𝟳𝟬
Quando aprì gli occhi, scoprì il sole già alto oltre la finestra. I suoi raggi filtravano dalle tapparelle malmesse abbassate, e Hinata impiegò qualche attimo a riprendersi, abituandosi alla luce.
La pelle del suo viso era secca, a ricordo di tutte le lacrime versate la notte precedente. Si alzò a sedere in uno scatto. Intorno a lui, solo coperte sfatte. Natsu non era al suo fianco, sul materasso. Neppure Kageyama.
Per un istante, il cuore gli salì in gola. Percepì le mani formicolare e la testa vorticare. Un terrore malsano gli invase il corpo. Fu breve.
Una risata allegra giunse alle sue orecchie, proveniente dalla cucina. Apparteneva alla sorella.
Hinata cercò di non far caso al battito incessante del suo cuore, focalizzando l'attenzione sulle parole di Natsu.
«Ma perchè bevi il latte a merenda se sei già alto?», il suo tono di voce era vivace, pieno di vivida curiosità.
«Uh...Perché mi piace...», fu la risposta blanda del corvino. Hinata non lo poteva vedere dal letto, ma era certo che un cipiglio si fosse formato sulla sua fronte, in quell'esatto momento.
«Mamma dice che il latte fa diventare alti. Se ne bevi troppo, poi non entri nella porta! Shoyo non lo beveva mai, ed è rimasto basso. Non voglio rimanere bassa come Shoyo.»
Il rosso sorrise appena, con amarezza, affondando il volto nelle mani inguantate. Ricordava bene le raccomandazioni che sua madre predicava ogni qual volta Natsu si rifiutasse di bere il suo latte il mattino, quando anche Hinata falliva a convincerla: "Il latte fa diventare altissimi! Vuoi restare bassa come tuo fratello che non lo beve mai?"
Lacrime fastidiose gli inumidirono gli occhi, per l'ennesima volta, non appena il volto sorridente di sua mamma ricomparve nei suoi ricordi. Insieme a quella visione, anche il pensiero di essere rimasto solo. Di aver privato sua sorella della loro mamma. Di essersi ridotto a tutto pur di racimolare qualche banconota in più. Di aver coinvolto anche Kageyama nei suoi stessi problemi. Di aver visto la sua stessa vita sgretolarsi di fronte ai suoi occhi. Aveva paura. Era spaventato fino al midollo.
Fu stupido, ma pensò anche alla sua scuola. Al suo banco in centro classe, che ora sarebbe rimasto vuoto. Alle lezioni noiose ed infinite. Alla macchinetta delle merendine. A Yachi, che si era preoccupata di scrivergli di tanto in tanto, per sapere come stava e perchè non stesse più venendo a scuola. Non le aveva mai risposto. Chissà se la polizia aveva rilasciato la notizia della sua presunta morte. Sua madre li aveva protetti nell'unico modo che poteva, per permettere loro di ricominciare da capo, lontano da lì.
Ma il rosso avrebbe dato tutto pur di potersi svegliare e rendersi conto di essersi semplicemente addormentato durante una lezione di trigonometria.
Era riuscito ad accedere al sistema scolastico pur essendo il figlio di un'esclusa grazie all'uomo con cui sua madre aveva tradito suo padre - l'unico vero amore della donna, come lei aveva sempre affermato più volte. Lui aveva messo in pericolo la sua stessa vita, rischiando di venir scoperto, solo per poter assicurare al figlio della donna che amava un'istruzione uguale e giusta a quella del resto dei bambini. Hinata non ricordava quell'uomo.
Sua madre ne aveva parlato spesso, e l'unico rimorso che si portava dietro era quello di non averlo potuto salvare. Forse, si pentiva anche di averlo incontrato. Non tanto per ciò che avevano provato e passato, l'uno insieme all'altro. Semplicemente, non avrebbe voluto che quell'uomo, l'unico che avesse mai amato, morisse a causa sua.
Ad Hinata si strinse appena il cuore. Perchè, finalmente, poteva empatizzare sua mamma. Comprendeva l'imponente senso di rammarico che solo chi non può fare a meno di ferire qualcuno che ama può provare. Anche lui si pentiva di aver incontrato Kageyama. Se non si fossero mai conosciuti, probabilmente le cose per lui sarebbero diverse. Migliori.
Si chiese se fosse giusto amarlo e volerlo accanto, nonostante sapesse bene quanto questo non avrebbe fatto altro che nuocere all'altro.
Si chiese se fosse legittimato ad averlo al suo fianco.
Ad essere felice, pur sapendo che Kageyama avrebbe potuto vivere una vita di gran lunga migliore di quella che lo stava costringendo a vivere ora.
Altre lacrime sopraggiunsero, offuscandogli la vista, e fu difficile ricacciarle indietro.
Si impose di farlo.
Nelle settimane precedenti, non aveva fatto altro che rinchiudersi in se stesso, affogando sotto il peso di tutto il dolore che si portava dietro. Si era allontanato dagli altri. Si era reso martire, nella mera speranza di poter essere assolto da tutti i suoi peccati. Si era maledetto così tante volte da averne perso il conto. Non aveva fatto altro, se non cercare di autosabotarsi con le sue stesse mani.
Aveva sbagliato, agendo d'impulso e in modo totalmente egoista. Non aveva messo in conto il fatto che altre persone tenessero a lui più di quanto lui stesso tenesse a sè, ignorando i loro sentimenti. Nel cercare di proteggerle, le aveva solamente ferite ulteriormente.
Kageyama ne era stato l'esempio più lampante. Per quanto avesse cercato di tenerlo lontano, non aveva minimamente considerato la sua opinione in merito. Non lo aveva nemmeno affrontato faccia a faccia. Come un codardo, non aveva esitato ad indietreggiare e scappare. Aveva fatto lo stesso con sua sorella. Guardarla negli occhi era diventato insostenibile, e man mano si era distanziato anche da lei. E da Bokuto e Akaashi, che nonostante tutto, gli erano sempre rimasti accanto, insieme al resto della squadra.
Non si era domandato se fosse giusto anche per chi lo circondava.
Se Kageyama non avesse insistito nel cercarlo e nel parlargli, se ne sarebbe mai reso conto? Probabilmente, avrebbe continuato ad evitare di affrontare la realtà. Forse non avrebbe mai nemmeno considerato l'idea di accettarla. Di rimettersi in piedi, per l'ennesima volta, a discapito del resto. Di ammettere a se stesso che non era un mostro solo perchè aveva commesso degli errori.
Non sarebbe potuto diventare perfetto. Non avrebbe potuto cambiare il suo passato. L'unica cosa che gli rimaneva da fare, in alternativa al continuare ad odiarsi per ciò che era diventato, era l'accettarsi in tutto e per tutto, per permettersi di migliorare. Di crescere. Di imparare dai suoi errori.
Raggelò alla sola idea di poter ammettere a se stesso di avere diritto ad una seconda possibilità. Dopo aver passato settimane ad incolparsi e a disprezzarsi nel profondo, gli sembrava quasi assurdo pensare di potersi comportare in modo contrario.
Sobbalzò improvvisamente quando la voce di Kageyama giunse nuovamente alle sue orecchie, e sentì il volto caldo quasi quanto le sue mani, ancora ben strette nei guanti del corvino. La sua figura apparve all'improvviso da oltre la porta. Non se ne era nemmeno reso conto, troppo coinvolto nei suoi stessi pensieri per farlo.
«Alla buon'ora, idiota. Sono le quattro di pomeriggio.», Kageyama alzò un sopracciglio, poggiato contro lo stipite della porta. Lo squadrò, accennando un sorriso alla vista della sua chioma rossa arruffata.
Si avvicinò solo per potergliela spettinare maggiormente. Il rosso rimase impietrito, colto in contro piede. Non era la prima volta che Kageyama affondava la sua mano nei suoi capelli, ma gli sembrò quasi lo fosse. Il cuore batteva fin troppo forte, rimbombandogli nelle orecchie.
Si guardarono senza dirsi nulla - l'unico suono presente era il parlottare di Natsu, che era troppo coinvolta nella sfilata di moda delle sue bambole nella piccola cucina che affiancava la stanza per poter far caso ad altro. Hinata notò le orecchie del corvino iniziare ad arrossarsi, così come si rese conto di quanto le sue stesse guance iniziarono a prendere colore.
Kageyama parve accorgersi dell'umore ancora instabile del minuto e della stanchezza che permeava il suo volto. Una stanchezza che, però, risiedeva in special modo negli occhi lucidi e caramellati del ragazzo. Non fisica, ma mentale. D'altronde, sapeva bene che c'era ancora tanto da aggiustare. Tante emozioni che lo infestavano. Tanti pensieri che lo assalivano.
Il corvino sembrò comprendere ogni cosa, senza il bisogno di domandare. Semplicemente, allargò appena le braccia, abbassando gli occhi a terra, quasi in imbarazzo. Era un piccolo invito. Un piccolo gesto.
Hinata schiuse appena le labbra. Kageyama lo faceva sempre. Non lo abbracciava mai senza avere la certezza che Hinata lo volesse. Lo aveva fatto la notte passata. E lo aveva fatto la notte in cui era rimasto a dormire insieme a lui, e aveva cercato a suo modo di offrirgli il suo aiuto dopo l'incubo che lo aveva scosso.
Il rosso sentì di nuovo gli occhi pizzicare. Inspirò a fondo prima di sollevare le coperte e mettere i piedi a terra. Il pavimento era freddo, e un brivido gli risalì la schiena. Lasciò, però, che il suo corpo assimilasse quella sensazione pungente. Una piccola scarica d'adrenalina lo invase.
Si alzò in piedi, e fu facile fare un passo in avanti e poggiare la testa contro il petto del più alto. Quando le sue braccia lo avvolsero con premura, si lasciò affondare nella sua felpa, a occhi chiusi.
Una voce, nella sua testa, continuava a ripetergli che non se lo meritava. Che l'affetto che gli stava mostrando il ragazzo che aveva di fronte non gli spettava. Eppure, Kageyama aveva scelto di rimanere. Pur essendo libero di potersi allontanare. Pur non costretto da nessuna obbligazione a stargli accanto.
Lui era rimasto. E lo stava aiutando a salvarsi da se stesso.
«Grazie...», lo farfugliò sottovoce, ma Kageyama lo sentì, perchè strofinò appena il suo mento contro la sua chioma spettinata. Lo baciò lì, tra quei ciuffi rossi, affondandovi il volto dentro. Il corvino aveva sempre desiderato poterlo fare, e non ebbe occasione di notare quanto fossero diventate rosse le guance del più basso.
Il minuto si lasciò cullare dal suo battito, che pareva quasi essere in sincronia con quello del suo stesso cuore. Terapeutico. Più lo stringeva a sè, più lo necessitava. Più si liberava. Più la sua testa si svuotava. E c'erano solo loro, in piedi e stretti insieme, in quella stanza di pochi metri quadrati. Non serviva nient'altro.
Hinata iniziò a comprenderlo solo in quel momento. Non era necessario altro, se non avere quel ragazzo accanto. Il solo immaginare di poter riprendere in mano la sua vita sembrava più reale, ora. Più concreto, se lui era tra le sue braccia. La sola presenza di Kageyama bastava a infondere speranza nel suo corpo.
Si scostò appena, e gli venne naturale poggiare con cura la fronte contro la spalla del corvino. Era lì che la pallottola lo aveva ferito. La pallottola che lui stesso aveva sparato. Deglutì a vuoto, strofinando appena la testa proprio là, nel punto in cui gli aveva inferto più dolore.
Kageyama trattenne il fiato, e percepì il cuore in gola nel vedere gli occhi rossi dell'altro fissarsi nei suoi. Lo guardavano con tristezza. Con apprensione. Con sofferenza. Il corvino non sopportava quella vista. Non servì nessuna parola, però. Hinata lo spinse a sè con gentilezza, avvolgendo il suo volto con le sue mani inguantate. Il più alto si sporse verso di lui, e lasciò che fosse l'altro a baciarlo. Sapeva quanto il rosso si sentisse in colpa. E sapeva che non sarebbe stato facile, per lui, perdonarsi.
«Non puoi più giocare, vero?», la domanda lo spiazzò. Kageyama si gelò sul posto. Non sapeva come Hinata ne fosse venuto a conoscenza, ma decise di non curarsene, al momento. Gli si seccò la bocca.
Aveva cercato di ignorare quella realtà, ma sapeva di non poter più far finta che le cose andassero bene. Per qualche strano motivo, finì per sentire le guance rigate da lacrime copiose e silenziose. Lo aveva tenuto solo per sè, e forse non aveva nemmeno avuto il tempo per metabolizzarlo appieno, dopo quello che era successo, e dopo la sparizione di Hinata. La pallavolo era stata la sua valvola di sfogo per anni. La sua unica via di fuga. La sua boccata d'aria. Ora che non avrebbe più potuto alzare quella palla sulla sua testa, non sapeva come sarebbe riuscito ad esternare tutta la rabbia che provava. L'impotenza di non poter far nulla a riguardo.
Pianse semplicemente, in silenzio, tra le braccia del rosso, che continuava a ripetergli quanto gli dispiacesse. Quanto avrebbe voluto tornare indietro. Quanto si sentisse in colpa.
Kageyama non gliene dava una colpa. Non ci sarebbe mai riuscito, anche volendolo.
Odiare Hinata sarebbe stata la scelta più logica e semplice. Allontanarsene. Renderlo il capo espiatorio di tutti i suoi problemi. Ma il corvino aveva sempre saputo di non esserne in grado. Non riusciva mai a scegliere la strada più facile. Amava mettersi nei casini. Amava sbagliare. Amava complicare ogni cosa. E amava quel ragazzo.
Non aveva un senso, ma aveva smesso di cercarne uno da quando aveva capito che nulla, intorno a lui, ne aveva uno.
«Smettila.», lo disse piano, attirando l'attenzione del più basso. I suoi occhi rossi e caramellati furono di nuovo fissi nei suoi. Kageyama lo guardò con ammonimento, seppur con il volto ancora rigato dalle lacrime.
«Smettila di ripeterlo. Non hai bisogno di scusarti con me. Non devi scusarti. Non è colpa tua.», furono parole sincere. Hinata se ne rese conto nel momento in cui il corvino, con cura e prudenza, gli asciugò le guance chiare. Lo capì quando i suoi occhi blu si fissarono nei suoi, e non riuscì a smuovere l'attenzione altrove.
Nonostante continuasse a provare un impellente bisogno di ripetergli quanto fosse distrutto e a pezzi, si trovò costretto a tacere.
Neppure un filo d'aria fuoriuscì dalle sue labbra. Kageyama era di fronte a lui, e fu facile annullare le distanze tra loro, per l'ennesima volta. Lasciò a quel semplice gesto il compito di far comprendere all'altro tutto quello che non sapeva come poter esprimere a voce. Tutto quello che non poteva essere espresso a parole.
E fu curativo permettersi di poter crollare, l'uno in presenza dell'altro. Fu rigenerativo piangere insieme, per poi asciugarsi a vicenda le lacrime.
Hinata sapeva di aver perso tante cose in quelle settimane. Ma stava iniziando a comprendere quante, in realtà, ne stava anche guadagnando.
HEY HEY HEEEEYYXJSJ
PASQUA È PASSATA DA UN BEL PO' MA ECCOMI RISORTA ANCHE IO JDKS spero stiate tuttx bene, come sempre! vi lascio due chapters prima di sparire again, but posso già preannunciarvi che Match Master sta per giungere al suo finale :") conto di terminare a 100 capitoli, ma vedremo cosa mi balzerà in testa quando inizierò a muovere le dita sulla tastiera...
nel mentre, dato che mi voglio male psicologicamente, vi lascio qui sotto copertina+trama di una nuova e piccola storia che sto scrivendo (sempre kagehina perchè in questo periodo ho solo loro in testa per questi genere di plot rip e obv sempre molto allegra, per non sgarrare troppo il mio solito lmao) e nulla, per chiunque fosse interessato, è già sul mio profilo :) i hope you can enjoy it!
detto ciò, ringrazio chiunque sia ancora qui a leggere, a commentare, a votare e ad attendermi (con tantissima pazienza!!) nonostante i miei ritmi lenti (a tratti lentissimi rip)! grazie x1000, davvero di cuore!!
see you soon!!!!
<33
Kageyama sapeva solo un paio di cose sul suo conto: aveva i capelli di un rosso simile a quello della buccia delle carote, frequentavano la stessa aula di studio comune il lunedì pomeriggio e aveva sempre ai piedi le solite Converse gialle sgualcite.
E, beh, non parlava mai.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top