𝟱𝟬

Quando i suoi occhi iniettati di sangue tornarono a fissare l'uscio di casa, nessuna figura vi stagliava di fronte. La carcassa dell'uomo ora a terra, in un lago di sangue. L'arteria del collo colpita spillava sangue nero in modo quasi innaturale, mentre il cranio era perforato in più punti. Il volto irriconoscibile.

Il rosso non riuscì a evitare di spostare lo sguardo inorridito altrove. In affanno, tentò di ignorare il battito incessante del suo cuore e il rumore ancora vivido degli spari di qualche attimo prima che gli rimbombava nelle orecchie. La testa gli girò veloce, un vortice di emozioni lo travolse. Una sensazione di nausea lo costrinse a rimettere il poco che aveva mangiato a cena lì accanto. Si pulì appena, ancora disorientato, dopo aver cercato di riprendersi.

Con il respiro ancora corto, si voltò poi verso la donna che, ancora inginocchiata a terra, teneva salda tra le braccia Natsu, mentre la pistola le era ricaduta a terra, vicino alle gambe fasciate dai pantaloni da notte. Deglutì a vuoto, accarezzando con cura la piccola dai capelli rossi che si teneva al suo collo, rivolta con il viso contro l'incavo del collo della madre. Piangeva così tanto. Hinata lo realizzò solo in quel momento, e quasi volle sprofondare al solo udire tutta quella sofferenza.

Ma la sua sorellina era salva.
E il cuore gli si strinse nel petto.

La mamma la incitó a calmarsi, sussurrandole una ninna nanna che, in quel contesto, sembrò solamente un lugubre canto al figlio maggiore.

Il rosso rabbrividì nuovamente, stringendosi maggiormente contro il corpo ancora caldo di Kageyama. Non riuscì a fare nulla, se non affondare per l'ennesima volta il suo volto tra i suoi capelli neri come la pece, mentre cercava di riprendere fiato, incapace di tenere a bada la collera e il terrore ancora in circolo nel suo corpo.

E sua madre lo guardò, finalmente.

E il sorriso che gli regalò fu uno dei più belli che lui ebbe mai visto, nonostante il volto sfaticato e rigato dalle lacrime. Era un sorriso sincero.
Uno che non vedeva da tanto tempo.
Per qualche strano motivo, però, Hinata non riuscì a sorriderle in rimando.

«Va tutto bene, Shoyo. È tutto ok.», le sue parole riuscirono comunque a scaldargli il petto. Nonostante lei avesse sparato a sangue freddo contro quell'uomo, era lì, di fronte a lui, con il volto coperto di lividi, a ripetergli che tutto andava bene.

E Hinata la amava così tanto per questo.
Glielo aveva sempre ripetuto.
Che tutto andava bene.
Tutto era ok.

Ma nemmeno questa volta riuscì a credere alle solite bugie della madre. Non potè nemmeno fingere di farlo. Rimase in silenzio, guardandola con occhi vuoti.

E sua madre già sapeva.
Come sempre.

«Non sei un mostro. Non l'hai ucciso tu, Shoyo. Non è colpa tua.»

Il fiato gli si mozzó.

A quelle parole, il rosso percepì un brivido di freddo corrergli veloce lungo la spina dorsale. Scese dalla sua nuca fino al fondo della sua schiena, vicino al punto della sua anca che ancora gli doleva. Volle aprire la bocca, ma la voce gli morì in gola, e lacrime calde rigarono il suo volto pallido, per l'ennesima volta.

Pianse di nuovo, ma c'era qualcosa di diverso.
Un calore gli bruciò con forza il petto.

Era vero.

Non aveva ucciso suo padre.

Ma la consapevolezza che fosse stata sua madre a farlo al posto suo trasformò quel senso di sollievo in senso di colpa. Perchè sua madre era diventata un mostro a causa sua.

E si sentiva così male.
Così a pezzi.
Così avvilito.

Per non essere riuscito, per l'ennesima volta, a proteggere le persone che amava. E per aver messo a rischio la vita di tutti, in quella casa.

Hinata percepì nuovamente quel masso ricadergli d'un colpo sulle spalle. Sua madre lo guardò con apprensione.

E sapeva, ad ogni cambio di luce negli occhi del figlio, cosa questo stesse pensando. Cosa stesse provando.

Altre lacrime rigarono le sue guance chiare.
Era pur sempre un mostro, in fondo.
Niente mutava la sua vera natura.

Kageyama era ancora lì tra le sue braccia, con una pallottola in corpo. Sua sorella piangeva disperata, senza che lui avesse potuto fare nulla per lei. E sua madre era diventata un'assassina solo per difenderlo.

Non meritava nemmeno di essere vivo.
Meritava la pallottola che aveva Kageyama in petto.
Meritava di piangere convulsivamente come Natsu.
Meritava di essere a pezzi come lo era sua madre.

Meritava di essere morto come suo padre.

Raggelò, non riuscendo a indirizzare lo sguardo verso quello che rimaneva dell'uomo.

Hinata lasciò invece che la testa gli ricadesse in avanti, verso il corpo inerme di Kageyama ancora lì, poggiato contro il suo petto. Il suo volto pallido era ora riverso sulla sua mano inguantata e sporca di sangue.

Con cura, gli carezzò la guancia ancora umida. Kageyama era così bello, anche in quello stato. Anche con l'ombra della morte calata su di lui. E gli si strinse il petto, di nuovo.

Mille fitte gli trapassarono il cuore. Baciarlo gli venne naturale. E sperò quasi che bastasse quello a risvegliare l'altro. Si lasciò illudere, per qualche attimo, che le fiabe che leggeve sempre alla sorella potessero concretizzarsi. Ma sapeva che niente sarebbe servito.

E che la sua vita era tutto, fuorché una favola a lieto fine.

«Perdonami...Per favore...È tutta colpa mia...», la voce gli tremava mentre sussurrava appena, a fior di pelle, le uniche parole che era in grado di formulare. Occhi color caramello d'un tratto ricolmi di lacrime, singhiozzi a scuoterlo incessantemente.

«Starà bene, Shoyo. In ospedale riusciranno a salvarlo. Ci vorrà un po', ma è tutto ok. La polizia arriverà presto.», il rosso quasi imprecò alle parole della donna. Parole che - se ne accorse -, non erano pienamente sincere. Parole vuote.

Avrebbe voluto urlarle che non sarebbe andata così. Che aveva ucciso quel ragazzo. Che lo amava così tanto che si sentiva morire dentro.

Che non aveva più voglia di credere a tutto quello che lei gli diceva. Era stanco. Così stanco.

Hinata odiava sperare.
Odiava non avere certezze.
Ma fu più forte di lui.

Decise di aggrapparsi a quelle parole più di quanto si stesse aggrappando al ragazzo che aveva tra le braccia. Perchè sperare, in quel caso, era l'unica scelta plausibile. Non avrebbe accettato altre soluzioni.

Sarebbe uscito fuori di testa.
Lo sapeva.

E ne era terrorizzato.

Sperò davvero che la madre avesse ragione, questa volta. Digrignò i denti, trattenendo un'ennesimo singhiozzo, rannicchiandosi nuovamente nell'incavo del collo del corvino.

Aveva timore di accertarsi che fosse ancora vivo. Temeva di aver mandato all'aria ogni cosa.
Un formicolio familiare alle braccia, la testa nuovamente annebbiata, un pianto silenzioso.
Conosceva bene quella sensazione.
Ma provarla con il ragazzo che amava tra le braccia non fece che peggiorare quel senso di nausea e di colpa all'altezza del petto.

Senza nemmeno volerlo, lo sguardo gli finì nuovamente sul volto ormai inguardabile dell'uomo a qualche metro da lui.

E, per un attimo, si chiese se avesse mai visto suo padre sorridere. E si odiò fino al midollo per provare comunque una strana nostalgia e malinconia anche di fronte ad un mostro come quello. Anche di fronte al suo cadavere.

Perchè prima che diventasse un mostro, lui voleva bene a suo padre. E suo padre lo amava come un vero padre dovrebbe amare il proprio figlio.

Quelle sere passate a giocare insieme a tarda sera, in giardino, dopo che lui era tornato dal lavoro. Shoyo lo aspettava sempre, anche fino a tardi, pur di passare anche solo qualche misero minuto insieme. Gli aveva trasmesso lui l'amore per la pallavolo. E Hinata, in passato, era quasi arrivato ad odiare quello sport che gli ricordava così tanto il suo papà ormai morto.

Perché da quando aveva visto quell'uomo dalle sembianze di suo padre picchiare per la prima volta sua mamma, suo padre era morto a tutti gli effetti. E aveva pianto tante volte, pensando a quanto gli mancasse.

Si era chiesto perfino se fosse stato stupido a tal punto da aver voluto bene ad un mostro mascherato da padre. Se avesse mai avuto un padre. Se non fosse stato tutto un sogno, fino all'impatto con la realtà.

I suoi ricordi, a volte, gli scorrevano davanti in modo innaturale. Scene di un film girato in un tempo remoto e lontano. Persone che non esistevano più. Una famiglia interrotta. E ora a pezzi.

Hinata non riuscì a fare altro che cercare conforto contro il corpo caldo di Kageyama. Pianse fino a non avere più lacrime in corpo. Da non avere più voce. Così tanto da avere il volto intorpidito, insieme alle braccia addormentate ancora strette a reggere l'altro.

Era così felice.
E così triste.
Sollevato, ma distrutto.

A pezzi, ma consolato all'idea che quel mostro fosse stato eliminato completamente. Che la sua famiglia fosse salva.

Eppure, a che prezzo?
Quante cose aveva distrutto, prima di sparire?

Hinata non lo avrebbe mai perdonato.
E quell'odio di poco prima era ancora lì, di nuovo. Forse, perfino più forte.
Gli tremavano le mani per il nervoso.
Nemmeno il profumo di Kageyama riuscì a calmarlo.

Anzi.
Tutto sembrava essere precipitato, tutto d'un tratto.

Niente sembrava reale.
Nemmeno le sirene della polizia in lontananza.

Fu sua madre a costringerlo a ridestarsi, a tornare in sé, ad allontanarsi dal corvino. Gli occhi della donna guardarono quelli svuotati del figlio con apprensione. Se ne era accorta già dal primo momento in cui li aveva visti insieme, il giorno prima, in fondo, che quei due avevano un rapporto più stretto di quanto entrambi fossero a conoscenza.

Non riuscì a fare altro che sorridergli appena, accarezzando con cura il suo unico figlio maschio, prima di abbracciarlo con forza, insieme alla sorella ancora ancorata al suo collo. Conosceva bene quel dolore.

Quello di perdere l'unica persona mai amata.

E fu un abbraccio così forte, da far male nel modo migliore possibile.

«Dio Shoyo...Natsu...State bene...State davvero bene...», la donna piangeva, una gioia vivida a farle vibrare il petto. A farle battere nuovamente il cuore.

Felicità.

Non si pentiva minimamente di essere così felice, dopo aver ucciso un'altra persona. Né avrebbe mai permesso ad altro di portarle via quella sensazione. Quel sorriso.

La consapevolezza che i suoi bambini stessero bene era l'unica cosa che riuscì a non farla crollare sotto il peso degli avvenimenti passati.
Hinata rafforzò la presa, piangendo in modo disperato, quasi come la sorella, e la sua mamma lo strinse ancora di più a sé.

Sapeva bene, in fondo, che sarebbe stato il loro ultimo abbraccio. E volle goderselo fino in fondo.
Fino all'ultima lacrima.

Ce l'abbiamo fatta, Shoyo.

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