𝟮𝟯
Kageyama non fece in tempo a uscire dalla doccia e legarsi un asciugamano sui fianchi che il cellulare che aveva lasciato in camera iniziò a squillare.
Non aveva bisogno di controllare chi fosse.
«Che vuoi?», rispose senza esitare, incastrando il telefono tra la spalla e la guancia destra, mentre tornava in bagno asciugandosi con un asciugamano i capelli neri come la pece. Hinata sorrise appena, steso nel suo letto, anche se l'altro non poteva vederlo. Ha risposto di nuovo subito, pensò.
«Mi sono dimenticato di ridarti i guanti.», disse il rosso, rigirandosi tra le mani i guanti blu che si era reso conto di avere ancora addosso solo una volta arrivato a casa, lasciando il cellulare in bilico sulla sua guancia sinistra. «Ah...Non fa nulla. Puoi tenerteli.», borbottò il corvino, lanciando un'occhiata al suo riflesso nello specchio mentre continuava a sfregarsi i capelli.
«Davvero?», domandò sinceramente sorpreso il minuto, con occhi quasi lucenti. Kageyama alzò le spalle. «Già.»
Hinata rimase stupefatto. Non si aspettava un gesto del genere dal corvino. La cosa lo fece sorridere. Si infilò i guanti senza nemmeno un motivo valido. Voleva solo indossarli e percepire nuovamente quel calore piacevole riscaldargli le mani fredde.
«Ora posso attaccare? Sai, sono appena uscito dalla doccia e dovrei vestirmi e dormire. Non ho tempo per parlare.», sbuffò appena Kageyama, lanciando l'asciugamano nel cestone del suo bagno. «Sei nudo?», domandò con nochalance il rosso, ancora intento ad ammirare i suoi nuovi guanti. Il corvino fece una smorfia, arrossendo appena. «Già! Hai un tempismo del cazzo tu!», gli sbraitò contro, facendolo ridacchiare.
Hinata, però, si mise subito sull'attenti quando udì un rumore anormale provenire da fuori la sua stanza. Sussultò, sbiancando di colpo.
Bastò un attimo per fargli dimenticare tutto. Sia dei guanti che ancora indossava, sia del cellulare, sia del ragazzo che ancora attendeva una sua risposta dal capo opposto al suo.
È tornato?
Saltò in piedi in pochi attimi, mosso da un terrore che ormai era familiare provare, lasciando che il telefono ricadesse sul suo materasso. Kageyama si stranì di udire dei rumori strani e non sentire più la vocina del più basso.
«Hey, idiota, ci sei ancora?», la sua domanda non ottenne risposta.
Hinata si ritrovò a spalancare di getto la porta malandata della sua camera e raggelò di fronte alla figura alta che gli si presentò davanti. Puzza d'alcool, fu il suo immediato pensiero appena lo vide.
Gli occhi iniettati di sangue dell'uomo lo guardavano con disprezzo dall'alto. Hinata si era abituato a quello sguardo. Erano anni che la cosa andava avanti. Ormai, non gli interessava più di come quello lo guardasse. Nel profondo del suo cuore, in realtà, desiderava morisse nel peggiore dei modi.
Devi morire.
Hinata lo fissava con odio puro negli occhi. Era spaventato, lo era così tanto che quasi non riusciva a muoversi, ma non avrebbe permesso a quell'essere di alzare un altro dito su sua madre. Se l'era ripromesso anni prima.
Era successo più volte che quel bastardo entrasse in casa loro ubriaco marcio per riversare la sua rabbia nei confronti della donna che lo aveva tradito. Hinata, quando era più piccolo, non era mai stato capace di fermarlo. Ma negli ultimi tempi non si era tirato indietro dal pestarlo. Pensava di avergliene date abbastanza l'ultima volta, l'anno prima.
Evidentemente non erano bastate per non farlo tornare.
«Vattene o ti ammazzo.», la voce del ragazzo dai capelli rossi non esitò a minacciare l'uomo, che quasi barcollò prima di ghignare una risata. «Sei solo un fottuto disgraziato!», urlò questo, facendo scontrare con forza la bottiglia di vetro che aveva nascosto dietro la schiena contro la testa del minuto. Hinata, pur prevedendo in parte la sua mossa, non riuscì ad evitare totalmente il colpo, e il vetro finì per ferirlo ugualmente. Un dolore lancinante gli si propagò lungo la fronte e la testa, facendolo piegare in due.
Hinata digrignò i denti prima di afferrare il bastardo dalle gambe, costringendolo a cadere a terra in un tonfo. Gli si mise sopra e continuò a colpirlo con una forza che non pensava di avere. «Muori!», continuava a urlare, furioso, completamente fuori di sè.
Ignorò il dolore alla testa, ignorò il pianto di sua sorella dalla camera a fianco, ignorò le urla di sua madre che si era, nel mentre, svegliata. La donna piangeva, mentre prese il figlio - che ormai sembrava essersi mutato in una persona completamente diversa - e lo allontanò con forza dal corpo dell'uomo che giaceva a terra. Il suo volto tumefatto era un misto di sangue e lividi neri. Hinata continuava a percepire un sudore freddo scorrergli sul volto e sulla schiena.
L'ira lo accecava, la rabbia che provava nei confronti di quel bastardo superavano i suoi limiti. Non riusciva a contenerla.
«Shoyo, per favore. Basta. Per favore.», sua madre lo abbracciava disperata, in parte spaventata di ciò che suo figlio era diventato, in parte fiera di vederlo finalmente capace di reagire. Forse era sbagliato pensarla in quel modo, ma Hinata aveva subito per troppo tempo. Non si meritava di essere definito un mostro solo per aver imparato a difendersi. Per aver imparato a non farsi più buttare giù. A reagire.
«Va bene così. Basta, ora. Per favore.», Hinata respirava in modo affannato, ma si calmò dopo qualche minuto tra le braccia della madre, continuando a fissare l'individuo che riversava sul pavimento, nel sangue e nel rum che si era sparso a terra a causa della bottiglia rotta.
Non si sentiva in colpa. Non se ne pentiva nemmeno. Anzi, rimase deluso dal vederlo respirare ancora. Lo avrebbe rifatto a costo di perdere anche lui la vita. Non gli sarebbe interessato, in fondo. L'importante era difendere sua madre e sua sorella.
L'importante era eliminare ogni minaccia.
Prima o poi, avrebbe liberato la sua famiglia.
E avrebbe fatto di tutto pur di farcela.
Fece per abbracciare sua madre, accovacciata davanti a lui che lo teneva stretta a sè, ma i suoi occhi color caramello si fissarono sulle sue mani e sui suoi guanti che, ormai, non erano nemmeno più blu.
Non ne comprese il motivo, ma alla sola vista di quei guanti rovinati, si sentì appesantito da un peso strano. Era una sensazione che non aveva mai provato.
Qualcosa di particolarmente frustrante.
Così tanto da fargli inumidire gli occhi.
Non saranno più come prima.
Li ho rovinati.
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