𝟢𝟨. 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗼𝗳 𝗴𝗿𝗮𝗰𝗲

Il silenzio era calato nuovamente sulla vita di Rin.

Era pomeriggio e aveva appena finito il solito giro di ronda di fretta, ma per nulla: aveva cominciato a piovere che lei era ancora ben lontana dalla sua fine.
Quindi era zuppa fino al midollo, frustrata, mentre silenziosa marciava verso casa: le chiavi strette in una mano, il cellulare nell'altra.
La pioggia ticchettava insistente, le auto le passavano accanto incuranti e alcune le spruzzarono addosso l'acqua fangosa.

La prima pioggia di settembre, per lei era sempre stato un evento atteso come la fioritura dei ciliegi; anche con l'odore e il suono tranquillo della pioggia, il cielo grigio, si era trovata infastidita. Avrebbe preferito godersi quella pioggia da casa, con un tè caldo al miele e foglie di menta, anche un po' di musica di sottofondo magari.

Rin si riparò gli occhi con il dorso delle mani, puntò il suo sguardo sui gradini all'ingresso del suo condominio per non inciampare. Tirò un sospiro di sollievo quando arrivò sotto la piccola tettoia di vetro opaco sul portone, e portò la chiave fino alla toppa della serratura.

-Sei seriamente adorabile così. -

Rin giurò che la sua anima avesse appena tentato di scappare via. Sobbalzò, e un brivido misto tra freddo e sorpresa le passò per tutto il corpo.
Si voltò verso la direzione da cui la voce rauca ma familiare proveniva.
-Cazzo! -imprecò, portandosi una mano al petto.

Dabi se ne stava lì, appoggiato al muro, ancora sotto la pioggia. Anche lui era zuppo, ma almeno indossava un impermeabile nero con il cappuccio calato quasi fino agli occhi, e la solita stupida mascherina.
Rin non poteva vedere la sua bocca, ma era sicura stesse ghignando divertito.

-Mi hai fatto venire un colpo! -Rin sbraitò-sussurrò.

-Ho notato. -Dabi rise con quella risposta, una risata che sembrava quasi genuina. -Allora, sei sola anche oggi? -teneva le mani seppellite nelle tasche profonde dell'impermeabile. I suoi occhi erano fissi sulla strada, probabilmente controllando che nessuno lo riconoscesse.

-Devo rispondere? -Rin aprì il portone e si infilò dentro velocemente, tentando di chiudere la porta in faccia al ragazzo, ma lui fu più veloce. Mise un piede tra le ante del portone di legno scuro, poi una mano e spinse.
Rin sospirò, voltandosi, pronta a prendere l'ascensore come al solito. -Ci ho provato. -

-Già, ma non ti libererai facilmente di me. -Dabi la seguì, mentre l'acqua dei loro vestiti cadeva sul pavimento di marmo con un ticchettio che rimbombava sommessamente nell'ingresso.

-Non ti sei fatto vedere per due giorni, c'avevo sperato. -rispose Rin, ma si accorse solo dopo che quella frase sembrava più un rimprovero per non averla cercata.

Dabi scrollò le spalle e goccioline d'acqua volarono attorno a lui, schizzando sul viso di Rin.
-Sono stato impegnato. -

Lei ignorò la sua risposta; non era esattamente desiderosa di sapere cosa faceva Dabi come "lavoro". Forse avrebbe dovuto chiederglielo, ma una conversazione apparentemente civile sarebbe diventata un interrogatorio.
Le porte scorrevoli dell'ascensore si aprirono, gettando una morbida e calda luce sul viso di Rin. Entrò nell'abitacolo decorato con una carta da parati delicata, color foglie di tè. Dabi stava per seguirla ma lo fermò posandogli una mano sul petto.

-C'è una telecamera, genio. -sussurrò.

-Ah, giusto. Voi ricconi potete permettervi questa merda. -grugnì contrariato.

-Dovrai salire a piedi. Abito al sedicesimo piano. -gli disse, consapevole del fatto che Dabi sapesse già. Sorrise con scherno e fece un passo indietro; prima che le porte dell'ascensore si chiudessero, lanciò un bacio al ragazzo.

Gli occhi blu di Dabi la fulminarono, freddi proprio come la pioggia che ancora batteva fuori con ostilità. Quel bacio antipatico l'aveva colpito come un proiettile in pieno petto, propria dove la mano di lei era stata posata fino a qualche istante prima.
In assoluto silenzio, e probabilmente con la pazienza di un santo, Dabi prese a salire le scale, lasciandosi dietro solo piccole pozze d'acqua come prova del suo passaggio.

┉┉┉┉

Quando Dabi aveva bussato insistentemente alla porta di Rin, lei era già riuscita a fare una doccia veloce. Era scivolata nel confortevole cotone dei pantaloncini grigi e della maglietta nera con il logo sciupato di una band che non conosceva, e si era tolta le lenti a contatto con cura, sostituendole con un paio di occhiali dalla forma tonda e schiacciata.
Aprì la porta con calma, mostrandogli nuovamente un sorriso tirato e antipatico.

-Stronza. -le ringhiò contro prima di infilarsi dentro senza aspettare un invito, o che Rin si spostasse dalla soglia. Qualche gocciolina d'acqua le arrivò in viso mentre Dabi si accasciava con un po' di fiatone contro la parete.

-Ovviamente puoi entrare, sei sempre il benvenuto in casa mia. -Rin chiuse la porta mentre gli rispondeva con sarcasmo.
Si appoggiò con la schiena contro il legno fresco della porta, squadrando la figura scura di Dabi; aveva la schiena curva in avanti e si era tolto la mascherina nello stesso istante in cui era entrato in casa sua.
Allungò una mano e gli toccò la spalla delicatamente. -Dammi i vestiti. -gli chiese, anche se sembrava più un ordine.

-Oh, così, tutto d'un tratto? Molto diretta. -la prese in giro, finalmente respirandi regolarmente. Riportò il suo sguardo freddo ma divertito su di lei.

-Te li asciugo, testa di cazzo! -una tinta rosea si fece timidamente vedere sulle guance di Rin. Gli assestò un colpo sulla spalla, non molto forte.

-Va bene, va bene... -rise, togliendosi anche il cappuccio.
Si sfilò l'impermeabile e grosse gocce d'acqua caddero nel genken di pietre grigie. Lo passò a Rin e si sfilò anche le scarpe scure e usurate.

Rin storse il naso, consapevole che avrebbe dovuto ripulire il casino fatto da lui. Teneva l'impermeabile con riluttanza palese sul suo volto.

-Mi spoglio in bagno o devo farlo davanti a te? -Dabi alzò un sopracciglio, sguardo inquisitore sulla ragazza che si voltò.

-Il bagno è di là. Metti i vestiti nell'asciugatrice. -puntò l'indice alla porta scorrevole appena oltre la scala a pioli che portava alla camera da letto. -Fatti una doccia a che ci sei. Puzzi da morire. -lo canzonò.

Dabi la fulminò nuovamente con lo sguardo alla sua affermazione antipatica, prima di camminare tranquillo e chiudersi in bagno.
Poco dopo, Rin sentì il rumore della doccia, l'acqua che scrosciava sulle mattonelle e le bottiglie del sapone che venivano prese e aperte.
Nel frattempo, lei raccattò un paio di pantaloncini neri che le stavano troppo larghi e che sarebbero potuti andare al ragazzo. Non riusciva a trovare una maglia dapprima, ma continuò a scavare fino a trovare un'altra delle magliette di suo fratello: il logo sciupato e scrostato di una band americana faceva capolino dall'armadio e nelle mani di Rin, come un segno contraddistintivo delle cose che un tempo erano appartenute a suo fratello maggiore.
Lo sguardo improvvisamente calmo e triste di Rin studiò la stoffa attentamente, prima di scendere la scala a pioli e bussare alla porta del bagno.

-Che cazzo vuoi? -rispose sgarbatamemte la voce roca e lievemente nasale di Dabi dall'altro lato.

-Ti ho portato dei vestiti, stronzo. -Rin battè il pugno sulla porta.
Un po' di sorpresa si fece strada sulla faccia di Rin quando Dabi aprì la porta; la mano sinistra teneva un asciugamano attorno ai fianchi, ma lei lo aveva solamente intuito. Stava nascosto dietro la porta, ma Rin vedeva quel lembo di pelle color violaceo che si allargava dalla mano fino al bicipite.
Aggrottò le sopracciglia un po', ma non disse nulla; si limitò a passargli gli indumenti freschi, che avevano addosso l'odore di lei, dell'armadio e un piccolo residuo di suo fratello.

Dabi li afferrò e richiuse la porta in fretta.
Pochi attimi dopo venne fuori dal bagno con i capelli ancora umidi, alcune ciocchette attaccate alla fronte; oltre al bagnoschiuma preferito di Rin, quello al muschio bianco, sambuco e glicine, era ancora percepibile il sentore di bruciato e il profumo quasi amaro dei fiori blu senza nome. Del lieve vapore si alzava dalla sua testa, e Rin lo guardò stranita; indicò esitante la nuvoletta che praticamente si alzava dalla sua testa.

-Stai per partire al fuoco? Perché se sì, ti prego di farlo fuori da casa mia. -

-No, stupida. Mi sto asciugando. -

-E usi il tuo quirk per farlo? -

Lui annuì convinto, con uno sguardo annoiato, e Rin lasciò stare con un sonoro sospiro.

-Invece... Da quando tu porti gli occhiali? -le chiese curioso, sfilandole gli occhiali dalla montatura dorata e studiandoli. Lanciò uno sguardo improvvisamente curioso a Rin, prima di indossarli lui stesso. Strizzò gli occhi, cercando di abituarsi alle lenti.

-Da quando avevo dieci anni. Ti dispiace ridarmeli? -le sue mani andarono ai lati della testa di lui e sfilarono via gli occhiali. Li indossò nuovamente.

-Carina. -commentò, infilando le mani nelle tasche dei pantaloncini. Dabi abbassò lo sguardo sulla maglia di Rin e poi sulla sua. -Ascolti i My Bloody Valentine? -le chiese indicando la maglia con un cenno della testa.

Rin scosse la testa in risposta.
-Erano di mio fratello. -disse riferendosi alle magliette.

-Ha buon gusto. -

Rin sorrise con un pizzico di malinconia nascosta a quell'affermazione.
Annuì, appoggiata alla scala a pioli con la spalla.

Sbuffò sonoramente quando Dabi si infilò nel salotto, i piedi che strisciavano a terra con stanchezza. Rin, ancora una volta, non poté fare a meno di notare le bruciature che gli ricoprivano anche le gambe senza alcuna pietà.
Si stravaccò sul divano mentre Rin entrava in bagno per accendere l'asciugatrice; cambiò idea non appena mise le mani sulla stoffa sudicia della maglia bianca. Spinse i vestiti in lavatrice e diede il via al lavaggio.
Raggiunse Dabi in salotto, impegnato a fumare una sigaretta rubata da un pacco mezzo pieno abbandonato sul tavolinetto; soffiò il fumo pungente in direzione di Rin, che lo guardò male e aprì la finestra. Anche se pioveva, la piccola tettoia non avrebbe fatto entrare acqua.

-Il ragazzino è ancora con voi? -chiese improvvisamente, sedendosi sulla poltrona nera e morbida di fronte al divano su cui Dabi era praticamente spiaggiato.

Lui annuì con un'espressione irritata sul volto.

-È tutto intero, giusto? -il tono di lei si fece un po' più morbido, quasi stesse chiedendo il permesso di parlare di quell'argomento.

-Non so come, ma sì. È un bastardino di prima categoria. -sbuffò lui assieme al fumo della sigaretta al mentolo.

-Attacchi briga anche con i ragazzini adesso? -un broncio contrariato si formò sulle labbra di lei. -Wow, pensavo fossi più maturo di così. -

-Lo vorresti picchiare anche tu se fossi al nostro posto. -scrollò le spalle con nonchalance e spense la sigaretta, schiacciandola con vigore sul fondo del posacenere di vetro azzurro. -Piuttosto, gli hero stanno tramando qualcosa per riprendersi quella bomba a orologeria? -chiese come se le avesse appena fatto una domanda sulla suo cibo preferito o sul tempo fuori.

Rin si lasciò sfuggire una risatina antipatica, tagliente.
-Anche se lo sapessi, pensi che te lo verrei a dire, Dabi? -

-Non ne sai niente? Oh, poverina. Ti escludono anche dal tuo lavoro adesso, Sasaki-kun? -Dabi ricambiò con una risata antipatica proprio come quella di lei, solo più gutturale, come se la voce si aggrappasse alla sua gola per uscire.

-No, semplicemente non hanno bisogno di me. -Rin prese una sigaretta dal pacco nero e blu e, tenendola delicatamente tra le dita affusolate, la porse a Dabi. Lui allungò pigramente una mano e la accese con una piccola fiamma fugace proprio sul palmo.
-Non vedo quando possano averne mai, onestamente. Ho un quirk inutile. -prese un tiro.

-E allora come hai fatto a diventare un'eroina? -le chiese lui con velata curiosità.

-Raccomandazione. Mio padre era un hero, adesso si è ritirato. È troppo vecchio. -

-Giochi sporco, Hostage. -ridacchiò, studiandola come un gatto con un ingenuo canarino.

-Penso tutt'ora che sarei stata molto più utile in polizia. -

-Non posso darti torto, anche perché non conosco tutti i lati del tuo quirk... -

-Non ti aspettare una spiegazione. -Rin spense la sigaretta nel posacenere.

-Però, sono sicuro che saresti stata molto sexy anche con l'uniforme della polizia. -le disse in tono canzonatorio, con un ghigno su quella sua faccia da schiaffi.

Prima che Rin potesse controbattere qualcuno suonò il suo campanello, mettendola in allerta all'istante. Anche Dabi scattò a sedere sul divano, viso nuovamente neutro e sguardo freddo. Le fece cenno di andare a rispondere con la testa, fissandola in attesa.

La ragazza si alzò e camminò velocemente fino all'ingresso, trascinando le pantofole nere sul parquet.
Aprì la porta con cautela e gettò uno sguardo curioso sul pianerottolo; l'agitazione del momento svanì velocemente quando si trovò la sua vicina della porta accanto, la signora Uemura.
La donna se ne stava davanti alla soglia con un'espressione sconvolta e gli occhi pieni di nervosismo.

-Yoshiko-san, va tutto bene? -chiese Rin inclinando la testa con curiosità. Che avesse visto Dabi salire? Quello fu il suo primo pensiero, e Rin non potè fare a meno di sentire un brivido di nervosismo correrle giù per la schiena. Con la coda dell'occhio vide Dabi che si appiattiva contro la parete, nascondendosi dietro la porta per ascoltare, con le mani in tasca.

-Ah, sì, non preoccuparti! Ho un favore davvero urgente da chiederti, però. -le parole della donna tranquillizzarono Rin un po'.
Gli occhi di Uemura Yoshiko erano di un viola delicato ed elegante che Rin aveva sempre invidiato, ma in quel momento erano lucidi di agitazione e forse anche lacrime.

-Sì? -Rin lanciò uno sguardo al pancione della signora Uemura: era solo quattro anni più grande di Rin, ed aspettava già il secondo figlio. Il primogenito era nascosto dietro le gambe della madre timidamente, studiando Rin nonostante l'avesse già incontrata altre volte.

-Mia sorella... Le si sono rotte le acque senza preavviso, e ha bisogno di qualcuno che l'aiuti in ospedale. -cominciò a spiegarle gesticolando un po'. Rin era solita vedere la signora Uemura sempre così posata e a modo, ma non la biasimava per quella commozione inaspettata.
-Puoi tenere Tōya lì con te per stasera? Mi dispiace se chiedo a te ma c'è troppo poco tempo per chiamare una baby-sitter... -farneticò, spingendo il bambino verso di lei, incoraggiandolo ad avvicinarsi.
-Ti pagherò se vuoi, davvero, mi dispiace per il disturbo... -

Rin scosse la testa animatamente. Lo sguardo di Dabi si era fatto in qualche modo ancor più freddo, ed era piantato a terra, ma Rin non aveva tempo per chiederne il motivo.
-No, no. Yoshiko-san, non preoccuparti, davvero. Posso tenerlo senza problemi. Dimmi soltanto a che ora cena e va a dormire di solito, puoi lasciarlo qui quanto ti serve... Davvero. -
Rin sorrise genuinamente, un po' sollevata dal fatto che finalmente aveva qualcosa fuori dalla sua solita routine da fare.
Cinque minuti dopo, la signora Uemura aveva finito le sue raccomandazioni per Rin e il piccolo Tōya Uemura. Entrambi annuivano attenti, e Rin sorrise divertita quando
Yoshiko minacciò il bambino di sequestraegli le action figures dei suoi eroi preferiti se avesse scoperto che si era comportato male.
Infine, lo spinse verso Rin, che gli poggiò una mano sulla testa affettuosamente prima di salutare Yoshiko che andava via di fretta.

Richiuse la porta che Dabi era sparito chissà dove in casa.
Rin si accovacciò al livello di Tōya, che era comunque abbastanza alto per avere solo sette anni, e gli sorrise.
-Puoi aspettare un attimo qui? Vado a chiudere la finestra in salotto. -gli disse dolcemente prima di scappare lungo il corridoio. Dabi aveva già chiuso la finestra per lei.

-Grande genio, adesso che facciamo? Se mi vede ci andiamo fottuti entrambi. -sbraitò con voce roca, bassa, verso Rin.

-Sali sul soppalco e stattene lì buono. -rispose lei con un tono simile al suo. Per un qualche motivo le sembrava infastidito, più di quanto avrebbe dovuto essere a suo parere, almeno.

-Non sarei dovuto venire e basta. -borbottò mentre marciava via a passi sorprendentemente leggeri. Si arrampicò sulla scala a pioli e scomparve sul soppalco.

Rin si ripromise di cambiare le lenzuola, dato che sicuramente si era andato a stravaccare sul suo letto senza ritegno o rispetto alcuno.
Tornò dal piccolo Tōya che si era sfilato le scarpette e aspettava all'entrata del corridoio il ritorno di Rin.
-Allora... Mamma ha detto che è quasi ora di cena per te. Vuoi qualcosa di particolare? -

Tōya annuì timidamente.
-Puoi ordinare una pizza? A mamma non piace e non la mangiamo quasi mai... -

Rin rise un po' alla sua affermazione e annuì, guidò il bambino in salotto e lo fece sedere sul divano. Gli accese la televisione e gli lasciò il telecomando.
-Salgo a prendere il telefono e torno. -gli disse brevemente prima di andare e arrampicarsi in fretta sulla scala a pioli. Si affacciò sul soppalco e non si sorprese trovando Dabi steso sul letto come se fosse il suo, fissando il soffitto con lo sguardo perso.
Rin prese il telefono che era sul comodino e si sedette sul bordo del materasso.
-Levati dal mio letto. -gli intimò a bassa voce.

-No. -Dabi rotolò e si stese a pancia in giù.

Rin decise di ignorarlo e digitò il numero di una pizzeria vicina che le piaceva. Si alzò e si affacciò, appoggiandosi alla ringhiera.
-Tōya! Che pizza vuoi? -disse ad alta voce, così che il bambino la sentisse senza avvicinarsi.
Il piccolino rispose e Rin si voltò verso il ragazzo bruciacchiato, spiaggiato sul suo letto.
-Tu invece? -

-Non so... Fai tu. -le lanciò uno sguardo fugace, incrociando le braccia sotto il mento. Non si aspettava Rin chiedesse anche a lui.

┉┉┉

Mezz'ora circa dopo, Rin era ricomparsa sul soppalco velocemente per lasciargli la sua pizza e una birra. Poi era sparita di nuovo, e l'unica prova della sua esistenza era il vociare sommesso, le risate cristalline che venivano dal salotto: conversava con il bambino, lo chiamava Tōya-chan, gli raccontava qualche aneddoto divertente da eroe e il bambino le diceva di come anche lui volesse diventare un eroe.
Era venuto da lei per passare del tempo con lei, tormentarla un po', prenderla in giro, e invece aveva avuto il suo posto sul divano usurpato da un moccioso con il suo stesso nome. Non che Rin sapesse.
Finì la sua pizza con calma, guardando fuori dalla finestra la pioggia che imperversava senza cenno di voler smettere.

Rin si fece rivedere solo dopo un po', che era già completamente buio fuori; Tōya continuava a guardare la televisione giù mentre lei buttava la spazzatura e ripuliva.
Prese la bottiglia vuota e il cartone che Dabi aveva lasciato vicino alla ringhiera, ma invece di andarsene subito si sedette accanto a lui, dapprima silenziosamente. Fissò un po' le sue cicatrici, senza dire nulla a proposito.

-È assonnato. -disse piano, in un tono delicato che quasi gli accarezzava le orecchie. -Lo metto a dormire e torno da te. Non sei arrabbiato perché non ti do attenzioni, vero? -lo prese in giro con un sorriso tirato.

Il viso di Dabi si deformò in una smorfia schifata, come se la sola idea di volere le sue attenzioni lo disgustasse.
-Ti dai troppa importanza. -le rispose, portando la sua man attorno al polso di lei. La tirò più vicina e l'altra mano si posò sulla sua spalla, per tenerla ferma. -Dovevi per forza dirle di sì? Non c'era qualcun altro a cui poteva lasciare il moccioso? -ringhiò contrariato.

-Yoshiko è sempre disponibile per me, non potevo dirle di no. -rispose, schiaffeggiando gia le sue mani, ma rimase vicina.
-E poi è così educato quel bimbo, al contrario di te. Mi ascolta e non fa come se fosse a casa sua senza neppure essere stato invitato. -

Dabi ricambiò le sue parole con una smorfia antipatica e ritornò a coricarsi sul materasso. Un brivido attraversò la sua schiena e prima che potesse rendersene conto o fermarlo, starnutì sonoramente; una piccola fiamma blu si accese sull'avambraccio ma fu veloce a spegnerla.

Rin rise a quella visione buffa.
-Quello era seriamente adorabile. -lo canzonò, imitando le parole che le aveva detto mentre rientrava.
Si alzò e cominciò a scendere la scaletta a pioli.

-Vaffanculo. -le disse mentre se ne andava di fretta.

Sicuramente nascondersi nella stanza da letto di quella ragazza non era nei suoi programmi della serata, con un bambino che ronzava per casa sua.
Stentava a ricordare l'ultima volta che aveva interagito con un bambino; per sua sfortuna, ricordava chiaramente casa sua, con la sua adorabile sorellina Fuyumi, e Natsuo e Shoto. Ma no, le interazioni con loro non erano state le ultime; i bambini di quella sottospecie di orfanotrofio, loro erano stati gli ultimi a cui aveva parlato, quando doveva avere pressappoco quattordici anni. Non li aveva più rivisti, e anche se i ricordi di quel giorno erano estremamente confusi, pieni di fumo e cenere, sapeva cosa era stato di loro.
Chiuse gli occhi ma per un qualche motivo vedeva solo i visetti dei suoi fratelli più piccoli, Fuyumi e il suo sorriso dolce, Natsuo stanco e con gli occhi semi-chiusi, Shoto con le lacrime che colavano come cascate.
Riaprì gli occhi giusto in tempo per vedere la testa bionda di Rin spuntare nuovamente dall'ombra del piano di sotto; aveva spento tutte le luci, eccetto quella sul soppalco.

-Si è addormentato. -bisbigliò, coricandosi accanto a lui.

-Poveretto, l'hai messo a dormire sul divano? -le chiese, coprendosi gli occhi con il braccio. Le dita dell'altra mano sfiorarono inavvertitamente la coscia di lei, e Rin si ritrasse quasi l'avesse scottata.

-Avrei preferito metterlo sul letto, ma ci sei tu a ingombrare lo spazio. -

-Posso sempre andarmene. -Dabi si scoprì gli occhi poco, solo per guardarla di sottecchi. I suoi occhi color del mare si posarono su quelli gelidi di lei.

-No. Sta ancora piovendo fuori. -Rin ricambiò il suo sguardo.

-Che gentile. -disse con un sorriso sghembo.

-Non farmi cambiare idea. -rotolò per stendersi a pancia in giù. La mano libera di Dabi sgattaiolò veloce, posandosi sul retro della sua coscia inavvertitamente. Ancora una volta, Rin la scacciò via. -Giù le mani. -l'ammonì con voce atona.

Dabi lasciò sfuggire una risatina gutturale e breve.
-Su, parliamo un po'. -suggerì, optando per rigirarsi una ciocca dei suoi capelli biondi. Sorprendentemente Rin glielo lasciò fare.

-Di cosa vorresti parlare? -Rin prese a scorrere sul suo telefono annoiata; erano quasi tutte notizie di criminali arrestati quel giorno, gesta di eroi, interviste a cui Rin non era particolarmente interessata.

-Dimmi perché non ti fidi degli hero. -

-Lo farei, ma poi tu dovresti dirmi il tuo nome. -

-No. -

-Allora niente. Anche io voglio sapere qualcosa su di te, sai? -Rin posò il telefono, concentrandosi sul viso di lui. Studiò un po' i suoi tratti, i suoi occhi lievemente piegati all'ingiù, turchesi come il mare di qualche località balneare di lusso o come l'oceano durante un monsone, i ciuffi neri che gli ricadevano sulla fronte e quelle crudeli cicatrici color porpora.

-Non vedo perché dovrei dirti qualcosa del genere. Non ti basta Dabi? -le sue dita si mossero tra i capelli chiari di lei, slittando fino a toccare la pelle morbida del suo viso, in netto contrasto con le sue dita ruvide.

-Crematorium. -le uscì in un sospiro troppo sognante per i suoi gusti. -L'originalità non è un tuo pregio. -lasciò che le dita di lui affondassero nei suoi capelli, che scavassero nel suo viso come se fosse sabbia e lui un pirata da una favola per bambini alla ricerca del tesoro.

-È efficace e dritto al punto. -si deliziò della sensazione di Rin che si lasciava toccare per una volta, di come chiudeva gli occhi e nascondeva quei pezzetti di cielo sotto le ciglia folte e chiare.

-Sono sicura che il tuo nome sarebbe più efficace su di me. -bisbigliò lei con le labbra piegate in una dolce curva, con gli angoli puntati verso l'alto.

-Allora un giorno te lo dirò. -

Rin aprì gli occhi, guardandolo accigliata. Prima che lui potesse dire qualcos'altro, Rin lo zittì posando il palmo della mano sulla sua bocca.
Udì un rantolo, qualcosa molto simile a un singhiozzo strozzato, come se qualcuno stesse piangendo. Tōya!
Si alzò di fretta e scese la scaletta velocemente, tornando poco dopo con il bambino in braccio. Era sudato e stringeva gli occhi; dormiva ancora, ma respirava affannosamente come se stesse correndo.

Anche Dabi intuì che il ragazzino stava avendo in incubo, e stette in silenzio mentre Rin si sedeva sul letto e calmava il piccolo. Gli accarezzava la fronte e gli sussurrava piccole rassicurazioni, lo stringeva al petto e per una frazione di secondo gli ricordò di sua madre che calmava i suoi di incubi.
Distolse lo sguardo, ma ascoltò il respiro del ragazzino che si calmava e regolarizzava, e Rin che lo cullava fino a farlo sprofondare nuovamente in un sonno tranquillo.

Presto, rimase sveglio solo lui, con gli occhi fissi sulla finestra bagnata, sulle luci artificiali che venivano da fuori e proiettavano ombre stranamente morbide sul soppalco. Quel silenzio, quella pace, era qualcosa che aveva di rado; era impossibile trovarla per le stradine desolate di Tokyo, nei letti di svariate ragazze di cui non ricordava neanche il nome, al bar trasandato in cui la Lega dei Villain si era stabilita. Forse per questo era tornato all'appartamento di Rin nonostante le infinite rampe di scale, ed era rimasto nonostante il ragazzino che infestava la sua quiete.
Ascoltava il respiro sommesso di Rin che dormiva con la schiena appoggiata alla testata del letto, il leggerissimo russare di Tōya ancora tra le sue braccia.

Finalmente aveva smesso di piovere; la prima pioggia di settembre era sempre un sollievo, fresca e triste come lacrime causate da un cuore brutalmente rotto.
Dabi si alzò; prese il ragazzino dalle braccia di Rin e lo stese dove un attimo prima c'era lui. Poi prese lei, le sfilò gli occhiali, e la spinse giù, fino a quando la sua schiena aderì al materasso e la nuca poggiò sul cuscino.
Scese la scala a pioli e sgattaiolò in bagno, a rimettersi addosso i suoi vestiti. Quelli di Rin li abbandonò sulla lavatrice.
Seduto sul piccolo gradino del genkan rimise le scarpe, si sistemò la mascherina e il cappuccio sulla testa; poi sparì chiudendo silenziosamente la porta.

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