𝟯𝟰

Si svegliò improvvisamente. Kageyama non ricordava di essersi steso a letto, prima di crollare per uno svenimento. Si accorse solo in un secondo momento di non essere nel suo letto, ma in quello di qualcun altro.

Quasi sbiancò mentre, nel buio della stanza, tastò qualcosa accanto a sè. Si alzò di schiena con fatica - lo stomaco gli doleva ancora per il calcio incassato -, riuscendo a far abituare gli occhi all'oscurità solo dopo svariati attimi passati a fissare il vuoto. Regnava un silenzio incontaminato.

Il corvino si accorse che seduto a terra vicino al letto, con le testa affondata tra le braccia incrociate, vi era Hinata. La sua mano era poggiata sui suoi capelli arruffati: ecco cosa stava toccando.

Kageyama, però, non riuscì a smuoversi. Invece di spostare le dita, iniziò ad affondarle piano in quell'ammasso rosso. Era morbido. Così tanto che continuò a giocherellare con i capelli del minuto per un tempo che non seppe classificare.

Era ancora furioso nei suoi confronti.

Mi ha portato a casa sua? L'avrà aiutato quel tizio?, si chiese poi, studiando l'ambiente che lo circondava. C'era una sola scrivania, oltre che un armadio a due ante e il letto, nella stanza. Nessun quadro, nessuna mensola, nessun abbellimento che desse l'impressione che quella camera fosse vissuta. Solo qualche libro sparso a terra e sulla superficie della scrivania. Era tutto fin troppo spoglio.

Il corvino sussultò appena nel sentire il più basso mormorare appena nel sonno, ritrovandosi ad accarezzarlo nuovamente poco dopo.

Era notte, ma non sapeva che ore erano.
Si sfilò il cellulare dalla tasca della giacca che ancora aveva addosso: otto chiamate perse da parte di sua madre. Sobbalzò, affrettandosi ad aprire la sua chat per poterla avvisare, ma si stupì di trovare già un messaggio inviato: "non ho sentito il cellulare, scusa. resto a dormire da uno della squadra, domani abbiamo allenamento presto".

Kageyama quasi si spaventò: sembrava davvero che chi avesse scritto quel messaggio si fosse impersonificato in lui. La madre gli aveva mandato la solita emoji con il pollice all'insù.

Non era difficile capire chi fosse stato.

Ogni ricordo legato agli ultimi avvenimenti passati tornò ad infestargli i ricordi. Alla fine quell'idiota l'aveva fregato, e addirittura messo alla prova. Si era bellamente preso gioco di lui per verificare la sua parola. In fondo, Kageyama non poteva biasimarlo. C'era da aspettarselo.

Era stato davvero un idiota a cascarci.
Hinata non avrebbe mai rischiato così tanto.
Non era da lui.

Ma ciò che lo aveva infastidito maggiormente era ciò che il suo stesso corpo aveva fatto senza il suo controllo. Aveva davvero rischiato di morire per quel cretino. Aveva rischiato di diventare un assassino.

Senza neppure esitare.

Sapeva soltanto che, non appena aveva visto quel ragazzo biondo puntare la pistola contro Hinata, non era più riuscito a ragionare. Ogni cosa si era fermata, il flusso dei suoi pensieri compreso. Aveva agito d'istinto.

Lo aveva protetto.
A discapito della sua stessa vita.

Poteva scappare, ma aveva scelto di non farlo.

Sospirò a fondo, già consapevole del fatto che quel ragazzo era diventato più importante di quanto avesse previsto. Non sapeva niente di lui, eppure c'era qualcosa di diverso nel suo modo di pensare. Era completamente diverso da qualsiasi altra persona.

Nascondeva tante, forse fin troppe cose; il corvino avrebbe voluto scoprirle tutte. Avrebbe voluto venire a conoscenza di ogni più insignificante cosa.

Hinata era intelligente, al punto da essere quasi pericoloso. Ma Kageyama era quasi attratto da ciò. Doveva stare attento, o non sarebbe finita affatto bene.

Mosse ancora una volta la mano tra i suoi ciuffi rossi prima di sfilarsi da sotto le coperte e rialzarsi in piedi con cautela. Guardò il minuto e si abbassò a terra per poterlo prendere tra le braccia e sistemarlo nel letto, dove poco prima stanziava lui. È davvero leggero, pensò, mentre la sua testa ciondolò contro il suo petto, facendolo quasi sussultare.

Rimase qualche secondo a guardarlo dormire tra le sue braccia. Visto così, sembrava innoquo al punto che il corvino quasi si dimenticò che era un bastardo come pochi.

Gli rimboccò poi le coperte, pronto ad andarsene, ma qualcosa lo fermò. Hinata aveva riaperto per metà gli occhi. Gli bastarono poche frazioni di secondo per svegliarsi e realizzare la situazione: la sua mano scattò d'istinto, stringendosi attorno ad un lembo della giacca del corvino. Questo ne rimase sorpreso.

«Kageyama? Dove vai? Perchè non sei a letto? Perchè ci sono io a letto?», farfugliò confuso, la voce squillante, quasi in contrasto con il silenzio che fino a poco prima regnava. Sembrava non essersi mai addormentato, a differenza del corvino che, invece, era ancora per metà assonnato. Si domandò come fosse possibile che quel piccoletto riuscisse ad essere così iperattivo. Così attento.

Sonno leggero, dedusse.

Il corvino percepì nuovamente la rabbia infestare il suo petto. Scosse bruscamente il braccio, costringendo l'altro ad allontanare la sua mano. «Torno a casa.», disse semplicemente, atono. Non voleva avere a che fare con quel tizio. Non per il momento.

Il suo orgoglio era stato calpestato.
Era furioso.

Hinata se ne era già accorto. Quando il corvino era crollato a terra, si era spaventato così tanto da aver quasi rischiato di piangere. Non gli era mai successo.

Hinata non era solito piangere.
Eppure Kageyama riusciva sempre a farlo piangere.
Che fosse a causa di gesti improvvisi o azioni inconsapevoli, il rosso si era reso conto che nei paraggi di quel ragazzo le sue emozioni diventavano ingestibili.

Anche in quel momento, nel vedere l'altro fissarlo con offesa negli occhi, si sentì in colpa. Così tanto che la gola gli si seccò. Nonostante sapesse che non aveva fatto nulla se non ciò che doveva, non riusciva ugualmente a reggere quegli occhi blu nella penombra della stanza.

Abbassò solamente la testa, fissandosi le mani poggiate sul grembo: indossava ancora i suoi guanti neri. Deglutì.

«Mi dispiace.», sussurrò appena, ma Kageyama lo sentì. Lo udì fin troppo bene, così tanto da stopparsi sull'uscio della porta. Non si sarebbe mai aspettato di sentire l'altro scusarsi.

Anche perchè, in fondo, Hinata non aveva nulla di cui scusarsi. Il corvino lo sapeva, ed era furioso più con se stesso che con lui. Si voltò verso il rosso, che però non lo stava guardando. Con il capo chino, sembrava quasi un bambino a cui avevano rotto il gioco preferito. Kageyama si sentì stupido nel percepire il bisogno di consolarlo.

«So che non è stato facile...ma ti ringrazio. Per aver scelto di restare...Per aver scelto me...», Hinata si stava sforzando di trovare le parole più adatte, pur non riuscendo a mettere su un discorso concreto, nonostante i mille pensieri che gli frullavano per la testa. Non era abituato a scusarsi. Ad aprirsi con gli altri. A esternare i suoi stessi sentimenti.

Non aveva mai desiderato mostrarli, in fondo.
Ma Kageyama era diverso, al punto tale che esternare i suoi pensieri era necessario.

Voleva fargli capire come si sentisse.
Come gli dispiacesse per come gli aveva dovuto mentire. Perchè, in fondo, gli faceva davvero male il petto.

E non voleva vedere quello sguardo deluso, lo stesso di suo padre, anche negli occhi di Kageyama.

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