𝟱𝟴
Faceva freddo, su quel balcone. Così tanto che brividi continui scuotevano a cadenza quasi regolare la sua esile figura.
Nonostante tutto, però, aveva comunque deciso di rannicchiarsi lì, stretto a quella ringhiera arrugginita. Piedi scalzi e irrigiditi dal gelo a ciondolare, lenti e costanti. Non sentiva più le dita, ma non importava.
L'aria lieve ma pungente gli scompigliava la chioma rossa, facendolo rabbrividire di minuto in minuto. Le due felpe che indossava e i pantaloni sgualciti del pigiama non bastavano a proteggerlo.
Il ticchettio dell'orologio lo stava consumando, lentamente. Nessun suono, oltre a quello del vento lento. In lontananza, nel buio della notte, solo una distesa di campi e piccoli raggruppamenti di case sparse per la collina. Digrignò i denti.
Ormai pensava di meritarsi di morire di freddo. Di non avere il diritto di lamentarsene. Ormai non gli sarebbe nemmeno importato di saltare giù da quel balcone al quarto piano. Di non avere il lusso di poter aggrapparsi alla sua vita, se non era nemmenoo stato in grado di difendere quella delle persone che più amava al mondo.
E quei pensieri riuscivano a terrorizzarlo.
Quasi sobbalzò, rinsavendo, nel sentire un sospiro profondo provenire dalla stanza accanto, attraverso la porta finestra alle sue spalle socchiusa. Il cuore gli salì fino in gola, e ignorò i muscoli irrigiditi. Fu veloce a precipitarsi nella piccola stanza dove, sull'unico letto che occupava l'area, dormiva la sua sorellina. Sembrava assorta in qualche sogno, data la sua espressione un po' corrucciata. Nessun segno del fatto che presto si sarebbe svegliata.
Hinata si sentì sollevato alla sola vista di quel piccolo corpo rannicchiato sotto le coperte, che stringeva il suo fidato pupazzo. Da quella notte, Natsu aveva chiesto spesso di sua mamma. Di chi fosse quell'uomo cattivo entrato in casa. Perfino di Kageyama.
Il fratello le aveva raccontato una storia bella, dicendole che la mamma era andata a prenderle un regalo, e che sarebbe tornata per farle una sorpresa. Prima, però, sarebbe dovuta crescere e mangiare tante verdure. Quell'uomo era solo un cattivo delle sue fiabe preferite. Aveva lasciato il libro aperto, e lui era uscito dalle pagine per cercarla. Ma la mamma aveva sistemato tutto, e quel cattivo non sarebbe più uscito da quel libro.
Natsu, da quel giorno, non voleva più sentire favole. Temeva che quell'uomo sarebbe tornato e avrebbe fatto sparire il suo fratellone, o che l'avrebbe presa e obbligata a entrare in una favola. Aveva paura di rimanere sola.
Voleva sempre che Hinata o che Bokuto e Akaashi - con cui aveva familiarizzato più di quanto i tre avessero immaginato - le stessero accanto.
E Hinata si era odiato così tanto, per non essere stato in grado di fare niente per lei.
Si ricordò che c'era un motivo se non poteva morire di freddo. Se non poteva saltare giù da quel balcone. Se doveva resistere.
Vivere.
Sua sorella non meritava altra sofferenza.
E non avrebbe permesso che la sua felicità venisse intaccata.
Non poteva perdonarsi quello che era successo.
Non poteva nemmeno guardarsi allo specchio.
Non poteva nemmeno sdraiarsi accanto a lei senza sentirsi mangiato dai sensi di colpa.
Ma doveva sforzarsi.
Doveva continuare ad andare avanti, anche se non avrebbe voluto fare altro che spegnere ogni cosa e crollare in un sonno profondo quanto quello della sorella.
Non riusciva a chiudere occhio da giorni.
E se ci riusciva, durava poco.
L'ansia lo divorava. Gli incubi lo incatenavano nei suoi ricordi. Lì, quelle scene si ripetevano continuamente. Quella notte prendeva vita nuovamente, ogni volta. E desiderava solo scongiurare quella sofferenza infinita.
La paura che potesse succedere ancora qualcosa lo mangiava vivo. Il timore di perdere anche l'unica persona che gli era rimasta non gli permetteva di respirare, a volte. I sensi di colpa sempre lì, a ricordargli che, in fondo, era un mostro.
E che tutto questo era solo la sua condanna.
Lo aveva accettato.
Ma a volte gli mancava.
Il sorriso di sua mamma quando rientrava da scuola.
La sua casa in un distretto di periferia.
Il suo letto dal materasso fin troppo duro a cui si era abituato.
La doccia perennemente fredda a causa della caldaia rotta.
Il sapore degli onigiri che sua mamma gli faceva ogni volta.
La sua vita.
Kageyama.
Ci pensava spesso, da quando aveva deciso di cedere alle insistenze di Bokuto: gli aveva proposto in modo asfissiante di trasferirsi nel suo piccolo appartamento in quel condominio in disuso dove solitamente si riunivano insieme agli altri. Lui e Akaashi ci passavano spesso le notti insieme, per sfuggire alle loro vite e alle loro realtà, che impedivano loro perfino di potersi parlare. Di fatto, la loro relazione era segreta al mondo esterno.
E il rosso, alla fine, per disperazione e per sua sorella, aveva dovuto accettare.
Sperava che, così facendo, sarebbe sparito dalla vita dell'ennesima persona a cui doveva la vita. Non voleva coinvolgere ancora quel ragazzo.
Non se lo meritava, e da egoista, lui l'aveva saputo fin dall'inizio, ma lo aveva comunque spinto a seguirlo in quella faccenda. Nella squadra. Nella sua stessa vita. Nei suoi problemi. E perfino nel suo cuore.
Ma non era quello il suo posto.
Kageyama non era nato per vivere una vita come la sua. Lui poteva ancora salvarsi.
Dalla notte in cui glielo avevano strappato dalle braccia, dopo averlo visto sparire su di una barella in un'ambulanza, non aveva fatto altro che torturarsi per il terrore asfissiante che fosse morto. Che potesse morire da un momento all'altro. Che non ce la potesse fare.
Nonostante le ultime rassicurazioni di sua madre, l'unica cosa che riusciva a provare era irrequietudine.
Ma Bokuto, pochi giorni dopo la scelta del rosso di trasferirsi in quel piccolo trilocale, si era accostato alla "sua" stanza, gli aveva bussato e gli aveva sorriso appena dall'uscio non appena la porta si era aperta di fronte a lui.
«È vivo. Si è risvegliato. Me lo ha riferito Akaashi, un suo parente lavora come infermiere in quell'ospedale.»
Aveva pianto.
Tante lacrime calde gli avevano inondato il volto, e una leggerezza strana si era impossesssta del suo petto. Il cuore gli era salito in gola e sceso di nuovo in petto ad una velocità assurda.
Gli tremavano perfino le mani, mentre ci affondava il volto contro.
Era così felice.
Ma, allo stesso tempo, così triste.
Perchè avrebbe voluto rivederlo davanti a sè. Tra le sue braccia, di nuovo.
Ma non meritava nemmeno di sprecare un altro secondo della vita di quel ragazzo.
Non meritava nemmeno più di pronunciare il suo nome, dopo quello in cui lo aveva trascinato.
Così aveva detto a Bokuto e, in seguito, agli altri, di fingere con Kageyama.
Di fargli credere che fosse morto.
Che quel mostro che si era ritrovato come padre aveva ammazzato anche lui, quella notte.
Di lasciarlo tornare a vivere la sua vita.
Di non considerarlo più parte del gruppo.
Se quel ragazzo avrebbe creduto al fatto che Hinata fosse morto, si sarebbe messo l'anima in pace, forse. Avrebbe scelto di lasciar perdere con tutta quella faccenda.
Il rosso, in fondo, lo aveva fatto solo per il suo bene.
Perchè Kageyama era diventato troppo prezioso per lui. Così tanto che non poteva permettere che qualcosa gli accadesse. Non avrebbe più potuto vivere, se anche lui avesse sofferto nuovamente a causa sua.
Ma non aveva previsto che gli sarebbe mancato così tanto, di giorno in giorno, né che quel ragazzo sarebbe passato a bussare perfino alla porta di quell'appartamento agli orari più impensabili, chiamando il suo nome continuamente.
La prima volta che lo aveva sentito sbattere con forza i pugni contro la porta era da solo. Bokuto e Akaashi avevano portato Natsu a prendere una cioccolata calda, mentre lui era stato costretto a letto dai due per il suo aspetto improponibile.
Il suo cuore aveva perso un battito. La realizzazione che Kageyama era a pochi metri da lui riuscì a farlo avvampare e raggelare al tempo stesso. Si era stretto nelle coperte, occhi spalancati pieni di lacrime pronte a rigargli il volto. Più il corvino lo pregava di aprire, più lui si stringeva nelle spalle.
Gli avrebbe voluto aprire così tanto.
Forse si era pentito di non averlo mai fatto.
Ma sapeva che non avrebbe mai potuto.
Perchè in ballo c'era la vita di quel ragazzo, e lui gliel'avrebbe semplicemente resa un inferno se gli avesse permesso di entrare.
Ed ora che i suoi occhi si erano offuscati per le lacrime, guardando sua sorella dormire pacificamente, diede la colpa anche a quel corvino alto quanto un palo della luce.
Perché gli infestava ancora la testa, continuamente.
Più voleva non pensarci, più finiva a farlo.
Era sfinito, ma non pianse.
Non poteva farlo.
Quasi non ci riusciva.
Si sentiva in colpa perfino a piangere.
Le sue lacrime erano stupide al solo ricordo di quelle che avevano sua madre e sua sorella in volto, quella notte. Quelle di Kageyama, che aveva sofferto così tanto mentre lo aveva stretto a sé, prima di perdere i sensi.
Lui avrebbe potuto evitarle tutte.
Se solo avesse avuto più coraggio in passato.
Se solo avesse agito diversamente quella notte.
Se solo non avesse temuto di diventare un mostro ammazzandone un altro.
Alla fine, era diventato un mostro comunque, ma peggiore perfino di quello che pensava.
Non aveva ucciso nessuno, ma aveva rovinato la vita di tutti.
Tutto stava diventando pesante. Asfissiante. Soffocante.
Un tocco leggero sulla spalla lo fece trasalire. Scattò d'istinto, rischiando quasi di colpire la figura alta del padrone di casa. Bokuto riuscì a bloccare il polso dell'altro per un pelo, grazie ai suoi riflessi pronti.
«Hey, hey...È tutto ok, piccoletto. Siamo noi. Volevo solo avvisarti che io e Akaashi siamo tornati. Speravo dormissi...», la voce pacata del ragazzo dalla chioma biancastra ben sparata in aria gli sembrò quasi familiare, ormai. Bokuto, infatti, si rivolgeva sempre a lui con quel tono calmo. Inizialmente, aveva fatto fatica ad abituarsene.
Uno come lui, con sempre una pistola dietro e le spalle larghe quanto un armadio, non era molto convincente quando si trattava di comportarsi in modo quieto. Ma Hinata aveva dovuto ricredersi.
Bokuto era premuroso. Più di quanto avesse immaginato. E più volte aveva rivisto in lui un fratello maggiore a cui affidarsi. Con cui crollare.
Non lo avrebbe mai giudicato.
E ne fu grato.
Così tanto da sentire gli occhi punzecchiare nuovamente. Sospirò, prima di rilassare i muscoli.
Non si meritava neppure lui.
«Scusa, stavo solo dando un'occhiata a Natsu. Andate pure a dormire, sto bene.», deglutì a vuoto, e gli occhi chiari del ragazzo al fianco di Bokuto lo scrutarono con attenzione. Akaashi addolcì il volto alla vista di quel ragazzino sfiancato da tutto ciò che era stato costretto a subire.
«Tsukishima mi ha detto che Kageyama ti sta cercando. E che si è fatto sfuggire il fatto che sei vivo.», glielo rivelò senza esitazioni. Pensò che fosse meglio evitare di tergiversare. Bokuto lo guardò preoccupato, e strinse maggiormente la presa sulle loro mani intrecciate.
Il minuto si irrigidì. Gola secca e sguardo puntato a terra. Avrebbe voluto urlare dalla rabbia. Rompere qualcosa. Piangere.
Perché già sapeva cosa sarebbe successo, ora che quel ragazzo sapeva che lui era vivo, in realtà.
Kageyama, in fondo, non ci aveva mai creduto, a giudicare dall'assiduità con cui lo cercava.
Aveva solo bisogno di una certezza, e gli era stata data.
Hinata non avrebbe mai pensato che sarebbe stato proprio quel quattr'occhi a tradirlo, sempre prudente e di parola.
Lo aveva fatto apposta per rovinare la vita di Kageyama, per l'ennesima volta? O per rovinare la sua?
Perché ora, non avrebbe potuto far altro che scappare e nascondersi, ancora più di prima.
«Non si fermerà. È già venuto qui, ma ti troverà. Non sembra intenzionato a lasciarti andare.»
Hinata digrignò i denti.
Si odiò così tanto.
Perché, pur sapendo di essere la persona peggiore che Kageyama avesse mai incontrato, si sentì così dannatamente e orribilmente felice.
Sinceramente gioioso del fatto che quel ragazzo fosse così determinato a trovarlo.
A riportarlo nella sua vita, nonostante lui gliel'avesse quasi distrutta.
Gli si scaldò il petto.
Perfino il suo volto avvampò, in modo quasi infantile, e si vide costretto a nasconderlo tra le mani.
Kageyama non lo avrebbe lasciato andare.
E lui era così pessimo da desiderare che lo trovasse per davvero.
Che fosse pronto a farsi strada nel suo inferno pur di stare con lui.
Era così egoista.
Si vergognò dei suoi stessi pensieri.
Di quelle emozioni.
Di quella felicità malsana.
Ma non avrebbe più commesso errori. Non avrebbe più pensato a sé stesso. Non avrebbe più rischiato.
E non avrebbe permesso a dei sentimenti sterili e infidi di rovinare la vita al ragazzo che amava visceralmente, dal profondo del suo cuore.
Meritava di essere felice, e accanto a lui non lo sarebbe mai stato.
Kageyama valeva troppo.
E lui era certo che il suo posto fosse lontano da lui.
Così lontano che se ne sarebbero potuti dimenticare entrambi.
Come in un sogno.
Come se fosse stato tutto un'illusione.
Sarebbe scomparso dalla sua vita, sperando che anche quei sentimenti sarebbero svaniti, con il tempo.
Per lo meno, era l'unica cosa che poteva fare.
L'unica che avrebbe potuto permettere a Kageyama di essere felice per davvero.
E mandò giù il groppo che gli si era formato in gola.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top