𝟱𝟲

Tsukishima lo ribadì con serietà, notando come lo sguardo dell'altro, man mano, si scuriva.

«Quel ragazzo è morto, cazzo. Dimenticatelo. Torna alla tua vita da figlio di papà e smettila di causare problemi, in special modo a me.», il biondo parlò seccente, irritato.

Kageyama era al limite.

Evidentemente, tutti si divertivano a prenderlo per i fondelli.

Ma era stanco.
Fin troppo.

«E io ci dovrei credere, vero, bastardo? Pensi che sia coglione? Vaffanculo, dimmi dove cazzo si trova o non finirà bene.», lo avvertì con voce minacciosa, ricambiando la presa sul colletto dell'altro.

Ne aveva abbastanza di quel ragazzo.
Del suo modo di atteggiarsi nei suoi confronti.
Della sua prepotenza.
Della sua continua sfiducia.

Era così stanco.
E gli serviva un capro espiatorio per incanalare e sputare fuori tutta la rabbia che in quei giorni aveva accumulato in sé.
Con i suoi genitori si era costretto a reprimere ogni emozione negativa, per impedire che qualcosa di grave fuoriuscisse insieme al flusso d'ira con cui avrebbe voluto travolgerli.

Ma con quel quattrocchi poteva darsi alla matta gioia.

E Tsukishima ghignò, sguardo strafottente e voce pacata. «Alza la testa, è lassù in cielo. Perché non lo raggiungi e controlli tu stesso?»

Kageyama non riuscì a trattenersi.

Figlio di puttana.

Il pugno che indirizzò verso il volto dell'altro fu quasi istintivo. L'altro non riuscì a schivarlo, percependo subito il dolore dell'impatto tra le nocche del corvino e il suo zigomo sinistro. Il biondo ribatté senza esitazione.

Entrambi finirono per colpirsi ripetutamente, senza esclusione di colpi. Kageyama sentì il calore familiare del sangue colargli giù dal naso, fino a insaporirgli le labbra secche; una smorfia di dolore ora sul volto. «Dimmi dove cazzo è! Ho bisogno di vederlo! Devo sapere cosa è successo!», gridò, sferrando un altro pugno che prese l'altro in pieno addome.

Il fiato corto, i movimenti sempre più lenti perché i muscoli erano ancora provati dal suo ricovero in ospedale. Ma non si fermò.
Non poteva fermarsi.

Quel ragazzo dai capelli rossi era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Lo stava facendo impazzire, ma non gli importava.

«Fanculo, devo vederlo, cazzo! Perchè diavolo se n'è andato?! Dimmi dove cazzo si sta nascondendo! Giuro che lo ammazzo io!», non sapeva più nemmeno come riuscire a controllarsi.

Era disperato, nel più devastante dei sensi.
E Tsukishima non riuscì a evitare di provare compassione per quel ragazzo. Durò poco, ma bastò a fargli notare anche le lacrime che stavano iniziando a cadere sul volto del corvino.

Il biondo inspirò a fondo, un sopracciglio accigliato, prima di riavvicinarsi. Kageyama tossì al calcio dell'altro, che lo fece piegare in due.

Il quattrocchi ne approfittò per avere la meglio. Il corvino finì per stringere i denti non appena urtò la spalla lesionata contro il muro sul quale era stato spinto, finendo con l'accasciarsi a terra, in preda al dolore. Si morse le labbra con forza per evitare di urlare.

Gli si inumidirono gli occhi, ancora più di quanto già non fossero, non seppe se per il male atroce che gli si propagò lungo il braccio, o se per la frustrazione e l'impotenza che gli attanagliavano il petto. Tutto era offuscato, persino i suoi stessi pensieri.

Tsukishima si pulì appena il labbro superiore, sporco di sangue, rimettendosi poi gli occhiali che aveva sfilato per evitare venissero rotti, prima di sospirare, in parte sfiancato da quella rissa di prima mattina. Lo sguardo sull'altro, ora a terra. Lo fulminò, dall'alto, cercando di ristabilire il suo respiro.

Gli faceva male il busto, così come l'intera zona sinistra del volto, ma cercò di non farci caso.

«Non lo capisci proprio, vero?», sputò acidamente, mentre Kageyama fissava ancora a terra, un'ira poco comune negli occhi lucidi.

Deglutì a vuoto.

«Più cercano di tenerti alla larga dai casini, più tu ti ci immischi. Ti diverti? Sei masochista fino a questo punto? Sei solo un coglione del cazzo.», forse stava esagerando. Forse non avrebbe dovuto nemmeno parlargli. Ma Tsukishima, di fronte a quel ragazzo perso, che per la prima volta nella sua vita stava vedendo piangere, non seppe frenarsi.

Tirava fuori il peggio di lui.
Ogni fibra del suo corpo lo spingeva a gridargli contro.

Avrebbe voluto continuare a prenderlo a calci, solo per fargli aprire gli occhi. Solo per obbligarlo a tornarsene alla sua vita, che era così diversa da quella degli altri. Così perfetta, in confronto.

In fondo, però, sapeva di non odiare Kageyama.

Odiava il suo essere egoista.
Il suo essere prepotente.
Il suo essere illogico.
Il suo essere stupido.
Il suo essere innocente.

E, forse, gli sarebbe piaciuto odiarlo davvero, nella sua interezza. Così che nessun senso di colpa gli avrebbe stretto il petto in quel modo. Così che nessun'altra parola sarebbe fuoriuscita dalle sue labbra.

Non seppe bene perché lo fece.

Forse perché, ascoltando ciò che Hinata gli aveva confessato, ciò che Kageyama aveva fatto quella sera per salvarlo, aveva concesso a se stesso di fare un passo indietro.

Forse era davvero diverso.
Forse non lo aveva mai conosciuto del tutto.
Forse era stato sincero fin dall'inizio.

Si maledì prima di sospirare, massaggiandosi le tempie.

Forse perchè Hinata gli era parso a pezzi, vuoto, mentre gliene aveva parlato. Così tanto da non sembrare nemmeno lo stesso.

Forse perchè sapeva che, in fondo, quei due avevano bisogno di parlarsi, nonostante tutto.

Sospirò ancora, già stanco di dover risolvere problemi che non rientravano nelle sue responsabilità.

Non seppe proprio perché lo fece.

«Sta bene.», ammise.

Kageyama sussultò a quelle parole. E tornò a guardare l'altro; solo una fastidiosa speranza nello sguardo. Il biondo gli rivolse una smorfia, sistemandosi la borsa in spalla.

Sapeva di aver acceso una miccia.
E sapeva già che sarebbe esplosa.

Ma vedere il sollievo in quegli occhi blu che, fino a pochi secondi prima, lo avevano guardato devastati, riuscì ad eliminare quel senso di colpa che aveva provato.

In fondo, era egoista anche lui.
Pensava solo a se stesso e al suo benessere.

O forse stava diventando troppo altruista.
Si maledì per entrambe le cose.

«Nessuno sa dove sia, non cercarlo. Quel ragazzo ha già fin troppe cose sulle spalle, non ti ci aggiungere. Non rovinargli ulteriormente la vita, cazzo.», il suo tono era cattivo, lo sapeva. E sapeva anche che quel ragazzo avrebbe fatto tutto il contrario rispetto a ciò che gli stava dicendo.

Ma sapeva che non sarebbe riuscito comunque a tenerlo lontano da Hinata a lungo. Sapeva che, ormai, non c'era modo di aggiustare le cose. E, forse, avrebbe dovuto fidarsi di quel ragazzo.

Forse ci teneva davvero.

Forse.

Tsukishima lo graziò con il beneficio del dubbio, e sparì dalla sua vista, un'ultima occhiata furiosa, prima di rientrare nell'edificio. E Kageyama, nonostante il dolore per quei pugni incassati, riuscì finalmente a tornare a respirare.
Aria fresca nei polmoni.
Una sensazione di calma ad allentare la morsa sul suo petto.
Non riuscì a controllarsi.

Sorrise, nascondendo il volto ferito tra le mani tremanti.

Hinata era vivo.
E quel ragazzo glielo aveva voluto confermare.

Forse lo aveva giudicato male.

Forse non era poi così stronzo.

Forse.

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