𝟲𝟲

Raggelò, stringendo i pugni ancora sporchi di sangue ormai seccato nelle tasche della giacca. Era lì, in piedi, sul pianerottolo buio, da ormai troppi minuti.

Kageyama lo attendeva oltre quella porta. Ne era certo. E lui non era pronto.

Aveva cercato di non pensarci per tutto il tratto di strada che aveva percorso in autobus per poter tornare indietro, invano.

Non voleva rivederlo. Non poteva rivederlo.
Specialmente in quelle condizioni.

Non sapeva nemmeno perchè se ne stesse curando tanto, di come quel ragazzo avrebbe potuto giudicarlo. Di come avrebbe potuto reagire di fronte alle sue mani macchiate, di nuovo, di altro sangue.

E si rese conto di avere paura.
Un terrore immane di riconoscere delusione nel suo sguardo. Gli occhi di Kageyama lo avrebbero guardato con disprezzo. Rabbia. Odio.

Le mani presero a tremare appena, e strinse maggiormente i pugni. Si sentì così stupido.

Nonostante tutto quello che stava affrontando, aveva paura di un semplice sguardo. Nonostante fosse appena entrato in una cerchia di criminali pronto anche a sbarazzarsi di lui alla minima mossa sbagliata, l'unica cosa per cui provava timore era leggere sul volto di Kageyama delusione.

Non lo avrebbe retto.
Ma non poteva più scappare.

Era certo che c'entrassero anche gli altri. Gli avevano permesso di andare lì. Di trovarlo.

Era così furioso.

Le lacrime scesero silenziose sulle sue guance.

Non sapeva più cosa fare.
Cosa pensare. Come sentirsi.

Fissava a terra, mentre il buio lo avvolgeva. Avrebbe voluto dissolversi in esso. Sparire. Anche dalle vite e dalle menti di chiunque lo avesse incontrato.

Era un idiota.
E non aveva più nessuna forza per indossare un'altra maschera. Per nasconderlo.
Nemmeno voleva provarci, in fondo.

Forse, era meglio così.

Kageyama avrebbe finalmente visto fino in fondo quanto fosse spregevole. Lo avrebbe insultato.
Lo avrebbe odiato. E se ne sarebbe andato.

Lo meritava, in fondo.
Era ciò che aveva cercato di fare in quelle settimane.

Allontanarlo.
Farsi odiare.
Farsi dimenticare.

Ma il cuore gli si strinse un po' di più, e si ritrovò chino a terra, le braccia attorno alle gambe rannicchiate, e il viso affondato tra le ginocchia.
Pianse, immobile.

Osservò come la vista gli si offuscò nuovamente.
Trattenne il fiato, ma fu tutto inutile.

La realizzazione lo affondò, colpendolo in pieno.

Non riuscì a frenare i suoi singhiozzi.

Digrignò i denti, cercando di calmare gli spasmi, invano. Il cuore gli rimbombava in testa. Il corpo fremeva dal terrore. Gli mancava l'aria.

Non voglio che Kageyama mi odi.

Nonostante sapesse di essere un mostro, e di non meritare nessuna delle persone che lo circondavano, non riusciva ad accettare il fatto che quel ragazzo potesse odiarlo.

Nonostante fosse stato lui stesso a volerlo estraniare dai suoi problemi, non poteva sopportare l'idea che Kageyama non lo volesse più nella sua vita.

Egoista.

La sola idea di non riuscire più a guardarlo in faccia, per il timore che potesse vedervi solo delusione, lo immobilizzava. Si sentiva inerme di fronte a lui, così come lo era di fronte allo sguardo innocente della sorella.

Anche lei lo avrebbe odiato, in futuro. E lui non lo avrebbe potuto accettare.

Egoista.

Strinse gli occhi, sentendo la testa vorticare. Un dolore sempre più forte al petto. Qualcosa sembrava stritolarlo, impedendogli di respirare in modo regolare.

Essere odiato da chi più amava.

Pensava di potercela fare.
Pensava non sarebbe stato così difficile da affrontare.

Ma aveva dovuto ricredersi.
Non ce la stava facendo.
Non ce l'avrebbe fatta.

Era collassato su se stesso, con il solo desiderio di potersi risvegliare da quell'inferno.

Aprire gli occhi, e realizzare che non era successo nulla, in realtà.

Egoista.

«Hinata?!»

Raggelò.

Sentì il cuore salirgli in gola, per poi precipitare giù, fino alla bocca dello stomaco.
Nausea. Terrore. Gelo. Senso di colpa.

Tutto girava, tutto era sfocato. Non si era accorto della porta, che si era aperta.

Strinse gli occhi, tenendo la testa ben infossata tra le braccia, e pregò solo che finisse tutto presto. Perchè non era pronto, e non voleva che anche Kageyama lo reputasse un mostro.

Non voleva esserlo per lui.
Non voleva rovinare le cose.

Non lo aveva mai voluto.

Prima che potesse farlo il corvino, fu lui a parlare.

«Mi dispiace...», farfugliò con un filo di voce, ancora rannicchiato su se stesso, incapace di alzare il capo o smettere di piangere. «Mi dispiace...», continuò, non riuscendo a fermarsi. Scuoteva la testa, mentre le mani esili tremavano e stringevano il tessuto della sua stessa giacca.

Il corvino rimase inerme di fronte alla scena.

Si sentì morire dentro.
Il cuore a pezzi, così come lo era Hinata, di fronte a lui, in preda a un pianto sfrenato.

Kageyama non aveva chiuso occhio nelle ore precedenti, nonostante fosse riuscito a far addormentare Natsu subito dopo cena. Bokuto e Akaashi se ne erano andati, ben consapevoli che i due ragazzi avrebbero dovuto risolvere le cose tra loro e che la loro presenza non avrebbe giovato a nulla.

Il corvino non aveva fatto altro che pensare all'altro, fino all'esasperazione. Più guardava il volto di quella bambina, più ripensava a quello di Hinata. Ed era diventato quasi stremante.

Fino a quando non aveva udito qualcosa, fuori dall'appartamento. Ed era corso ad aprire la porta.

Gli si mozzò il fiato; una fitta di dolore lo trapassò completamente.

Kageyama sapeva che quel crollo emotivo era stato causato anche dalla sua presenza. Quelle parole disperate erano indirizzate a lui. E sentì gli occhi pizzicare.

Perchè, nonostante tutto quello che aveva dovuto subire, Hinata non aveva smesso di prendersi le colpe di ciò che era successo. Così tanto da dimenticarsi di quanto, in realtà, avesse fatto per chi gli stava accanto.

Stava crollando di fronte ai suoi occhi. Così tanti pezzi rotti a terra. Così tanta sofferenza in quel corpo accovacciato, stretto nella solita giacca gialla.

Kageyama non esitò a chinarsi davanti a lui con urgenza, una morsa strana intorno al petto. Faceva male anche respirare, alla sola vista di quel ragazzo in quello stato. Non se lo meritava.

Non meritava niente di ciò che lo aveva ridotto a piangersi addosso in quel modo.

«Mi dispiace...», esalò ancora il rosso, e il corvino notò le sue mani sporche di sangue. Si allarmò. Il terrore invase il suo corpo.

«Hey...», provò a richiamarlo, esitando anche solo a sfiorarlo, per timore di poterlo rompere definitivamente da un momento all'altro. Dovette trattenersi, pur di non stringerlo a sè.

«Hinata...Hey...», lo disse con così tanta gentilezza, che il rosso si sentì sprofondare. La sua faccia si accaldò come la prima volta. E non riuscì a fermare le lacrime, che continuarono a scendere, finendo a terra.

Il cuore gli finì in gola quando sentì la mano dell'altro poggiarsi con estrema cura sul suo capo. Sobbalzò, facendola ritrarre, e se ne pentì all'istante. Avrebbe solamente voluto che Kageyama lo tenesse stretto. Che lo lasciasse tornare nella sua vita.

Egoista.

E fu stupido rendersi conto di quanto tutto fosse stato inutile. Stargli lontano. Cercare di non pensarlo. Allontanarlo.

Bastava solo la sua presenza, per farlo crollare a terra. Bastava solo una sua parola, e tutto tornava a muoversi. Hinata odiò quel senso di impotenza.

Odiò sentirsi così felice, nonostante tutto.

Egoista.

Il corvino aveva ancora la mano per aria. Trattenendo il fiato, non riuscì a controllarsi. Finì per immergere nuovamente le dita tra quei fili rossi che tanto aveva bramato rivedere in quelle settimane.

Sentì gli occhi bruciare, ancora. Mentre muoveva con delicatezza la sua mano, pensava a quanto gli fosse mancato. E non seppe nemmeno come era riuscito a stargli lontano per così tanto tempo.

Hinata non si smosse, questa volta. Anzi. Chiuse gli occhi, lasciandosi sciogliere sotto quel tocco tanto cauto quanto scottante. Era rassicurante. Gentile. Premuroso.

E il rosso sapeva di non meritarselo, ma non riusciva mai a privarsi di quei gesti, quando era Kageyama a offrirglieli. Non sarebbe mai riuscito a tirarsi indietro. Non voleva.

Egoista.

Ma non poteva essere diversamente.
Era così, e non poteva cambiarlo.

Quei sentimenti non potevano scomparire.
E dopo solo una carezza, sembravano essersi fatti più travolgenti di prima. A tal punto da spingerlo, in modo totalmente illogico, a rialzare la testa.

Voleva rivedere il suo volto.
Voleva guardarlo.
Voleva tornare ad ammirarlo.

Ancora una volta.
Ancora.

Si mosse con lentezza, timoroso di scoprire sul viso dell'altro uno sguardo deluso. Spento.

Forse, Kageyama stava solo provando pena per lui.
Forse, nemmeno gli importava.
Forse, lo odiava comunque.

Sentì il sangue fremere per la paura di poterlo perdere davvero, ora che lo aveva lì, davanti a sè.

Ma quando i suoi occhi gonfi e arrossati finirono in quelli blu del corvino, li scoprì essere ricolmi di lacrime. Rimase senza fiato.

I suoi occhi erano carichi di emozioni diverse. Preoccupazione. Sollievo. Tristezza. Felicità.
Il rosso non seppe dirlo.

Seppe solo che quando l'altro gli circondò il volto con le mani, si ritrovò col fiato sospeso, disorientato da quello che non si era aspettato di vedere.

L'unica cosa che riuscì a pensare, fu a quanto fosse bello.
Anche adesso.
Anche in lacrime.

E a quanto gli fosse mancato.

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