𝟯𝟵

Non passò troppo tempo prima che tutti finirono di fare colazione e Kageyama tornasse in camera per rivestirsi di giacca e scarpe per poter tornare a casa.

Alla fine, Natsu si era convinta che i capelli del corvino non fossero davvero bruciati, ma si battè con anima e corpo per affermare la sua nuova tesi: negli occhi del ragazzo c'era davvero dell'acqua marina. Kageyama, costretto da Hinata, aveva ammesso il fatto, riuscendo a far sorridere da orecchio ad orecchio la bimba dai codini rossi. La scena, in qualche strano modo, lo aveva fatto sorridere appena.

Da come Hinata la guardava e la trattava, non ci mise molto a comprendere che quella doveva essere la persona più importante e preziosa per lui. Quella per cui avrebbe dato la vita. In quel momento di realizzazione non aveva fatto altro che abbassare appena lo sguardo.

La sua famiglia non assomigliava minimamente a quella del rosso. Non aveva fratelli. Non aveva una madre che lui riuscisse a percepire davvero come tale. Non aveva mai fatto colazione in quel modo, in casa sua. Non aveva legami saldi.
Non aveva nulla, in fondo.

La cosa non aveva fatto altro che alterarlo maggiormente. Voleva davvero andarsene. Non perchè non sopportasse più quell'ambiente, bensì perchè temeva di potersene abituare.

Perchè se c'era una cosa che Kageyama aveva capito, questa era che più si sarebbe immischiato nella vita di quel ragazzo, più non avrebbe fatto altro che affezionarsi. Dipenderne. Pensare di poterne far parte.

Ma sapeva bene che non era quello il suo posto.
Non voleva avere una ragione in più per odiare quel ragazzo. Non voleva iniziare ad invidiarlo.

Erano troppo diversi, in fondo.

«Te ne vai già? Non vuoi fare un giro?», Hinata comparve al suo fianco, facendolo sobbalzare. Il più alto scosse la testa, sistemandosi il cappuccio dietro le spalle. «No, devo ancora allenarmi e lavarmi.», rifilò qualche scusa veloce, tastando le tasche in cerca del cellulare. Lo trovò, accendendolo solo per poter vedere sullo schermo le due chiamate perse della madre.
Erano di una decina di minuti prima.

«Possiamo allenarci insieme. Facciamo due passaggi qua vicino. Puoi lavarti anche qui, comunque. Non ti assicuro che la caldaia funzioni però...», il rosso scrollò le spalle, non dando quasi peso alle parole. Per qualche strano motivo, non voleva che quel ragazzo se ne andasse così presto. Non indagò nemmeno così tanto sul perchè. Semplicemente, aveva voglia di fare qualche passaggio nel solito campetto, e nessuno alzava meglio del corvino.

Kageyama, dal canto suo, sospirò, sentendo le orecchie accaldarsi appena. La sola idea di doversi lavare a casa di Hinata lo fece agitare più del dovuto. Finì di pigiare il tasto "chiama" sullo schermo, in riferimento al contatto della madre, prima di addocchiare male il più basso dei due.

«Non importa, voglio solo andarmene a casa.», disse in uno sbuffo, al che Hinata alzò un sopracciglio. Non volle ammetterlo, ma l'ennesimo rifiuto da parte dell'altro lo buttò giù di morale. Però, non poteva biasimarlo. «Ce l'hai ancora per ieri eh? Te lo si legge in faccia che sei incazzato.», il rosso incrociò le braccia, arrendendosi, pronto a scortare l'altro verso l'uscita, nonostante fosse conscio del fatto di aver appena sganciato una bomba.

Era sicuro il corvino lo avrebbe ricoperto di insulti.
Di fatti, Kageyama era ancora offeso per la sorta di prova a cui l'avevano sottoposto, e il suo orgoglio fu una causa in più a spingerlo a tornarsene a casa. Il rosso, ormai, stava familiarizzando con quel muso lungo. Sapeva di dover fare molto per farsi perdonare. Ancora ricordava il puro terrore che aveva provato nel vedere l'altro steso a terra privo di sensi, dopo essere stato la causa di quel collasso. Lo aveva spinto ad uccidere una persona, per quanto finto fosse.

In fondo, era un mostro davvero.
Sarebbe stato meglio non trascinare anche quel ragazzo con lui. Non voleva più vederlo in quello stato.
Non era sicuro che sarebbe stato in grado di fronteggiarlo. Se non ci fossero stati Atsumu e Osamu a mantenere il sangue freddo, probabilmente avrebbe perso il controllo.

E lui non lo perdeva mai.
In un modo o nell'altro, era sempre riuscito a gestire ogni situazione.

Di fronte al corvino in quello stato, però, non era riuscito a fare altro se non piangere.
Ridicolo, a tratti buffo.

Sono un mostro.
È giusto che mi odi.

Il più alto, nel mentre, stava per maledire con ogni parola appresa in merito nel corso della sua esistenza il più basso, quando gli squilli dalla parte opposta del suo cellulare si interruppero.

La voce squillante della madre lo richiamò.

«Tobio! Ti ho chiamato prima, perchè non hai risposto? Sei già tornato a casa dagli allenamenti?», la voce stranita della donna lo fece deglutire. Si ricordò della bugia rifilatale da Hinata via messaggio solo in quel momento.

«Non l'ho sentito, era in tasca...Ho finito da poco, sto arrivando.», farfugliò con nonchalance, cercando di risultare il più credibile possibile. Il rosso, nel mentre, aveva alzato un sopracciglio, riavvicinandosi quasi inconsciamente al corvino.

«Ok, non fare tardi, io mangio fuori, tuo padre è ancora a lavoro. Oggi pomeriggio dobbiamo incontrare la mamma di Kiyoko. I preparativi sono quasi pronti!», l'eccitazione era palpabile nella sua voce frettolosa. Il corvino si stranì. «Che preparativi?», domandò ingenuamente, collegando il tutto solo pochi attimi dopo.

«Ma dove hai la testa? Quelli del matrimonio, no? Sarà a breve, nel fine settimana ne parleremo meglio, ok? Ora vado, scaldati qualcosa per pranzo, controlla in frigo! La domestica ha messo gli avanzi di ieri lì!», Kageyama non riuscì a ribattere. Lei aveva già chiuso la chiamata, in qualsiasi caso.

Hinata, che era rimasto accanto a lui, aveva ora lo sguardo a terra. La voce di quella donna era così forte che l'aveva udita fin troppo bene. Avrebbe voluto non farlo.

Non ne comprese appieno il motivo, ma il solo immaginare Kageyama all'altare gli provocò uno strano senso di nausea. Nemmeno si accorse di aver afferrato il polso dell'altro, nel mentre. Aveva la bocca secca.

Kageyama rimase immobile, con ancora il cellulare all'orecchio. La presa del rosso non l'aveva smosso.

«Tu...Ti sposi?», la voce di Hinata era atona. La domanda giunse in parte ovattata all'altro. Forse perchè la testa aveva preso a girargli momentaneamemte. Forse perchè si era estraniato dalla realtà a tal punto da non essere nemmeno più conscio. Bastarono quelle parole, però, a farlo tornare lucido.

Sbattè più volte gli occhi blu, scuotere la testa gli venne naturale. «No...Non ho mai aderito a farlo. Perchè diavolo...», la sua rabbia esplose nel petto in pochi istanti, ma non riuscì a trovare un modo per incanalarla attraverso semplici parole. Il rosso strinse maggiormente la presa, ma con uno strattone il corvino si allontanò dall'uscio di casa come una furia. Oltrepassò il piccolo cortile anteriore prima di sparire dalla vista del più basso.

Un gelo strano travolse il rosso.

Per quanto si sforzasse di non farci caso, di ignorarlo e di negarlo, quel pensiero, quell'unico pensiero che la sua mente era stata in grado di focalizzare in quei minuti di silenzio, non sembrava volerlo abbandonare.
Non riuscì a scacciarlo nemmeno quando richiuse la porta di casa e si buttò distrattamente sul letto ancora sfatto di camera sua. Nemmeno quando l'odore dell'altro finì per solleticargli il naso, quasi a volergli ricordare che la sua presenza era ancora fin troppo vivida per poterla dimenticare.

Hinata odiava pensare.
Perchè, ogni volta, i pensieri finivano per occupargli la testa interamente. E non riusciva a scollarseli. Non ci riusciva mai.

Non voglio che lui si sposi.

Non voglio.

Continuava a ripeterselo, fino allo sfinimento.
Fino a quando un'altro pensiero si insinuò al posto di quello precedente. Uno decisamente peggiore.

Lo voglio.

Quasi strabuzzò gli occhi, sentendo il volto prendere fuoco mentre le mani presero a sudare. La realizzazione lo colpì in pieno, affondandolo tra quelle coperte ancora disfatte. Il soffitto bianco sembrò risucchiarlo.
Tutto iniziò a girare.

Provò a scacciare quell'idea malata dalla testa, ma più la ricacciava dentro, più questa continuava a farsi spazio. Più si espandeva. Più lo travolse, inghiottendolo.

Hinata, in fondo, era terrorizzato.
Quel desiderio non era familiare. Non era prevedibile. Non era sensato.

Il cuore prese a battergli frenetico nel petto.
La paura lo stava divorando.

Ma non riuscì a fare altro se non rimanere steso inerme, a braccia spalancate, con l'aria che gli mancava e la stanza che volteggiava appena intorno a lui.

Lo voglio.

Lo voglio qui.

Lo voglio qui con me.

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