𝟢𝟥. 𝗺𝘂𝗿𝗱𝗲𝗿 𝗰𝗶𝘁𝘆
Dabi aveva ragione: l'aria era diventata gradualmente più fresca e si era alzato un leggero vento. La pioggia non avrebbe tardato ad arrivare, tagliente come coltelli.
Tuttavia, il cambio d'atmosfera era drastico dalle strade al bar.
Lui l'aveva trascinata in un locale in cui diceva di andare solitamente, e lei con palese riluttanza l'aveva seguito.
"Ti porterei al mio bar preferito, ma si trova a Kabukichō. Non credo riusciresti ad uscire da lì senza che qualcuno ti abbia prima sputato addosso."
Aveva detto, con un sorriso di scherno ad adornare il viso.
Rin aveva annuito vagamente a quell'affermazione, ma sapeva di dover dare ragione a Dabi. Era pur sempre una hero.
Sarebbe dovuta essere ancora di turno in pattuglia in quel momento, ma nessuno si sarebbe accorto davvero se non portava a termine la routine per un giorno.
Un'azione innocua, di questo si era convinta.
I suoi tacchi ticchettavano contro l'asfalto grigio scuro, cosparso di macchie vivide e anche sbiadite.
Si erano addentrati ancora di più in quel dedalo di stradine, vicoli, cartelli e liane di fumo.
Rin camminava dietro Dabi, con gli occhi fissi sul terreno: seguiva le scarpe mal ridotte, che avevano probabilmente visto giorni migliori.
Con le braccia incrociate, Rin stringeva le sue stesse spalle, in un qualche modo sentendosi confortata.
Gli sguardi ostili erano sempre meno rari, che con dissenso sembravano intimare a Hostage di fare dietro front, di tornare alle sue strade luminose e tranquille.
Immersa nei suoi pensieri, non si accorse neppure che Dabi si era fermato e la stava fissando.
Si ricordò della sua presenza solo quando sentì lo sguardo insistente su di sé.
-Siamo arrivati, bambola. -con un gesto falsamente galante, imitò un inchino e con la mano sinistra indicò l'ingresso di un bar.
Rin alzò lo sguardo sull'insegna neon. La scritta orizzontale "Black hole" ronzava sulla sua testa colpevole dei riflessi blu elettrico, indicando l'entrata del pub.
-Che c'è, non rientra nei tuoi standard? -canzonò lui, con una punta di disprezzo nella voce. Le mani le aveva di nuovo in tasca.
-Non credo di essere la benvenuta qui. -disse con un tono quasi preoccupato.
Gli hero non erano mai i benvenuti in posti del genere, per ovvie ragioni. Il tono di lei sembrava quasi lasciare ad intendere il suo timore. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, con lui. In generale, non sarebbe dovuta essere lì.
Prese a torturarsi le dita e a giocare con il cellulare, con un po' d'ansia.
Ancora non guardava Dabi negli occhi; non aveva neppure sfiorato i suoi sprazzi d'oceano per errore, faceva di tutto per evitarli; invece Dabi cercava pazientemente le finestre di cielo di Rin.
Ormai Dabi aveva capito l'esitazione di Hostage, aveva anche colto la sfida di farla guardare nei suoi occhi. Ecco cos'era per lui, un giochetto di resistenza.
Non poteva neppure toccare il suo viso e forzarla a guardarlo, a causa della restrizione imposta dal quirk ancora attivo di Hostage.
Sarebbe stata comunque una violazione delle regole del tacito gioco che avevano iniziato.
-Tranquilla bambolina. Si faranno due domande vedendo che sei con me. -scrollò le spalle, calpestando malevolo l'orgoglio e la traballante correttezza di Hostage. -Prima le signore. -aprì la porta e fece cenno a Hostage di entrare per prima, inclinando leggermente il capo.
Il campanello posto allo stipite suonò allegramente, contrastando con l'atmosfera opprimente che si andava creando attorno a Rin.
Dabi seguì la ragazza all'interno del locale, e si chiuse la porta alle spalle, e a Rin sembrò di essersi chiusa alle spalle le porte dell'inferno.
Forse era un paragone esagerato, ma quando non si è desiderati è così che ci si sente.
Si voltò istintivamente nella direzione di Dabi, cercando disperatamente in un appiglio: non lo considerava una faccia amica, ma almeno era l'unico che non le aveva rivolto uno sguardo omicida.
E cadde per la seconda volta nella trappola di quegli splendidi occhi azzurri, illuminati di una scintilla particolare, quasi simile alla follia; e così familiari, così tanto che era doloroso non riuscire a riconoscerli.
Dabi lasciò andare un sorrisetto beffardo, tuttavia impercettibile.
-Chiudi la chiamata. -sussurrò, piegato per raggiungere direttamente l'orecchio della ragazza. -Penseranno che sono il tuo ostaggio, Hostage. -
Il fiato dell'uomo lo sentiva direttamente sul collo, sui capelli e sulla guancia. Si sentiva oppressa, e l'unica cosa che desiderava all'istante era che la Terra la inghiottisse, ma allo stesso tempo, il suo fiato sul collo era la droga ideale per andare avanti senza dolore. Anestetico o novocaina.
Però non poteva chiudere la chiamata, perché lui avrebbe potuto farle di tutto senza restrizioni.
Ma anche Dabi aveva ragione: avrebbero pensato che lui era stato costretto a portarla in quel bar.
Sospirò, tentando di nascondere il tremolio impercettibile della sua mano.
Era nervosa.
Premette con uno scatto il pulsante rosso, interrompendo la chiamata che le aveva dato un piccolo vantaggio sul villain.
-Brava. -le disse prima di allontanarsi un po' da lei. -Su, sediamoci. -le indicò un tavolo vuoto con un posacenere pieno a metà sopra.
Hostage annuì, e deglutì il groppo che le si era formato in gola. Stringeva il telefono, spento, nella mano destra mentre sentiva le occhiate contrariate degli altri clienti bruciarle sulla pelle.
Il barista adocchiò lei e Dabi, e abbandonò la sua postazione dietro il bancone in legno lucido tinto di nero.
Era un bel locale in fin dei conti: le tonalità principali erano il nero, il bianco e il blu elettrico. Era semplice, privo di fronzoli o decorazioni eccessive.
Rin si accomodò di fronte Dabi e, proprio quando si sedette, il barista si avvicinò al loro tavolo.
-Scusate, ma lei non può stare qui. -fissava con ostilità Hostage.
Si sentiva come se tutti la guardassero e ridessero di lei; come se tutti la conoscessero e nessuno l'apprezzasse; come se nessuno credesse alle sue parole. Che sensazione bastarda e familiare...
Già, era una sensazione familiare. Non era la prima volta che Rin la sperimentava così intensamente, quando la palese bugia di qualcun altro è più credibile della propria sofferta verità.
-Non preoccuparti, Watanabe. Lei è con me. -Dabi sfoggiò l'espressione antipatica di chi crede di sapere tutto, di chi crede di possedere ciò su cui posa lo sguardo.
Si conoscevano, quindi Dabi era un assiduo frequentatore di quel locale.
-Sei impazzito, Dabi?! Perché hai portato un hero qui? -la voce era bassa, ma il tono isterico e agitato.
Parlavano di lei come se neanche fosse presente o come se non capisse la loro lingua.
In cambio, Hostage alternava lo sguardo tra il proprietario del pub e il ragazzo come un cagnolino triste che era stato appena rimproverato dal padrone. Era imbarazzata.
-Come sei palloso certe volte... -sbuffò sonoramente il ragazzo pieno di cicatrici.
L'uomo chiamato Watanabe era molto più basso di Dabi: superava di poco più di dieci centimetri la sua figura seduta. Aveva una camicia nera che minacciava di strapparsi a causa del corpo robusto di chi la portava. Aveva gli occhi piccoli e antipatici.
-Lasciala stare, non dirà nulla a nessuno. Non l'avrei portata qui sennò. -sentenziò Dabi, che cominciava ad irritarsi. Si voltò verso Hostage e cambiò l'espressione sul suo viso, riprendendo la solita faccia da bastardo. -Prendo una birra e per la bambola... -
-Nulla. Ti ho già detto che non posso bere. -rispose lei, senza neppure alzare lo sguardo.
Il viso di Dabi si contorse in una smorfia contrariata.
-Portale uno shottino di vodka alla pesca. Offro io per lei. -si buttò indietro, poggiando la schiena alla sedia. Le gambe allargate sotto il tavolo e le mani nuovamente nelle tasche. Sembrava fosse su un divano, non sulla sedia di un bar.
-No. -ripeté Rin, con meno convinzione di prima. -Prendo un tè con del miele... -chiese con tono educato, ma il proprietario marciò via, indignato dall'insistenza di Dabi e dalla sfacciataggine di quell'eroina viziata di osare ordinare nel suo bar. Rin aveva il sospetto non l'avesse ascoltata.
Lei aveva finalmente alzato gli occhi per fissarli in quelli di Dabi, dichiarando apertamente la sua sconfitta a quel tacito gioco.
-Ti avevo detto di non volere nulla, comunque. -parlava a voce talmente bassa che Dabi faticava a sentirla. Forse aveva paura di rompere il fragile muro di vetro che impediva al resto dei presenti di fare mosse azzardate.
L'umore di Rin cominciava ad alterarsi, e se i suoi occhi fossero stati davvero cielo si sarebbero oscurati.
Tuttavia, l'oceano negli occhi di Dabi rimaneva placido quel pomeriggio piovoso.
Rin strinse le palpebre e arricciò il naso, infastidita dal comportamento del villain e dall'odore pungente che la avvolgeva e stritolava.
-Mi sarei offeso se tu non avessi preso nulla. Va bene anche il tè, però. -affermò con una finta espressione dispiaciuta.
Prese a guardare oltre Hostage, mentre il suo viso si rilassava e non rifletteva più nessuna emozione in particolare.
Pensava. Sarebbe stato un grattacapo se la clientela avesse deciso di assaltare la povera Hostage, sola e con un quirk inadatto a scontri corpo a corpo.
Sarebbe stato anche più scomodo se Hostage si fosse rivelata una brava attrice con tanti assi nella manica.
Rin ignorò quella sua faccia da schiaffi, ora che aveva abbassato cappuccio e mascherina, e decise di soffermarsi sul cielo visibile dalle finestre oscurate dall'esterno.
-Hai detto che volevi conversare. -nonostante fosse un'affermazione, suonava più come una domanda.
Dabi, ancora una volta, mostrò un ghigno che fece piegare la pelle in modo grottesco.
-Quanti anni hai? -chiese. Watanabe era appena tornato e, in malo modo, sbattè una tazza di tè scuro sul tavolo di plastica. Porse, con più gentilezza, la birra a Dabi.
Rin non lo biasimava per quel comportamento drasticamente differente; infondo non era altro che un'inutile intrusa nella facciata desolata di Tokyo.
-Ventitré. E pretendo una risposta anche da te. -
-Ho ventitré anni anche io. -fece una breve pausa, intento a bere qualche sorso della fresca bevanda che aveva scelto.
Fuori si sentiva il ticchettio leggero, segno che aveva cominciato a piovere. Sarebbe dovuto tornare al suo appartamento malandato sotto la pioggia, cazzo.
-E dimmi... Perché non mi hai arrestato? -
Rin sbiancò a quella domanda così concisa ma difficile.
All'interno della sua testa si era appena scatenato l'inferno, eppure il tè nella sua tazza rimaneva placido e fumante.
Già, perché l'aveva lasciato andare?
Sembrava essersi appena resa conto di cosa avesse fatto. La vera gravità della sua azione l'aveva appena toccata. Sembrava avesse dimenticato il significato delle parole "incendio" e "omicidio", perché sapeva cosa aveva fatto ma il peso di quei delitti non l'aveva raggiunta.
"Ah cazzo, cosa ho fatto?"
Alzò lo sguardo su Dabi.
Quanto tempo era passato dalla domanda? Neanche un minuto.
Una vocina senza volto le suggeriva di alzarsi e andare via; un'altra suggeriva di uscire dal bar e arrestarlo davvero.
Rin le ignorò entrambe.
Avvicinò la mano alla tazza dipinta di verde scuro, e la ritrasse non appena ebbe sfiorato la porcellana scottante.
Si voltò verso il bancone del bar, come a cercare per una telecamera e un cartello da cui leggere la battuta dimenticata. Invece, vide Watanabe che le lanciava occhiate oblique e una fila di tazze come quella che aveva davanti, ognuna di una tonalità diversa; quella verde muschio mancava.
"Avrei preferito quello blu oppure quello rosa."
Pensiero futile, ma fu il poco che riuscì a pensare lucidamente senza desiderare di sbattere la testa contro uno specchio.
Corrucciò le sopracciglia, in balia alla confusione, e schiuse nuovamente le labbra.
Riportò lo sguardo dinanzi a lei e lo fissò negli occhi di Dabi.
-Tutto bene? -Dabi si corrucciò confuso a sua volta, vedendo l'espressione smarrita di Hostage. -Sei andata in tilt? -ridacchiò, abbastanza divertito dalla situazione esilarante.
-Io... Non... Non lo so. -bofonchiò Rin. Forse erano stati gli occhi in cui si era sforzata di non guardare; o forse davvero aveva pensato al fatto che non le aveva fatto nulla. Dabi era un villain, un assassino, un criminale... Ma restava il fatto che non aveva fatto nulla a Rin. Nessuno li aveva visti parlare il giorno prima, nessuno lo aveva visto scappare. Non era come gli altri villain di poco conto che aveva arrestato.
Fu la voce antipatica di Watanabe a risvegliare Rin dai suoi pensieri confusi.
-Tra massimo dieci minuti dovete andarvene. Aspetto clienti importanti e mi serve il locale sgombro. -il barista fulminò Rin con quei suoi occhi schiacciati dal faccione rosso di rabbia.
Non lasciò tempo per repliche e si allontanò nuovamente con il suo andare poco leggiadro.
-Sentito bambola? Ci buttano fuori, sotto la pioggia. Sei una hero e ti fai trattare così? -sogghignò il corvino, finendo la sua birra. Posò la bottiglia e si sporse sul tavolo, tenendo gli occhi illuminati di luce maligna su Hostage.
Sarebbe stato divertente alla fine.
Non sembrava tanto pronta ad arrestarlo; più che altro aveva l'aria di qualcuno molto molto confuso, perciò Dabi si sarebbe potuto permettere un po' di divertimento.
Farsi una hero non era cosa da nulla quando sei uno di quelli etichettati con crudeltà come "villain".
Avrebbe scagliato una parte della sua piccola vendetta su Hostage. Un po' di brutalità non le avrebbe fatto male, no?
-Non mi interessa. Sono un'intrusa qui, non dovrei neanche essere con te. -Rin affermò con severità nei propri confronti.
Prese un sorso di tè, un po' in soggezione per lo sguardo di Dabi, che non le dava nessuna buona sensazione.
Probabilmente era già scivolata nella tana del Bianconiglio.
No, non era la metafora giusta, perché nella tana del Bianconiglio ci era caduta già da tanto. In quel momento stava letteralmente prendendo il tè con il Cappellaio Matto, e sarebbe dovuta stare molto attenta se non voleva uscire di testa anche lei.
-Vabbè. -si alzò e prima che riuscisse a raggiungere la tasca della felpa, per pagare i drink, Hostage aveva già posato sul tavolo di plastica dall'aspetto vissuto una banconota da duemila yen.
Dabi spostò lo sguardo, lievemente seccato, su quello calmo della ragazza.
-Mi offendi così. -mormorò, con un mezzo sorriso forzato.
-Non considerarla una mancanza di rispetto. Volevo essere io a pagare per il disturbo che ho causato qui. -sia una virtù che un difetto, era l'immensa educazione di Rin.
I suoi genitori l'avevano cresciuta come la donna "perfetta": rispettosa, obbediente e piacevole alla vista e per la personalità. Sua madre aveva sempre pressato un po' di più sul carattere remissivo di Rin; voleva renderla la sposa perfetta, insomma.
Rin non gliene faceva una colpa, poiché era una sorta di senso comune che anche lei aveva seguito fino ad un certo punto.
-Vogliamo andare? -abbassò lo sguardo, perdendo l'audacia che si era momentaneamente impossessata della sua mente. Si rivolgeva a Dabi come fosse un amico di vecchia data che non vedeva da tanto. Se ne vergognò un po', non perché fosse un villain, ma perché non lo conosceva e non era una mossa educata.
Dabi annuì e, intuita la tacita richiesta di camminare davanti a Hostage, sfrecciò verso l'entrata.
Aveva capito al volo, la vergogna di quella Hero nel trovarsi in un luogo del genere. L'aveva infastidito un po' all'inizio, pensando si stesse vergognando di lui. Ma no, aveva afferrato dopo, che forse aveva solo bisogno di una schiena da fissare per non accorgersi degli sguardi ostili e le parole dispregiative provenienti da tutto il locale.
Ad essere onesto, avrebbe preferito vedere la vergogna di Hostage, il suo orgoglio a pezzi, e dare un'altra occhiata al suo lato B, ma per quello avrebbe dovuto aspettare. Se voleva godersi il risultato migliore avrebbe dovuto tenere in piedi il teatrino del cattivo comprensivo per la pecorella smarrita. Magari anche portarla sulla cattiva strada sarebbe stata un'idea.
Aprì la porta e, come prima, fece passare Hostage.
Falsa galanteria e tante bugie, in più si godette anche il bel panorama che il body attillato e sgambato della ragazza lasciava scoperto.
Si chiese come facesse a non sentirsi a disagio, ma forse semplicemente si piaceva così per com'era.
E non era un affar suo.
Alle donne non piaceva quando gli uomini ficcavano il naso in affari di quel tipo, e non piaceva neppure a lui essere controllato perciò capiva.
-Io... Devo davvero andare. -disse lei, mordendosi lievemente il labbro inferiore all'interno.
-Ci rivedremo, tranquilla bambola. -
Dabi le posò una mano sulla testa bionda, quasi lo stesso colore delle piume di un canarino; le scompigliò i capelli in modo giocoso, come se la conoscesse davvero da tanto.
Hostage però lo fulminò con i suoi freddi occhi azzurri e si scostò.
-Spero proprio di no. -mentì spudoratamente. Voleva rivederlo.
-Mi ferisci. -Dabi si coprì la faccia con la mascherina e il cappuccio. -Alla prossima, Hostage. -
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top