𝟲𝟵
Passarono minuti interi. Hinata continuava a godersi il tocco rassicurante dell'altro, che con la testa ancora affondata nelle braccia, continuava comunque ad accarezzargli con cura il palmo della mano inguantata che gli stringeva.
Chiuse gli occhi, seppur ancora seduto sul materasso, quasi stupito del sonno che gli ricadde addosso. Ma un pensiero lo scosse, e sollevò di nuovo le palpebre.
Kageyama non sapeva del casino in cui si era immischiato. O forse sì. Probabilmente era stato avvertito dagli altri. Ma quel ragazzo non poteva davvero immaginare di cosa lui fosse stato capace.
Aveva rotto due braccia a un ragazzo indifeso. Aveva torturato una persona. E lo aveva fatto per soldi. Senza fiatare. Senza esitare.
In fondo, sapeva di non essere la persona che Kageyama credeva lui fosse. Sapeva di essere diverso. Ma non diverso nel modo in cui quel ragazzo pensava. Diverso da lui. Diverso da una persona buona quanto lo era lui.
Peggiore.
Hinata ne era pienamente consapevole. E quel pensiero riuscì a smorzare anche quel breve attimo di felicità sperimentato.
Non si smosse; denti affondati nelle labbra screpolate e la mano ancora legata a quella dell'altro.
«Ho fatto un casino.», farfugliò con un filo di voce, più a se stesso che al ragazzo accanto a lui, che sperò si fosse riaddormentato, nel mentre.
Il corvino, però, lo sentì. E si costrinse a rimanere fermo nella sua posizione. Attese in silenzio che fosse il rosso a fare un passo avanti. Ad aprirsi. A buttare fuori tutto.
Perchè Hinata aveva solo bisogno di certezze e di tempo. Si sarebbe assicurato di stringere costantemente la sua mano, e di lasciargli lo spazio che necessitava. Kageyama stava imparando a conoscerlo.
A comprenderlo.
E ad amarlo sempre di più, in ogni sua sfumatura. Con ogni sua imperfezione. Con ogni pericolo che ne sarebbe conseguito.
«Non credo di...Non merito tutto questo.», lo disse scuotendo appena la testa. Attese qualche secondo, prima di abbassare nuovamente gli occhi a terra.
«Se ti dicessi che ho fatto del male a qualcuno, solo per soldi...», esitò appena; la voce lo tradì. Aveva paura. Paura di vedere sulla faccia di Kageyama quello sguardo che aveva temuto di vedere fin dall'inizio. Quello deluso. Quello spaventato. Quello sconvolto.
Quello disgustato.
Non voleva che Kageyama iniziasse a disprezzarlo. E non voleva che, ai suoi occhi, la sua immagine vacillasse. Cambiasse. Peggiorasse.
La realtà era, semplicemente, che voleva piacere a Kageyama tanto quanto Kageyama piaceva a lui. Ma sapeva che, in fondo, era utopistico anche il solo pensarlo.
Perchè bastava che quel ragazzo gli sfiorasse la mano per fargli salire il cuore in gola. E bastava che lo stesso gliela lasciasse, per farlo crollare sul posto.
Ne dipendeva, in parte. E la cosa più pericolosa, era che gli piaceva. Fin troppo.
Ne era follemente innamorato.
E non sapeva come affrontare quei sentimenti che non aveva mai sperimentato. Che sapeva di non meritare. Perchè non era degno nemmeno di amare qualcuno, in quel modo tanto egoista.
Si sentiva, semplicemente, perso.
Il corvino, alle parole dell'altro, alzò nuovamente la testa. Tornarono a guardarsi, e il più alto scoprì il rosso intento a piangere, in silenzio. Lacrime quasi invisibili a percorrere il volto chiaro, ancora una volta.
Kageyama lo osservava, e il rosso era tanto confuso quanto stupefatto, perchè non c'era traccia di disprezzo, nè di delusione nei suoi occhi. Solo un sincero e flebile velo di tristezza.
Hinata deglutì a vuoto. Nonostante la sua confessione, il corvino non cessò di tenergli la mano. La strinse appena, quel tanto che bastava per fargli capire che non sarebbero bastate quelle parole per convincerlo a lasciarla. Probabilmente, non l'avrebbe mai lasciata, a prescindere dal resto.
«Non sono l'eroe che credi.», Kageyama continuò a guardarlo mentre parlò, mandando giù il groppo che aveva in gola. Giocherellò con un filamento ormai consumato della coperta, rimandando di qualche istante il resto, prima di proseguire. Questa volta, dovette abbassare lo sguardo, però.
«Se fosse stato per me, non avrei esitato a sparare a mio padre, come te. Non esiterei a uccidere, per proteggere qualcuno di importante per me. L'ho già fatto, in parte...», Hinata rimase col fiato sospeso.
Perchè era vero.
Kageyama avrebbe davvero ucciso Osamu, il giorno della sua prova, se solo non avessero usato armi finte. Non aveva esitato a difenderlo.
A costo della sua stessa vita.
«Probabilmente, nei tuoi panni, non sarei riuscito a badare a mia madre e a mia sorella come hai fatto tu in questi anni, da solo. Non sarei stato in grado di difendere così la mia famiglia. Non sarei stato in grado di gestire in questo modo la situazione...eppure tu ce l'hai fatta. Lo stai ancora facendo. Tua sorella è lì, accanto a te, e sta bene.», il rosso percepì un calore quasi rassicurante a quelle parole.
Perchè era vero anche questo.
Finì per fissare gli occhi ricolmi di lacrime sul volto rilassato e dormiente di Natsu, ancora sotto le coperte. Sua sorella stava bene, ed era anche grazie a lui.
Accennò un sorriso nel vederla arricciare appena il nasino nel sonno.
«Non sono qui per giudicarti. Non ho passato ciò che hai passato tu, non ho provato quello che hai provato tu, ma...non sentirti sbagliato se fai qualcosa di sbagliato...Non con me. Perchè so che non sei una cattiva persona. Non sei un mostro, come invece credi di essere...E so che non sono perfetto nemmeno io. Non lo sarò mai.», negli occhi blu di Kageyama c'era una luce così abbagliante che Hinata non riuscì a fare altro che perdervisi dentro. Quel mare lo travolse in piena, per l'ennesima volta.
Ma forse annegare non era poi così brutto come immaginava. Forse cadere gli sarebbe piaciuto più di quanto avrebbe mai pensato.
Il cuore martellò nel petto, a ricordargli che era ancora vivo. Che sua madre aveva dato la sua vita per lui. E lo stesso aveva fatto Kageyama.
Non era perfetto, ma qualcuno aveva comunque visto in lui qualcosa che valeva essere la pena protetto. Qualcosa di buono.
Per la prima volta, sentì di star imparando a respirare nuovamente. Non era perfetto, e quel ragazzo gli aveva appena detto che non doveva esserlo. Non con lui. Perchè neanche lui era perfetto.
Forse, era davvero giustò così.
Forse, sbagliare non lo rendeva per forza un mostro.
Non era facile accettarlo, dopo aver passato una vita intera a credere il contrario. Dopo aver fatto cose troppo sbagliate.
Di fronte al volto dell'altro, però, sembrava quasi possibile riuscirci.
Il corvino strinse un po' di più la sua mano, il volto in fiamme, ma sincero. Non si era mai aperto così con nessuno. E Hinata, probabilmente, era il solo con cui sarebbe stato in grado di farlo.
Voleva solo che non si caricasse troppo le spalle con quei rimorsi e quei pensieri perfino più grandi di lui. Voleva solo vederlo spensierato e felice, come lo era quando lo aveva conosciuto. Come lo era per natura.
Un ragazzo sfacciato, furbo, sorridente, testardo, energetico, sfrontato.
Un ragazzo buono, ma impreparato a risolvere problemi così grandi. Uno onesto, ma pronto a diventare il contrario, in difesa di chi era importante per lui.
Lo stimava, in parte. Ma non riuscì a dirglielo. Forse per vergogna, o forse perchè Hinata incastrò maggiormente le loro dita, e tutto vacillò per qualche attimo.
«Il casino che dici di aver fatto...Lo risolveremo. Kiyoko mi ha raccontato tutto. E non ti giudico per la tua scelta. Mi fido di te. So che l'hai fatto per un motivo valido. Sono dalla tua parte, ok?», il rosso si ritrovò a schiudere le labbra, quasi incapace di realizzare le parole dell'altro. Un tepore familiare ad invadergli il petto, la testa battuta dal suono forte e chiaro del suo stesso battito cardiaco. Scandiva una sequenza sempre più veloce, man mano che il suo volto si chinava con lentezza verso quello dell'altro.
Kageyama lo incontrò a metà strada, facendo scontrare con gentilezza le loro fronti. Hinata continuava a guardarlo con uno sguardo nuovo. Uno stupito. Uno meravigliato. Uno che, ora, sembrava illuminato da un po' più di speranza.
Annuì con un piccolo cenno.
«Ok.», deglutì rumorosamente, strofinando appena la sua testa contro quella dell'altro. Era un gesto intimo. Nonostante fosse solo tra lui e la sorella, scelse di condividerlo anche con il corvino. Ancora una volta.
Non riusciva a credere a quello che stava vivendo, così come non riusciva a credere di meritarlo per davvero. Ma, forse, quel ragazzo aveva ragione. Forse lo meritava.
Perchè non era una persona cattiva.
Non era un mostro.
Non per Kageyama.
Gli occhi pizzicarono più forte.
Il più alto sentì le orecchie fumare. Il cuore in gola e le dita tremanti, mentre il respiro del rosso si unì al suo. Hinata quasi sorrise di fronte all'evidente imbarazzo dell'altro, ma non era in condizioni migliori di lui per permettersi di beffeggiarlo. Aveva il volto in fiamme.
Questa volta, erano entrambi sobri.
Il rosso si chiese se il corvino si ricordasse del bacio che si erano scambiati quella notte. Se se ne fosse pentito o meno. Se gli fosse piaciuto. Se gli piaceva lui.
Perchè, per quanto lo riguardava, era certo di non avere dubbi. Hinata sapeva di essere innamorato di quel ragazzo, già da tempo. Kageyama, però, non gli diede il tempo di esitare o dubitare oltre.
Lo baciò prima ancora che il rosso potesse metabolizzarlo, spingendolo a sè quasi con urgenza. Quando il rosso affondò le sue mani inguantate nei capelli color pece del più alto, non furono necessarie altre parole.
I loro corpi si parlarono da soli, con la sola luna oltre la finestra a fare loro da testimone.
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