𝟰𝟯
«Quando è successo?», Hinata si irrigidì per un attimo a quella domanda. Il corvino non pareva dar segni di volersi smuovere e lui non riusciva più a comprendere come doversi comportare. Come dover rispondere. Quale facciata dover mettere su, in una situazione del genere.
Come faceva a sapere di suo padre?
Sua madre non gli avrebbe mai potuto raccontare nulla. Doveva per forza avere un nesso con il padre del corvino.
C'entrava sicuramente.
Ma, a dispetto di qualsiasi ragionamento logico, si ritrovò ad arrossire maggiormente sotto lo sguardo indecifrabile dell'altro.
Deglutì a vuoto.
«Quando ha scoperto che mia madre lo aveva tradito.», lo sputò fuori senza nemmeno pensarci, freddamente. Quasi come se fosse qualcosa che non gli fosse successo in prima persona. Sapeva bene che non avrebbe dovuto nemmeno parlarne con lui. Che stava cadendo nella trappola come un idiota. Che probabilmente Kageyama aveva architettato tutto per poter ricavare informazioni da lui.
Eppure, in un angolo remoto della sua testa, una voce continuava a ripetergli che poteva fidarsi di quel ragazzo. Che non lo avrebbe tradito. Che non aveva più bisogno di nascondersi dietro ad una maschera nuova.
Voleva, per una volta nella sua vita, poter parlare liberamente. Non lo aveva mai fatto. Nemmeno con sua madre.
Voleva, semplicemente, non mostrarsi vulnerabile di fronte a lei e ai suoi problemi, più grandi perfino dei suoi.
Voleva essere quello che l'avrebbe aiutata. Quello forte. Quello insovrastabile.
Ma per una sera, non sarebbe successo nulla se avesse messo giù anche quel volto illusorio, rimanendo scoperto. Giusto?
Forse lo fece perchè Kageyama era in parte brillo. Forse perchè si augurava non se ne ricordasse.
Per lo meno, era quello che il rosso sperava. Che desiderava.
Avere il lusso di crollare, senza pesare su nessuno.
Kageyama digrignò appena i denti.
Non gli piaceva l'espressione dell'altro, in quel momento, nè ciò che gli aveva confessato. I suoi occhi color caramello non lo stavano più guardando, fissi a terra, colmi di una luce strana.
Hinata pareva immerso in pensieri che non lo riguardavano, e la cosa non fece altro che far ribollire il corvino. La testa gli girò nuovamente, per qualche istante.
Non voleva vederlo in quello stato.
Agì d'istinto.
Non curante dell'atteggiamento difensivo assunto dal rosso nel rispondergli, si avvicinò improvvisamente a lui e Hinata finì per pietrificarsi sul posto, il fiato mozzato e gli occhi sbarrati. Il volto a fuoco e i pensieri di poco prima già messi da parte. Sembrò quasi andare in tilt, mentre il corvino finì per far scontrare le loro fronti e i loro nasi. I loro respiri si fusero, così come i loro sguardi.
Il buio e il silenzio li avvolsero. Durò un attimo, ma Hinata lo notò. Kageyama abbassò lo sguardo, indirizzandolo alle sue labbra ancora schiuse per la sorpresa.
«Posso?», il suo sussurro fu così flebile che il rosso temette di averlo solo immaginato. Il cuore nuovemente a rimbombargli nella testa, il fiato corto e quel timore imprecisato che pareva metterlo costantemente alle spalle al muro se di mezzo c'era quel ragazzo. Avvampò senza nemmeno volerlo, sentendosi a fuoco.
Il più alto aveva davvero paura di poterlo rompere. Perchè Hinata gli pareva così fragile, da non volerlo nemmeno toccare, a volte. Eppure, non resistette a farlo comunque. Forse era l'alcol a renderlo così spontaneo, forse aveva davvero sbagliato a berlo tutto d'un fiato. Forse stava per rovinare ogni cosa.
Forse nemmeno se lo sarebbe ricordato.
Si chiese, in un fugace attimo di lucidità, se fosse lui quello fragile, in realtà. Quello che più di tutti era spaventato. Perso.
Quello che non sapeva cosa fare, nè cosa dire. Che non sapeva affrontare le cose a testa alta, da solo. Che si era sempre lamentato, senza mai mettere in pratica niente.
E poi, dal nulla, era comparso lui.
Un idiota dai capelli rossi e il sorriso menefreghista che non si era fatto problemi a giocare con i suoi sentimenti, manipolandolo, fino a portarlo ad uccidere, seppur senza morti di mezzo.
Lo aveva plagiato così tanto, che si chiese se non fosse quel ragazzo, in realtà, quello che avrebbe potuto romperlo in un colpo solo.
Kageyama ne era così terrorizzato, ma così contraddittoriamente attratto, che non seppe evitarlo. In fondo, era sempre stato così: rimaneva sempre coinvolto in qualcosa di più grande di lui. Finiva sempre per prendere le decisioni sbagliate. Non indietreggiava mai, nemmeno di fronte a un pericolo evidente.
Nemmeno ora, con il rosso a un palmo dalla faccia, mentre il suo respiro gli solleticava il volto e i suoi occhi grandi lo fissavano in silenzio, quasi incapaci di smuoversi.
Era più forte di lui.
Kageyama adorava sentirsi costantemente sull'orlo di un precipizio. Costantemente in balia, un piede nella fossa ed uno ancorato a terra. Lo faceva sentire vivo. Carico di adrenalina. Era come se riuscisse a sentire il suo cuore battere nel petto solo quando sapeva di star commettendo gli errori più grandi della sua vita.
E quel ragazzo rientrava definitivamente tra questi.
Ma Hinata non rispose alla sua domanda, nè indietreggiò. Il rosso si fece paura da solo. Non riusciva a riconoscersi nemmeno più.
Normalmente, avrebbe dato di matto per sapere cosa quel ragazzo sapesse sul conto di suo padre. Chi fosse davvero. Cosa stesse cercando di fare. Normalmente, non avrebbe esitato a sferrargli un colpo dritto in faccia. A chiamare gli altri. A riferire i suoi sospetti.
Normalmente, non avrebbe avuto desiderio di mettere ogni cosa da parte, ignorando il resto, fidandosi solo ed esclusivamente del suo istinto. Era sempre stato in parte impulsivo, ma mai senza usare la ragione. Eppure, nonostante sapesse quanto stesse rischiando nel non dar retta alla sua testa, si ritrovò ad accatastare ogni pensiero, ogni regola.
Per una sera, si ripetè.
Perchè con Kageyama, la sua mente sembrava svuotarsi ogni volta. Non riusciva a smettere di sentirsi così inebriato da una leggerezza che non aveva mai conosciuto. Un timore di cadere, ma una voglia pazza di continuare a tenere i piedi per aria. Ad aggrapparsi a quel blu notte. A perdervisi dentro.
Non era logico. Non aveva un senso, ma nemmeno gli importò di trovarne uno, sul momento. Lasciò, semplicemente, che la sua fronte premesse maggiormente contro quella dell'altro, facendo strofinare appena le punte dei loro nasi.
Lo baciò senza esitazioni.
Le mani fredde del corvino gli circondarono il volto arrossato, e Hinata le lasciò fare, percependo brividi costanti dilungarsi lungo il collo, per poi disperdersi in tutto il corpo. Circondò con le sue mani ben calde all'interno dei guanti neri il colletto in parte sbottonato dell'altro, strattonandolo a sè.
Non fu decisamente un bacio delicato, nè lucido. Era dettato dalla necessità, dalla confusione, dalla irrequietezza provata da entrambi. Nessuno dei due, in fondo, sapeva con certezza il motivo per cui stesse baciando l'altro. Per cui stesse rischiando così tanto, solo per un vano momento di lussuria.
Un retrogusto amaro di alcol fece storcere appena il naso del rosso, che però non riuscì a smettere si saggiare la bocca dell'altro, aggrappandosi maggiormente alle spalle del corvino, ora chino in parte su di lui.
Più che amore, i due percepivano timore. Perchè sapevano bene quanto ciò che stavano facendo fosse grave. Sapevano quanto fosse sbagliato. Sapevano che le conseguenze sarebbero arrivate. Ma nessuno dei due volle preoccuparsene.
Nessuno se ne importò.
Perchè nessuno dei due, in fondo, era mai stato così lucido mentalmente da sapere quando smettere. Nessuno tra loro era mai stato in grado di adattarsi al resto del mondo. Nessuno dei due voleva farlo.
Erano nati per sbagliare, in una società che imponeva a chi ne faceva parte di non fare errori. Un errore in più non avrebbe variato il risultato. Uno in meno non li avrebbe resi perfetti.
Quindi, perchè curarsene, in fondo?
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