𝟰𝟴
Hinata si ritrovò immobile, spinto a cadere dal peso del suo stesso corpo, di colpo divenuto insostenibile. Ogni minima traccia di ira e freddezza mentale ora svanita nel nulla. Tutto venne risucchiato dal buco nero che gli si formò all'altezza del petto.
Tutto divenne sbiadito.
Persino la sua vista iniziò ad offuscarsi.
Allungò quasi inconsciamente le braccia verso il corpo del corvino, a terra. Il sangue era ovunque: sul pavimento freddo, sui suoi vestiti rovinati, sul suo volto inespressivo ancora bagnato dalle lacrime, sulle sue mani che vacillavano appena davanti ai suoi occhi. E sui suoi guanti.
Non riuscì ad inspirare senza percepire una fitta atroce squartargli il petto in due. Boccheggiò, nel panico più totale.
«Che cazzo hai fatto...», continuava a bofonchiare, quasi in modo ossessivo, quasi rivolto a se stesso, più che all'altro. Tremava di paura. Le dita frenetiche strette attorno alla felpa del più alto.
Non seppe con quale forza riuscì a tirarlo su dal busto, solo per poter far ricadere il petto dell'altro contro il suo, per stringerlo a sé. Si rannicchiò in quell'abbraccio unilaterale, affondando con forza il volto nella sciarpa ancora attorcigliata attorno al collo del corvino.
Un terrore nuovo. Uno che non aveva mai pensato di poter provare.
Rabbrividì.
Non aveva mai avuto paura di morire.
Non gli era mai interessato, in fondo.
Ma se fosse morto, sua sorella e sua madre sarebbero finite tra le mani di quel mostro. E questo lo aveva sempre intimorito più di qualsiasi altra cosa. Più di qualsiasi altro incubo possibile o immaginabile.
Era quello il motivo principale che lo aveva spinto a cercare qualcuno che lo difendesse. Qualcuno che fosse in grado di rischiare il tutto per tutto. Qualcuno di pazzo abbastanza da stargli al fianco.
Era stato egoista a pensare che la sua vita valesse più di quella di quel qualcuno che avrebbe dovuto fare squadra con lui. Che avrebbe dovuto sacrificarsi per lui.
In fondo, sapeva di essere sempre stato un mostro.
Ma quel ragazzo non sarebbe dovuto c'entrare nulla con lui. Quel ragazzo, ora stretto contro il suo petto, non sarebbe dovuto essere lì. E lui non avrebbe dovuto piangere per lui.
Lui non avrebbe dovuto temere la morte di quel ragazzo più della sua. Eppure Hinata era atterrito.
Terrorizzato alla sola idea di averlo ucciso.
E avrebbe dato la sua vita in cambio di quella dell'altro.
Non avrebbe esitato a farlo.
Forse, questo gli fece ancora più paura.
Quel desiderio insensato e in continua espansione che quel ragazzo riusciva a provocargli sotto pelle, nel petto. Quell'affetto morboso e quasi pericoloso. Non sapeva come definirlo, ma era una delle cose più vicine all'amore che avesse mai sperimentato verso qualcuno di così esterno alla sua famiglia.
Non sarebbe dovuta andare così.
Nessuno, a parte sua sorella e sua madre, avrebbe mai dovuto mettere piede lì, nel suo cuore, nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, nel suo presente.
Eppure, Kageyama era entrato senza nemmeno bussare. Lui non si era nemmeno curato della sua presenza, inizialmente. E quando lo aveva fatto, era troppo tardi per obbligare l'altro ad andarsene. O per impedirgli di venir coinvolto in quell'incubo.
Kageyama lo aveva cambiato. Lo aveva manipolato più di quanto lui stesso sarebbe mai stato capace di fare con altri.
Ma non era stato sufficiente.
Non abbastanza da riuscire ad evitare la sua natura. Era davvero un mostro, e aveva trascinato con sé anche lui, incurante del resto.
Hinata guardava davanti a sé con occhi vuoti, spenti. Non concepiva ciò che questi recepivano. Niente veniva messo a fuoco. Continuava a pensare di essere solo in un incubo. Sperava di convincersene, stringendo con forza tra i pugni la felpa dell'altro. Si sarebbe svegliato, proprio come la notte precedente, e Kageyama sarebbe stato lì, con le braccia aperte quel tanto che bastava per accoglierlo lá, contro il suo petto. E si sarebbe riaddormentato. E niente sarebbe cambiato.
Ma le urla della madre lo rinsavirono. Quasi come se avessero cercato di richiamarlo dalla sua trance ad occhi aperti.
Hinata sussultò, di colpo.
Durò pochi attimi.
Spostò veloce lo sguardo verso l'ingresso, dove aveva recepito qualcosa muoversi. E lo notò anche lui. Un movimento, e quegli occhi ancora una volta fissi nei suoi.
Raggelò.
L'uomo tossì con forza, faticando a respirare. Si levò grazie alle braccia robuste, mentre le ferite lo costrinsero a movimenti lenti e controllati. Stava rialzandosi, e ghignò appena, sprezzante, mostrando con fierezza il giubbotto antiproiettile celato sotto la sua camicia.
Era ancora vivo.
Era ancora lì.
E stava vincendo, ancora.
Hinata impallidì rapidamente, stringendo istintivamente a sé il corpo dell'altro, quasi a volerlo proteggere da quello che un tempo era stato suo padre. Quasi come se stesse dando a quel mostro la colpa di averlo ferito. Quasi come se non volesse ammettere di essere lui stesso quello che Kageyama avrebbe dovuto temere maggiormente.
Accecato ancora una volta dalla collera, urlò. Lo maledisse, per tutto. Per averlo messo al mondo. Per aver rovinato la vita di sua madre e di sua sorella. Per averlo costretto a diventare come lui. Per averlo fatto nascere un mostro, proprio come lo era lui.
E, illogicamente, gli chiese anche il perchè di tutto quello. Come se, in fondo, sperasse di trovare un motivo degno, oltre a quello che già gli era noto, dietro il compimento di quelle atrocità.
Hinata sapeva che suo padre non aveva mai perdonato sua madre per il suo tradimento. E sapeva come non lo vedesse più nemmeno come un figlio, nonostante la madre lo avesse giurato.
Hinata e quell'uomo erano davvero padre e figlio.
Ma suo padre l'aveva rinnegato, convinto che fosse il figlio di un altro uomo.
Lo Stato gli aveva creduto, in quanto parte lesa del matrimonio.
Ed era bastato questo a rovinare la sua vita.
A renderlo un figlio illecito.
A renderlo un escluso, come sua madre.
Ad impedirgli di poter avere una vita normale in quella società fatta di pregiudizi e maschere.
A renderlo un disadattato, mal voluto da tutti.
Più volte, in passato, si era perfino chiesto se non avesse fatto meglio a sparire.
Sua madre non avrebbe avuto un'altra bocca in più da sfamare. Suo padre non avrebbe avuto altri motivi per odiare. E lui non avrebbe vissuto rinchiuso in quel guscio di terrore e paura per tutti quegli anni.
Forse, se l'avesse davvero fatto, le cose ora sarebbero diverse.
Forse.
Ma sapeva bene quanto era pericoloso viaggiare con la testa. Crearsi ipotesi. Immaginare strade alternative. Sognare. Sperare.
Lo sapeva.
Non poteva indugiare.
E digrignò i denti, con gli occhi colmi di rancore, mentre inorridiva di fronte alle risate che l'altro gli offrì in risposta. Suo padre gli stava ridendo in faccia.
E si sentì morire.
HEY HEY HEEEY
i'm here AGAIN, stranamente più soon del solito (incredibile ma vero avevo questi capitoli già mezzi finiti e grazie a dio sono riuscita a revisionarli subitissimo dato che sono in vacanza jzjs) spero stiate tuttx bene come sempre, e vi auguro una splendida giornata/serata!!! :)))
see you!!
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