𝟰𝟱
Un fascio di luce squarciò la penombra in cui erano immersi. Il rombo di un'auto li fece sobbalzare, e solo mentre questa sfrecciò via, facendo vibrare la strada sottostante, il rosso si rese conto di essere finito con le spalle a terra.
Sbarrò gli occhi. Si scostò veloce, quasi scottato, dal volto del corvino che lo sovrastava, standogli addosso e rivolgendogli uno sguardo poco lucido. La testa prese a vorticare mentre il respiro diventava sempre più affannato. Quasi disperato.
Il cuore batteva con insistenza contro le sue tempie. Paura. Fu quella la prima sensazione che provò, cercando di buttare giù il fastidioso nodo che gli si era formato all'altezza della gola.
Era terrorizzato.
Da se stesso, da ciò che aveva fatto, da quel blu che lo aveva quasi sommerso. Si era sentito annegare, per qualche istante. E lui aveva quasi pensato di lasciarsi trascinare verso il fondo.
Di annegare, e lasciarsi affondare.
Non gli era mai successo.
Non aveva mai perso il controllo in quel modo.
Lo aveva baciato, e ora era spaventato perfino di guardarlo. Non era stato logico. Non era stato pensato.
Lo aveva fatto, istintivamente, ed era davvero terrorizzato.
Perchè lo avrebbe rifatto.
Ancora.
E ancora.
No.
Continuava a ripeterselo.
No.
Scosse perfino il capo.
No.
Nella sua testa, era quasi una supplica contro quel bisogno impellente che man mano cresceva dentro di lui. Quel desiderio innaturale che stava cercando di reprimere con ogni singola cellula del suo corpo.
Lo voglio.
Deglutì a vuoto, non riuscendo a smuovere lo sguardo da quello dell'altro.
Lo voglio solo per me.
Quanto era stato stupido.
Nonostante tutto, ci era cascato.
Nonostante avesse una paura fottuta, lo sapeva.
Sapeva che, ora, non sarebbe più riuscito a tornare indietro. Sapeva che quegli occhi erano diventati un nuovo punto debole.
Era stato un idiota.
Si ritrovò immobilizzato, gelato sul posto. I polmoni a fuoco; più inspirava, più l'aria gli mancava. Non se ne curò.
Lasciò riposare il corpo contro il marciapiede freddo, pur non riuscendo a rilassare i muscoli ancora tesi sotto la sua pelle.
E ignorando il frastuono che aveva in testa, dove il battito del suo cuore rimbombava incessante, si concesse pochi attimi per poter ammirare estasiato il volto arrossato di Kageyama. La luce fioca dei lampioni non bastava a rendere giustizia a quei lineamenti, e il desiderio di tornare a saggiare la sua bocca quasi prese il sopravvento.
Gli bastarono pochi attimi per realizzarlo e per forzarsi a smuovere la presa che, inconsciamente, aveva nuovamente rafforzato sul colletto della giacca del corvino. In preda al panico, notò quanto le sue mani diventarono fredde, all'istante. Le abbandonò accanto al corpo ancora in parte ansimante.
Ma più la voglia di sfiorarlo nuovamente aumentava, più il terrore lo immobilizzava.
Era da tempo che non si sentiva così impotente.
Da quando suo padre lo aveva chiuso a chiave nella sua stanza e lo aveva visto, spiando dalla serratura della porta, intento a prendere a calci sua madre.
Da quando sua sorella gli aveva chiesto chi fosse "papà".
Da quando sua madre lo aveva fermato per la prima volta, sul punto di non ritorno, riuscendo a evitare che il coltello che aveva preso dalla cucina finisse nelle viscere di suo padre.
Da quando si era svegliato fradicio di sudore la notte prima, aggrappandosi al corpo dell'altro, dopo uno dei soliti incubi confusi e disturbanti.
Hinata non voleva provare quella sensazione guardando Kageyama. Ma più cercava di evitarlo, più si ritrovava incapace di farlo. Il solo desiderare di stringerlo nuovamente a sé lo faceva fremere per la paura.
Ogni cosa sembrava essere giusta e sbagliata allo stesso tempo. Ogni cosa era nuova e familiare in contemporanea. Il retrogusto di alcool tornò a infestargli la bocca. Deglutì a vuoto.
Il corvino non aveva ancora metabolizzato l'accaduto. Nessuno dei due, in fondo, lo aveva fatto pienamente. Nonostante le sue condizioni, Kageyama riuscì a cogliere una sfumatura di paura in quelle iridi caramellate ancora fisse nelle sue. Eppure, per quanto lo volesse, non riuscì a soffermarsi troppo sullo sguardo indecifrabile che gli stava rivolgendo il rosso.
Un colpo di tosse lo piegò, obbligò a chinarsi di lato, quasi accasciandosi a terra al fianco del più basso. Si portò una mano sul volto prima che questa venisse sostituita da quella veloce dell'altro. Hinata, infatti, scattò subito, istintivamente, riacquisendo in parte la ragione.
Il cuore, però, continuava a colpire con forza contro il suo petto, quasi volendo uscire. Troppo stretto dentro a quel misero torace.
Non seppe più distinguere se fosse dovuto al terrore ancora in circolo nelle vene o all'eccitazione ancora vivida di quel bacio stonato.
Era stato decisamente un errore.
Una stonatura che non avrebbe dovuto ripetersi.
D'un tratto, Kageyama sentì perfino le orecchie fischiare. Si ricordò solo in quel momento di avere freddo. Fin troppo freddo. Il rosso lo richiamava, lo sentiva lontano, i suoi occhi color caramello lo guardavano e sembravano così preoccupati. Non avrebbe dovuto passare fuori tutta la giornata. Era stato un idiota perfino a bersi quella bottiglia. Non avrebbe nemmeno dovuto chiamare quel ragazzo.
Ma Kageyama ci era abituato. In fondo, non faceva mai le cose giuste. Si rendeva conto di star sbagliando solo quando ormai non poteva più rimediare al suo errore.
«Merda...», borbottò al vuoto, sentendo la testa vorticare appena. Sussultò quando percepì una sciarpa, oltre a quella che già aveva, iniziare ad attorcigliarsi attorno al suo volto, fino a nascondergli anche il naso. Hinata lo coprì con cura, sfilandosi per qualche istante il guanto destro solo per potersi assicurare della temperatura dell'altro. Gli poggiò il palmo sulla fronte e balzò appena nel realizzare quanto questa fosse calda.
«Sei bollente, cazzo...Andiamo...», lo sussurrò veloce, sicuro di avere ancora il volto in fiamme. Cercò di non far caso a quella voce nella testa che continuava a ripetergli quanto quel ragazzo fosse pericoloso. Quanto stesse sbagliando ad aiutarlo.
Hinata la ignorò totalmente.
La preoccupazione nei confronti di Kageyama, ora, era la sua unica priorità.
Non era normale.
Ne era consapevole. Sapeva bene che nulla di ciò che stava facendo lo fosse. Ma desiderava lo fosse. Davvero.
Lo voglio.
Per un attimo, quasi credette a quella finta normalità. Lui e Kageyama insieme. Mano nella mano. La solita bici rovinata.
E nient'altro.
Scosse appena la testa.
No.
Sapeva quanto fosse letale immaginare. Crearsi false speranze. Rincorrere sogni e desideri.
Non aveva tempo per farlo.
Non poteva farlo.
Con più fatica del previsto, Hinata riuscì a far salire in sella il corvino, intimandolo ad avvinghiarsi con forza al suo corpo. Hinata si sentì stranamente al caldo tra quelle braccia che, da dietro, lo stringevano. Deglutì rumorosamente prima di inspirare a fondo e sforzarsi di pedalare per poter smuovere la bici.
Mezz'ora dopo, i due riuscirono a raggiungere il quartiere spoglio e desolato del rosso, seppur con non poche difficoltà: questo aveva infatti rischiato di perdere il fiato - e l'equilibrio - più volte durante il tragitto. Il corvino era riuscito a mantenere la presa ben salda sul giubbotto giallo del più basso, pur imprecando a manetta ad ogni minimo segno di cedimento da parte dell'altro.
Una volta poggiati nuovamente i piedi a terra, Hinata, sfinito e con il fiato corto, si chiese il perchè Kageyama stesse tardando così tanto a slegare la sua presa dal suo busto.
Deglutì a vuoto, voltandosi appena verso il corvino. Lo stava fissando, e Hinata sobbalzò appena, colto di sorpresa. Trattenne il fiato mentre l'altro chiuse gli occhi e poggiò goffamente la testa contro la sua chioma rossa, finendo per affondare il volto nel suo collo in parte scoperto. Kageyama inspirò a fondo il solito profumo che impregnava la pelle di Hinata, sentendone d'improvviso il bisogno. Il rosso lo lasciò fare, ancora pietrificato, percependo il respiro caldo del corvino. Le mani inguantate ancora ben salde sul manubrio.
Digrignò i denti, e si sentì uno stupido ad avere così caldo. Stava sudando. E, seppur spaventato a morte, non riuscì a fare altro che rimanere stretto in quella presa così calda, da essere quasi bollente. Bruciava.
Ma non volle allontanarsi, nè smuoversi.
«Grazie.», un sussurro lo fece sobbalzare. Hinata sbarrò gli occhi. Quasi temette di averlo sognato. Eppure Kageyama lo aveva ringraziato davvero.
Sentì un formicolio strano risalirgli la schiena. Un calore familiare gli riscaldò il petto.
Avvampò.
Fu involontario, ma i suoi muscoli si rilassarono appena contro il corpo dell'altro. Abbandonò semplicemente la testa all'inidietro, chiudendo gli occhi.
Non riuscì a rispondere.
L'unica cosa che si permise di fare, fu spingersi appena, maggiormente, tra le braccia del corvino.
Kageyama sfiorò appena il collo dell'altro con la punta del naso, riuscendo a far raggelare il più basso. La sua testa era ancora fin troppo annebbiata a causa dell'alcool, ma sapeva bene quanto, in realtà, ogni gesto fatto rispecchiasse un desiderio che da tempo stava cercando di nascondere perfino a se stesso.
Si scostò appena, ancora coperto dalla sciarpa del rosso, lanciando un'occhiata al volto chiaro dell'altro. Gli occhi chiusi, l'espressione rilassata. Kageyama pensò che fosse davvero bello. Troppo. Fin troppo.
Gli dava così fastidio. Più lo fissava, più sentiva il sangue ribollirgli nelle vene. Ogni parte del suo corpo stava fremendo.
Sapeva che, se fosse rimasto a guardarlo ancora, non sarebbe riuscito a tirarsi indietro. Lo avrebbe rifatto. Lo sapeva. Perchè faceva sempre gli stessi errori, ogni volta.
Non sapeva evitarlo.
Sussultò quando Hinata riaprì gli occhi, indirizzandoli veloci verso i suoi. Ancora una volta, troppo vicini. Il rosso rimase semplicemente a guardarlo. Deglutì, seppur a vuoto.
Hinata fu spinto ad avvicinarsi nuovamente. Non riuscì a controllarlo. Fu più forte della sua volontà, che continuava ad imporgli di fermarsi. Ancora una volta, il battito incessante del suo cuore gli rimbombò nelle orecchie.
Sapeva di star sbagliando, nuovamente.
E pur sapendolo, pur tremando per la paura, non si controllò.
Afferrò di colpo la sciarpa scura del più alto, impaziente, strattonandola a sè. Un ultima volta. Ancora una volta.
Non riuscì a pensare ad altro.
Perchè aveva il presentimento che, se non lo avesse baciato di nuovo e in quel momento, non avrebbe più potuto farlo. E, seppur involontariamente, non voleva smettere di farlo. Non ora che aveva appena iniziato a comprendere quanto ne avesse bisogno.
Quanto ne fosse dipendente.
Sono un idiota.
Sapeva bene anche questo, ma gli importò poco.
La ragione lo abbandonò nuovamente.
Un brivido di freddo lo scosse mentre le loro labbra si sfiorarono nuovamente. Rimasero sospesi, a occhi chiusi, ognuno a respirare l'altro, fronte contro fronte, per un periodo di tempo che nessuno dei due si curò di tenere a mente.
Quando tornarono a guardarsi, sporgersi con urgenza verso l'altro fu un istinto per entrambi, che tornarono a saggiarsi, in modo quasi frenetico.
C'era qualcosa, mentre lo facevano, che rendeva il resto un contorno sbiadito. Qualcosa di trascurabile. Il fatto che stessero congelando. Che fossero in mezzo alla strada. Che fosse notte fonda. Che nessuno dei due avrebbe dovuto trovarsi insieme all'altro, in quel momento.
Niente era più un limite.
Niente sembrava importare.
E questo era pericoloso.
Entrambi ne erano consci.
E mentre tutto nelle loro teste si annebbiava, uno sparo ruppe in mille pezzi la quiete che li aveva avvolti, strappandoli con forza a quell'abbraccio e a quella sensazione tutta loro, catapultandoli nuovamente, con forza bruta, alla realtà.
E ricomparve il gelo.
Il buio.
La paura.
Gli occhi caramellati di Hinata quasi uscirono dalle orbite. Perchè sapeva già da dove quel suono sordo provenisse.
E sapeva già cosa stesse succedendo.
Con il cuore in gola, in pochi attimi stava già correndo a perdifiato verso la porta di casa.
Era spalancata.
E raggelò.
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