𝙏𝙃𝙀 𝙁𝙐𝘾𝙆𝙄𝙉𝙂 𝘾𝙍𝙀𝙏𝙄𝙉 𝙒𝙊𝙉
ɪ'ᴍ ɢᴏᴏᴅ, ɪ'ᴍ ɢᴏᴏᴅ, ɪ'ᴍ ɢʀᴇᴀᴛ
🎡
«No. No. No,» staccò il würstel con i denti attonita, «in che senso un diciottenne ripieno di steroidi ti starebbe corteggiando e ci sei pure uscita insieme?» Dalai la fulminò sfinita, stesa sul divano e le braccia lungo i fianchi — un funerale praticamente — mentre Hien le svaligiava il frigo. «Ti ho detto che ti avrei raccontato tutto a patto che non mi avresti interrotta, Hien»
«Va bene» ripeté la frase tre volte e alzò le mani in segno di resa, «Continua pure»
«Stavo dicendo...»
𝐐𝐮𝐚𝐥𝐜𝐡𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚:
«Non posso crederci che lo sto per fare» lanciò uno sguardo all'idiota appisolato contro il muro del negozio, troppo impegnato a guardare il cellulare con una sigaretta fra le dita per accorgersi di lei.
Arrivò davanti a lui nervosa senza sapere che cosa in realtà potesse farle un ragazzino del genere: era abbastanza grosso da chiuderla nel bagagliaio e ucciderla in un fosso. Sbiancò, e se fosse un serial killer?
«Sei stanca?» la guardò sorridendo, ficcando il cellulare in tasca, «Hai il volto un po' pallido»
«Sei un serial killer?» domandò senza peli sulla lingua e Jungkook ridacchiò, «Dipende, se lo fossi potrei piacerti di più?»
«Rispondimi idiota, sennò non si spiega tutto questo attaccamento verso una sconosciuta» rispose borbottando.
Jungkook alzò un sopracciglio e cacciò fuori il suo tesserino studentesco per mostrarle che uno; aveva realmente diciotto anni e non trentacinque, due; frequentava il liceo che aveva supposto precedentemente dallo stemma sul pantalone e tre; per che cazzo aveva tirato fuori quel tesserino come prova visto che, ai giorni di oggi, gli psicopatici assassini mietevano anche a dodici anni?
«Bella foto» asserì ironica nel vederlo senza orecchini, ripulito dai piercing e con i capelli in ordine sulla stampa, «Quanti anni avevi, quindici?»
Il moro sobbalzò imbarazzato e lo ricacciò dentro al portafoglio per nasconderlo: «Non sono affari tuoi»
«Oh, lo sono dal momento che,» fece un passo in avanti, «uno studente ha voluto sequestrarmi dopo il lavoro. Non so come siete abituati voi adolescenti ma, si usa ancora fare domande per conoscersi o passate semplicemente a infilarvi le mani nelle mutande fin da subito?» quella frecciata lo fece ridacchiare, si staccò dal muro e continuò a fumare facendole cenno di seguirlo, «Non incontri molti adolescenti, vero? Facevate così nel 65'?»
«Attento ragazzino», lo trucidò con una smorfia, «Ne incontro anche troppi di tipi come te durante il giorno. Tanti di questi mi chiedono anche di vendergli sigarette per spillare un appuntamento» lo beffeggiò.
«Cazzo, allora non ti sono proprio piaciuto quel giorno, cazzo» imprecò due volte e Dalai sorrise impercettibilmente. «Non vorrai dirmi che ci stavi provando anche in quel momento, spero»
Jungkook stette zitto lì per lì e cercò di non incrociare lo sguardo curioso di Dalai. Ma per la mora, il suo atteggiamento, rappresentò una risposta ben palese, però non volle gettare benzina sul fuoco e traumatizzare un ragazzino con qualche cattiveria.
Si strinse nel cappotto e gli chiese: «Quindi... Dove mi stai portando?»
L'altro si svegliò e drizzò le spalle larghe. «In un posto che si può raggiungere con la metro» Dalai lo guardò confusa e Jungkook ridacchiò, «Voglio dire, ancora non ho la patente e tu hai appena lavorato, non mi piaceva l'idea che guidassi fino a tardi... Potresti essere stanca» si mangiucchiò le labbra nervoso e Dalai sbarrò gli occhi.
Eccolo lì. Il secondo svolazzo che le nasceva dentro la pancia da quando quel ragazzino era entrato nella sua vita.
Era... Era premura?
Sussurrò un grazie, dal cigolio dall'aria a dir poco gelida e dai balbettii d'imbarazzo, talmente basso che probabilmente Jungkook nemmeno la sentì, ma andava bene così. Inaspettatamente, aveva ottenuto un punto a suo vantaggio e la cosa iniziò a provocarle del timore.
Lasciò perdere; i due camminarono in silenzio fra le strade piene di Seoul, dove le insegne dei pub squarciavano le pozzanghere con la loro luminescenza, la musica tradizionale coreana ringiovaniva le ajumma di mezza età con le labbra al sapore di soju e l'aria, intorno ai due e alla capitale, tratteneva quel freddo per riservarne uno migliore. Per quando avrebbe nevicato. E la neve attecchita al suolo, secondo le storie più comuni e popolane coreane, concedeva la parvenza dei primi germogli d'amore.
Per questo il cielo, quella sera, sembrava non voler spingersi troppo oltre nei confronti di Dalai — o così sembrava, la natura era incontrollabile. E avrebbe reso quel momento strambo con la caduta dei fiocchi di neve e ancora più imbarazzante di quanto non lo fosse già per lei.
Per non parlare di quando la commessa dovette seguire le spalle altissime di Jungkook fin dentro il treno, nei cunicoli famosissimi di tutto l'Oriente, quando appunto, poco dopo, delle ragazzine adolescenti e rumorose misero gli occhi sul moro; lui era impegnato a tenersi alla sbarra di ferro ancorata al soffitto e guardava distrattamente le fermate stampate sulle porte per non saltare quella giusta.
Dalai, dal basso della sua piccola statura, si ritrovò a sedere in mezzo all'accozzaglia di persone uscite dagli uffici e queste puzzavano ancora di caffè. Jungkook le aveva ceduto immediatamente il suo posto ma Dalai non riusciva a godersi quella comodità davanti a quelle tre adolescenti, vispe e giovani, occupate a mangiarsi con gli occhi quel bestione accanto a lei.
Sospirò. Raccolse un gomitolo di capelli col dorso della mano e si appisolò, con esso, contro la guancia per reggersi il capo come una torre pendente. Ruotò gli occhi al cielo, stanca di tutti quei cinguettii.
Il treno si fermò per un'altra fermata e un'anziana signora, con caviglie gonfie e una scoliosi prorompente, le capitò davanti agli occhi ciondolante. La vide capitolare davanti alle tre e loro rimasero totalmente indifferenti allo sguardo di supplica della vecchia.
Dalai curvò le labbra verso il basso e si alzò immediatamente. «Signora,» la chiamò a bassa voce senza disturbare nessuno — «venga qui, le lascio il mio posto»
Jungkook si risvegliò dalla tempesta di pensieri al calore di corpo accostato al suo; lo sguardo scivolò immediatamente sul sedile di Dalai ma questo lo trovò occupato da una vecchia sorridente.
Gli occhi scivolarono ancora più in basso, sul suo petto marmoreo coperto dal bomber imbottito in effetto pelle, e scorse la tempia scoperta della mora impegnata a infrangersi contro di lui, appena sotto il braccio sollevato in aria.
Jungkook sbarrò gli occhi: se si fosse avvicinata di qualche centimetro avrebbe sentito il suo cuore esplodere di battiti o lo stomaco sbocciare come una teca di farfalle.
E se mi puzzassero le ascelle?, si sentì male al pensiero ma provò a tranquillizzarsi, riponendo tutta la sua fiducia sull'ultima doccia che si era fatto prima di invitarla a uscire.
Dalai era troppo concentrata a insultarsi per riporre attenzione all'ascella spalancata sopra alla sua testa e odorante di bagnoschiuma. Aveva avuto la brillante idea di cedere il suo posto, ed era una cosa lodevole da parte sua, ma perché doveva darsi la zappa sui piedi?
Ora si ritrovava con tutta la forza dei suoi piedi in equilibrio e sostenuta dal niente.
Fa che non deragli il treno. Fa che non deragli il treno—
Una violenta scossa sui binari in dislivello la fece sbandare e cadere contro il busto del moro. Jungkook, senza pensarci due volte, cambiò il braccio sulla sbarra con l'altro e, con il destro, la circondò col braccio.
Dalai ritrovò la sua guancia, il mento, i capelli e il suo seno, schiacciati contro il lato addominale del moro, si staccò subito con la faccia livida d'imbarazzo.
«Non—» lei respirò per altre tre volte di seguito, anche quattro, «Non l'ho fatto apposta» Jungkook guardò gli occhi grandi di Dalai e deglutì. «Non ti fare problemi. Reggiti e basta» dovette rialzare alla svelta il mento squadrato verso il tettuccio e Dalai vide la sua mascella contrarsi fino a creare un fascio di tendini e muscoli anche sul collo.
Jungkook socchiuse gli occhi respirando lentamente e provò a dimenticare quel seno, che sfidava le leggi della gravità, premuto e coperto da un reggiseno appena sotto il pettorale destro.
Iniziava a sentire caldo e se Dalai non si fosse allontanata alla svelta avrebbe combinato un guaio, sul cavallo dei pantaloni, che neanche il suo bomber firmato lo avrebbe potuto aiutare.
Cosa si aspettava da se stesso?, gridò disperato fra sé, era una bomba a orologeria piena di ormoni pronta a esplodere in una fottuta metropolitana.
Un'altra scossa per colpa del binario e la mano senza smalto di Dalai finì per essere appesa al centro del petto di Jungkook e sentì come lo sterno, fissato nel mezzo dei pettorali, facesse da legante ai muscoli laterali del torace.
Le ragazzine smisero di cinguettare, finirono di ridere e a una di loro cascò addirittura la borsa per terra, ma non se ne curò.
Fu allora che Jungkook le vide, destato dalla sua tortuosa concentrazione sul "come non farsi venire un'erezione in treno" e trasalì maggiormente quando Dalai, stanca di quegli occhi da pesce lesso troppo truccati, si mise davanti a lui.
Sentì come il seno non si staccò mai dal suo ventre, strisciò fino a trovarsi sopra l'ombelico, all'altezza dello stomaco e lasciò che la sua mano aperta non si mosse dal petto. Dalai ora dava le spalle alle ragazzine e girò il volto di novanta gradi per schernirle con la coda dell'occhio, mostrando a loro i suoi capelli lunghi, il sedere piccolo e sodo e la mano — quella appoggiata ancora sul petto di Jungkook — che si chiudeva lentamente in un pugno così da lasciare solo il dito medio fuori.
Jungkook non aveva il coraggio di parlare o di guardare ancora in basso, perciò non vide ciò che faceva Dalai con quella mano letale e col fruscio della stoffa che si muoveva. Scorse solo le tre coetanee, simili alle piccionaie occidentali, alterarsi fino ad alzarsi dai sedili e cambiare vagone.
Prese coraggio, guardò in basso e la beccò a sogghignare. Arcuò le sopracciglia: «Ridi da sola?» Dalai per poco non ebbe un colpo e alzò il mento verso l'alto, trovandosi un anellino argentato, che bucava il labbro rosso e lucido, a guardarla luccicando. «Cosa? No!» scosse la testa con le guance accaldate, «Stavo... Pensando a una cosa, tutto qui»
Jungkook si morse il labbro e quell'anellino sparì risucchiato dalla lingua. «Anch'io» mormorò guardandola negli occhi. Una scossa. Un'altra ancora. «Stavo pensando che... Ancora non so il tuo nome,» chinò di altri centimetri il collo fino a penzolare sopra alle labbra gonfie e schiuse di Dalai, «potresti dirmelo, noona? Potresti dirmi il tuo nome?»
Dalai fece zigzagare le sue pupille dagli occhi neri come il carbone alle labbra, le stesse che continuavano a supplicarla di concedergli il suo nome. Odiava farsi chiamare in quel modo, ma amava altrettanto come quel noona uscisse fin troppo naturale dalle corde di Jungkook.
E giurava, se lo sentiva, che quel ragazzino lo faceva apposta a parlare così; a bassa voce così da far soccombere le corde vocali in una tonalità suadente e roca.
Dalai si leccò le labbra istintivamente e Jungkook catturò tale magnificenza coi ricordi. Riusciva a sentire il suo profumo e il fiato flebile, fin troppo accaldato, solleticargli il collo.
«Mi chiamo Dalai» espirò con un macigno sul petto, «Ma vorrei che continuassi a chiamarmi noona»
ɪ ɴᴇᴇᴅ ᴀ ʙɪɢ ʙᴏʏ
ɢɪᴠᴇ ᴍᴇ ᴀ ʙɪɢ ʙᴏʏ
Quando uscirono dalla metro per Dalai fu un inferno dover alzare gli occhi dall'asfalto per non aprirsi il cranio con qualche palo della luce. E, obbligata a non giocarsi la vita in quel modo miserabile, sospirò arrendendosi vicino alla spalla di Jungkook.
«Hai qualche preferenza sul cibo? Avrei voluto portarti a magiare del manzo, in un locale qua dietro, ma ho come la sensazione che non avresti accettato l'invito» Jungkook, stranamente dalle sue aspettative, ci prese in pieno. «Ah sì? E perché mai?» alzò l'angolo della bocca in un ghigno.
L'altro si mise le mani dentro il giubbotto e alzò gli occhi al cielo sfrontatamente: «Perché sì. Non ti saresti mai fatta offrire una cena di lusso da un ragazzino o il tuo orgoglio da donna finirebbe col deperire» Dalai si mordicchiò il labbro: «Raccontata in questo modo suona orribile»
«Forse perché è la verità?» esordì ironico, giusto per punzecchiarla. «Nah,» borbottò, «La vedrei meglio come una donna matura che tiene al portafoglio di un marmocchio e che gli consiglia di tenersi i soldi per l'università. Sempre se ci andrai» lo sfidò con l'ultima frase e Jungkook spalancò la bocca, più grossa di una saracinesca, per osservarla dall'alto.
«Cosa ti fa credere che io faccia schifo a scuola?»
«Non l'ho detto» arrivarono davanti alla vetrina di un locale di pollo fritto e si prodigò ad aprirsi la porta da sola, «E a te cosa ti fa pensare che una penuria scolastica sia la sola causa che porta a non proseguire gli studi? Ci sono tantissimi motivi differenti dal rendimento scolastico ma... Sentendoti preso in causa, forse rientri nel primo caso» e lo lasciò lì, impalato a reggere la porta al nulla mentre la guardava ancheggiare verso la fila davanti alla cassa.
Si tappò la bocca scottato e filò in silenzio davanti a lei per ordinare e pagare per entrambi. Dopo tante lamentele su chi dovesse pagare cosa, Jungkook uscì vittorioso con il portafogli in mano, un sacchetto di carta con i loro panini dentro e una busta di plastica con un paio di sode.
In tranquillità si sederono a lato di uno dei mille parchi artificiali di Seoul; videro una panchina vuota, sulla striscia di terra, e si fiondarono sopra per potersi godere quei panini fumanti e la patatine mischiate con la maionese.
«Si nota così tanto?» domandò a un certo punto Jungkook con lo sguardo perso nel cielo dipinto di buio e un cipiglio impassibile sul volto. «Mmh?»
«Che non sono uno studioso, intendo,» finì di masticare quel pollo diventato improvvisamente amaro, «è così evidente?»
Dalai si ritrovò ferma con una palla di cibo posta nella guancia. Ingoiò rumorosamente e tentennò: «Dipende, in realtà è normale pensarlo quando sei al liceo. Si crede che il fattore principale sia il numero chiuso dopo gli esami...» guardò le punte dei suoi piedi, «Ma molti non riescono a entrarci per le rette alte o perché non hanno la precedenza sulla residenza rispetto ad altri. Non ti conosco Jungkook, non posso sapere se sei uno che si impegna a scuola, questo lo sai soltanto tu» cercò di rendere quell'argomento il meno pesante possibile per lui.
Sembrava che dentro al cervello del ragazzo ci fosse una guerra continua di pensieri.
«Raccontami qualcosa di te, hai insistito nel voler uscire con me fino a farmi vomitare gli occhi. Me lo merito un po' di gossip» lo prese in contropiede facendolo ridacchiare appena. «Dipende da quello che vuoi sapere su di me, noona. Chiedi e ti sarà dato»
Dalai venne ricoperta ancora di brividi, ma cercò di non tradirsi con la voce. «Vediamo: so che hai diciotto anni, frequenti ancora il liceo, non hai la patente e... Ti piace bucarti la pelle col ferro» alluse al labbro e alle orecchie tempestate di anelli. «Eppure la prima volta che ci siamo incontrati non avevi il labret»
Jungkook si leccò l'anello con la lingua come un suo solito tick. «A scuola non vogliono piercing e orecchini, quindi me li tolgo continuamente» si strofinò il capo imbarazzato, «Ma certe volte mi dimentico di rimetterli e rischio di farmi chiudere i buchi per l'ennesima volta»
Dalai si fece scappare un mezzo sorrisino e finse di guardare anche lei il cielo con il naso, rosso per il freddo, all'insù. «Chissà quante ragazzine si strappano i capelli quando ti vedono arrivare con tutto quel metallo addosso»
«Faccio colpo anche senza piercing, noona. Al punto che potrei creare centinaia di parrucche» sogghignò, si allungò sullo schienale della panchina con le braccia dietro la testa. «Che sfacciato»
«Si chiama verità» rincarò la dose.
«Chiamala come vuoi, playboy»
«Aish, cos'è questa noona?», avvicinò il viso verso di lei, a tanto così da sfiorarle i capelli sotto l'orecchio, «È gelosia la tua?»
«Tsk!» mise un metro di distanza, strisciando col culo fino al margine della panchina, «Ma quale gelosia... Come faccio a essere gelosa di un ragazzino se a me i ragazzini non piacciono?»
Jungkook se ne stava lì a esitare; sembrava che la sua aura da macho avesse solo un determinato limite di tempo ed era frammentato. Provocava, ammiccava e faceva battute sfacciate anche in presenza di una ragazza più grande, fino a quando non veniva zittito da una risposta ancora più acida della sua e si imbarazzava così tanto da cambiare immediatamente espressione.
Era Dalai a guidare il gioco.
«Eppure... Con questo ragazzino ci sei uscita» pungolò speranzoso, «So di piacerti noona»
Dalle labbra di Dalai fuoriuscì una risata, a tratti forzata e ironica. «Sono uscito con questo ragazzino perché qualcuno ha insistito così tanto da non lasciarmi lavorare in pace» e continuò sulle sue, «E non mi piaci»
Doveva avere sempre l'ultima parola, il ragazzo le concesse almeno quell'onore ma non resistette al non farle domande più intime.
«E tu, noona?» appoggiò la rotondità del viso sul pugno appoggiato sotto il mento, «Anche tu devi raccontarti perché quello che so, al di fuori del negozio in cui lavori, si riduce tutto ai sorrisi bastardi che mi rifili quando mi chiami ragazzino»
«Sapere il mio nome non ti basta, Guk?»
«No, non mi basta», si arricchì con un sorriso, «Non quando in gioco ci sei tu, per conquistarti devo ottenere più informazione e conoscerti meglio. Ricordi? Devo farti ricredere»
Scoppiò a ridere. Così forte che gli uccelli si elevarono dai rami e le persone si misero a guardarla con occhiate di sbieco e Jungkook, trovandosi due mezzelune sorridenti sopra le guance tonde di Dalai, perse una decina di battiti. La guardò accovacciarsi in avanti, tirò le ginocchia in alto per le contrazioni sulla pancia e una mano finì stampata sulle labbra per evitare che tutta la popolazione coreana vedesse la sua ugola.
Era una risata sincera, priva di scherno o sarcasmo affilato.
Quando sembrò riprendersi Jungkook notò le guance completamente rosse e lucide. Dalai si massaggiò le gote doloranti e tornò a guardarlo ansimando. «Tu sei... Tu sei...»
«Estremamente bello? Sì, lo so»
«Un Pagliaccio, Jungkook. Stavo per dire pagliaccio!»
«Allora sarò fiero di essere il pagliaccio che è riuscito a farti ridere per la prima volta in tutta la serata,» appoggiò una mano sul petto ammiccando, «sopporterò il peso della fama per il bene della nostra relazione»
«Dio!» la mora si perse nel cielo con i rimasugli delle risa. «Era da tanto che non ridevo così»
«Questo perché sei sempre sul piede di guerra. Dovresti imparare a lasciarti un po' andare, noona, con me lo stai facendo e non mi sembra che stia morendo nessuno»
«Non dirlo troppo forte» sussurrò con i ciuffi sfuggiti dalla coda, «O la tua storia d'amore protrerebbe terminare con la iella» Jungkook si avvicinò strisciando, facendole pesare la notevole differenza d'altezza che vi era tra i due.
«Allora mormorerò tutte le volte che vuoi» fu sveglio e baritonale, «Ma per questo c'è un piccolo prezzo da pagare» soffiò come se nulla fosse a pochi centimetri dal suo orecchio.
«Quale, ragazzino?»
«Nulla di troppo compromettente, noona. Solo il necessario per salvaguardare questa splendida storia d'amore» tirò le labbra in un ghigno e bisbigliò sul timpano, sfiorando di proposito il lobo coperto di brividi.
«Esci con me, noona, continua a farlo»
𝐏𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞:
«Continua a farlo?» Hien ripeté la frase, «A farlo cosa? A farti sentire la presenza sulla coscia?»
L'interessata si tolse il cuscino dalla faccia per poterlo schiantare contro il grugno truccato della vietnamita e sballottolare, in questo modo, i tre neuroni che giocavano a nascondino. «Ha diciotto anni! Hien!» sbraitò piegando il collo all'indietro sullo schienale, «Cosa cazzo c'è di sbagliato in me?» imprecò contro il soffitto a braccia spalancate.
Hien sembrò seriamente pensarci: «Deve esserci qualcosa di sbagliato nel piacerti un cazzo? Dal, amica, a me piace il cazzo. Da sempre. Ne sono ossessionata.»
La mora ruotò gli occhi fino a farli diventare bianchi, identico alle indemoniate degli horror, «Mi riferivo al frequentarmi con Jungkook» Hien drizzò la testa ridacchiando: «Frena. Frena, frequentare? Siete usciti solamente una sera per mangiare dei cazzo di panini col pollo. Questo lo chiami frequentare?» domandò sarcastica, «Allora io con quanti uomini dovrei essere sposata?»
Gli occhi tornarono al loro posto originale e deglutì con forza. Sussurrò qualcosa di incomprensibile. «Eh?! Puoi, per favore, non parlare come i pesciaioli di Busan dopo una giornata passata al Sole a schiacciarsi le dita?»
Dalai si pigiò due dita sul piccolo ponte del naso e abbassò lo sguardo colpevole.
«E se...» si morse il labbro, «Potrebbero esserci state altre uscite oltre a quella che ti ho già raccontato?»
Saltò sulla sedia e strinse i capelli in due ciocche, «Oh mio Dio! Tu! Cosa! Hai! Fatto?!» strillò eccitata avanti e indietro alla visuale di Dalai, momentaneamente assente e morta sul divano con le braccia conserte e un pigiama orribile addosso.
Allungò un dito per minacciare Dalai e, con sinistra voce unta di macumbe vietnamite, ordinò di farsi un bel bicchiere di vino e iniziare a cantare come un usignolo. Anche a costo di incastrarla su quel divano per ore.
Dalai si abbracciò le braccia ossute e curvò il collo in avanti affranta: «Beh...» sembrò pensarci un po', «Da dove dovrei iniziare?»
𝐏𝐨𝐜𝐡𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐢 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚:
La spia sul cruscotto suonò ancora mentre avvisava di stare attenti lungo le strade della capitale a causa del ghiaccio e per le basse temperature.
Sospirò fra le nuvole di condensa e accese il riscaldamento davanti a un grosso cartellone di una pubblicità giapponese, nel bel mezzo di un enorme parcheggio sul porto; in giro, a quell'ora, c'erano pochissime persone ed erano le più temerarie che si facevano scivolare addosso i gradi sotto lo zero a qualunque costo pur di non farsi rovinare la serata.
Dalai bloccò lo schermo e sbatté una mano sul volante alterata: si erano ripromessi di non vedersi più ma lui, non solo si presentava al negozio con lo scopo di poterla anche solo osservare ma, quella di questa sera, era la quinta volta che uscivano insieme e Jungkook stava cercando di far nascere seriamente una relazione impossibile. Glielo aveva detto, infinite volte, anche nei modi più ostili possibili sia per messaggi e oralmente.
Ma era duro di comprendonio ed era finita lì; uscita dal lavoro pulita dalla polvere e munita di coraggio per sgusciare fuori di casa con la tachicardia a mille.
Con la macchina sorvolò almeno una decina di strade, parchi di cui il nome non rimembrava, semafori infiniti e templi centenari, fino all'ingorgo che occupava gran parte di Wangsimni-ro e la sua lunghezza. A quando la Luna non illuminò le chiacchiere dei cittadini impegnati a passeggiare alle veci del ponte Seongdong.
Ignorò la musica riprodotta dalla radio e si godette, per tutta la durata della scena, il passo sensuale e anche un po' casuale di Jungkook, con la sua solita sigaretta premura tra le labbra sottili e un sorriso divertito sulla faccia. Stupida faccia da scemo.
«Sei venuta, noona» esordì felice nonostante il bomber stretto al torace che palesava il freddo di quella notte, «Pensavo mi dessi buca»
«Tu dici? E perché mai avrei dovuto paccare un appuntamento con un ragazzino senza patente e minorenne quando fuori casa sono meno cinque gradi?» schioccò la lingua biforcuta al palato, «Non hai scuola domani?» cambiò argomento. Anche se Jungkook sembrava preferire di gran lunga quello prima.
«Potrei» si appoggiò col fianco allo sportello della macchina, guardando Dalai dall'alto mentre si riparava dentro l'auto, «Ma se ci vado o no, ormai, non fa nessuna differenza» ammise senza far trasparire nessuna emozione.
Dalai corrugò subito le sopracciglia e scosse la testa contraria: «Che gran cazzata. Non dovresti sprecare così il tuo percorso scolastico»
«Quando sei già un fallimento e nessuno ha più aspettative diventa tutto più facile» stese il collo lungo il cartello gigante, lasciando che l'aria gli colpisse i capelli scoperti dal berretto di lana, «Qualche volta è bello lasciarsi trasportare dalla corrente, senza sforzarsi troppo di modificare il corso delle cose»
«E cosa succede quando arrivi troppo in là?» incrociò le braccia al petto con la nuca inclinata, «Quando sei a un passo dalla deriva e il tempo è ormai passato, nulla torna più indietro. La corrente ti accompagna, deve essere un'amica e non la tua rovina. Finirai per far decidere a lei la tua vita, marmocchio» continuò calcando la frase: «Ecco perché sei immaturo»
«Ah! Mia cara e bellissima noona» sghignazzò infilando le mani dentro un paio di punk joggers pieni di tasche, larghi alle rotule e stretti in vita, «Chissà cosa avranno mai combinato questi uomini per aver ridotto il tuo cuore così nero»
«E chissà cosa avranno mai fatto le dodicenni della tua scuola per farti sentire come l'uomo che credi di essere» ribatté con la stessa moneta, intimandogli con lo sguardo di stare molto attento a non farsi sbranare dai suoi denti. Ma a Jungkook piaceva così tanto la sensazione dei morsi sulla pelle.
«Lo vuoi veramente scoprire?» si abbassò sul finestrino, allungò il braccio sul tettuccio gelato della macchina e chinò appena le ginocchia. Spalmò la sua perfetta faccia da cazzo davanti a quella di Dalai, con pochi centimetri a tenerlo occupato e nient'altro, e spinse con la lingua l'anellino argentato incastrato sul labbro.
Dalai calò i suoi occhi verso il basso, all'incastro del ferro sulle labbra già umide, alla pelle perfetta e leggermente olivastra per le sue origini di Busan, al neo impercettibile e furtivo al margine della bocca, ai ciuffi corvini spalmati sulla fronte dal cappello, fino ai suoi occhi. Occhi dannati. Scuri, color carbone e più roventi di qualsiasi altro materiale esistente, che volevano studiarla per metterla al tappeto e farla crollare.
«Cosa pensi di fare? Di ottenere da una col cuore nero come me?» disse, «Giocare?»
«Assolutamente no, noona»
«Allora smettila di guardarmi in quel modo. Come se volessi,» esitò, «se volessi baciarmi»
Jungkook ghignò sbuffando, altri ciuffi gli calarono addosso: «Noona io vorrei sempre baciarti, se dipendesse da me ti avrei già baciato mille volte. E per altre mille baci avvenire. Passato. Presente. E futuro. Ancora non l'hai capito?»
Ci fu del silenzio dopo quella esplicita dichiarazione: lei non smise per nulla al mondo di guardarlo, di sopperire il suo sguardo contro l'altro, ancora più bollente, ma la sua ragione, determinata e testarda costruita col tempo, stava iniziando a crollare dall'arrivo di quegli occhi fin troppo giovani.
«Scendi dalla carrozza per me, noona?» domandò fastidioso e mezzo sarcastico, accennando al fatto che il suo grazioso e bellissimo culo fosse ancora lì dentro. «É freddo,» rispose senza tergiversare troppo, «ormai la fase della gioventù che taglia di netto l'inverno é diventata obsoleta per me, Guk. Basta un po' di pelle scoperta a farmi venire il mal di pancia»
Jungkook allungò gli angoli delle labbra in un sorriso impertinente: «Che grandissima stronzata» disse picchiettando le nocche sulla maniglia dello sportello e l'aprì, spalancandogliela per lei.
Dalai non nascose il divertimento sul suo viso, anzi, scosse solamente i capelli all'indietro per guardarlo meglio una volta scesa dall'auto. Si appoggiò alla fiancata per studiarlo.
«Sai...» iniziò con la voce arrochita, «devo ammetterlo. Sono sorpreso che, nonostante i continui insulti che riserbi per me, tu non ti sia tirata indietro alla mia proposta»
«Sembravi così disperato, Guk» mormorò ironica per prenderlo in giro, «Chissà cosa avresti fatto se la tua storia d'amore fosse finita così»
«Pazzie» rispose con un lampo di piacere negli occhi bruni, «Tante. Irreparabili pazzie. Avrei fatto di tutto purché la storia non finisse così» allungò una mano sulla cima del finestrino — o meglio il tettuccio — e con l'altra fece lo stesso.
Così, Dalai, non aveva nessuna via di fuga se non quella di utilizzare una mossa di Krav Maga e renderlo impotente per tutta la vita, o accecarlo con un paio di dita sulle cornee o rompergli il setto nasale sul tettuccio. Ma avrebbe continuato a giocare, a essere un topolino intrappolato in mezzo alle fauci del grosso gatto nero che voleva mangiarsela.
«Interessante»
Mentre lei poteva essere, in realtà, molto più pericolosa di lui anche nelle vesti di un piccolo topolino con gli occhi ludici.
Si abbassò esattamente sotto il suo mento dove venne colta dalla sottile fragranza del ragazzo, pronta a pungerle le narici di acidula dolcezza. Jungkook non poté fare a meno di abbassare il collo verso il basso, sentì i brividi solleticargli i minuscoli peli dietro al collo fino a farli rizzare per la pelle d'oca.
Abbassò immediatamente le mani sui fianchi, allontanandole dal tettuccio. «Ho ammesso di volerti baciare qualche secondo fa e, noona, questa distanza non é per niente efficace affinché io non perda la ragione e qualche connotato» la voce si era notevolmente abbassata. A Dalai scappò uno sbuffo. Ridacchiò: «Perché dovresti? Se non farai nulla... Non succederà nulla. La tua faccia non avrà nessun occhio nero»
«É questo il problema, Dalai» respirò così forte da dover socchiudere gli occhi e irrigidire le ossa delle mani. «Non riuscirei a farlo. Non riuscirei a non volerti ancora» la pregò con gli occhi, ancora chiusi in due mezze fessure, di non fare un altro passo verso di lui.
La mora, a sentire il suo vero nome sussurrato da quelle labbra di carne e metallo, venne inondata da una serie di battiti incontrollati, così forti e potenti da dolerle i nervi del petto. Di passi ne fece due, non uno, perdendosi poi nel complesso meccanismo totalmente naturale della trachea spigolosa e mascolina di Jungkook, impegnata a vibrare per colpa dei groppi di saliva.
L'agitazione, così come la tensione dello studente, era così palpabile da essere tagliata a fette con un coltello da burro. Scorse le mani venose tremare, indecise o no se nascondersi dentro le tasche del bomber, il contorno degli occhi sporcarsi di rosso dall'adrenalina e il fiato farsi più corto.
Poi, lei alzò ancora di più il mento al cielo notturno di Seoul e incontrò le labbra increspate dalla libido, la lingua uscì fuori in quell'esatto momento per bagnare i contorni della bocca e questo dettaglio, anch'esso naturale, finì col mandare fuori di testa Dalai, ricordandole che fosse fatta di carne e dopamina.
Ovvero che, quel ragazzo, accendeva in lei un qualcosa che era rimasto ormai latente nel corso degli anni della sua breve vita dopo la sua rottura con Ryum.
«Ti prego» la pregò, sperduto, «Allontanati»
«Tu vuoi questo?» lo mise alle strette.
«No, cazzo» imprecò fioco e soffiandole aria calda sul collo, «Non é questo quello che voglio»
«Allora stai zitto una buona volta e fai qualcosa di concreto perché, davanti a me, vedo solo un ragazzino con i baffi da latte sotto al naso e che si è divertito fin troppo a tirare la corda con una più grande,» lo mise alla prova, melliflua, «un ragazzino che finge solamente di essere un uomo che in realtà é la metà di quello che decanta» lo provocò ancora.
Un palese invito a farsi avanti sul serio questa volta. Era quello che Jungkook sperava di ottenere, giusto? La sua noona e le sue labbra. Le mani fra i capelli e le lingue incrociate dopo un amore a prima vista dal suo canto.
L'aveva seriamente messo con le spalle al muro mentre, in partenza, sembrava lei quella a pendere difficoltosamente dalle sue di labbra e sempre lei era quella costeggiata alla sua macchina intrappolata. Ora aveva il controllo totale della situazione e sapeva che quel ragazzino, idiota e pieno di sé, avrebbe ceduto e abbandonato l'idea di starle ancora dietro.
C'era d'aspettasserselo da uno studente come lui.
Eppure non si sarebbe mai aspettata che, sempre quel ragazzino idiota e pieno di sé, alto e possente quanto una montagna, si fosse palesato davanti a lei con un paio di passi e due mani pronte a premerle i lati del viso per preservare meglio le labbra contro le sue. Neanche che spingesse il suo corpo contro l'abitacolo di metallo e bloccarla col suo più rovente, ampio di muscoli definiti, fino a collidere le ossa dei fianchi stretti davanti ai suoi.
O a chiudere gli occhi per le carezze sul palato con una timida e poco invadente lingua infuocata, scoprendo il retrogusto di fumo, caramelle frizzanti e Coca Cola, mentre si muoveva alla ricerca della sua, gongolando dentro e fuori col suo anellino ghiacciato.
Non si aspettava nulla di tutto ciò, neanche che il suo corpo accettasse così facilmente quell'impavida intrusione, che il suo fiato divenne poco più della metà di quello di un atleta di corsa campestre e che le sue mani, in origine spalancate dalla totale sorpresa, ora si approdassero a vagare libertine sulle spalle irraggiungibili di Jungkook.
Il cuore prese a battere così forte che si sentì male: mai prima di allora era successo una cosa del genere, nemmeno con Ryum.
Spense il cervello: nessuno dei due ora aveva il pieno controllo dell'azioni. Se Jungkook era impegnato a concentrarsi nel non fare la figura del bambino inesperto e a sommergerla col suo corpo, Dalai invece cercava di non graffiargli i lati del collo, grosso e spesso — le ricordava tanto quello di un toro —, o a lasciarsi sfuggire qualche gemito che potesse compiacere il qualche modo il lavoro del ragazzo.
Ma era dannatamente difficile non sciogliersi sotto quelle mani che, mano a mano, iniziarono a scendere dal viso fino ai fianchi tondi e magri della più grande. Com'era altrettanto complicato emergere, in quella lotta di supremazia viscerale di lingue, in una vittoria perciò rinunciò seguendo il suo desiderio e iniziò a condurlo verso di sé.
Jungkook entrò dentro a un vortice quasi sconosciuto; avvertì le mani piccole e leste di Dalai assaggiare il suo corpo da sopra i vestiti, la sua lingua intrecciarsi finalmente con la sua così da assaporare ancora quelle labbra grosse e morbide.
Venne spinto verso l'avanti così da spiattellare la sua giunonica forma contro la sua e si perse non appena Dalai, istintivamente, divaricò appena le cosce per amalgamarsi al meglio col tessuto dei pantaloni larghi di Jungkook. La vide boccheggiare quando la zona della zip, fattasi dura dal piacere, finì diretta contro il monte di Venere coperto dai leggings e lui, nella bolgia di ansiti e saliva, percepì quanto fosse calda.
Il pugno allo stomaco venne dopo; quando, spinto maggiormente verso di lei, il seno finì premuto ancora una volta sul suo sterno e lo sentì spostarsi nella foga, dove uno dei due capezzoli, talmente dritto e rigido, si fece sentire anche da sotto strati e strati di vestiti.
«Guk...» tolse le labbra dalle sue, col cuore in gola, facendo sbandare quelle di Jungkook fino alla deriva della sua guancia — o era il collo? «Fai queste cose a scuola con le ragazzine dodicenni?» parlò a fatica, con le labbra tremolanti e avide di ironia. «Sono quasi gelosa...»
All'inizio non disse niente, il ragazzo, a parte un rantolo soggiogato dai mugugni che il piacere inviava al suo corpo come stilettate. Ma con il lato suadente di Dalai e le sue mani ingorde che lo richiamavano a sé come una sirena, un campanello d'allarme suonò fastidiosamente.
Jungkook cercò di ignorarlo per non farsi rovinare il suo primo bacio con Dalai, tant'è che si gonfiò di finta iniziativa. «Gelosa?» diede due baci sul collo pallido della corvina, «E perché mai? Nessuno é come te, noona,» sospirò affannato.
A Jungkook piaceva parlare. Era un bravo oratore e forse fu proprio per questo, per la sua capacità di trasportarla nel suo mare di parole e chiacchiere, che Dalai non notò particolari molto importanti; come le mani che non osavano stringersi, scendere o salire in parti erogene del suo corpo; il torace che vibrava come un motore scoppiettante; i suoi baci erano travolgenti ma incerti, quasi insicuri o — assurdo, pensò lei — timidi; infine, le sue guance erano rosse, livide di porpora e brucianti, bollenti fin sotto agli occhi mai aperti dall'inizio del bacio.
Avrebbe scommesso qualsiasi cosa, era sicura che se Jungkook li avesse aperti ora, le pupille, sarebbero state intrise da piccole venuzze cremisi.
«Andiamo... Andiamo dentro, sul sedile» esordì Dalai, cogliendolo alla sprovvista con le labbra gonfie, «Tu lo vuoi Jungkook? Vuoi fare questa pazzia?»
La maschera da manzo di Jeon Jungkook finalmente cadde per terra. Gli occhi si aprirono così come la bocca con l'arco di cupido arcuato, la guardò dritta in faccia e la trovò bellissima, con il labbro sepolto tra i denti e le mani che toccavano il suo petto. Ebbe paura che riuscisse a sentire quanto fosse agitato per lei, nel panico totale, angosciato di sembrare un bambino col cuore che batteva forte e un'erezione nata per mano di altre cause che non richiedesse l'autoerotismo.
Sul suo volto non c'era neanche un accenno di sicurezza. Solo un ragazzino di diciotto anni che, forse, aveva fatto il passo più lungo della gamba fin dall'inizio.
Dalai, vedendolo impietrito e quasi scioccato alla sua proposta, si sentì immediatamente imbarazzata per il suo atteggiamento e si vergognò come non mai. «Scusami...» disse stringendosi una mano sulla bocca, «Non so cosa mi sia preso e ho dato per scontato la situazione»
Ma Jungkook non era reattivo. Non parlava. Era...
«Sono un idiota, cazzo!» sibilò, si nascose il viso con le mani e imprecò molteplici volte a bassa voce fino a staccarsi violentemente dal tettuccio per fare qualche passo indietro e calciare l'aria.
«Oi, Jungkook! Che diavolo ti prende ora?» spalancò le braccia allibita e smorzò un sorriso sornione e sarcastico: «Guarda che non é un reato non volersi scopare una mezza sconosciuta in macchina. Anzi, direi che é molto apprezzabile come attitudine»
Jungkook si fermò dandole le spalle, mostrandole la sua solita figura mascolina e armonica nella sua fisicità maschile, poi abbassò il capo in direzione dei piedi.
Si sentiva un codardo. Un miserabile per aver mostrato un lato di sé che non aveva mai vissuto.
«Non é quello il problema, Dalai» anche ora la chiamò per nome ma, a differenza della prima volta, non le piacque per nulla, «Non mi sono fermato per etica o altre stronzate simile. Avrei voluto fare sesso con te, cazzo, davvero tanto. Voglio farlo. Scoparti in ogni modo» a Dalai scappò un singhiozzo misto di piacere e sorpresa, identico a quelli che emetteva durante i suoi sogni erotici con il liceale.
Girò il collo per affrontarla nonostante i ciuffetti neri e corti gli pizzicassero l'arcata sopracciliare. Emise un grosso sospiro di rassegnazione da girarsi gli occhi al cielo per poter finalmente ammettere quale fosse il suo problema.
«Non l'ho fatto perché... Mi sono bloccato»
Dalai esitò: «Ti sei bloccato perché non eri sicuro di quello che volevi? Oppure perché non ti piacevo così tanto? Forse é stato il bacio...» si zittì lasciando la frase in sospeso ma Jungkook scosse lentamente il capo, riconoscendo di esserci dentro fino al collo.
Perciò sorrise tristemente e basta, mordicchiandosi l'anellino argentato.
«Oh no, il bacio ha fatto fin troppo» alluse sarcastico alla sua immediata erezione dentro i pantaloni al solo contatto delle sue mani. «Il problema sono semplicemente io, noona, perché in realtà sono...»
𝐏𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞:
Hien sputò l'acqua su tutto il pavimento e il tappetino del salotto di Dalai e, senza pulirsi il mento dalle goccioline sbrodolate, si alzò in piedi.
«Oh, mio, Dio! Jeon Jungkook, il manzo liceale che sogni di scoparti ogni notte da quando ha iniziato a
tormentarti é, in realtà, vergine?!»
TAN TAN TAN!!!!
Sono un grande clown, alla fine le parti sono tre e la prossima sarà l'ultima (I'm so sad)
Beh! CHE DIRE, la tensione sessuale neanche si sopporta più da quanto é evidente. Jungkook... mio Dio, tu sei il più clown di tutti e vai a immischiarti con una panterona che vorrebbe mangiarti da cima a piedi.
- DALAI, lei ha mollato ragazzi, ma ci sarà anche una motivazione da parte sua per come inizierà la terza parte della storia dopo che scoprirà che Jungkook é vergine. Lei super sad, che voleva finalmente farselo e basta così da togliersi lo sfizio :,)
- Jungkook si sa, é sotto come un treno se non peggio e ha cercato fino all'ultimo di raccontare cazzate sulle sue esperienze con le ragazzine mentre in realtà l'unica vagina con cui é stato in contatto é quella di sua madre alla nascita 🎪
- Su Jungkook avevo lasciato dei gli indizi: i preservativi XL HAHAHAHAH che a caso va lì e chiede la taglia più grande per fare il figo o tutte le volte che Dalai metteva in mezzo le ragazzine del suo liceo per provocarlo, lui ovviamente mentiva o non rispondeva per l'imbarazzo. Si intuisce anche dal bacio, non sentendosi espertissimo o dal minimo contatto che ha con Dalai ( la metro lo mette K.O)
- Hien ha la mia stima, best personaggio indiscusso
- THE UNIVERSE IS A CIRCUS, ci rivedremo nella terza parte 🫠🔞
Alla prossima ❤️
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