𝟢𝟫. 𝗴𝗮𝗿𝗱𝗲𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗴


Settembre aveva portato con sé l'autunno, e il suo grigiore fresco e piacevole. Era la stagione preferita in assoluto di Rin, anche se sarebbe potuta sembrare triste a chiunque altro.

Il sabato mattina aveva un'atmosfera diversa, adesso che Rin non era più completamente sola. Non era in grado di indicare esattamente cosa fosse diverso, ma era una bella sensazione lanciare qualche sguardo a Dabi, steso sul divano, ogni volta che passava davanti alla porta del salotto.

Finì di annodarsi l'obi beige attorno alla vita. Rivolse un'occhiata allo specchio, per controllare che il furisode fosse impeccabilmente sistemato, proprio come le era stato insegnato da bambina.

Una lievissima pioggerellina batteva al vetro delle finestre, e l'aroma di tè aveva impregnato l'aria dell'appartamento. A dire il vero, l'odore cambiava da stanza a stanza: le pareti bianche della cucina si erano gentilmente mescolate al profumo di dashimaki; il bagnoschiuma preferito di Rin, quello al muschio bianco, sambuco e glicine, profumava il bagno principale; e la camera da letto di Rin odorava di tabacco, lenzuola pulite, mentre il salotto, nel corso dell'ultima settimana, aveva assunto l'odore di bruciato di Dabi che, purché abbastanza spiacevole, la ragazza ignorava.

-Dove vai vestita così? -seppur assonnato, il tono di Dabi non nascondeva la sua curiosità.
Una mano poggiava sul lato della porta, mentre con l'altra si strofinò gli occhi, tentando di scacciare via il sonno.

-Vado a trovare i miei genitori. -gli disse Rin, con un sorriso sulle labbra.
Dabi aveva passato la notte lì con lei. Non esattamente con lei.
Dagli eventi di Kamino erano passate a stento cinque ore, ma lui non aveva lasciato l'appartamento. Senza che Rin gli dicesse nulla, si era andato a stendere sul divano dopo la loro conversazione e si era addormentato poco dopo nonostante la posizione scomoda.

Si concentrò nuovamente sul proprio riflesso: i capelli erano sciolti, come al solito. Le punte blu contrastavano con la stoffa nera del suo abito tradizionale.

-E perché il kimono? -la squadrò ancora una volta dalla testa ai piedi, adesso che riusciva nuovamente a pensare senza rischiare di addormentarsi.
Era presto: circa le otto del mattino.

-Mia madre è una persona che tiene alle tradizioni, e le piace quando indosso il kimono. -si pettinò i capelli con le dita.
Momoko Sasaki era una donna dalla corporatura non esile ma neppure robusta, una massa di capelli biondi e gli occhi color del miele. Veniva da una famiglia ricca, ed aveva il portamento di una nobile. "Di classe ma affettuosa" era il modo più corretto per definirla; era socievole e allegra, e nonostante Rin avesse preso perlopiù da lei in quanto ad aspetto, aveva gli occhi e il carattere del padre.
Al contrario della moglie, Josuke Sasaki era un uomo schivo ed introverso, incurante del parere altrui o delle tradizioni. Lui era stato un Hero, ormai ritirato da diversi anni. Rin era sempre andata più d'accordo con suo padre.
Il sogno di bambina di Rin era di avere un amore come quello dei suoi genitori: nonostante le differenze di carattere si amavano, tanto.

-Quindi se sapesse che tieni un villain in casa, un uomo per di più, non ne sarebbe felice, vero? -Dabi ridacchiò, mettendo enfasi sulla parola "uomo".
Entrò in bagno e si appoggiò alla superficie fredda e umida del lavandino; dava le spalle allo specchio, continuando a squadrare Rin dalla testa ai piedi.

In vita sua, lui aveva indossato gli abiti tradizionali solamente una volta: quando ancora il suo fratellino più piccolo, Shoto, non era nato. Sua madre, Rei aveva insistito per portare i suoi tre piccoli a vedere lo spettacolo dei fuochi d'artificio di capodanno. Era un bel contrasto, tutto sommato, quello delle luci sfavillanti in cielo, mentre cadeva la neve sottile sulle loro teste.
Il kimono di Tōya era blu... O forse azzurro o grigio, non ricordava bene quel dettaglio. Però ricordava che Fuyumi ne aveva uno rosa, Natsuo uno rosso e sua madre uno grigio chiaro. C'era anche suo padre, ne era sicuro, tuttavia non aveva neppure voglia di sforzarsi a ricordarlo.
In quel periodo, i capelli di Tōya avevano cominciato a crescere sempre più chiari fino a diventare bianchi; sulla sua pelle si erano formate le prime scottature rossastre, ma lui ancora non si era arreso. Non aveva smesso di voler diventare un eroe.

Scacciò quei pensieri più lontano che poteva. Sapendo di dover rimanere solo, era controproducente rimuginare sul passato. Sarebbe tornato a dormire o avrebbe guardato la televisione per informarsi sulla notte prima.

-Smettila! -bofonchiò Rin, stendendosi sulle labbra un rossetto praticamente nude, ma che si intonava con le tonalità autunnali del kimono. -Per mia madre è già abbastanza il fatto che sono in età da marito e ancora non ho nessuno. Se venisse a scoprire che tengo in casa un uomo non mi rivolgerebbe più la parola. -disse quelle parole con un sorriso vago, anche sapendo che c'era un fondo di verità. Momoko amava sua figlia e Rin sapeva che voleva solo il meglio per lei... Ma i suoi metodi per farglielo capire lasciavano a desiderare.

-Sarebbe divertente vederti diseredata. -la canzonò lui, sbadigliando a metà frase.

-Che gran simpaticone. -Rin diede una sistemata veloce ai prodotti e ai trucchi che aveva usato. Aveva sprecato così tanto correttore per coprire le occhiaie violacee che si erano formate sul suo viso; quella notte, nonostante fosse stata tranquilla una volta tornata a casa, non aveva chiuso occhio. La sua mente continuava a vagare, spesse volte finendo a Dabi che dormiva sul divano con un leggero russare.
Spinse Dabi fuori dal bagno e anche lei uscì.

-Grazie. Modestamente è uno dei miei tanti pregi. -se avesse voluto, avrebbe potuto piantare i piedi per terra e non muoversi affatto. Ma la lasciò fare, facendosi spingere lungo il corridoio, fino in cucina. Un profumino invitante impegnava l'aria, ma si stava estinguendo: dei pancake dall'aspetto invitante aspettavano che qualcuno li mangiasse, messi in bella vista su un piatto al centro del tavolo.
-Aw, adesso mi prepari anche la colazione? -

-No, quelli sono i pancake che non mi andava di mangiare. -rispose Rin. In effetti era la verità, ma aveva fatto un po' troppo impasto quasi d'impulso.

Dabi si sedette al tavolo, tirando a sé il piatto.
-Quando tornerai? -le chiese con la bocca piena. Questo non l'avrebbe mai detto a Rin, ma erano davvero buoni.

-Dopo pranzo. -lei mise nella sua borsa il telefono, i suoi documenti personali, le chiavi di casa e il portafogli.
-Rimani. -gli disse distrattamente, quasi senza accorgersene.

-Non prometto nulla. -

┉┉┉

Rin prese un taxi quella mattina; guidare con il kimono era sempre una sfida per lei.
La prima fermata fu il fioraio, il solito in cui si fermava prima di ogni visita ai suoi genitori.
"Gerbere arancioni e gialle per la mamma, crisantemi verdi e rose bianche per papà."
Erano i loro preferiti.

Quella mattina l'odore di pioggia era ovunque.
A Rin non dispiaceva minimamente, poiché era lo stesso odore che spesso e volentieri suo padre aveva addosso: pioggia, tè verde e libri polverosi.

Una volta arrivata alla clinica, sistemò ancora il furisode nero e beige che indossava; non sarebbe stato piacevole dover ascoltare una tempesta di lamentele da parte di sua madre perché l'obi era lievemente storto.
Nonostante amasse sua madre con tutto il suo cuore, sopportare i suoi commenti poteva diventare troppo.
"Non tenere sempre quella faccia da morta! Sei bella quando sorridi!"
"Rin, quando ti sposerai? Voglio altri nipotini."
"Vuoi rimanere sola per sempre? Non sembra un futuro confortante."
Rimaneva comunque una persona che amava.

La clinica Fujitani era un edificio medico con molteplici reparti.
I genitori di Rin si trovavano entrambi ricoverati in quel posto: il padre si trovava nel reparto dedicato alla geriatria, mentre la madre era lì per il diabete, con cui aveva a che fare già da giovane.
Ricordava a memoria le coordinate per le loro stanze, dopo tutte le visite che aveva aveva fatto in quell'edificio: numero quarantatre e numero centodue.
I suoi geta di legno scuro battevano sul pavimento, facendo fin troppo rumore per i gusti di Rin.
Tra le mani, reggeva i due mazzi di fiori.
Conosceva bene i suoi genitori e sapeva che, in un modo diverso l'una dall'altro, i fiori li tiravano sù di morale.
Momoko amava avere dei fiori nella sua stanza, per renderla più ospitale, elegante.
Josuke, invece, amava il pensiero che gli rivolgevano le sue amate figlie.

Come durante ogni visita, Rin avrebbe sistemato i fiori per entrambi e li avrebbe portati a fare una passeggiata nel cortile. Poi sarebbero andati a pranzo nella mensa di quel posto; la clinica Fujitani era aperta a tutti, ma ciò non toglieva che c'erano anche stanze e agevolazioni per clienti paganti. I suoi genitori erano entrambi sistemati in stanze per cui Rin e sua sorella avevano pagato; per un attimo, la ragazza pensò a Dabi che l'avrebbe sicuramente chiamata snob per ciò.

Il pensiero di Dabi l'aveva distratta totalmente dal mondo circostante, tanto che si scontrò contro la spalla di una ragazza. Rin si volò subito verso la donna dai capelli bianchi e... Delle adorabili punte rosse. Sembrava avere la sua età.

-Scusami, ero sovrappensiero. -fece un piccolo inchino.

-No, no, scusami tu. Mi sarei dovuta spostare. -quella ragazza stringeva in mano i fiori blu elettrico che Rin immaginava, ma di cui non sapeva il nome. Quel profumo dolciastro le invase le narici ma quasi non sembrava lo stesso senza la puzza di bruciato ad accompagnarlo.
-Oh, ma tu sei Sasaki Rin! -disse la ragazza. Anche lei, come Rin, portava gli occhiali.

La bionda inclinò la testa con curiosità.
-Sì. Ci conosciamo? -

-Sono Todoroki Fuyumi. Da piccole eravamo vicine di casa, giocavamo assieme. -le rispose con un sorriso così caldo da farla quasi sciogliere.

Lo sguardo di Rin quasi si illuminò una volta che mise i pezzi assieme. Da quanto non vedeva Fuyumi? Possibile che non avessero più parlato dopo che si era trasferita?
-Fuyumi-kun? Oh, da quanto tempo. -le sorrise anche lei. Fermarsi a parlare con lei non sembrava una brutta idea, anzi, l'aveva già tirata un po' su di morale.

-Rin-chan, sei proprio cresciuta. Quasi non ti riconoscevo. -

-Anche tu... -tenne le mani unite vicine al basso ventre, si inchinò educatamente. -Come mai sei qui in clinica? -le chiese, speriamo di non sembrare inopportuna.

-Sono venuta a trovare mia madre. -rispose Fuyumi con un sorriso tranquillo. -Tu invece? -

-Sono qui per i miei genitori... Tua madre sta male? -Rin ricordava Rei Todoroki come una donna estremamente dolce e pacata; non aveva avuto modo di conoscerla a fondo, siccome gli unici contatti che aveva avuto con la famiglia Todoroki erano le sue ore di gioco con Fuyumi e due funerali, uno per il fratello maggiore di Rin e l'altro per il fratello maggiore di Fuyumi.

-Ora sta molto meglio, non preoccupartene. I tuoi invece, tutto a posto? -

Rin annuì.
-Mia madre è qui per tenere sotto controllo il diabete. Mio padre è vecchio e basta. -disse con un tono mezzo scherzoso.
-Posso farti una domanda Fuyumi-kun? -

-Sì? -la ragazza inclinò con curiosità negli occhi di un malinconico grigio.

-Come si chiamano quei fiori? -Rin indicò il mazzo di fiori blu elettrico tra le mani di lei. Erano rinsecchiti, i petali erano sgualciti e alcuni mancavano del tutto. Forse li stava andando a buttare, per sostituirli con un mazzo nuovo.
-Tempo fa ho sentito il loro profumo e l'ho riconosciuto ma non riesco a ricordarne il nome... -

-Sono genziane, o rindō. -le disse Fuyumi, subito dopo aver rivolto un'occhiata ai fiori, come se non ci avesse neanche presto attenzione prima della sua domanda.
-Sono i fiori preferiti della mamma. -

┉┉┉

Rin bussò lievemente alla porta della stanza numero quarantatre.
-Avanti! -una voce squillante e femminile rispose.

-Ciao mamma. -Rin rivolse un lieve sorriso alla donna dai capelli grigi, intenta a ricamare un disegno fantasioso, rivolta alla finestra.

-Oh, Rin tesoro! Non vieni da un po'. -le allargò un sorriso sul volto tondeggiante e rugoso nonostante le attente cure che la donna si riservava.
I capelli brizzolati erano raccolti in uno chignon ordinato.

-Non mi sono sentita bene ultimamente. -era una mezza bugia, ma era meglio di nulla.
Prese tra le mani il semplice vaso bianco che riposava sul comodino; i fiori che l'ultima volta aveva portato Honami, sua sorella maggiore, erano seccati quasi del tutto. Li gettò in un cestino fuori dalla stanza, apposito per i fiori e altri rifiuti che producevano odori sgradevoli; e riempì il vaso di acqua pulita, solo per infilare il nuovo mazzo colorato al posto di quello vecchio.
Finita quella semplice operazione, raggiunse sua madre.
L'abbracciò gentilmente e le posò un delicato bacio sulla fronte.

-Come ti senti oggi? -le rivolse nuovamente un sorriso, questa volta più sincero e luminoso. Le mancava la presenza assidua di sua madre: nonostante fosse difficile da sopportare alcune volte, era pur sempre colei che le dava buoni consigli e la faceva sentire amata.

-I dottori dicono che in questo periodo va benissimo. E io mi sento bene. -Momoko prese le mani sottili di Rin tra le sue, più consunte dalla vecchiaia. -Su su, andiamo! Non vedo l'ora di passare del tempo con tuo padre e te. -disse emozionata.

Rin adorava e ammirava come, nonostante tutti gli anni e le situazioni passate, sua madre e suo padre si amassero tantissimo.
Rin aiutò sua madre ad alzarsi, e la prese a braccetto, cosa che faceva molto felice l'anziana. La condusse fino alla stanza centodue.

Anche in quella camera, Rin si affrettò a cambiare i fiori.
Salutò suo padre Josuke e li accompagnò entrambi in cortile.

Le mancavano entrambi.
Le mancava tutto della sua vita.
Le mancava sè stessa.
Prima della carriera da eroina, prima dello UA, quando era ancora una bambina.
Molte delle persone che avevano visto crescere Rin le dicevano spesso che era cambiata. Che da piccola era socievole e parlava molto di più.
Crescere e cambiare è normale, ma Rin sembrava aver abbandonato la sua vecchia persona in una scatola di fotografie e ricordi. Forse era così, e a Rin andava bene.
Perché la sua vecchia sè piena di fiducia aveva subito fin troppo, ed era ora di lasciarla riposare.
Però avrebbe volentieri riavvolto il tempo, evitando tutto ciò che l'aveva portata a cambiare in maniera così drastica; tornare indietro a quando, prima di dormire, Josuke le raccontava delle sue giornate da hero o Momoko le cantava ninne nanne tradizionali.
Le mancava essere piccola, essere beatamente innocente, giocare con i bambini della sua età, trascorrere i pomeriggi in giardino e ogni tanto spiare il primogenito dei Todoroki mentre si allenava per diventare un eroe.
Ma tutte quelle cose erano andate, come un sogno molto bello durato troppo a lungo.

-Rin? -suo padre alzò lo sguardo verso di lei, concentrata chissà su cosa. Sicuramente non sul prato che fissava intensamente; Rin guardava ben oltre il prato verdeggiante e ben curato dal personale della clinica.

-Sì? -cacciò via i pensieri eccessivi; non voleva che quella piacevole giornata venisse rovinata da brutti ricordi o paure.

-Non racconti mai come va il tuo lavoro. Sono curioso! -le regalò un'espressione confortante e allegra, piegando le labbra screpolate in un sorriso gentile.

Josuke Sasaki era stato anche lui un eroe. Aveva un quirk che gli permetteva di manipolare una limitata quantità d'acqua.
Rin aveva ereditato, purtroppo, il quirk di Momoko. Tuttavia, Josuke aveva fatto di tutto pur di dare il miglior futuro possibile alle sue figlie; Honami aveva intrapreso una carriera nel settore tecnologico e di supporto, mentre Rin aveva avuto sin da piccola l'aspirazione a diventare una hero.
Adesso che aveva quel ruolo, però, sognava di tornare indietro o avere una vita normale, tra le faccende di casa e un lavoro d'ufficio noioso. Persino quello sarebbe stato meglio rispetto a ciò che le era successo a partire dal secondo anno allo UA.
Non le piaceva affatto l'enorme dose di realtà che doveva fronteggiare ogni giorno.

-Ultimamente non succede molto nella zona in cui opero io. Un paio di incidenti, ma ancora non... Non hanno trovato il colpevole. -affermò, tentando di suonare il più convinta possibile.
Il colpevole non lo avrebbero trovato mai, dato che era come se Rin stessa lo nascondesse.
Sicuramente dire di avere un criminale mezzo bruciato che faceva va e vieni da casa sua non sarebbe stato un motivo di orgoglio per i suoi genitori.
-Ero a Kamino all'inizio dell'operazione ma mi hanno mandata via quasi subito... Purtroppo il mio quirk non serviva a molto dopo la fase iniziale. -forzò un sorriso, sperando di convincerli che andava veramente tutto bene.
Non stava crollando di nuovo, non stava tornando esattamente al punto di partenza, non stava buttando via anni di terapia, non pensava troppo, non era sola.

Suo padre annuì tranquillo, facendo muovere lievemente i corti capelli che il tempo aveva colorato di grigio; una volta erano di un blu oltremare meraviglioso.
-So per certo che sei un'eroina bravissima. -prese la mano destra di Rin tra le sue e se la posò in grembo, tenendola stretta.
Rin e Josuke avevano sempre avuto un fantastico rapporto: complicità, confidenza, insegnamento, affetto.
Tutto ciò che di bello c'era nella vita, Rin l'aveva cominciato a vedere grazie a suo padre.
Era una figura più che importante nella sua vita. Aveva sempre un consiglio saggio per ogni situazione, e in quel momento Rin avrebbe tantissimo voluto una di quelle dritte, perché dalla sera prima qualcosa le ronzava in testa. Un pensiero quasi fastidioso, che Rin non riusciva a scacciare.
Prese ad accarezzare la mano callosa di suo padre.
Lei e sua madre erano sedute su una panchina del parco ben tenuto, mentre la sedia a rotelle del padre le affiancava.

-Spero di esserlo davvero. -
No, non voleva essere un'eroina, ma al momento la sua vita consisteva di quello.

Era arrivata alla clinica Fujitani alle nove e mezza del mattino.
All'una in punto Rin li accompagnò in mensa per pranzare assieme a loro; alle due li riaccompagnò nelle loro stanze.

Decise di lasciare prima Josuke, perché aveva capito di aver bisogno di parlare con sua madre.

Difatti, arrivata alla stanza quarantatre, per lasciare sua madre e salutarla, decise di aprirsi un po'.
Con i consigli inerenti al cuore, lei era più brava: Momoko era un'inguaribile romantica.
Sì, al cuore, perché negli ultimi giorni quello di Rin batteva più forte e veloce del normale, e lei non capiva perché.
-Mamma? -

-Sì, tesoro? -
Rin ricordava sua madre diversamente: quando era piccola, Momoko era sempre in forma, capelli perfetti, trucco e vestiti impeccabili. Era la donna che Rin aspirava a diventare.
Non che adesso sua madre non si curasse, ma il tempo era passato anche per lei, ed era evidente: i suoi capelli erano molto meno folti rispetto a prima, mutati dal biondo in un grigio chiaro e triste; e aveva preso un po' di peso, con il passare degli anni.
Ma alla fine, era sempre la donna bellissima che Rin ricordava.

-Sai, ho conosciuto un ragazzo un po' di tempo fa. -rimanere vaga era, ovviamente, l'unica opzione. -Non sono innamorata di lui, ma sento comunque qualcosa. -concluse. Tentava di sembrare disinvolta, nonostante il nervosismo la stesse divorando all'interno. Finì di sistemare i vestiti di sua madre nel modo più ordinato possibile nel tentativo di tenersi occupata.

-Sei sicura non sia amore, Rin? Tu sei testarda e so che anche se ti sventolassero i fatti sotto al naso, continueresti a negarli. Sei come me sotto questo punto di vista. -Momoko le rivolse un sorriso genuino. Rin si sentì un po' in colpa, per le speranze fittizie che le stava dando. -Parlami di lui! -l'anziana si sciolse i lunghi capelli. Rin si avvicinò a lei con una spazzola.

Quando era piccola, era Momoko e pettinarle i capelli.
Ora Rin era più alta di Momoko di qualche centimetro, aveva il suo portamento fiero di una volta; adesso era il suo turno a prendersi cura di lei in quel tempo che restava.

La ragazza non potè fare a meno di pensare che, forse, avrebbe dovuto trovarsi qualcuno di più raggiungibile. Sarebbe invecchiata anche lei, e rimanere sola non le piaceva molto come idea.

-Lui... Io penso sia bello. Ha l'aria misteriosa, e non è il tipo di bellezza convenzionale. -ridacchiò lievemente, a metà del nervoso e del divertito. In un certo senso, stava dicendo la verità. -Mi tratta decentemente, ma non credo sia interessato ad una relazione. -sospirò e si sedette sul letto, accanto a sua madre.

-Ha un cuore difficile? -una risata genuina le scappò. -Un po' come te. -
Un silenzio confortante si insinuò tra di loro, mente Rin continuava a pettinare i lunghi capelli brizzolati di sua madre.
-Se lo vedi poco dovresti soffermarti su cosa senti... Quando siete assieme ti senti meglio? Forse ti completerà, è così che capisci se ami qualcuno. Qualunque tipo di amore dipende da questo. -le posò una mano sulla guancia e l'accarezzò delicatamente.
-E assicurati di ascoltarlo. Può funzionare solo se anche tu completi lui. -

-Grazie mamma. -

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