𝟰𝟵
«Perché? Mi chiedi anche il perchè, Shoyo?», il rosso sentì il sangue gelarsi nelle vene al solo udire quel nome. Il suo nome.
Suo padre non lo aveva mai più chiamato in quel modo. Lo sguardo che aveva negli occhi brillava di una luce strana, anomala.
Quasi grottesca.
Faceva paura.
Così paura.
Hinata era terrorizzato, immobile.
La testa gli vorticò ancora.
L'aria non ne voleva sapere di entrargli in corpo.
Più si sforzava di inspirare, più sentiva i polmoni bruciare.
Una sensazione che aveva già provato si impadronì del suo corpo. Un senso di sgomento e angoscia asfissiante.
Un dolore troppo forte all'altezza del petto lo fece chinare appena. Una fitta atroce partì dall'anca lesionata, e storpiò il viso in un'espressione dolorante.
Pianse.
Lacrime calde gli rigarono il volto ancora acerbo, povero di lineamenti ben marcati. Era solo un ragazzino, in fondo.
E aveva raggiunto il suo limite.
Nella sua testa, solo una domanda ricorreva incessante: perché?
Perché a me?
E più se lo chiedeva, più il suo sguardo si faceva cupo, penetrante.
Se avesse potuto uccidere quell'uomo con gli occhi, Hinata lo avrebbe già fatto a pezzi.
«Perché credi che lo stia facendo, Shoyo? Mi fa schifo anche solo chiamarti per nome, cazzo. Mi fa schifo solo pensare di aver sprecato la mia vita insieme a quella stronza!», sputò a terra del sangue, prima di tornare a puntare i suoi occhi torbidi in quelli di colei che un tempo era stata la sua compagna per quasi dieci anni.
Lei non riuscì a fare altro, se non stringere al seno la figlia che era riuscita a raggiungere, sostenendo il suo sguardo con occhi lucidi e rossi.
Sapeva di aver fatto tanti sbagli.
Sapeva anche di non essere riuscita a rimediare a nessuno di questi.
Ma non avrebbe permesso che questi sarebbero ricaduti sui suoi figli.
Non se lo sarebbe mai accettato.
L'uomo le sorrise appena, mentre il rosso deglutì a vuoto. Era un ghigno cattivo, sprezzante.
«Non ti è bastato mettere al mondo un disgraziato. Ne hai dovuto fare un altro, di figlio. Sei solo una puttana. La prima volta che ho visto la tua faccia di merda su quella lettera, ho pensato perfino che fossi quella giusta. Pensa che stronzata. È stata tutta una truffa! Quel sistema del cazzo avrebbe dovuto sapere che eri solo una troia, in fondo. E hai dovuto rovinare anche me!», le sue urla riecheggiarono in quella casa ormai disastrata. Vetri di finestre rotte a terra. Sangue a macchiare le piastrelle del piccolo corridoio che congiungeva tutte le stanze. Oggetti ormai distrutti che riversavano al suolo, irrecuperabili.
La donna sentì la pelle d'oca lungo tutta la schiena. E, con occhi ancora fissi nelle iride di quell'uomo, si chiese come avesse fatto la sua vita a giungere fino a quel punto.
Sapeva solo di aver inseguito il vero amore.
Di aver sperato di poterlo raggiungere.
Di averlo afferrato tra le mani.
E di averlo perso, per sempre.
Alla fine, aveva dovuto piegarsi a quel destino, dopo aver compreso che in quella società non avrebbe mai trovato quello di cui aveva bisogno.
E solo due cose le avevano permesso di andare avanti, nonostante tutto.
Hinata e Natsu, probabilmente, erano l'unico motivo per cui lei aveva scelto di restare. Di non farsi ammazzare. Di resistere.
Di combattere contro quella società malata.
E se l'era giurato.
Lei avrebbe insegnato ai suoi figli il vero amore. Quello in cui lei aveva sempre creduto, nonostante fosse stata costretta a sposare un uomo che non aveva mai amato.
Ad un punto della sua vita, però, l'aveva trovato. Un uomo che l'aveva fatta innamorare con pochi sguardi e sorrisi veloci. Di nascosto agli occhi dei rispettivi moglie e marito. Entrambi si trovavano in segreto, e vivevano quella che avrebbe dovuto essere la loro quotidianità.
Entrambi innamorati.
Entrambi felici.
Ma entrambi destinati a venir separati.
Gliel'avevano portato via, brutalmente, un giorno qualunque di autunno.
Il padre di Natsu era stato assassinato, ma le circostanze e le cause erano rimaste indefinite. Ricordava di essere quasi giunta al punto di non ritorno.
Le era crollato il mondo addosso.
Sola, con un ex marito pronto a vendicare il suo tradimento, e con l'unico uomo che avesse mai amato per davvero in vita sua ormai perso per sempre.
Una sera, aveva impugnato quel barattolo di pillole colorate, e le aveva quasi ingoiate.
Le aveva a fior di bocca, eppure Shoyo era entrato in bagno proprio in quel momento. Aveva solo sei anni e la guardava incuriosito, distratto dai colori accesi di quelle che gli parvero caramelle. Le aveva chiesto se le potesse mangiare anche lui, insieme a lei.
Non ce l'aveva fatta.
Aveva pianto così tanto, quella notte, abbracciata al figlio. Le pasticche, ormai finite nelle tubature dell'acqua, dopo che le aveva gettate con foga nel water. Hinata l'aveva salvata, senza nemmeno rendersene conto.
E lei non poteva permettersi di perderlo.
Non anche lui.
Aveva deciso di non abortire.
E aveva scelto di lottare per qualcosa.
Per quei due bambini, parti di lei.
Non avrebbe potuto abbandonarli.
Non quando era stata lei la prima a venir abbandonata.
Ma il suo ex marito non aveva mai superato quella rottura. Quel tradimento. Il fatto di non essere la metà di quel qualcosa di cui tutti facevano parte.
Tutti erano destinati ad un altro.
E lui no.
Ed era arrivato ad impazzire.
Il rosso lo sapeva.
Ma le sue parole lo colpirono ugualmente, come un treno in piena corsa. E tutto gli crollò di nuovo sulle spalle già pesanti.
«Sono io che dovrei maledire voi! Siete stati voi a tradirmi! A rovinare tutto! Ma tu non puoi nemmeno comprenderlo, perchè sei solamente un figlio di puttana! Non sei mai stato mio figlio! E tu, maledetta, non sei mai stata mia moglie! Non capirete mai cosa prova chi viene tradito dalla propria famiglia! Non posso nemmeno sperare di risposarmi, con la fama che voi stronzi mi avete affibiato! Perfino questa società del cazzo mi rinnega! Non mi resta niente! Niente!», gridò con forza, occhi scavati ormai fuori dalle orbite. In pochi secondi, un sorriso deformato prese forma sul suo volto.
«Ma non preoccupatevi. Ci penserò io ad eliminare tutto questo. Penserò io a farvi redimere dai vostri peccati! Non saremo mai esistiti! Niente di tutto questo rimarrà! Tu e tua madre verrete all'inferno con me! Non sei felice, Shoyo?», tuonò quasi divertito, riuscendo a far tremare nuovamente il rosso. Hinata, infatti, non riuscì a fare altro se non aggrapparsi maggiormente al ragazzo che ancora teneva stretto a sè, colto da un'improvvisa folata di gelo. Lo sguardo che rivolse all'uomo era madido di rancore.
Dopo tutto, rideva ancora.
E Hinata lo odiò con tutto se stesso.
E odiò quella società.
Odiò ogni persona che aveva messo in piedi quel sistema.
Odiò il lavaggio del cervello che avevano messo in atto.
Odiò quella realtà distorta.
Perchè l'uomo che aveva di fronte ne era il risultato più evidente.
Una persona spinta a credere di essere destinata ad un'altra in modo indissolubile. Una che aveva perso la ragione di fronte alla consapevolezza di aver perso anche l'unica certezza che aveva nella sua vita. Una che si era ritrovata sola e indesiderata, dopo aver passato l'intera vita a credere di non poter essere definita nemmeno umana se priva di un compagno di vita. Una persona costretta a diventare un escluso della società.
E Hinata odiò perfino il modo in cui, in fondo, riusciva a comprendere le azioni di quel mostro.
Le capiva perfettamente.
Ma ciò non lo avrebbe mai spinto a empatizzarlo.
Né a perdonarlo.
Né a provare pietà.
Perché non aveva più niente in corpo, se non un odio sconfinato radicato fin troppo a fondo nel suo cuore per poter essere sradicare così facilmente.
Nemmeno le lacrime rigavano più il suo volto.
Non gli sarebbe importato di finire all'inferno, se con lui avrebbe trascinato anche quel bastardo.
Deglutì a vuoto, colto da una frenesia strana, distorta. Un impulso malato.
Devi morire.
Devi morire.
Devi morire.
Strabuzzò gli occhi.
Nessun pensiero capace di distoglierlo da quell'unico obiettivo che aveva perseguito per anni, ma che non era mai riuscito a realizzare.
Cercò con foga la pistola che aveva abbandonato sul pavimento freddo non appena Kageyama gli era collassato davanti. E sbiancò, perchè non la trovò.
Ma non ebbe tempo di chiedersi altro.
Spari incessanti provenienti dalle sue spalle ruppero il silenzio, obbligandolo ad abbassare di colpo la testa, chinandosi in avanti, riparando istintivamente il corvino tra le sue braccia.
Strinse gli occhi, e si nascose in quell'abbraccio, pregando che tutto finisse. Che tutto fosse solo un incubo.
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