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«Kags.», fu un sussurro debole. Il corvino quasi non se ne accorse. Decise di non far caso al fastidio che quel nomignolo gli provocava. Se era quel ragazzo a chiamarlo in quel modo, forse avrebbe anche potuto accettarlo, in fondo. «Mh.»
Hinata tenne gli occhi chiusi, il volto ancora ben affossato contro la felpa dell'altro.
«Kags.», un altro mormorio. Il più alto si stranì.
«Mh...Che c'è?», sussurò piano a sua volta, tra i suoi ciuffi rossi.
Il minuto non disse nulla. Strinse un po' di più le braccia attorno all'altro; la testa ancora abbandonata sul suo petto.
«Non è un sogno...giusto? Sei qui per davvero?», la voce gli tremò appena.
Kageyama fermò la mano che stava muovendo con cautela tra i capelli del più basso; entrambi ancora stretti l'uno contro l'altro. E sentì il cuore salirgli in gola.
Perchè capì solo quando percepì le dita fini dell'altro esitare nello stringere la sua felpa quanto la situazione per Hinata fosse ancora difficile da realizzare. Da metabolizzare. Da accettare.
Quel ragazzo si era preso colpe che non gli spettavano, e si era convinto di non poter più meritare nulla di buono. Probabilmente, nemmeno la sua presenza al suo fianco.
Kageyama deglutì a vuoto.
Si chiese quante notti insonne avesse passato. Quanto avesse pianto. Quanti pensieri gli frullassero in quella piccola testa arruffata. Si chiese addirittura se lui sarebbe davvero stato in grado di aiutarlo come avrebbe voluto.
E lo comprese, mentre guardava con apprensione il suo corpo stretto al suo: non poteva salvare Hinata.
Non avrebbe mai potuto farlo, perchè solo quel ragazzo aveva la possibilità di farlo. Solo lui infatti, poteva salvarsi. Iniziando a convivere con il suo passato. Iniziando ad accettarsi per ciò che era. Iniziando ad amarsi un po' di più.
Kageyama non aveva il controllo sui pensieri del rosso. Non poteva comprendere davvero, fino in fondo, i suoi sentimenti, né quello che aveva passato. Non c'era modo, per lui, di poterlo empatizzare a tal punto.
Ma poteva fare comunque la sua parte per aiutarlo a rimettersi in piedi da solo.
Gli avrebbe offerto le sue mani come appiglio: la decisione di afferrarle sarebbe spettata ad Hinata. La forza di poterlo fare l'avrebbe dovuta mettere in gioco lui.
Gli serviva solo un pretesto.
Un pallone a cui puntare.
Una mano da afferrare.
Per il resto, ce l'avrebbe fatta.
Kageyama si scostò appena. Gli venne naturale spettinargli la chioma rossastra.
«Che idiota...», sollevò il volto del più basso tra le sue mani; i suoi occhi caramellati lo guardavano, quasi increduli. Una luce nuova ad illuminarli. Erano diversi rispetto alla notte passata. Erano un po' più accesi. Un po' più vivi.
Sì, ce l'avrebbe decisamente fatta.
Kageyama si perse ad ammirare ogni più minimo dettaglio sul volto dell'altro. Dalle guance arrossate alle labbra screpolate. Dalle ciglia chiare alla frangia disordinata che gli ricadeva sugli occhi. Forse nemmeno lui stesso lo realizzava, in fondo. Di averlo finalmente ritrovato. Di averlo davvero lì, davanti a sè.
Si chinò su di lui, fino a far sfiorare i loro nasi. Fino a quando non vide il volto dell'altro diventare paonazzo. Fino a quando i loro respiri non si fusero insieme. Fino a quando le loro labbra non si incontrarono nuovamente.
La testa del rosso vorticava, ma quella sensazione riuscì ad inebriarlo. Il cuore che batteva con forza. I muscoli che fremevano. L'adrenalina che si liberava. Il calore che lo inondava.
E Kageyama che lo baciava.
Non c'era modo di poterlo descrivere. Sapeva solo che quando il campanello suonò improvvisamente, e i due furono costretti ad allontanarsi, riuscì a stento a mantenersi in equilibrio.
Forse, in fondo, non era un sogno.
Non sognava mai, se non incubi.
Eppure, sentiva di essere così fortunato.
Così felice, da poter rischiare di implodere sul posto.
«Cazzo...», borbottò il corvino ancora ad occhi chiusi; la fronte ben pressata contro quella del minuto e le orecchie fumanti. Fu sincero il piccolo sorriso che illuminò il volto del rosso. Il campanello suonò nuovamente, quasi con insistenza, e fu Kageyama a dirigersi verso la porta per poterla aprire, scostandosi controvoglia dall'abbraccio dell'altro.
«Diamine, che succe-», il corvino non riuscì a terminare.
Tanaka entrò come una furia nell'appartamento; il volto contratto in una smorfia di puro panico. «Kiyoko è qui? Ditemi che è qui, cazzo!», la sua voce allarmata riuscì a far strabuzzare gli occhi del corvino mentre lo vide affacciarsi e addentrarsi in ogni stanza dell'appartamento, facendo quasi spaventare Natsu.
Hinata accorse istantaneamente nel disimpegno che si affacciava sul pianerottolo esterno. Da lì, Bokuto e Akaashi lo guardavano con occhi preoccupati. Parevano aver corso dietro a quello dalla testa rasata fino a pochi secondi prima, visti i loro respiri affannati.
Il rosso comprese subito che qualcosa non andava. Il sangue gli si gelò istantaneamente nelle vene, e questa volta non c'entrava il pavimento freddo a contatto con i suoi piedi spogli.
«Hey, hey! Calmati un attimo, ok? Che succede?», Kageyama provò a placare il ragazzo piombato in casa all'improvviso, ma Tanaka scosse con forza la testa, mentre cercava di riprendere fiato. Era evidente che si era fatto di corsa tutte le scale di emergenza fino a quel piano. I suoi occhi grigiastri parevano terrorizzati.
«Kiyoko è sparita! Non è al bar, non è all'università, non è nemmeno a casa! Dovevamo vederci questo pomeriggio per preparare tutto e scappare! Non risponde al cellulare da ore, non so dove sia! Non è mai successo prima! E se l'avessero scoperta, in qualche modo?! Se l'avessero già presa?!», Hinata si accorse di quanto quel ragazzo stesse iperventilando. L'espressione sul suo volto era completamente distorta dal panico. Lacrime veloci presero a scorrere sulle sue guance tirate.
Tanaka era sempre stato un ragazzo ansioso. Si era unito alla squadra in un periodo di totale rassegnazione, dopo aver perso tutto ciò che gli rimaneva. Il rosso ricordava ancora con chiarezza la prima volta che Nishinoya lo aveva presentato agli alti. La sua storia era rimasta impressa a tutti, in qualche modo. Così come la faccia distrutta e spaventata che aveva indosso quel giorno.
La settimana prima di far capolino in quell'appartamento per richiedere di potersi unire ufficialmente ai membri del Karasuno, suo padre si era suicidato nella camera da letto di casa.
L'unica cosa che gli aveva lasciato era un foglio ben piegato riposto sulla sua scrivania. Tanaka, quel giorno, aveva riferito loro il contenuto di quelle poche frasi del padre scrittevi sopra in matita. L'uomo gli aveva confessato il suo segreto più grande: la lettera che aveva ricevuto al compimento dei suoi diciotto anni, e che riportava il nome della donna designata per essere la sua partner di vita, era in realtà stata falsificata, ai tempi. Il padre e la madre di Tanaka, infatti, non erano stati predestinati dal sistema.
Nonostante questo, avevano scelto di non accettare il resoconto di un'intelligenza artificiale. Avevano scelto liberamente di costruire la loro vita in base alle loro scelte, seppur illecite. E avevano scelto di mettersi in gioco, a costo di venir scoperti, pur di rimanere insieme.
Da quando, però, la madre di Tanaka era scomparsa a causa di un incidente stradale pochi anni dopo la nascita del loro figlio unico, le cose non sono state più le stesse, e il padre non era più riuscito a risalire la voragine buia nella quale era sprofondato.
Ma non vi avrebbe trascinato il figlio. Anzi, lo avrebbe supportato affinché potesse crescere e maturare una propria libertà di pensiero, dando valore alle proprie emozioni e ai propri sentimenti. Sentiva di aver terminato il suo compito, nei suoi confronti.
In quelle poche frasi, suo padre gli aveva ordinato di prendere in mano la sua vita, e viverla come meglio credeva. Amando chi voleva. Sapendo che, in qualsiasi caso, i suoi genitori lo avrebbero sempre supportato, seppur non potendo stare al suo fianco.
Hinata ricordava bene quanto la voce di Tanaka tremasse, quel giorno ormai lontano. Aveva ammesso liberamente di avere paura. Aveva confessato che non sapeva nemmeno il perchè avesse deciso di presentarsi lì e parlare di qualcosa di così importante e personale, in quell'appartamento, di fronte a loro - completi sconosciuti. Ma si era già follemente innamorato di una ragazza, e sapeva che il nome che avrebbero riportato sulla lettera a lui indirizzata non sarebbe stato il suo.
E non lo poteva accettare.
Non dopo quello che era successo, e non dopo quello che aveva scoperto.
Voleva falsificare lettere, ma non solo per se stesso. Voleva falsificare lettere anche per coloro che, nel profondo e in silenzio, disprezzavano e si opponevano a quel sistema marcio. Voleva falsificare lettere per tutti quelli che si amavano, e che non potevano urlarlo al mondo. Voleva falsificare lettere per rendere un po' più di giustizia alla sua famiglia.
Tanaka era maturato molto, nel suo periodo di permanenza nel Karasuno. Nonostante la perdita di entrambi i suoi genitori, e la sua nuova routine a casa dei nonni materni, non si era mai rassegnato all'idea di voler cambiare le cose. Nonostante il suo comportamento il più delle volte titubante e paranoico, era stato di grande aiuto in tante situazioni. Aveva aiutato tante persone. E non aveva mai smesso di crederci, in fondo.
Di poter anche lui, un giorno, seguire le orme di suo padre e sua madre. Di poter scegliere a propria discrezione la sua persona. Di poter vivere senza rimpianti - e morire senza alcun rammarico.
Il rosso sentì un vuoto all'altezza del petto. Quegli occhi grigi, ora, sembravano aver perso di vista tutti gli obiettivi e le certezze che si era prefissato fino a quel momento. Ancora una volta, come quel giorno.
Totale disperazione e assenza di stabilità.
Tanaka temeva costantemente di perdere ciò che aveva. Di perdere le persone che amava.
E tutto, nuovamente, gli stava ricordando quanto fosse devastante ritrovarsi solo, senza le persone che più amava al suo fianco. Quell'ansia malsana si stava concretizzando, per l'ennesima volta.
Akaashi gli si avvicinò con cautela, posizionandoglisi di fronte, cercando di concentrare l'attenzione di Tanaka su di sè e sui suoi occhi fissi nei suoi.
«Tanaka, guardami. Kiyoko non è sparita, e nessuno l'ha scoperta. È una ragazza intelligente. C'è sicuramente un motivo se non risponde alle tue chiamate. La ritroveremo, ma devi calmarti. Dare di matto non servirà a nulla. Ce lo siamo sempre detti, non ricordi?», la voce ferma del corvino ebbe subito effetto: Tanaka annuì appena, seppur ancora scosso, portandosi le mani sul volto per cercare di riprendersi.
«Sì, hai ragione...Lo so, però...»
«Hey. Conosci Kiyoko meglio di chiunque altro. Sai anche tu che non può essere sparita nel nulla. La troveremo, ovunque sia. E sistemeremo tutto, come abbiamo sempre fatto.», Akaashi riuscì, con semplici parole, a riportare un po' di lucidità nell'altro. Tanaka sembrò tranquillizzarsi a quelle affermazioni, e Hinata osservò, ancora una volta, quanto quel ragazzo riuscisse ad essere carismatico e convincente. In ogni suo gesto, e in ogni sua parola. In ogni evenienza, Akaashi ci riusciva sempre. La sua fermezza mentale in situazioni critiche era quasi indispensabile per gli altri membri del Karasuno.
Hinata quasi volle farsi avanti, per poter offrire anche il suo supporto. Per poter rassicurare Tanaka, che per lui era come un fratello.
Fu in quell'istante che udì, però, nella disattenzione generale, un suono quasi impercettibile. Non gli servì altro per distinguere la suoneria del suo cellulare, ancora abbandonato sul piccolo comodino di fianco al letto della stanza alle sue spalle.
Un messaggio.
Raggelò. Perchè, pur non volendolo, aveva già unito tutti i punti, in una frazione di secondo. E aveva già compreso che la colpa di tutto ciò che stava succedendo era, in realtà, sua. Per l'ennesima volta.
Si era dimenticato che, in fondo, la felicità e la fortuna non gli si addicevano. E che trascinava sempre verso il fondo anche chi lo circondava, in modo diretto o meno.
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