𝟰𝟳

Il suo tempo di reazione durò poche frazioni di secondi. Afferrò con audacia la pistola abbandonata sul pavimento, senza esitazioni, con uno scatto di polso. Ignorando il dolore atroce all'anca, si girò con un movimento improvviso di bacino, tornando ad erigersi sulle gambe, in piedi, puntando già la mira verso ciò che scoprì avere davanti.

Sbiancò.

La prima cosa che catturò la sua attenzione furono i capelli rossi della sorella, nascosti in parte dalle braccia di Kageyama, che la cingevano. Il ragazzo, infatti, la teneva stretta al petto, facendole da scudo, mentre l'uomo si accaniva su di lui con calci ripetuti e pugni poco precisi, seppur duri e violenti.

Il corvino percepì il dolore penetrargli perfino nelle ossa. Non riusciva a muoversi, nè a respirare. Aghi sottili sembravano trapassargli perfino i polmoni a fuoco. Sputò sangue; il sapore di ferro gli si sprigiono tra i denti digrignati. Il busto continuava a venir colpito, la schiena era china a proteggere il piccolo corpo della bambina che non volle, in qualsiasi caso, lasciar andare. E stava per svenire. Sapeva di non avere più forze. Di star provando troppo male.
Non riusciva più a contenere gli spasmi e le lacrime. Più i muscoli si contraevano sotto quelle percosse, più la testa volteggiava, facendogli offuscare la vista ormai annebbiata.

Il pianto della bambina e le urla dell'uomo erano in sottofondo. Un fischio continuo sembrava stargli lacerando le orecchie. Aveva così freddo.
Non comprese nemmeno come, poco prima, fosse riuscito ad attaccare a sorpresa quell'uomo, sfilandogli la pistola di mano, per poi passarla al rosso.

Sapeva solo che aveva visto Hinata a terra e una pistola puntata contro di lui, e un'adrenalina strana aveva preso il sopravvento sul suo corpo.

Aveva agito d'istinto.
Quello stesso istinto che temeva da tempo.
Quello che lo aveva spinto ad immischiarsi nella vita di quel ragazzo, e perfino ad innamorarsene.
Quello che, prima o poi, lo avrebbe ucciso.

Forse, perfino in quell'istante esatto.

Ormai, ci era quasi abituato.
A ritrovarsi sempre sull'orlo del precipizio.

Quel ragazzino dai capelli rossi riuscì a balenargli in testa anche in quel momento. Anche mentre strinse con forza gli occhi, accecato dal dolore.

Lo maledisse così tanto.
Perchè non sarebbe mai riuscito ad odiarlo, in qualsiasi caso.
Anche se fosse stato lui stesso a puntargli una pistola contro.
Anche se lo avesse tradito.
Anche se sarebbe stato costretto a sacrificarsi per lui.

Non avrebbe mai dimenticato la sua stupida giacca gialla e quei guanti sporchi di sangue. I suoi capelli arruffati quella stessa mattina. La prima volta che lo aveva visto, mentre la sacca da ginnastica che si portava dietro lo aveva colpito in pieno stomaco.

Non avrebbe mai potuto rimuovere la vista del suo corpo minuto in lontananza, mentre con una mano alzata e un sorriso in volto gli urlava a gran voce gli auguri di buon anno.
La sua bici rovinata, il suo letto stretto e le sue coperte morbide. Le sue lacrime la notte prima, mentre si era scusato per averlo spinto a tanto.
I suoi baci sconnessi e affrettati.

Quello da poco interrotto, di cui ormai non rimaneva nemmeno il retrogusto. Quanto avrebbe pagato per tornare a quella manciata di minuti precedenti. Quelli in cui tra le sue braccia c'era lui, e nella sua visuale solo rosso.
Il rosso dei suoi capelli.
Il rosso delle sue gote.
Il rosso delle sue labbra sottili.

Kageyama non avrebbe mai potuto odiarlo.
Nemmeno se fosse morto in quel momento.
Non si era pentito di nulla.
E lo avrebbe rifatto.
Ancora, e ancora.

La gola infuocata impedì alla sua voce di fuoriuscure. Si ritrovò perso, ancora rannichiato su se stesso, poco conscio di ciò che stava accadendo intorno a sè. Nemmeno si accorse dello sguardo di Hinata, ora fisso sul suo volto contratto in una smorfia di sofferenza.

Il rosso non riuscì a realizzare nemmeno quella scena, nell'immediato. Non comprese perchè Kageyama si trovasse lì, non avendo esistato a mettersi in mezzo pur di salvare Natsu. Non capì perchè stesse rischiando così tanto per lui e per la sua famiglia. Il suo corpo scosso dalle percosse dell'uomo era lì, a pochi metri da lui, e ancora non riusciva a concepirlo.

Non volle accettarlo.
Ma ne prese atto, in quell'esatto momento.

Lo realizzò in poche frazioni di secondi.

Non avrebbe accettato che anche quel ragazzo venisse coinvolto. Non avrebbe rivisto sul suo volto quell'espressione segnata dal dolore. Quel sangue a scorrergli vivido dalle labbra. Le stesse labbra che fino a qualche minuto prima stava baciando con foga.

Perse il controllo del suo corpo.
O, forse, tornò ad impossessarsene.

Ciò che sapeva, però, era che non sarebbe più successo. Mai più.

Senza esitare, non attese per sparare verso l'uomo che aveva ora spostato la sua attenzione verso il figlio. Occhi tetri dello stesso colore dei suoi lo fulminarono. Ma il solo pensiero che quel mostro potesse arrecare altra sofferenza ad un'altra persona a lui vicina lo fece inorridire.
Nel suo sguardo, solo odio.
Solo avversione.
Solo rancore.

Il sangue pulsava con forza nelle vene.

Non lo avrebbe più permesso.

«Muori

Uno sparo. Un altro. Un altro ancora.

Non si fermò nemmeno quando la madre gli urlò di farlo, impossibilitata a muoversi per poterlo fermare. Nemmeno quando la sorella iniziò a gridare, terrorizzata, ora liberata dalla stretta stanca e protettiva del corvino.

Nemmeno quando il corpo di Kageyama gli si parò davanti per fermarlo.

Il tutto fu così veloce che il rosso nemmeno se ne accorse.
Bastò un battito di ciglia.

E quando il corvino lo fronteggiò, finendo per interferire con la canna della pistola a causa di un movimento affrettato e poco lucido, era già troppo tardi per fermare l'ennesimo colpo.

E il corvino si maledisse per l'ennesima volta.
Anche sul punto di crollare per gli stenti, era riuscito comunque a trovare la forza necessaria per scagliarsi verso quel ragazzo.
La sola idea di aver reso Hinata un assassino lo fece infatti ridestare dal dolore, investito da un'ondata di adrenalina pronta a svanire così come si era impossessata dei suoi muscoli.

Se ne accorse solo in quel momento di lucidità fugace.

Non avrebbe dovuto passare a lui la pistola.
Non avrebbe dovuto farlo, sapendo ciò che quel ragazzo si portava sulle spalle.

Hinata non avrebbe sostenuto quel senso di colpa.
Quello di aver ucciso qualcuno.
Ne era certo.

Lo aveva visto raggelare al solo guardare i suoi guanti sporchi di sangue.

Nonostante non conoscesse ancora nulla del suo passato, nè di ciò che riguardava il suo rapporto con il padre, era pronto a giurare di conoscere quel ragazzo come le sue stesse tasche. E non era un assassino.

Non di natura.
Non di sua volontà.

Era un semplice ragazzo terrorizzato e pronto a difendere la vita di chi lo circondava a costo della sua. Gli tremavano le mani, e Kageyama lo notò anche in un momento come quello.

E temeva di aver rovinato la sua vita solo avendogli passato quella dannata pistola.

Avrebbe dovuto sparare lui.
Lui non avrebbe avuto problemi a farlo.
Sarebbe dovuto diventare lui un assassino.
Lo era già, in parte.
Non aveva esitato a premere il grilletto il giorno prima, contro uno dei due gemelli.

Kageyama si odiò così tanto da pensare di essersi meritato quella pallottola. Hinata, nel mentre, non riuscì a pensare a niente.

Un vuoto strano inghiottì qualsiasi tipo di pensiero consapevole nella sua testa.

I suoi occhi si spalancarono.
Un terrore puro gli si propagò nel petto nel vedere l'altro fissarlo appena, mentre cadeva inevitabilmente verso terra.

Al rosso collassò il cuore fino al suolo.
Lo sentì sprofondare insieme al corvino, fino al pavimento freddo, dove si era ora accasciato il più alto. Una piccola pozza di sangue a incorniciare il suo busto.

E si ricordò di avere ancora indosso i suoi guanti.
Gli stessi guanti che si erano nuovamente macchiati di sangue. Questa volta, però, aveva oltrepassato il limite.

E non sarebbe bastato cambiarli.
Nemmeno toglierli.
Nemmeno bruciarli.

Il sangue gli avrebbe macchiato a vita le mani.
Il sangue dell'unica persona che non avrebbe mai voluto ferire, né coinvolgere in quell'incubo.
L'unica che si fosse spinta a tanto pur di salvarlo.

La stessa che ora aveva davanti, a terra, colpita da un proiettile che lui stesso aveva sparato.

Kageyama era lì, a pochi passi dal suo corpo immobile, e lui si ritrovò incapace di respirare.
Di piangere.
Di urlare.

Il suo sguardo perso e atterrito era fisso a terra, immerso in quel rosso che stonava fin troppo con il nero degli abiti dell'altro.
E lo percepì.

La consapevolezza lo investì in pieno.
Lo era diventato.

Un mostro.

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