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La donna inspirò a fondo, più che poteva, prima di rilasciare l'aria che stava trattenendo nei polmoni. Sapeva di non avere più molto tempo. Aveva chiamato la polizia poco prima, di nascosto, insieme all'ambulanza che presto sarebbe accorsa sul posto.
Non poteva aspettare.
Ma, lo ammise anche a se stessa, indugiò più di qualche secondo prima di scostarsi dai figli, cercando di tirare indietro le lacrime che minacciavano di scenderle sul volto tumefatto.
Le sirene sempre più vicine.
Il suo sorriso un po' meno allegro.
Solo un po', però.
Poggiò con cura il corpicino ancora tremante della sua bimba tra le sue gambe incrociate, così da poter avere libere entrambe le braccia. La rassicurò nuovamente mentre le carezzò veloce i capelli rossi.
Con fretta e istinto quasi materno, conscia del fatto che un solo secondo in più sarebbe potuto essere fatale, si strappò le maniche della camicia da notte che indossava, legandole insieme per poter creare un laccio emostatico di convenienza.
Aveva già notato la ferita di Kageyama e, una volta avvicinatasi al suo corpo ancora tra le braccia di Hinata, ne ebbe la certezza: nonostante il sangue che gli macchiava gli abiti nascondesse la vera posizione della lesione, la pallottola lo aveva colpito in modo trasversale sulla spalla.
Scostò la sciarpa e la felpa che indossava, aiutata dalle mani tremanti del figlio che, in tutta risposta alle azioni della madre, aveva cercato in ogni modo di riprendere un minimo di autocontrollo per lui.
Solo per Kageyama.
E si maledisse per aver avuto così tanta paura da non aver pensato immediatamente ad un modo per fermare l'emorragia. Per non aver controllato subito le sue ferite. Per non aver avuto la prontezza di intervenire.
Hinata sapeva che se quel colpo non aveva colpito Kageyama in pieno petto era stata solo fortuna. Ma sapeva che, in qualsiasi caso, quel ragazzo rischiava la sua vita ugualmente. E non riuscì a sentirsi sollevato nemmeno quando la madre, dopo aver stretto il tessuto attorno alla sua spalla e premuto con forza un altro lembo di stoffa sulla ferita, gli sorrise nuovamente.
«Così andrà bene. Il punto colpito non è fatale. Il sangue sta diminuendo, vedi? Presto i soccorsi lo porteranno in ospedale, ok Shoyo? Siete stati così coraggiosi...Senza di voi, io e Natsu...Grazie, tesoro...Grazie a entrambi...», Hinata deglutì a fatica il groppo che gli si era formato in gola. Strinse maggiormente la presa sul ragazzo. Non sentì di meritare quei ringraziamenti.
Anzi.
Si sentiva così male.
Così a pezzi.
Kageyama era ancora privo di sensi, ma respirava così lentamente che il rosso tremò, temendo che potesse smettere di farlo da un momento all'altro. Non avrebbe retto una cosa del genere.
E non sapeva cosa sarebbe arrivato a fare nel caso quel ragazzo fosse morto davvero per mano sua.
E solo in quel momento lo realizzò, quasi investito dall'insinuarsi di quel pensiero.
Kageyama era un alzatore.
E lui aveva, molto probabilmente, rovinato tutto.
Se anche il corvino fosse sopravvissuto, se Hinata fosse stato così fortunato da potersi permettere che quel ragazzo continuasse comunque a vivere, a dispetto del rischio che gli aveva fatto correre, era certo che lo avrebbe odiato per tutta la vita.
Il rosso sapeva che lo avrebbe fatto.
Lo avrebbe detestato.
Lo stesso terrore provato nel vederlo crollare a terra gli attanagliò nuovamente il petto. Trattenne il fiato, mentre si sentì sprofondare, ancora una volta, sempre di più.
Gli carezzò con cura e incertezza la fronte, spostandogli di tanto in tanto qualche ciuffo corvino dagli occhi chiusi.
Avrebbe voluto rivederli nuovamente puntati nei suoi, anche se non lo meritava. In fondo, una parte di lui sperava che potesse davvero farlo, se avesse pregato un po' di più. Ancora un po'.
Guardami.
Per favore.
Guardami ancora.
E perdonami.
Perdonami.
Ma se anche non lo avesse fatto, Hinata non avrebbe comunque preteso il contrario. Sapeva di non avere nemmeno il diritto di poter essere illeso, mentre chi lo circondava era allo stremo.
Non aveva il diritto di essere vivo, con quel ragazzo innocente ferito tra le sue mani sporche di sangue.
Lacrime calde, per l'ennesima volta, a rigargli il volto risucchiato da ogni tipo di emozione.
«Ti chiedo scusa, Shoyo.», il rosso sobbalzò d'un tratto, alzando lo sguardo, confuso dal sussurro della madre. Lei, nonostante sorridesse, sembrava d'un tratto così triste. I suoi occhi non mentivano.
«Scusami per tutto questo...Scusami se non ti ho mai protetto come avrei dovuto. Mi dispiace aver fatto ricadere su di te e su tua sorella tutto questo. Mi dispiace davvero, tesoro mio. Ma non pensare di avere colpe. So che lo credi. Ma non è colpa tua, Shoyo.», le venne naturale accarezzare il volto ancora rigato dalle lacrime del ragazzo immobile, di fronte a lei.
Tirò su col naso, prima di inumidirsi le labbra secche e sorridere di nuovo. Si sforzò un po' di più, questa volta.
«So che sei il membro di una cerchia anticonformista e che ti stai mettendo in gioco per cambiare le cose, per mantenere la nostra famiglia. L'ho sempre saputo, in realtà, che non facevi un lavoro part-time. Non sei mai stato un ragazzo che riesce a starsene buono. E sono fiera, così fiera di te. Non sai quanto. Ma fai attenzione, Shoyo. Per favore. Ho già perso l'uomo che amavo, se perdessi anche un figlio, non potrei più vivere, lo capisci, vero?», il rosso sbarrò gli occhi, incapace di replicare alle parole della donna che, in qualsiasi caso, non gli diede tempo di farlo.
«So anche dei tuoi incubi. E di quanta paura hai sempre avuto, quando ti svegliavi di notte, urlando...Ma ora non avere paura. Non averne mai più. Perché devi farmi una promessa, Shoyo.», Hinata deglutì a vuoto nell'udire la voce rotta della donna.
In realtà, sapeva già cosa stava per chiedergli. Cosa lo avrebbe obbligato a fare. E cosa avrebbe dovuto fare.
Non avrebbe potuto rifiutarlo.
Ma finse, per pochi attimi, che tutto andasse bene. Inebriato dall'odore familiare della sua mamma, chiuse semplicemente gli occhi, lasciando che altre lacrime rigassero con lentezza il suo volto. Lasciando che il tocco caldo della sua mamma lo consolasse, ancora un po'.
Solo un po'.
«Devi promettermi che ti prenderai cura di Natsu per me. E che te ne andrai da qui. Porta Natsu con te. Scappate via. Lontano. Non hai ucciso nessuno, Shoyo. E meriti di essere felice, insieme a tua sorella. Kageyama si riprenderà. Starà bene, l'ambulanza sta arrivando, ok? È un mondo sbagliato, ma non farti convincere di essere tu quello sbagliato. Non avrei potuto desiderare un figlio migliore di te. Mai. E sono grata di essere tua madre. Spero tu possa perdonarmi se ti affido questo compito. Andrà tutto bene, però. È tutto ok, adesso.»
Un dolore atroce gli si sprigionò con forza nel petto, quasi soffocandolo. Non aveva mai sperimentato un'emozione simile. Scuoteva la testa con forza, mentra con un braccio la tirava a sé e con l'altro reggeva ancora il corvino al suo petto. Era frenetico mentre continuava ad urlare disperato il suo dissenso. Lacrime amare a cadere incessanti.
«Ma che dici? No! Non provarci nemmeno! Tu verrai con noi, non c'è motivo di rimanere qui! Non ti permetterò di farlo! Non prendermi per il culo! Natsu ha bisogno di te più che di me! Sono io che ho iniziato a sparare, è colpa mia se Kageyama-», le parole gli morirono in gola mentre lo sguardo cadde sul volto del ragazzo ancora privo di coscienza, in un singhiozzo, ma non volle distrarsi. Strinse la presa sulla sua felpa. Non volle cedere.
Non voleva far cadere quei pezzi che si erano ormai sgretolati davanti a lui. Voleva credere che se li avesse stretti tra le mani ancora, con forza, non si sarebbero rotti. Allontanati da lui.
Non ancora.
Ma, in fondo, già sapeva.
Solo, non lo accettava.
E mai lo avrebbe fatto.
«Non puoi rimanere qui! Tu vieni con noi! Non puoi andartene anche tu...Mamma, per favore...Non lasciarmi anche tu...Non puoi farlo davvero...Non farlo...Per favore...», piangeva senza ritegno contro il petto della donna che lo abbracciava. Lacrime a bagnare la sua camicia da notte ormai rovinata. Arrivò a pregarla di restare con lui, stringendola a sé, quasi aggrappandosi al suo corpo. Supplicandola.
Se avesse perso anche lei, insieme al padre che aveva perso già anni prima, non avrebbe saputo cosa fare. Non avrebbe saputo più come andare avanti.
Per cosa continuare a farlo.
Gli tremarono le mani, colto da un fremito di terrore al solo immaginare una vita senza di lei. Senza la sua famiglia. Senza una madre.
«Ti prego, mamma...Per favore...Non lasciarmi...Per favore...»
E percepì un calore così freddo quando lei lo accarezzò, immergendo la mano tra i suoi capelli rossi.
Stava morendo dentro.
E impiegò tutta la sua volontà d'animo per non crollare. Non di fronte ai suoi figli. Non quando era lei che avrebbe dovuto essere il sostegno per loro.
Non poteva permetterselo.
E tutto ciò che riuscì a fare fu sorridere appena, commossa. Mandò giù con forza il groppo in gola, insieme a tutto il dolore che sapeva di star provocando ai suoi bambini.
Insieme, però, anche alla consapevolezza che solo quel dolore avrebbe potuto salvarli e permettere loro di vivere.
Lei non poteva più proteggerli.
Se fossero rimasti con lei, sarebbero morti insieme a lei.
La sola idea bastava a farle gelare il sangue nelle vene.
«Lo sai bene anche tu, Shoyo. Se scappo insieme a voi, mi cercheranno. Non ci daranno tregua. Tuo padra era un commercialista di alto rango. Faranno giustizia ad ogni costo. E non posso permettervi di vivere nella paura, di nuovo. Non così.», il rosso non riuscì a ribattere di fronte alle sue parole. I singhiozzi non gli davano tregua. Le orecchie quasi fischiarono, battiti incessanti a rimbombargli ancora in testa.
Tutto si stava addossando sul suo corpo minuto. Ogni cosa lo stava soffocando.
Per un attimo, gli mancò l'aria.
Rafforzò la presa su Kageyama, cercando conforto, ancora una volta, in quel ragazzo. Lo abbracciò con cautela, ispirando a fondo contro il suo collo, facendo attenzione a non avvicinarsi alla sua ferira.
Tutto girava.
Non riuscì a mettere a fuoco più nulla.
E sua madre lo strinse un po' di più.
«Dirò che sono stata io. Che ho ucciso anche voi. E nessuno vi cercherà. Nessuno farà domande sul dove siate, o sul perché io l'abbia fatto. Perchè a nessuno importerà, Shoyo. A nessuno importa. Lo sai meglio di me.»
Hinata si gelò sul posto.
L'avrebbero uccisa.
Lo sapeva.
Lo sapeva bene.
Era un'esclusa che aveva tradito il suo partner matrimoniale. Che lo aveva ucciso con più colpi di pistola.
Non sarebbe importato a nessuno che fosse legittima difesa.
Nessuno l'avrebbe difesa in tribunale.
E non aveva soldi per permettersi un avvocato.
A nessuno, in fondo, era mai importato di loro.
Di esclusi che non avevano nessuna finalità in quella società.
Erano persone dimenticate dal mondo.
Ma lui non era pronto a dire addio anche a sua madre. Non avrebbe permesso che le fosse accaduto niente di male. A costo di assumersi le colpe. A costo di farlo al posto suo.
Sapeva di essere nel torto. Di non avere tempo.
Se la polizia fosse entrata, li avrebbero arrestati tutti. Lo sapeva bene.
Ciò che non sapeva era che sua madre aveva già previsto il suo dissenso e non aveva esitato a riprendere in mano la pistola, ora puntata verso la sua tempia.
Hinata sbarrò gli occhi alla scena della donna che si puntava da sola la canna della pistola contro la testa, indietreggiando impercetribilmente mentre sul volto della madre scomparve anche il dolce sorriso di poco prima.
Tremò di paura mentre lei, ora, lo fissava con una serietà distorta. Uno sguardo indecifrabile.
Era terrorizzato.
HEY HEY HEEEY
HERE I AM AGAIN lascio questi due chapters molto allegri qui al volo e sparisco velocissima augurandovi una splendida giornata/serata as always, e sperando che stiate tuttx bene!
see you soon :>
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