sentiva un odio particolare per il tono che stava usando con lui, il modo eccessivamente dolce in cui lo trattava. Non lo voleva, non era qualcosa che faceva per lui.
Cercò negli occhi di Rin per una qualunque traccia di menzogna, di bugie, ma niente; come la notte prima, in cui era sembrata dispiaciuta in modo genuino per essersi rifiutata di avvisarlo. Ancora valutata più il suo lavoro, la sua posizione, rispetto a Dabi.
Rin aveva ancora troppo tra le mani; tante cose che lei pensava di non meritarsi, e Dabi non poteva darle torto. Le avrebbe tolto quelle cose dalle mani uno ad uno, aiutandola ad abbandonare il carico lungo la strada.
L'avrebbe odiato e forse allora non avrebbe più usato quel tono bonario con lui.
-Come se non lo sapessi. -scacciò via la mano di lei. -Mi arrangerò come al solito, Sasaki-kun. Troverò sicuramente qualche buco buio in cui strisciare e nascondermi. -
-Oppure puoi rimanere qui. -insistette lei, in piedi davanti alla porta, nella sua modesta altezza aggiunta ai geta di legno scuro.
-Levati di torno, bambola. -
Rin scosse la testa.
-Preferirei che tu restassi. -
-Perché? Così puoi interrogarmi? Vuoi tenermi lontano da ciò che mi tocca fare? -era irritato, ed era diventato aggressivo. Era il modo più efficiente per farsi ascoltare, pensò. Lo stadio successivo erano le minacce con tanto di dimostrazione.
-No. Vorrei solo che tu mi tenessi compagnia ancora per un po'. -Rin teneva le mani sul grembo, le dita intrecciate senza forza tra loro.
-Non devi andartene. Non mi fido ancora di te, ma mi fido davvero di qualcuno? -gli regalò un sorriso veloce, speranzoso; si spense subito dopo, contemporaneamente alla realizzazione di quello che stava chiedendo.
Chiedeva così poco eppure così tanto. Non era così semplice come avrebbe voluto.
-Hai scelto la persona sbagliata a cui cercare di vendere la tua fiducia, Sasaki-kun. -Dabi si alzò in piedi e fece un paio di passi pigri verso di lei. Nuovamente più alto di lei, la squadrò ancora, nel suo kimono, dalla testa ai piedi.
Rin fece un passo indietro ma la sua posizione non cambiò molto.
Lui posò una mano sulla porta chiusa, intrappolando la ragazza tra sé stesso e il muro.
-Vendere? Non credo sia il termine più adatto. -
-Lo è eccome. -la mano libera di lui si avvicinò al viso di Rin, ma si tenne a distanza dalla sua pelle. Invece, prese a rigirarsi una ciocca bionda e blu tra le dita.
-Vuoi che compri la tua fiducia, con la mia compagnia, qualcosa di nuovo, qualcosa di interessante, una nuova prospettiva in cui tu non sei più nel torto, vero? O forse vuoi che la rubi? -
Rin abbassò lo sguardo, sconfitta. Era davvero imbarazzante come lui fosse stato in grado di capire; eppure Rin non ne era stupita, forse perché aveva sperato che lui capisse.
-Forse. Fai come più ti piace, mi basta solo che ci provi. -Rin aveva fatto un altro passo indietro, e si era ritrovata con la schiena appiattita contro la porta.
In compenso, lui aveva fatto un passo avanti ed era estremamente vicino, con l'avambraccio destro del tutto poggiato contro la porta e la mano sinistra ancora a giocare con una ciocca di capelli.
-Quanto sei patetica. -la derise con quel suo ghigno antipatico e il tono canzonatorio.
Dabi portò il viso vicino a quello di Rin, attento a non toccarla.
-Ti piace da morire, ammettilo. -Rin si sforzò di simulare un tono scherzoso. Era nervosa a causa di quella vicinanza, stranamente intima per quanto fosse con uno sconosciuto.
-A quale uomo non piacerebbe una cosina come te, tutta sola e tanto disperata? Vestita così è ancora meglio, sai? -
Rin trovò buffo il fatto che lei era costretta a reclinare la testa per poterlo guardare negli occhi, mentre lui doveva per forza abbassarla per mantenere il contatto visivo.
L'espressione di lei era neutrale, come al solito, ma era morbida; velata da un sottile strato di bizzarra tenerezza, interesse, bisogno.
-Sei disgustoso. -entrambe le mani di Rin si posarono sulle spalle di Dabi, ma non lo spinsero o avvicinarono. Erano più una precauzione.
Erano già così vicini, così tanto che Rin colse l'occasione per strofinare il naso contro quello di lui; una cosa che aveva visto fare milioni di volte ai suoi genitori, e che lei aveva sempre voluto replicare con qualcuno, chiunque.
-Ti piace da morire. -replicò lui, imitando le sue parole da poco prima.
Il gesto quasi innocuo di Rin lo lasciò esterrefatto, ma non lo diede a vedere.
Così eccessivamente tenero, così inutile, così evitabile. Odiava quel tipo di gesti, per di più ora che Rin l'aveva dato via con noncuranza.
-Allora ho vinto io, resti. -
-Posso sempre andarmene, non sei abbastanza forte per fermarmi. -
┉┉┉
Rin non aveva trovato la voglia di cambiarsi; era rimasta con il kimono addosso, seduta sulla sua poltrona mentre lui mangiava il suo pranzo in ritardo.
Dapprima, Rin era rimasta stupita dal sapere che l'idiota non aveva fatto come se fosse a casa sua (come al solito, d'altronde); dopo avergli chiesto mille volte perché, lui aveva risposto a mezza voce, irritato e forse anche imbarazzato, che non sapeva usare i fornelli. Specificatamente quelli di Rin, perché "sono cose complicate da ricconi".
Lo sforzo più grande era stato non ridere e non prenderlo in giro.
Alla fine lei gli aveva solo spiegato come far funzionare il piano cottura, e l'aveva lasciato fare sperando di ritrovare la cucina tutta intera.
In silenzio assoluto, ancora imbarazzato o semplicemente stanco, Dabi si era seduto al solito punto, davanti al tavolino da caffè, con un piatto di cibo bruciacchiato e una birra.
-Sei davvero andata a trovare i tuoi? -le chiese ad un tratto, con la bocca piena.
Rin si rifiutava categoricamente di credere che il suo nome fosse davvero Dabi e che i suoi modi fossero davvero così rozzi; sicuramente lo faceva di proposito.
E non aveva tutti i torti; nato in una famiglia benestante non poteva che aver ricevuto una buona educazione, ma, detto in parole povere, non gliene fotteva più un cazzo.
-O era solo una scusa per chiudermi qui da solo mentre tu andavi a divertirti? -
-Secondo te avrei indossato il mio kimono per uscire a fare baldoria? In più, pensavo di essere stata chiara sul fatto che non mi piace quel tipo di divertimento. -piccola bugia, dato che aveva accettato volentieri quella piccola pausa fuori strada settimane prima, con lui, allo Scarlet Geisha's Lair.
-Certo che sono andata a trovare i miei genitori. -
Rin portò le mani sull'obi grigio scuro con i dettagli neri; slacciò l'obishima e gli altri nastrini che tenevano l'abito chiuso attorno alla vita.
Ripiegò quegli accessori con calma.
-Vivono lontano? -Dabi prese un sorso di birra, tentando di nascondere con la bottiglia il modo in cui i suoi occhi si erano soffermati sui movimenti di Rin.
Le sue mani che tiravano e sfilavano via i laccetti e i nastri, che li ripiegavano; e infine la disinvoltura nel modo in cui teneva il kimono chiuso sul petto con la mano destra.
-Sono ricoverati entrambi in una clinica. -rispose con calma.
Rin afferrò il pacchetto di sigarette, che al solito Dabi aveva lasciato sul tavolinetto, e ne tirò fuori una. La porse a Dabi, silenziosamente chiededendogli di accenderla.
E così lui fece, distrattamente allungando una mano, una fiamma blu gli danzò sul palmo.
-Interessante. -rispose con poco interesse.
-Mamma si butta giù troppo facilmente, e crede ciecamente alle superstizioni. Soffre di diabete, ma è lì principalmente per farla stare più tranquilla. -Rin percepiva chiaramente come a Dabi non ne fregasse un cazzo. Mangiava tranquillo, sorseggiava la sua birra mentre lei fumava, alternando lo sguardo insopportabile tra gli occhi di lei e la scollatura del kimono aperto senza tante cerimonie.
Però, di tornare dalla sua terapista Rin non ne aveva voglia; quindi decise di accontentarsi di Dabi.
-Papà invece... Lui è così solo. Ho preso tutto da lui, tranne un quirk utile. L'infermiere che si prende cura di lui mi ha detto che passa molto del suo tempo davanti alla finestra. Legge sempre le stesse poesie di Nakahara Chūya che piacevano a mio fratello. -
Dabi si sforzò di recepire le parole di Rin; davvero, ci provò, ma per quanto intime, erano noiose. Erano fuori luogo. L'aveva per caso scambiato per il suo psicologo?
-Avevi un fratello, quindi? -chiese con noncuranza. Era la seconda volta, a pensarci bene, che Rin usava il passato per riferirsi a quel ragazzo.
Rin annuì.
-Kazuna. Le magliette che ti ho prestato erano sue. -si rilassò sulla poltrona, poggiando la testa sullo schienale.
-Fico. Ascoltava buona musica. -finì il suo pranzo e spinse il piatto di lato.
Decise di finire la birra, e una volta svuotata la bottiglia avrebbe provato a schiodare nuovamente, sempre se quella donna molesta gliel'avesse permesso.
-Non so, non ascolto musica quasi mai. Non mi interessa granché. -
Dabi fece una smorfia di disappunto.
-Se potessi l'ascolterei sempre. -
-Beh, fallo. Chi ti ferma? -Rin scrollò le spalle e si piegò in avanti per spegnere il mozzicone di sigaretta nel posacenere.
-Ho molte cose da fare. -
-Giusto. -Rin trattenne l'impulso di alzare gli occhi al cielo. Se le cose da fare erano strisciare tra i vicoli bui di quartieri poco raccomandabili, rapire studenti e dare fuoco ad edifici allora sì, Dabi doveva essere sicuramente molto impegnato.
-Cosa fate esattamente voi dell'Unione dei Villain? -chiese con una punta mal celata di curiosità.
Dabi la guardò di traverso ma non rispose, limitandosi a sorseggiare la sua bevanda.
-Scusa, riformulo la domanda. -sbuffò sarcasticamente. -Per cosa combattete? Quali sono i vostri ideali? -
-Sei interessata ad unirti, bambola? Dubito vorranno attorno uno dei buffoni che ci ha attaccato. -rispose lui con altrettanto sarcasmo.
-La mia era una domanda lecita. Voglio sapere qual è il vostro scopo, spiegamelo. Sono curiosa e basa. -Rin disse la verità; era ciò che più di convincente, e giusto, poteva dire.
Sapere qualcosa del genere, il punto di vista di quelli che una volta scartati dalla società avevano preso la loro vita in mani sanguinanti, sembrava allettante. Rin non era solo curiosa, aveva quasi bisogno di sentire un ideale forte, non traballante come il suo, perciò sperò che almeno quella banda di sciagurati avesse qualcosa in più da offrirle: magari per convincerla a fare il suo mestiere da hero per bene.
-Io mi sono unito solo perché ho saputo che Stain l'elimina-eroi era loro alleato, prima di essere catturato. -Dabi finì la birra e poggiò la bottiglia di lato, accanto al piatto, attento a tenerla ben lontana dai nastri e dal tessuto che Rin aveva posato sul tavolo.
-Credo nei suoi ideali e voglio realizzarli. -
-Oh, l'elimina-eroi... -lo sguardo di Rin si rabbuiò a quella menzione.
Rin non aveva mai temuto quel villain; non perché credeva di essere un'eroina degna, anzi lei era convinta del contrario. Pensava che se l'elimina-eroi avesse deciso di prendere lei di mira, non si sarebbe opposta. Lei era tutto tranne che un vero e degno hero.
-Beh, come darti torto. Ci sono tanti dei suoi simpatizzanti in giro e con la sua cattura e l'affiliazione all'Unione, le acque si sono smosse. -
-Tu sei una di quei simpatizzanti, vero? -Dabi posò un gomito sul tavolo, e portò il mento sul palmo della mano. Il suo sguardo su di lei era inquisitorio.
-In un certo senso sì. -rispose vaga.
-So personalmente che molti eroi non sono altro che falsi e ipocriti... Lo sono anche io, per cui Stain avrebbe avuto tutto il diritto di farmi fuori ma non sono abbastanza importante neppure per quello... -
-Certo che hai un'opinione molto alta di te stessa... -Dabi le disse con un velo di ironia.
-Invece, che mi dici del resto dell'Unione? Dubito siate tutti lì per l'ideologia di Stain. -
-Libertà, bambola. -fu più che sufficiente come risposta.
-Capisco. -Rin decise di mettere una piccola pausa alla conversazione ma la sua curiosità ebbe la meglio.
-Cosa farete adesso che avete perso il vostro leader? -
-Non sono cazzi tuoi, temo. -prese a picchiettare sul tavolino di vetro con le dita.
-La mia è pura e personale curiosità, Dabi. -Rin aveva già ribadito che l'unico motivo per cui aveva preso parte all'operazione di Kamino, era il ragazzino dello UA. Non aveva bisogno di ripeterlo, o sarebbe suonata meno convincente.
-Tutto quello che uscirà fuori in questi incontri rimarrà un mio segreto. Verrei arrestata se si venisse a sapere che nascondo un villain, quindi sarebbe un problema anche per me. -
Lui si alzò dal punto del pavimento in cui era stato seduto fino ad allora. Fece il giro attorno al tavolo, per andarsi ad appostare dietro la poltrona su cui Rin era comodamente sprofondata; percepì chiaramente il modo in cui si era messa sull'attenti quando lui era passato dietro di lei.
Le sue mani ruvide si posarono sulle spalle di lei, scoperte dato che il tessuto del kimono era caduto da un bel po'; ormai, la ragazza lo teneva chiuso saldamente solo sul petto.
Sentì come si irriggidì; la sua pelle era fredda al tatto, probabilmente a causa della finestra aperta. Guardando fuori, si accorse che aveva iniziato a piovere; Dabi si disse che se ne sarebbe andato una volta che avesse smesso, allora.
-Potrei essere io a ucciderti, sai? -le disse con un tono vellutato totalmente discostante dalle parole affilate. -Io porterò avanti gli ideali di Stain, e sono sicuro che lui avrebbe eliminato un piccolo elemento insulso come te. -
Rin rabbrividì: un po' per il freddo che entrava nel salito dalla finestra, ma maggiormente per le mani calde di lui contro la pelle gelida delle sue spalle.
Piano piano, le sue mani scivolarono in su, avvolgendosi attorno al collo di Rin con facilità. Non si mosse e non disse nulla.
-Ma c'è di peggio, non trovi? Tu hai almeno la decenza di ammettere che non vali niente. Invece il resto degli ipocriti è convinto di essere migliore di tutti gli altri. -
Dabi strinse leggermente le dita attorno al collo di Rin. Sentiva il battito cardiaco lievemente accelerato, e il suo respiro era diventato un po' più rumoroso; ma non era altro che il nervosismo, l'ansia della situazione precaria, perché lui non la stava stringendo in modo pericoloso.
Rin piegò il collo indietro, alzando lo sguardo su di lui.
-Non posso darti torto, ma ti prego di non darti tante arie. Neanche tu sei meglio di me. -
Le mani di lui scivolarono nuovamente verso il basso, stringendo lievemente le spalle di Rin, passando poi al tessuto che si stringeva gelosamente addosso.
-Non sono io quello che si aggrappa ancora all'idea falsa di eroe. -
Rin sospirò. Era tardi per buttarlo fuori di casa a calci in culo?
Ma aveva ragione, in ogni caso.
-Comunque me ne vado. Ti ho importunato abbastanza al momento. -mollò la presa sulla stoffa del suo abito, dopo svariati odiosi ma discreti tentativi di abbassarla.
-Fa come vuoi. -Rin scrollò le spalle e si alzò dalla poltrona.
Seguì Dabi all'ingresso, dove indossò nuovamente il cappotto con gli orli lacerati e gli stivali.
-Ma chiamami se vuoi venire qui. Non ho voglia di far sostituire la serratura un'altra volta. -lo riproverò con tono calmo.
-Non posso, non ho più il cellulare di prima. -
-Come mai? -
-L'ho distrutto a Kamino. Ero incazzato. -rispose Dabi come se fosse la cosa più naturale e ovvia del mondo. Era così distruttivo, così odioso, così invidiabile.
Rin lo osservò interdetta.
-Beh... Comunque sai dove trovarmi. -
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