𝖉𝖔𝖉𝖎𝖈𝖎 - 𝐆𝐨𝐭 𝐥𝐨𝐯𝐞𝐬𝐭𝐫𝐮𝐜𝐤, 𝐰𝐞𝐧𝐭 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐢𝐠𝐡𝐭 𝐭𝐨 𝐦𝐲 𝐡𝐞𝐚𝐝
You showed me colors you know
I can't see with anyone else
{armatevi di acqua e cibo perché qui la situazione è moooooolto lunga 🎀}
🔴📖🔴
Ace superò la figura di Amber e uscì dalla stanza a passo svelto. Io invece guardai la mia amica che tremava come una foglia.
«Amber, ma cosa succede?»
Spinse un dito sugli occhiali e questi le risalirono sul naso. Solo allora riuscii a vedere i suoi occhioni spaventati.
«Abbiamo trovato Jade riversa a terra. Io l'ho presa dalle braccia e Mauve dalle gambe. Siamo riuscite a trascinarla fino a una sdraio, ma non c'è verso di risvegliarla.»
Mentre Amber mi raccontava l'accaduto con voce agitata, percorrevamo le scale che conducevano al piano inferiore.
Uscimmo di corsa in giardino, dove vidi la sagoma di Ace ricurva sul corpo di Jade, stesa sulla sdraio. Mi paralizzai. Aveva gli occhi chiusi e sembrava senza vita.
«È svenuta», bisbigliò Mauve, accovacciata lì a fianco.
Mi guardai intorno: il giardino era deserto e quel silenzio sinistro mi faceva accapponare la pelle.
«Ha smesso di respirare» asserì Ace, posizionando entrambe le mani sullo sterno di Jade.
«Cosa fai?» chiese Mauve preoccupata.
«Massaggio cardiaco. Possibile che nessuna di voi due sappia farlo?»
Ace effettuò una compressione di qualche secondo.
«Abbiamo... Fino a prima... Abbiamo controllato e fino a qualche minuto fa respirava», balbettò Mauve, nel panico.
«Chiama un'ambulanza», tuonò Ace, lanciando una rapida occhiata ad Amber, che tra le tre si era dimostrata la più fredda.
Amber tirò fuori il telefono dalle tasche dei jeans, e proprio in quel momento Jade aprì gli occhi. Ace l'aiutò lentamente a sedersi, ma lei sembrava in stato confusionale.
Mauve corse a prendere dell'acqua, mentre io ero paralizzata dalla paura.
«Jade, riesci a parlare?», le chiese Ace.
Poi le puntò la torcia del telefono negli occhi.
«Voglio solo dormire», si lamentò lei, riparandosi con la mano.
Ace si alzò in piedi. «Ti accompagno in ospedale. Andiamo», disse risoluto.
D'un tratto Jade sembrò avvertire un guizzo di vita.
«No.»
«Come no?» si accigliò lui.
«No, voglio solo dormire, te l'ho detto. Sono stanca.»
«No, hai bisogno di cure. Hai perso i sensi e sei andata in arresto cardiaco per qualche secondo. Devi andare in ospedale.»
Quando vide Jade provare ad alzarsi, Mauve accorse ad aiutarla, poi le offrì il bicchiere d'acqua.
«È meglio se ti fai visitare da un dottore.»
Ace era ostinato, ma Jade più testarda di lui.
«Non insistere, Ace. Sto bene.»
Lo vidi gonfiare le guance e sbuffare con aria infastidita.
«Cos'è successo? Puoi dirci almeno questo?»
Jade lo ignorò e si voltò verso Amber. «Mi accompagni in camera?»
«Jade...»
Ace ci riprovò, ma sembrava che Jade non volesse dargli ascolto.
«E vedi di non chiamare mio fratello» lo freddò prima di allontanarsi, sorretta dalle mie amiche.
Ma stavolta fu Ace a non darle ascolto, perchè si mise al telefono, sicuramente stava chiamando Jet.
Decisi quindi di lasciarlo in giardino e unirmi alle ragazze. Arrivai in camera, dove Jade continuava a sostenere di voler dormire.
Amber allora le disfò il letto, mentre Mauve cominciava a passarmi alcuni vestiti di Jade.
«Jade, ti aiuto?» le chiesi provando a offrirle un cambio, dato che il suo vestito sembrava umido.
«Non mi voglio cambiare», replicò lei sedendosi sul letto.
«Vuoi mangiare qualcosa?» le domandò Amber.
Jade dapprima la guardò, poi spostò gli occhi su di me. «Sì.»
«Okay, bene. Vado a farti un...» Amber si agitò appena. «...panino? So fare solo quello.»
«Grazie.» Jade abbozzò un sorriso forzato, poi si rivolse a Mauve.
«Mauve, puoi aiutarla?»
A quel punto capii. Jade voleva parlare con me.
Le ragazze acconsentirono e uscirono dalla stanza, lasciando me e Jade da sole.
Lei allora si portò una mano sullo stomaco, sembrava dolorante.
«Jade.» Mi sedetti di fianco a lei. «Cos'è successo?»
La vidi nascondere lo sguardo sulle mani tremolanti.
«Non ricordo, Scarlett.»
La sua confessione mi rubò il respiro.
«Non... Non ricordi?»
«Ho avuto un blackout. Non so quanto sia durato. Un paio di minuti, forse un paio d'ore.»
Desideravo domandarle quale fosse il suo ultimo ricordo, ma avevo paura di ferirla nel far riaffiorare qualcosa di doloroso.
«Ricordi con chi eri questa sera?» azzardai.
Gli smeraldi di Jade mi oltrepassarono e quando si accorse che ragazze erano tornate, mi fece cenno di no. Non voleva parlare davanti a loro.
Mauve le lasciò il piatto con il sandwich sul comodino, ma Jade m'indicò il bagno.
Poi si alzò in piedi. «Devo fare pipì.»
«Ti accompagno», le proposi scortandola fino al bagno.
«Scarlett.»
Chiuse la porta e la sua espressione seria mi spaventò.
«Ho lasciato la festa in spiaggia, me ne sono andata con l'amico di Philippe», proseguì sottovoce.
«Dove sei andata?»
«A una festa a casa di Philippe.»
«Oh...»
«So che ho sbagliato, ma per una sera volevo divertirmi. E so che non è una giustificazione...»
«No Jade, non devi giustificarti, nè scusarti. Non è colpa tua.»
Mi rivolse uno sguardo mesto, gli occhi ancora terrorizzati.
«Cos'è successo?»
«Non lo ricordo, Scarlett.»
Iniziai a sentire una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
«Ma non dire niente alle ragazze.» La sua voce s'incrinò appena.
«Okay, ma...»
«Soprattutto, devi promettermi di non dirlo ad Ace.»
La sua richiesta mi stranì.
«Ace vuole aiutarti, Jade.»
«Lo so, ma lui e Jet non devono saperlo o finisce davvero male.»
Non seppi cosa dire, mi limitai a guardarla.
«Scarlett» Jade fu risoluta nel vedermi titubante.
«Okay, okay, va bene.»
In quel momento la porta si aprì con un tonfo e qualcuno entrò in bagno come una furia.
Sienna.
«Jade, eccoti!» La rossa abbracciò Jade, poi cominciò a squadrarla da capo a piedi.
«Mi hanno detto che sei svenuta e non sai come sei arrivata fino a qui.»
«Non è proprio...» Jade provò a minimizzare, ma Sienna non glielo permise.
«Dobbiamo parlarne con Ace» aggiunse quest'ultima.
«No», replicò Jade, restia.
«Jade, è ovvio che qualcuno ti abbia drogato il bicchiere. Queste cose succedono molto più spesso di quanto credi. E quel qualcuno deve pagarla.»
Vidi le pupille di Jade ingrandirsi e lo smeraldo delle sue iridi sporcarsi di lacrime.
«Ti prego, non dire niente a Jet.»
Sienna la fissò incredula. «Stai scherzando, vero?»
«Dico sul serio, Sienna.»
«No, non dici sul serio.»
«Se Jade non vuole...» La mia voce fu un flebile sussurro.
A quel punto la rossa si voltò e mi vide.
«E tu cosa diavolo ci fai qui?»
«L'ho chiamata io», spiegò Jade.
A Sienna però non importò cos'aveva da dire l'amica, era troppo concentrata a polverizzarmi con lo sguardo.
«Nessuno ti ha chiesto un parere.»
«Sienna, finiscila» la redarguì Jade, prima di tornare in camera.
Sienna invece continuava a fissarmi di sottecchi.
«Dobbiamo rispettare la volontà di Jade» provai a dirle. «Anch'io vorrei dirlo a Ace, ma...»
«Chi ti credi di essere? Pensi di aver voce in capitolo? Non sei sua amica.»
«Non hai capito: io vorrei solo che dessi ascolto a Jade.»
La rossa mosse i suoi occhi chiari sul mio corpo e ci mise un istante a riconoscere la felpa che indossavo.
«Sei tu che non hai capito: non sei gradita qui.»
Quando tornai in camera delle ragazze, mi accorsi che erano arrivate anche Cinnamon e Honey.
«Scar?» Mauve mi vide particolarmente scossa. «Stai bene?»
Non stavo bene, ero la più sconvolta e avevo bisogno di respirare.
«È tutto okay, vado a prendere una boccata d'aria», bofonchiai.
Lasciai Jade con le sue amiche e uscii in giardino.
Solo allora respirai e mi accorsi che l'aria era pregna di fumo di sigaretta.
«Ti dà fastidio?»
Mi voltai e vidi Ace. In qualche modo, la sua voce rassicurante mi strappò via quel senso di pericolo che mi stringeva le ossa.
Stava fuori a fumare, seduto su una sdraio al buio, la mascella contratta. Non alzò il capo per guardarmi, si limitò solo a mostrarmi la sigaretta che teneva tra indice e medio.
«Fastidio no, però...»
La spense subito e io mi accigliai.
«Non volevo che lo facessi per me...»
Ace si alzò in piedi e mi arrivò davanti.
«Non è un problema, era già la seconda.»
«Oh.»
Lo vidi abbassare lo sguardo. «Solo quando sono nervoso.»
Poi risollevò gli occhi nei miei. «E solo ogni tanto», aggiunse.
«Come l'alcol e tutto il resto?»
«Sì curiosona. Solo ogni tanto», ripetè mentre ci incamminavamo verso camera sua.
Rimanemmo in silenzio fino a quando non arrivammo e lui non chiuse la porta.
«Vuoi dormire?» chiese quando vide che mi ero seduta sul letto.
Allungai una mano verso il piatto e rubai un waffle.
Avevo lo stomaco sottosopra per ciò che era appena successo, ma se non avessi messo qualcosa nella pancia, sarei svenuta anch'io.
«Sai cosa dicono? Una buona dormita è un privilegio. Un lusso che non tutti possono permettersi», raccontai prima di addentarne una fetta. Era freddo, ma dolce al palato. Delizioso.
«E chi lo dice?» Ace sorrise poi si sedette a gambe incrociate davanti a me e si accaparrò un pezzo dela mia metà del waffle.
«La nonna lo dice.»
«L'hai chiamata?»
«Sì, tutti i giorni.»
«Ed è così anche per te, Scarlett?»
«Eh?»
«La cosa del dormire che dicevi...»
«Be', c'è sempre qualcosa a cui pensare... preoccupazioni che affollano la mente... Ma è la vita.»
«Cos'è la vita per Scarlett?»
Sono domande da fare mentre mangiamo i waffles?
Alzai gli occhi dal piatto.
A quanto pare sì perchè sei dannatamente serio.
«A volte è un po' pesante, ma è okay» mormorai, la voce ridotta a un filo sottile.
Ace restò in silenzio per una manciata di secondi, poi passò a studiarmi assottigliando lo sguardo. «
Stai bene?»
Mi chiesi che faccia avessi fatto in quel momento, da farlo preoccupare così.
«Sì, certo.»
«Magari vuoi parlare di cos'è successo prima», m'incalzò.
«Jade sembra non volerne parlare, Ace.»
«No, Scarlett. Magari vuoi parlare di cos'è successo tra noi, sotto la doccia.»
Avvertii un tuffo al cuore e il fuoco nelle guance.
«Non pensavo che i ragazzi volessero parlare di queste cose...»
«Cioè?»
«Pensavo voleste solo farle, non parlarne», proseguii con un mezzo sorriso, per mascherare l'imbarazzo.
«Se abbiamo così tanta voglia di farle, dovremmo perlomeno avere lo stesso coraggio di parlarne. Non credi, Scarlett?»
Già, scusami, dimenticavo che tu sei perfetto.
Mi ammutolii perchè le mie guance cominciarono a bruciare al ricordo della doccia.
«Comunque, voglio solo che tu non abbia dubbi o preoccupazioni» proseguì con voce calma, guardandomi dritta negli occhi. «E se mai dovessi averne, non voglio che pensi nemmeno per un secondo che a me non importi.»
Annuii, deglutendo.
«Sicura non sia stato troppo?»
«Sono sicura.»
Sei stato carino - ma non lo dissi.
«Perchè me lo chiedi?»
«Perchè non hai nemmeno diciott'anni Scarlett.»
I miei occhi restarono intrappolati nella forma curva delle sue labbra piene e d'un tratto il fragore di un tuono ruppe il silenzio.
Sobbalzai. Chiunque mi avrebbe chiesto "Paura?" Ace invece mi osservò attentamente.
«Scusa», mormorai.
«Per cosa, Scarlett?»
Ci studiammo per qualche attimo e quando si accorse che non sapevo come rispondere, mi indicò i waffles, forse per levarmi da quel momento scomodo.
«Vuoi finirli?»
«No, Ace. Non mi vanno più.»
«Jade ha detto qualcosa?» chiese poi, alzandosi in piedi. Posò il piatto sulla scrivania, infine tornò a guardarmi.
«No, ehm... no.»
«Sicura?»
Jade non voleva che facessi parola dell'accaduto. Iniziai ad annaspare.
«Certo. Vuoi venire a letto o... Cioè, ci nel ci mettiamo nel letto... Voglio dire...»
Oh no, stavo andando nel panico.
Dovetti alzarmi in piedi per fuggire a quella sensazione.
«Okay vado a lavarmi i denti», annunciai impacciata.
Non potei assistere alla sua reazione perchè scappai da lì e mi chiusi in bagno.
Mi lavai i denti, intanto i miei occhi perlustravano la doccia riflessa nello specchio della parete sopra il lavandino.
Sentii una vampata riscaldarmi le guance. La doccia nel bagno di camera sua era più piccola rispetto a quella esterna, ma la mia mente andò proprio lì. Chiusi gli occhi e tornai a qualche ora prima.
Lo sentii mescolato al vapore, il buon profumo intenso e maschile che abbracciava le mie membra infreddolite. Intorno a me c'era il suo corpo perfetto, sembrava riempire ogni spazio di quella doccia. L'acqua gli carezzava gli zigomi e gli zampillava sulla pelle abbronzata, scolpendone le spalle tornite. Le ciglia lunghe volarono vicine alle mie quando interruppe quel bacio che mi aveva fatta sciogliere.
Mi mancò il respiro e rimasi inchiodata alla parete perchè lo sguardo di Ace all'improvviso smise di essere delicato e sporcò il mio corpo con un'occhiata lasciva, rubandone ogni dettaglio. Scese con gli occhi sui miei seni nudi, poi scivolò tra le mie cosce ancora tremanti.
Incapace di reggere il suo sguardo, abbassai il capo, scottata. La mia fronte sfiorò il suo petto accaldato e solo allora vidi l'eccitazione marmorea tendersi nel pugno, tra le sue dita affusolate. Il braccio sembrò colto da uno spasmo quando strinse di più e diede un'ultima stoccata che l'obbligò a riversare la testa all'indietro e chiudere gli occhi, sopraffatto.
Desideravo solo baciarlo ancora, ma Ace riaprì gli occhi, inerme, sembrava quasi impaurito nell'avvicinarsi a me. Lo fece comunque, portò subito il doccino su di me, aiutandomi a far scivolare via con dell'acqua tiepida quello che avevamo appena fatto.
Mi strinsi a lui e il suo corpo caldo mi tranquillizzò immediatamente.
Così come la sua voce rassicurante, subito dopo, quando chiese: «Stai bene?»
Poggiò le labbra sulla mia fronte, dandomi i brividi.
«Sì.»
E chiusi gli occhi anch'io.
Sbattei le palpebre, tornando al mondo reale. Ero da sola, non più nella doccia con Ace. Un lungo respiro mi fece ritrovare l'ossigeno che il ricordo mi aveva levato.
Ma nello specchio lo vidi: stavo sorridendo.
Quando uscii dal bagno, Ace era al telefono.
«Arrivo», mi disse con il labiale. Sembrava parlasse con Jet, ma non ne ero sicura.
Si chiuse in bagno e l'acqua coprì i discorsi, perciò mi crogiolai nel letto con ancora la sua felpa addosso. Non riuscii a farne a meno, mi addormentai all'istante.
D'un tratto però, spalancai gli occhi. Ace era in piedi, aveva acceso una luce più soffusa e mi guardava confuso.
Avrebbe potuto prendermi in giro con "Non eri quella che faticava ad addormentarsi?", ma non lo disse, anzi era serio.
«Ace... C'è qualcosa che non va ?»
Mi tirai su a sedere, lui si guardò intorno, spaesato.
«È il tuo letto » gli ricordai «Se non ti va, posso andarmene...»
«No, non dire così.»
Poi, finalmente, si convinse a sdraiarsi accanto a me.
«Che c'è?» gli chiesi quando il suo viso fu vicino al mio.
Spinse le labbra morbide contro la mia guancia. «Perchè non gli hai risposto?» sussurrò con voce suadente.
Solo allora mi ricordai di Cedar.
«Ace, devi assolutamente promettermi che non lo farai mai più.»
«Solo se è ciò che vuoi, Scarlett.»
Sei tu quello che voglio.
«Sì, lo è.»
«Va bene.»
«Grazie.»
«Perchè non gli hai risposto?», sussurrò di nuovo, mentre trovavo spazio tra le sue braccia rassicuranti.
Non risposi, sorrisi e non so perchè, ma ripensai a Copper.
La mia asticella in fatto di ragazzi era bassissima prima...
Adesso sono ufficialmente nei guai.
🌼
Mi accorsi di respirare in modo convulso, ma due braccia mi strinsero di più e io mi rilassai nel sonno.
«Va tutto bene, Scarlett.»
Sentii la sua voce, poi il tocco caldo della sua mano sulla fronte. Mi riaddormentai subito.
Forse era stato solo un sogno, perchè quando mi svegliai, erano le otto del mattino e Ace non era di fianco a me.
Scesi a fare colazione e vidi subito la testa ricciola di Mauve seduta al tavolo da pranzo, insieme ad Amber. Mi accomodai di fianco a loro per parlare della sera precedente, ma non riuscivo a stare tranquilla perché c'era Jet poco distante. Indossava un paio di boxer scuri e una t-shirt.
«Ti sembra modo di scendere a fare colazione?», lo punzecchiò Brick.
«Sono vestito. Cos'è, la mia bellezza sconvolgente ti distrae troppo?»
Brick sbuffò tornando a sorseggiare il suo caffè, mentre Jet iniziò a guardarsi intorno con aria assonnata.
«Dov'è Jade?»
Calò il silenzio dopo quella domanda.
D'un tratto Jet mi guardò e io abbassai immediatamente lo sguardo.
Nessuno fiatò, perciò lui uscì in giardino a fumarsi una sigaretta, seguito da Brick.
«Sono preoccupata per Jade», disse Mauve. «Non ricorda nulla. E se qualcuno...»
Vidi Amber sgranare gli occhi. Io mi raggelai e Mauve se ne accorse subito, perciò cambiò subito argomento.
«Okay, accantoniamo un attimo il casino di Jade. Vogliamo sapere che hai fatto con Ace, ieri.»
«Tu vuoi saperlo! Parla per te», soffiò Amber.
Mauve le fece una smorfia, poi tornò come un carro armato su di me.
«Allora?»
«Niente.»
Mentii. Forse minimizzai. Ma cos'altro avrei dovuto dire?
«Stavate in camera da letto insieme e di nuovo... niente?»
Mi strinsi nelle spalle mentre le mie guance si coloravano lentamente.
«L'avete fatto, sì o no?»
«Mauve, no», risposi ferma.
«Oh, grazie a dio», sospirò Amber.
Mauve l'adocchiò di sottecchi. «Amber?»
«Cosa? Ho solo paura che la usi come fa con le altre ragazze.»
«Quali altre ragazze?» mi allarmai.
«Quelle, no?»
Amber indicò il gruppetto di ragazze che era appena arrivato in cucina.
«Con Cinnamon e Honey non c'è mai stato nemmeno un bacio, e con Sierra non ha... concluso niente» mormorai sottovoce.
«Davvero? L'ha detto lui?» domandò Mauve incuriosita.
«No l'hanno detto loro.»
«Okay, ma voi due siete ancora "solo amici"?» chiese lei imitando le virgolette con le dita.
«Sì, Mauve.»
Poi smisi di parlare, perchè in quell'istante Ace entrò in cucina. La sua pelle era segnata da qualche gocciolina che gli scivolava sulle spalle nude e lungo i muscoli dell'addome lievemente contratto. Indossava un paio di pantaloncini bianchi. Nient'altro.
Con una passata di mano veloce riavviò i capelli scompigliati e ancora umidi, poi il suo sguardo cadde su di me.
«A quando il matrimonio?» mi istigò Amber.
«A che mese ti senti dopo quello sguardo? Nono? Chiamo l'ostetrica?»
«Amber, Mauve. Vi prego.»
Loro nascosero i solo ghigni dietro alle tazze di caffè. Io però mi sentivo confusa.
«Cosa c'è? Ripensamenti prima del matrimonio?»
«Non è come pensate voi.»
Bastò pronunciare quella frase che le mie amiche si strinsero intorno a me, invitandomi a proseguire sottovoce.
«È premuroso, è molto dolce con me, ma...»
«Cosa?»
«Ha hackerato il telefono di Cedar.»
Amber spalancò la bocca «O mio dio!»
Mauve invece si lasciò andare a lungo sospiro. «Ah, santo cielo! Mi avevi fatta preoccupare!»
La mia migliore amica leggeva troppi romanzi. In quelli si perdona tutto, tranne il tradimento. Ovviamente.
«Okay, che avesse qualche red flag spalmata sulla grandezza di tutta quella superficie, era ovvio.
Ma è una superficie grande.»
«Di cosa stiamo parlando, Mauve?» la rimbeccò Amber.
«Perchè cogli solo i doppi sensi, tu? Del fatto che una persona è fatta di tante sfaccettature. Non un'azione ambigua a determinare la sua personalità» spiegò Mauve.
«Hai paura non sia una brava persona?» le domandai.
«Scarlett sei fissata con questa cosa. Nessuno è una brava persona. Se stai a vedere, nemmeno Ivory e sua moglie che tanto si professano perfetti, lo sono.»
Mi ammutolii. A volte avevo come l'impressione che Mauve, sotto la maschera del scarcasmo, provasse a dirmi qualcosa di più.
Tornai con lo sguardo ad Ace.
C'è un mondo lì dentro e io vorrei scoprirlo. Solo non riesco a trovare la chiave più giusta.
Mi massaggiai il labbro inferiore con l'indice e mi ritrovai a pensare, ma le mie farneticazioni durarono poco perchè Ace si avvicinò a noi.
«Scar, sta venendo qui.»
Drizzai la schiena.
«Buongiorno, dormito bene?» gli chiese Mauve sfoderando un sorriso strafottente.
Amber le lanciò un'occhiataccia, Ace invece ignorò il tono canzonatorio della mia amica.
«Buongiorno.» Rispose con un saluto generico, poi spostò gli occhi assonnati su di me. «Hai già mangiato?»
«Non ancora, aspettavamo te e le tue fantastiche doti culinarie», replicò Mauve
Ace m'investì con uno sguardo diffidente, sembrava chiedermi "Cos'altro le hai raccontato?", ma alla fine decise di mettersi ai fornelli.
E solo allora mi accorsi che Honey e Cinnamon erano uscite in giardino. Avevano lasciato la porta finestra aperta, perciò potevamo sentire i loro discorsi. Si sedettero al tavolo in veranda e insieme a queste, c'era anche Sienna.
«Di nuovo qui?» bofonchiò Ace, che si accorse delle ragazze, mentre apriva il frigo per prendere le uova.
«Non resto. Sono venuta qui solo per Jade», spiegò la rossa.
Ace si voltò nella loro direzione. «Vi ha raccontato qualcosa?»
«No, niente.»
Cinnamon si affrettò a tagliare la conversazione con Ace, poi le ragazze ricominciarono a parlottare sottovoce. Casualmente però, dopo poco mi ritrovai anch'io lì vicino, per recuperare del latte dal frigo.
«Posso farmi un caffè?» chiesi ad Ace, che intanto aveva cominciato a preparare un'omelette.
Ace pigiò il tasto di accensione della macchinetta e mi guardò.
«Vuoi che faccia io?»
I suoi occhi color nocciola mi bruciarono le guance.
«No, faccio io» mormorai.
«Allora fallo anche per me.»
Allora, non c'è bisogno di agitarsi. Lo sai come gli piace.
Venni però distratta dal vociferare che proveniva da fuori.
«Sienna, hai chiamato i tuoi per dirgli che Ace ti ha sbattuta fuori? Sei stata a casa loro in questi giorni?» chiese Cinnamon.
«No, lo sai che non posso. La casa è in affitto. C'è gente in vacanza, ora.»
«Ma i tuoi non sono qui in Francia per il weekend? Poi dove sei stata in queste due notti?» si allarmò Honey.
Provai a concentrarmi sul caffè.
Macchiato. A freddo. Doppio. Lungo.
«Dobbiamo parlarne con Ace», le sentii dire.
Spostai gli occhi verso la veranda e notai che Amber e Mauve si erano unite alle altre.
«No, sei pazza? Ci roviniamo la vacanza se Jet lo viene a sapere!» esclamò Honey
Ace era poco distante, tagliava le fragole e sembrava non aver sentito il chiacchiericcio delle ragazze.
Mi avvicinai e gli porsi il caffè.
«Graize. Per te niente?»
«Sì ora me lo faccio.»
«Oggi è prevista una giornata molto calda. Bevi dell'acqua, Scarlett.»
«E mangio i tuoi waffles», aggiunsi quella piccola appendice all'elenco, facendolo sorridere.
«Come vuole lei, signorina. Ora li preparo.»
Mi avvicinai alla macchinetta ma ormai ero troppo curiosa.
«Okay, ma se Jade non vuole parlare con noi... come facciamo?» si lamentò Cinnamon.
«Vuoi pagare il biglietto?» mi prese in giro Sienna nel vedermi curiosa.
«Tu che ne pensi?» mi domandò Honey, cogliendomi di sorpresa.
«Cosa ci frega di cosa pensa quella!» sputò Sienna
A quel punto uscii fuori anch'io.
«So dov'è stata Jade» dissi a bassa voce, lasciando tutte senza parole.
«Parla.»
Negai con il capo. «No.»
Sienna si alzò in piedi e mi arrivò a un soffio dal viso.
Ma prima che mi afferrasse dal braccio, Ace polverizzò qualsiasi movimento della rossa.
«Che succede?» chiese posando il piatto di frutta sul tavolo.
Sienna indietreggiò immediatamente, allontanandosi dalla mia figura.
«Niente, Sienna è di nuovo qui» fece Cinnamon, incapace di trovare una risposta migliore.
«Come non notarlo» bofonchiò lui.
«Tranquillo, me ne stavo andando» sbottò Sienna.
«Ciao.»
Ace la salutò, non le chiese di rimanere e le amiche di Sienna lo guardarono male per qualche istante. Poi però Mauve cominciò a mangiare, fregandosene di tutto, e anche le altre la seguirono a ruota.
Io no. Girai l'angolo del giardino e seguii Sienna.
«Non l'hai detto ai tuoi, vero?»
«Mi lasci in pace? Grazie.»
«Che vieni a dormire qui sul divano di notte», proseguii imperterrita.
Sienna si voltò di scatto. «Che diavolo vuoi?»
«Niente, ma se hai bisogno...»
«Dimmi una cosa, che problemi hai?»
La guardai pietrificata. «Ne... nessuno.»
«Ti è capitato qualcosa di brutto?»
Non capii.
Sienna allora si sedette su una sdraio, poi fissò la cicatrice che mi tagliava il ginocchio.
«Perchè mi hai chiesto se mi è capitato qualcosa?»
«È successo sì o no?», insistette lei.
«Chi? A me? Perché? No», risposi confusa.
«Ace ha tipo la sindrome da crocerossina al maschile. È uno stronzo, ma le ragazze in pericolo sono il suo punto debole.»
«Non so di che parli.»
«Non vedo per quale altro motivo dovrebbe starti dietro» sputò tornando a fissarmi negli occhi.
Okay, non sono abbastanza bella. L'abbiamo capito.
«Senti, Sienna... rispettiamo la volontà di Jade. Appena si sentirà di parlarne, lo farà. Anche con suo fratello.»
«Mi fa ridere che pensi di avere voce in capitolo.»
«Ti farà anche ridere, ma sai perfettamente che ho ragione.»
Il tempo non era dei migliori e Ace non sembrava aver voglia di andare al mare con gli altri.
«Che fai?» mi chiese quando mi vide in camera sua, china sul mio zainetto, mentre provavo in tutti i modi a ficcarci dentro un asciugamano troppo grande.
Non risposi, mi voltai verso la porta e lo guardai negli occhi. C'erano ancora delle cose che non mi tornavano di Ace e non era solo il modo in cui si era comportato con Cedar.
«Scarlett, che c'è? A che stai pensando?»
«Sto pensando a quando mi hai messa in imbarazzo davanti ai tuoi amici, l'altra sera. Perchè l'hai fatto?» domandai causandogli un sopracciglio inarcato.
«Volevo lo facessi. Te l'ho già detto.»
«Ma non è solo questo, vero?»
Ace si abbassò sul pavimento di fianco a me e spinse con forza l'asciugamano nello zaino, poi richiuse la zip.
«Non rispondevi a tono agli altri, ma sapevo l'avresti fatto con me.»
«Ma hai detto di volerlo.»
«Volevo entrambe le cose. Soprattutto, che finalmente ti facessi valere. Ho risposto ai tuoi dubbi, signorina?»
Non ancora.
«Voglio vedere cos'hai fatto a Cedar.»
Ace scrollò il capo, e mentre abbassava lo sguardo, un sorrisetto sfuggì al suo controllo.
«Cedar? Davvero?»
«Sì. Fammi vedere come hai fatto, Ace.»
Si sedette alla scrivania e aprì il laptop, poi mi indicò le sue ginocchia.
«Vieni, ti faccio vedere.»
Mi accomodai sulle sue gambe avvolte dai pantaloncini e quando si spinse in avanti per digitare qualcosa sulla tastiera, mi sentii protetta dal suo petto, e circondata dalle sue braccia grandi. Ace avviò quello che sembrava un programma sconosciuto. La schermata divenne tutta nera, segnata solo da codici incomprensibili.
«Cosa... che cosa sta facendo?» balbettai indicando una scritta verde che continuava a muoversi sullo sfondo nero.
«Niente di cui tu ti debba preoccupare.» Poi cliccò su una parte del desktop che rivelò una schermata diversa. Le scritte erano piccole e fitte.
«Ti sei davvero impegnato così tanto solo per leggere i messaggi che ci scambiamo io e Cedar?»
Lo sentii sospirare irritato. «No, gli ho solo preso il telefono quella sera, da Brick, e ci ho installato un software. Niente di complicato.»
Mi girai per scoccargli un'occhiata indignata.
«Tecnicamente parlando. Lo so che è sbagliato», spiegò.
«Ma te ne sei fregato e l'hai fatto ugualmente.»
«Scarlett...» Ace prese un lungo respiro che gli fece gonfiare il petto contro la mia schiena. «A un certo punto hai cominciato a comportarti in modo strano. Ho pensato, che mi nascondessi qualcosa.»
«Perchè, non tutti nascondono qualcosa?» lo provocai indicandogli lo schermo.
«È diverso. Tu sembravi spaventata», replicò di getto.
Mi paralizzai e lui se ne accorse immediatamente.
«Ho avuto l'impressione che fossi così in più di un'occasione. Volevo solo...»
«Parlarne era troppo difficile, Ace?»
«Tu non mi parli», mi freddò con voce tagliente.
«Ma perchè Cedar? Cosa c'entra...»
Vidi la mano di Ace avere uno spasmo nervoso sulla tastiera.
«Ho pensato avessi un problema e che ne avessi parlato con lui.»
Mi si fermò il cuore.
Lentamente, girai il capo per incrociare i suoi occhi.
«Pensi... Ace, pensi che io non mi fidi di te?»
Lo vidi chinare il capo. «Bè, ci conosciamo da poco.»
«Sì, ma...»
«E io mi sono fidato di te» aggiunse con un filo di voce.
Rimasi in silenzio.
Mi vuole forse dire che sono io quella a mettere un muro tra noi?
Tornai a indicargli lo schermo. «Ace, puoi cancellare il software da qui?»
«Sì.»
«Allora cancellalo, per favore.»
Ace si mise a digitare una sfilza di codici, qualcosa che io non capii. Seguii i movimenti rapidi delle sue dita sui tasti, finchè non si fermò.
«Fatto.»
«Grazie.»
«Senti, Scarlett...»
«Dimmi.»
«I segreti dividono le persone e a me... Sembra di averne già abbastanza.»
Con la punta del pollice mi sfiorò la cicatrice sul ginocchio.
«Se c'è qualcosa che non va, non sei obbligata a farlo... ma sai che puoi dirmelo, vero?»
«Sì, Ace.»
«Perciò se Jade ti dice qualcosa...»
Deglutii e guardai fisso avanti a me. Non risposi, annuii soltanto. Non avrei tradito la fiducia di Jade. Non eravamo amiche, ma se non voleva che Ace lo sapesse, forse aveva le sue buone motivazioni.
Ace era concentrato sulla schermata del computer quando prese a giocherellare con i capelli che mi cadevano sulle spalle, come un anti stress.
«Hai parlato con tua mamma?», gli domandai.
«No, non ancora.»
Ace chiuse il computer perchè Jet fece irruzione in camera con il cellulare all'orecchio.
«Ace, stavo pensando... può venire qui mio cugino per un paio di giorni?»
In spiaggia c'erano dei grossi nuvoloni che sembravano minacciare l'orizzonte.
«Ace, andresti a recuperare gli ombrelloni?» cinguettò Honey stendendosi la crema solare sulle spalle esili.
«Non potevamo andare in una spiaggia attrezzata?» si lamentò lui alzandosi in piedi controvoglia.
Da quando eravamo arrivati, Ace non si era ancora tolto la camicia di lino, nè si era sdraiato sull'asciugamano. Sembrava avesse la testa altrove.
«Sì ma qui c'è il campo migliore per giocare», annunciò Maize, facendo la sua apparizione.
«Tu non dovevi tornare a casa oggi?» gli chiese Brick.
«Cambio di programma» sogghignò lui.
I ragazzi presero a parlare tra loro, Ace intanto aveva iniziato a camminare verso le cabine.
Quando si voltò verso di noi e i nostri occhi si scontrarono, provai un vortice caldo nello stomaco.
«Giochi con noi?» lo richiamò Jet.
Ace fece cenno di no, poi mi fissò di nuovo.
Devo andare con lui?
Non sapevo che fare. Se i ragazzi erano distratti a decidere le squadre per giocare a beach volley, Honey e Cinnamon, sedute a qualche asciugamano dal mio, mi studiavano attentamente.
«Mi aiuti?» chiese Ace sottovoce.
E quando tornai a guardarlo, realizzai che stava parlando proprio con me. Il suo sguardo intenso mi causò un bruciore diffuso sulle guance.
«Ah, sì.»
Mi alzai di scatto e per poco non inciampai sulla borsa da mare di Cinnamon, che sghignazzò. Honey invece non sembrava affatto contenta.
Decisi di seguire Ace, che ogni tanto si voltava per assicurarsi che io fossi ancora alle sue spalle. La sabbia era umida e il cielo si stava annuvolando. Proseguii, finchè non mi condusse in una cabina.
«È una cabina dove tengono gli ombrelloni?» chiesi guardandomi intorno.
Sembrava sgombra. Solo un tavolo insabbiato con sopra degli asciugamani.
Ace chiuse la porta, lasciando calare la penombra, poi si avvicinò.
«Mhm?»
Inspirai forte. Nell'aria aleggiava il profumo di crema solare mescolato al suo, più intenso.
«Dicevo... è davvero una cabina dove...»
Con la punta delle dita mi spostò una ciocca di capelli dagli occhi, poi passò il pollice sul mio zigomo e lo carezzò lentamente. Affogò le sue iridi nocciola nelle mie e io mi sentii completamente spoglia, nonostante avessi il costume addosso.
«Mi basta sapere che è una cabina dove posso fare questo.»
Sussurrò quelle parole, poi abbassò il capo e marchiò la mia bocca con l'impatto delicato della sua. La lingua morbida s'insinuò dolcemente tra le mie labbra e sotto la mia pelle. Il suo bacio sapeva di frutta e di estate.
Dapprima mi stupii di quell'incursione così tenera, poi spalancai gli occhi perchè con entrambe le mani mi afferrò dalle cosce nude e mi sollevò sul tavolo. Atterrai con i glutei sulla superficie ruvida e d'istinto allacciai le gambe intorno al suo bacino avvolto dai pantaloncini del costume, senza mai slegare quel bacio.
Ace posò una mano sul mio viso, accerchiandomi la guancia che si muoveva a ritmo delle nostre lingue cadenzate, mentre con l'altra mano, salda sulla mia coscia, mi teneva ferma.
Nel silenzio, solo il fruscio di piccoli schiocchi che si liberavano nell'aria e che continuarono anche quando Ace nascose le labbra dietro al mio orecchio e mi baciò il collo.
Quella scia di baci tiepidi era piacevole, troppo piacevole e fu istintivo, strinsi le gambe intorno ai suoi fianchi compatti e inarcai la schiena. Ace allora si staccò da me, inchiodò gli occhi sui miei capezzoli che, inturgiditi, spingevano sotto al costume.
Trattenni il fiato.
«Freddo?»
Ignorai quella piccola presa in giro rispondendo con un sorriso imbarazzato.
Sentii i suoi polpastrelli raschiare la mia pelle accaldata, quando incastrò le dita sotto al bikini e con un gesto svelto liberò un seno dal triangolino. Poi si abbassò, e si avventò su di me come fossi un gioco, iniziando a titillare il mio capezzolo con la punta della lingua.
Sollevò gli occhi color nocciola verso l'alto, li immerse dolcemente nei miei e a me mancò il respiro. Sentii le guance andare a fuoco, lui invece prese a succhiarlo con foga, lo strinse tra le labbra dure, fino a farlo bruciare. E fu piacevole. Anche quando guardò la mia pelle arrossarsi, e gli diede un'ultima scivolata di lingua che mi fece tremare.
«Scarlett...»
Pronunciò il mio nome con voce densa e rauca, e io sentii tutto il mio corpo tendersi.
Poi mi risistemò il costume e circondò il mio viso con le mani, lasciando che i suoi pollici mi scavassero le guance. Schiusi le labbra per accogliere la sua lingua, che però stavolta non fu dolce nel volteggiare con la mia, ma disperata, frenetica, non riuscii a contenerla. Mi chiesi cosa gli passasse per la testa in quei momenti.
Mi guardò dall'alto e io tutto d'un tratto desiderai fortemente di essere in un romanzo per leggere il suo POV.
E a quanto pare se lo domandava anche lui perchè disse: «Che c'è?»
Mi leccai le labbra avidamente, catturando il buon sapore fruttato che mi era rimasto addosso.
«Mi piace così tanto...»
Mi lasciai scappare quel commento ad alta voce, ma Ace non sembrò stupito.
«Ti piace come bacio?»
Da morire.
Mi limitai ad annuire, non riuscii però ad abbassare la testa perchè lui mi sollevò il mento con le dita, poi passò la lingua sul mio labbro inferiore e lo leccò.
«Anche a me piace.»
Un sorrisetto si incurvò sul suo viso perfetto.
«Cosa, Ace?»
«Il modo in cui apri la bocca...»
Sentii premere le sue labbra tiepide contro il mio orecchio.
«E te la lasci fottere.»
Spalancai gli occhi.
Dio, se esisti, perdonami.
«Ace...»
Si morse il labbro. «Scusa.»
Lo disse a bassa voce, ma non sembrava affatto dispiaciuto per avermi fatta agitare così tanto, visto che godeva della mia espressione imbarazzata, mentre il mio corpo si faceva sempre più accaldato.
«Che fai?», gli domandai quando mi raccolse il polso e lo accompagnò sul suo petto avvolto dalla camicia.
«Tu che fai, Scarlett?» mi provocò.
Lasciai strisciare la mano sul suo torace compatto.
«Niente...»
«Già.»
«Non saprei cosa...»
«Sbottonami la camicia.»
Deglutii e iniziai a eseguire lentamente e, altrettanto lentamente, Ace seguì la traiettoria i miei movimenti impacciati.
«Però così te lo dicendo io...» sussurrò sulla mia guancia.
«Non mi dà fastidio che tu me lo dica», confessai senza fiato.
Ace si accigliò. «No?»
«No. A te dà fastidio dirmelo?» gli chiesi.
Lo vidi curvare la labbra a lato, come se avessi detto qualcosa di divertente, quasi assurdo, poi soffocò le mie insicurezze con un bacio. Proseguii a sbottonargli la camicia, fino al basso, e per poco non sobbalzai quando con le nocche sfiorai l'erezione nascosta nei pantaloncini.
«Piano... Non avere fretta.»
Mi provocò, con un sorriso a un soffio dal mio viso, perciò addentai il suo labbro inferiore e glielo morsi.
Ace mi restituì quell'assalto spingendo il suo corpo spesso e turgido tra le mie cosce. Dovetti sorreggermi al bordo del tavolo con entrambe le mani per non soccombere. Con un gesto istintivo m'impedì di cadere, perchè mi circondò il busto con il braccio e mi tenne stretta a sè.
«La porta è chiusa?»
«Sì, ma Scarlett... Non stiamo facendo niente.»
Passò una mano tra i capelli umidi e scompigliati, poi mi guardò, mentre il suo petto si muoveva rapido sotto la camicia sbottonata.
«No, certo» borbottai con gli occhi bassi, quando cominciò a giocherellare con il laccetto del mio costume.
Con l'altra mano, invece, scese sulla mia pancia nuda.
«A che stai pensando?», mi sfidò assottigliando gli occhi.
Poi posò il palmo caldo sul mio basso ventre, obbligandolo a contrarsi piacevolmente.
«Io...»
«È solo la mia mano sulla tua pancia...» ansimò nel mio orecchio, premendo un po' di più.
La fece scivolare verso il basso e con il pollice sfiorò il bordo della mia parte inferiore del costume.
Oscillai in avanti e posando le labbra sul suo petto nudo, schiusi morbidamente le labbra. Forse fu troppo lascivo quel bacio, ma non m'importò.
«Cazzo.»
«Che c'è? È solo la mia bocca sul tuo petto...», lo provocai.
Ace sorrise, ma non me la diede vinta.
Strofinò il pollice contro le mie mutandine che si inumidirono al tocco, poi se lo portò sulla lingua. Continuò a fissarmi anche quando prese a succhiarlo tra le labbra rosse.
Infine chiuse gli occhi e prese un lungo respiro che lo lasciò comunque senza fiato.
Ma, senza fiato, ben presto mi ci ritrovai io stessa, perché Ace rovesciò il palmo tra le mie cosce, infilò la mano nei miei slip e iniziò a tormentare la mia zona sensibile con movimenti accennati delle dita. Soffocò i miei gemiti con l'urgenza della sua lingua, che affondava ritmicamente nella mia bocca, levandomi il respiro. Lo assecondai e subito nel mio stomaco divampò un incendio. Per un attimo, Ace sembrò accogliere le richieste silenziose del mio corpo, perchè indice e medio scivolarono più in basso, addentrandosi nella mia zona più interna, ma li ritrasse prima di penetrarla.
La tensione che si era accumulata nel mio basso ventre era ormai insopportabile.
«Ace, ti prego.»
«Ti scoperei e anche subito, perciò evita di supplicare.»
Stordita dal suo profumo e dal suo timbro velenoso, restai di nuovo senza fiato e lasciai che mi provocasse soltanto, muovendo le dita in circolo sul mio clitoride rigonfio, fino a quando i suoi polpastrelli non si bagnarono così tanto da farlo mugolare soddisfatto, mentre mi straziava le labbra con un bacio lento e doloroso.
Impaziente, l'attimo prima, con le dita scivolose che provavano a perforare le mie carni umide. E trattenuto, l'attimo dopo, quando le arricciava per ritrarle. Lo faceva sempre.
«Di cos'hai paura?» sussurrai con un pizzico di coraggio.
«Non voglio farti...»
Il suo pollice tagliò morbidamente le mie carni tenere, ma non andava oltre. Sembrava incontrare resistenza. Ero tesa.
«Non mi fai male, se fai piano.»
«Come lo sai?»
«Non ne ho idea, posso solo immaginarlo.»
«Oh, davvero?.»
«Ace...» lo rimproverai con un sorriso.
Poi lo vidi tornare serio. Deglutì, ma non esitò a ritrarre completamente la mano e a risistemarmi il costume.
Quel gesto mi lasciò interdetta.
«Mi tratti come una bambina.»
Mi morsi la lingua, ma ormai me l'ero lasciato scappare.
«Tu non c'entri, Scarlett. Non so se sarei in grado di gestire questa cosa, dopo.»
«Lo sai benissimo che sei in grado di farlo.»
Il poco orgoglio che mi rimaneva mi chiuse la gola e non riuscii a continuare.
Ace però spostò gli occhi a lato. Sembrava che qualcosa lo tormentasse.
«Ace, cosa c'è che non va?» chiesi dolcemente.
«Sto ancora pensando a ieri sera. E se a Jade fosse successo qualcosa? Se fosse capitato a te?»
Rabbrividii e lui si tolse la camicia e me la poggiò sulle spalle.
«Forse non te ne accorgi, ma sei scossa per ieri, come lo sono anch'io.»
Non fiatai, abbassai soltanto lo sguardo sulle mie ginocchia. Volevo solo smettere di pensare...
«È vero o no, Scarlett?»
«Sì, è vero», ammisi a malincuore.
«E a me va bene usare il sesso per non pensare ai problemi. Ma non voglio usare te o le tue prime esperienza solo per sentirmi meglio.»
«Quindi con me lo faresti solo per questo motivo?»
«No. Ma se non ne parliamo prima, il dopo diventa un casino.»
Sollevai il capo e lo guardai. Mi aveva letto dentro.
«Smettila» sorrisi.
«Di fare cosa?» chiese lasciandomi un bacio sulla fronte.
«Di essere così perfetto...»
«Non è un lavoro facile, ma qualcuno deve pur farlo, no?»
«Sempre modesto.»
«Ti va di mangiare qualcosa, signorina?» mi domandò aiutandomi a scendere dal tavolo.
Gli sorrisi dal basso e provai una forte sensazione di sollievo. Ace aveva ragione: presa dalla frenesia del momento, non mi ero resa conto che stavamo andando troppo di fretta. E io... io non ero ancora pronta per quel passo.
Gli restituii la camicia e tornammo dagli altri, ma questi erano troppo impegnati a fare scommesse sul tempo che ormai minacciava di far piovere, per badare a noi. Tranne Mauve. Lei mi studiò attentamente.
Mi fiondai sul suo asciugamano e mi sedetti di fianco a lei perchè Amber aveva appena sfoderato della pizza al taglio. E io amavo la pizza al taglio, lo sapevano tutti.
«Molto belli gli ombrelloni che ci avete portato,eh»
Mauve fece quella battuta sarcastica, fissandomi i capelli scombinati e le labbra arrossate.
«Jade ha detto qualcosa?» domandai.
«No, è voluta restare a casa a riposare», replicò Amber.
«Dite che parlerà?» chiese Mauve. «Sempre che ricordi qualcosa.»
«Non ne ho idea, aveva l'aria troppo spaventata» bofonchiai.
Con la coda dell'occhio, vidi Ace unirsi ai ragazzi per giocare a beach volley. Sembrava ancora teso e non potei fare a meno di chiedermi cosa avrebbe fatto Jet se avesse scoperto che sua sorella era tornata a casa in quello stato incosciente.
«Ace l'ha detto a Jet?»
«No, secondo me no», risposi.
Anche se ero certa che persino lui aveva fiutato che c'era qualcosa che non andava. Jade non poteva essere solo svenuta. Ed ero sicura che, pur tenendolo nascosto, Ace stava facendo le sue ricerche.
Raccolsi le carte della pizza e mi offrii di andare a buttarle nel cassonetto poco distante. Di ritorno passai davanti al bar sulla spiaggia. Lì però, seduta su un muretto basso, vidi una figura.
«Sienna?»
«Ma ancora tu? Dio santo che pesantezza!» sbraitò acidamente.
«Che fai qui?»
«Niente» sbuffò. «La tua vita è così noiosa che ti devi interessare alla mia?»
«No, chiedevo solo...»
«Cosa?»
Tirai fuori la prima cosa che mi venne in mente. Avevo sentito Cinnamon e Honey che ne parlavano
«Ma è vero che vuoi cambiare facoltà?» le chiesi.
«I miei non vogliono. Contenta?»
«Sì ma hai ventun anni» sottolineai.
«Non sai come sono i genitori dalle nostre parti.»
«Non so proprio come sono i genitori.»
La mia esternazione le causò un'occhiata esterrefatta.
«Ti prego non fare così, tanto non saremo mai amiche.»
«Okay, scusa.»
Mi voltai di scatto. Me ne sarei andata.
«Scarlett!»
Sienna mi richiamò a gran voce, perciò mi girai di nuovo verso di lei.
«Non fargli fare cazzate. Quando si stuferà di questa cosa, con te, se ne pentirà amaramente.»
«Che significa?»
«Che tu a settembre non ci sarai quando non passerà le selezioni per le nazionali.»
Il cuore mi sprofondò nel petto.
«Non sono decisioni facili...» abbozzai.
«No, ma è facile capire che Ace lavora per questo da una vita. Se ne pentirà amaramente di aver buttato all'aria il suo futuro.»
Sebbene i toni duri, Sienna non aveva torto. Dopo quello che gli avevo detto in doccia... forse la colpa dei suoi dubbi era anche la mia?
Forse dovrei convincerlo a ripensarci.
Tornai dagli altri con quei pensieri che mi affaticavano la mente e vidi che i ragazzi stavano ancora giocando.
«Una curiosità, Ace. Come mai Maize è ancora qui?» chiese Brick quando si concessero una pausa.
«Gli hai fatto l'ennesimo occhi nero. Forse ne vuole un altro?» ridacchiò Jet.
Ace si strinse nelle spalle, ma la mandibola era rigida. Era ovvio. Con la presenza di Maize c'entrava ancora sua mamma.
«Però è strano.» Brick cominciò a riflettere. «Pensavo non vedesse l'ora di dire tutto a suo padre e compromettere rapporti con tua madre.»
Ace non rispose. Jet invece negò con il capo.
«Non parlerà.»
«Come lo sapete?» mi intromisi inducendoli a voltarsi verso di me.
Ma io guardavo soltanto Ace. «Non l'hai per caso...»
«Cosa? Ricattato?» sogghignò Jet, completando i miei dubbi.
La mia espressione tradì dello sgomento, quindi Jet provò a rimediare. Sempre a modo suo però.
«Ma figurati! Ti pare che noi potremmo mai fare una cosa del genere?»
Osservai Brick che spostò gli occhi a lato.
Ace invece mi fissava senza batter ciglio.
E a quel punto capii. Forse Jade aveva ragione.
«Non dovresti parlarle?» domandò Brick quando vide che mi stavo allontanando a passo spedito da loro e dal campo.
«Perché dovrebbe? Noi non abbiamo fatto niente», disse Jet.
Gettai uno sguardo al mare e mi accorsi che, nonostante le onde spaventose, le ragazze avevano deciso di provare a fare il bagno.
A me non andava, perciò iniziai a camminare sulla riva.
Mi allontanai lentamente, ma mi accorsi che da poco distante arrivava della musica. Sembrava esserci una festa.
«Scarlett!»
Una voce mi sorprese alle spalle. L'accento francese lo riconobbi subito.
«Philippe.»
Indietreggiai immediatamente.
«Sei da sola?»
«Sì. Cioè no. Tutti gli altri sono lì.»
«E cosa ci fai qui? Questa spiaggia è proprietà privata.»
«Ehm... oh scusa io...»
«Sto scherzando! Stasera do una festa da me, vuoi venire?»
«No, grazie, stavo giusto...»
«Vieni, ti faccio conoscere gli altri miei amici.»
«No, davvero, io devo...»
Mi voltai di scatto e vidi Ace a braccia conserte, gli occhi ridotti a due fessure strette.
Mi fissava. Anzi, fissava Philippe.
«Sei il suo ragazzo?» chiese quest'ultimo, sorpreso.
«Cos'altro ti sembro?»
«Okay, scusa non lo sapevo» bofonchiò l'altro, prima di salutarci.
«Stai bene?» mi chiese Ace.
«Sì»
Avevo ancora le guance in fiamme perché non aveva negato quell'affermazione.
Quella di essere il mio ragazzo. Mio.
Ebbi un tuffo al cuore solo al pensiero.
Ma ovvio, lo aveva fatto solo per levarmi dall'impaccio con Philippe.
«Perchè sei così spaventata?»
Cominciammo a camminare nella direzione opposta, ma Ace continuava a voltarsi in direzione del ragazzo che ormai si era unito ai suoi amici.
«No, non lo sono. Ti ricordi che volevi portarmi in un posto?»
«Non l'ho dimenticato.» Ace sollevò il mento verso l'alto. «Ma la giornata non è delle migliori» commentò ispezionando il cielo.
«Ora però sono curiosa.»
Si fermò e mi osservò con attenzione. «Quanto curiosa?»
Tantissimo.
«Voglio andarci, Ace.»
«Mhm... Va bene signorina. Andiamo.»
Ci dirigemmo al molo e dopo poco vidi un gruppetto di barche ormeggiate che oscillavano dolcemente sull'acqua.
«Sei mai stata in barca, Scarlett?»
«No.»
Sotto suggerimento di Ace, andai a recuperare il mio zainetto, poi salimmo su una di queste imbarcazioni. Non era grandissima, ma quando fui a bordo, mi sembrò enorme.
Ace mi indicò la postazione a sedere.
«Istruzioni per oggi», annunciò serio.
«Stai attenta a dove metti i piedi e reggiti al corrimano.»
Sorrisi portandomi la mano sulla fronte, in un gesto scherzoso come a dire "sì, signor capitano".
«Mangia frutta», disse indicandomi lo zaino.
«Okay»
«E bevi molta acqua.»
Smisi di ridere e l'osservai con la fronte corrucciata. A volte le sue parole assumevano curve maliziose che difficilmente riuscivo a interpretare.
«Fa caldo, Scarlett. Devi idratarti, no?»
Ace mise in moto la barca e la condusse lungo la costa. I nuvoloni che costellavano il cielo si diradarono e finalmente uscì il sole.
«Posso chiederti una cosa?»
Il cuore mi saltò in gola. Mi alzai in piedi e mi avvicinai a lui per udire la sua voce, mentre il vestito mi svolazzava a causa del vento.
Stava per chiedermi qualcosa di importante?
«Li stai facendo i compiti delle vacanze?»
Scoppiai a ridere.
«Solo tu potevi chiedermi una cosa del genere.»
La barca prese velocità e, nel vedermi dondolare, Ace m'indicò il corrimano d'acciaio.
«Reggiti forte» m'intimò.
«Sto leggendo il libro che mi hanno assegnato per letteratura, poi, quando torno, continuo il resto», spiegai.
«Ah, davvero?»
«Matematica la tengo per ultima.»
Annuii, fiera della mia scelta.
«Male, Scarlett. È la materia in cui sei più carente, dovresti....»
Lasciai la presa della maniglia e mi spalmai su lui. Ace s'impacciò perchè mi avvinghiai stretta al suo braccio per sorreggermi.
«Tanto mi aiuti tu.»
Non fiatò e io rimasi immobile a guardare le onde che si increspavano contro la scocca della barca. Qualcosa mi pizzicò all'altezza del petto. Forse nel cuore. Qualcosa che non conoscevo e che faticai a riconoscere. Fu un attimo in cui mi sentii irrimediabilmente, terribilmente... felice.
Ma durò un battito di ali.
Un velo di malinconia mi oscurò lo sguardo. Sarei tornata a casa alla fine dell'estate. Non ci saremmo visti mai più.
«Ho notato che hai lasciato il libro sul mio comodino stamattina.»
«Sì, ora me lo sono portato dietro per leggerlo anche in spiaggia», dissi indicando il mio zainetto poggiato a terra.
«C'erano dei fogli dentro al libro.»
Mi agitai e mi staccai dal suo braccio. Per poco non rimbalzai all'indietro. Ace mi afferrò dal fianco e mi tenne stretta a lui.
«Non li ho toccati..» puntualizzò guardandomi dritto negli occhi.
«Ah, okay.»
Ace fermò la barca, ma continuava a studiarmi con un'espressione interrogativa. Sembrava aspettare una risposta perciò provai a dargliela.
«Sì, ogni tanto scrivo qualcosa...», azzardai.
«Non mi farai mai leggere nulla, vero?» chiese sporgendosi verso l'esterno dell'imbarcazione per gettare l'ancora.
«No.»
«Va bene.»
Mi accigliai. «Non insisti?»
«Perché dovrei, se non vuoi?»
In quel momento sentii un vuoto allo stomaco. Ma erano solo i ricordi del passato che serpeggiavano viscidi nel mio petto.
«Cosa ti piace della scrittura?», proseguì lui.
«Sto meglio, dopo. Poi l'idea di mettere qualcosa su carta ti rende immortale, no?»
Ace mi studiò incuriosito.
«Sì. Ma solo per persone che verranno dopo di te, estranei che non sanno niente di Scarlett.»
«Va beh ho detto un'esagerazione, le parole non rimangono per sempre.»
«E chi lo dice?» domandò finendo di sistemare l'ancora.
Sorrisi. «Non lo so, ma la verità è che mai nessuno leggerà cosa scrivo.»
«Tu dici?»
«Bè sì.»
«Okay... facciamo così: troverò un modo per assicurarmi che le tue parole durino per milioni di anni.»
Scoppiai a ridere. «Ma che dici! Le pagine si distruggono.»
«Ti fidi di me?» chiese fissandomi negli occhi.
«Sì», replicai senza nemmeno pensarci.
Ace si levò la camicia poi indicò l'acqua cristallina.
«Allora, vuoi farti un bagno?»
Non capii il collegamento.
Riluttante, guardai l'acqua profonda sotto di noi.
«No, meglio di no. Vai tu.»
«Sicura? Non vuoi nemmeno...»
«No, resto qui a leggere» annunciai, posizionandomi all'ombra del tendalino della barca.
«Okay.»
Lui si tuffò, io intanto mi sfilai il vestito e mi misi a leggere.
Ace tornò a bordo dopo non molto.
Riconobbi il suo profumo mescolato alla brezza marina, i suoi passi pesanti, e il fruscio delle gocce d'acqua che cadevano dal costume.
Tra le mani aveva una grossa pietra.
«Dove l'hai presa?»
La posò sul pavimento.
«Laggiù l'acqua è piu bassa» spiegò districandosi i capelli bagnati con la mano.
«Hai nuotato fino lì?»
«Non mi hai guardato? Mi offendo se non l'hai fatto.»
Sorrisi, poi lo vidi chinarsi per cercare qualcosa.
«Cosa cerchi?»
«Questa barca era di mio nonno», replicò aprendo uno scomparto dal pavimento.
«C'è sempre qualche attrezzo. Eccolo.»
Estrasse qualcosa e me lo offrì. Era uno scalpello.
«Tieni.»
Ace sollevò lo sguardo e lo fece in modo quasi innaturale, pur di evitare la scollatura del mio bikini.
Afferrai quell'arnese con un'espressione smarrita sul volto. «Cosa dovrei...»
«Scrivi qualcosa.»
Squadrai Ace, poi tornai alla pietra e solo allora capii. Perciò impugnai lo scalpello, mi accovacciai sul pavimento e provai a incidere sulla roccia.
Ace si allontanò. Raggiunse il fondo della barca e si tenne a distanza, forse per rispettare la mia privacy, o forse non voleva darmi l'accesso ai suoi pensieri perchè lo vidi fissare lo specchio d'acqua con aria assorta.
«Che guardi?»
«Scarlett, tu come lo definiresti il blu del mare?»
Arricciai la bocca poi sollevai lo sguardo nella sua direzione.
«Blu?»
Scoppiai a ridere ma lui non mi seguì.
«Tu?» chiesi tornando seria.
«Certo, sì. Anch'io.»
«Blu come?»
Lo vidi pensare per qualche istante. «Blu mare...?»
Sorrisi. «Sei strano, a volte.»
Ace spostò gli occhi verso il basso, sembrò ferito e io non capii il motivo del suo atteggiamento.
«Non volevo dire... Lo sai che non potrai mai rubarmi questo primato, nemmeno se ti impegni, Ace.»
Finalmente gli strappai un timido sorriso.
«Hai mai desiderato qualcosa intensamente?» mi chiese d'un tratto.
Notai che si era seduto e aveva preso a giocherellare con il vestito rosso che fuoriusciva dal mio zaino.
«Sì.»
«Sì è avverato?»
«No» replicai mesta.
Lui osservò il tessuto stretto tra le sue dita nervose. «Già.»
Fui gelosa dei suoi sogni. Desiderai sapere, ma non avevo coraggio di invadere quel suo spazio.
«Però magari per alcuni di questi desideri c'è sempre tempo», azzardai di nuovo.
«Quali sono i tuoi sogni, Scarlett?»
Una casa.
Fui io stavolta ad abbassare gli occhi. Non riuscii a rispondere a voce alta.
«Sai... sono contento che tu sia qui.»
Mi emozionai così tanto che non riuscii più a concentrarmi, a scrivere, a respirare.
«Anche... Anch'io, Ace.»
Vidi però i suoi occhi scurirsi appena.
«Senti... c'è una cosa che devo dirti, Scarlett.»
Tesi la schiena. «Sì? Dimmi.»
«Il comune ha dato l'okay definitivo per l'opera di rinnovo del quartiere. Lo faranno di sicuro.»
«Lo so.»
«La scorsa settimana, con quella festa di beneficienza...»
«No, Ace. Ti prego, no.»
Ace però non sembrò accogliere la mia reticenza.
«So che magari con quella cifra non puoi comprare una reggia, però può darvi una mano e...»
«Non posso accettare, Ace.»
Lui abbassò il capo annuendo.
«Ti ringrazio, ma non ce n'è bisogno. Non rimarremo senza casa, ci assegneranno comunque un'abitazione provvisoria. Solo che non sarà la stessa cosa perchè la nonna vivrà in mezzo al cemento. Non le rimangono tanti anni da vivere e c'è solo un posto in cui vorrebbe passarli: a casa sua. E lo so che sono stupida a pensarla così, ma per la nonna...»
«No, non lo sei» m'interruppe.
«Per lei è importante e vorrei trascorresse...» Deglutii il boccone amaro. «Vorrei trascorresse i suoi ultimi anni lì, in mezzo ai suoi ricordi, a casa sua. So che ne sarebbe felice. Quindi io ti ringrazio, ma non posso accettare. Nemmeno tutti i soldi del mondo potrebbero ricomprare quella casa, Ace.»
Ace mi guardò negli occhi. Per un attimo vidi un lampo di sfida attraversare le sue iridi color nocciola.
«Ace?»
«Mhm?»
«A che stai pensando?»
«A niente.»
«Ace...»
«A volte può aver senso perdere una foresta per un singolo albero, no?»
Lo fissai confusa. «Come, scusa?»
«Dicevo... Hai finito?», domandò facendo un cenno verso la pietra che stringevo tra le mani.
«Ah, sì.»
Non volle sapere cosa avessi inciso. Si limitò a indicarmi l'acqua che luccicava sotto i raggi del sole, invitandomi a lanciare la pietra oltre il bordo.
Così lo feci.
«Quelle parole resteranno lì per milioni di anni. Spero tu abbia scritto qualcosa di importante, signorina.»
Le guance ripresero a scottare, e non solo per il sole, ma anche per il sorriso spontaneo mi aveva provocato.
Ace mi osservò, come se si aspettasse che gli raccontassi il mio segreto.
No, non gliel'avrei mai detto.
ACE
"Matematica la faccio per ultima."
Chi mai direbbe una cosa del genere?
A dirlo era stato quel metro e sessanta di imperfezione algoritmica che avevo di fronte.
Con i suoi occhi enormi e profondi, era capace di risucchiare ogni parte di me, anche quella più nascosta, che forse nemmeno io sapevo di avere.
Sollevò la pietra a fatica e io tenni i riflessi pronti: qualora Scarlett avesse perso l'equilibrio, sarei stato lì a sorreggerla. Ma lei la lanciò in acqua e ci riuscì da sola, senza il mio aiuto.
La guardai: i capelli scuri, morbidi e disordinati, ricadevano sulle guance scaldate da riflessi impercettibili ai miei occhi. Non seguivano alcun codice preciso, eppure io, con tutta la mia logica e capacità di programmare, non avrei saputo creare niente di meglio.
Ogni suo lineamento sembrava disegnato con la precisione di un'equazione, persino la lieve asimmetria, quel sorriso che si inclinava tutto da un lato, era come un bug perfetto, impossibile da correggere.
«Grazie, Ace» disse fissando il mare.
Quella voce era in grado di scombussolarmi a ogni parola pronunciata, come se attivasse il mio sistema nervoso con un input imprevisto. E io detestavo le cose imprevedibili. Ma con lei era diverso, perché mi piaceva quella voce, soprattutto quando diceva qualcosa che la imbarazzava. Come il mio nome, sussurrato tra i gemiti, mentre le rubavo un orgasmo.
Non volevo tenerne il conto, ma lo facevo ugualmente. Non potevo evitarlo. E ogni volta che ripensavo a quei momenti — l'umidità di quel capanno, il profumo di pulito delle sue lenzuola, il mio bagnoschiuma che si mescolava alla sua pelle — era come se tutto si ripetesse in loop perfetto nella mia mente.
Era spontaneo il modo in cui il mio addome cominciava a bruciare quando la vedevo.
Inevitabile, il modo in cui il mio corpo si risvegliava quando la baciavo. Quasi istantaneo, l'afflusso di sangue che mi causava un'erezione, ogni volta che sentivo il suo sapore sulla lingua, così dolce da darmi le vertigini allo stomaco.
Scarlett non era altro che una sequenza imperfetta capace di sconvolgere tutti i miei piani. E mi aveva fottuto sin dalla primissima volta. Da quando mi aveva guardato negli occhi.
"Chi diavolo è quella ragazza?" bisbigliavano gli altri, quando ci vedevano insieme.
Cosa diavolo ne so? Non so quasi nulla di lei.
Eppure ci stavo bene, io, stretto in mezzo alle sue cosce calde e addosso alla sua pelle liscia.
«Laggiù sembra esserci un'isola. Possiamo andarci?» domandò con il suo tono infantile.
Mi voltai. Scarlett era in costume, perciò dovetti essere bravo a non cadere nella dolce trappola delle curve tonde e sode che le gonfiavano i triangolini del bikini.
«Rivestiti. È proprio lì che stiamo andando», risposi prima di riaccendere i motori.
Fermai la barca a pochi passi dalla riva. Scarlett si infilò il vestito che le rimase tutto storto sotto il fianco. Trattenni l'istinto di risistemarglielo, anche perché lei non se n'era accorta, e poi non sembrava le importasse cercare un ordine.
A differenza mia.
«Non è un isola, si tratta dell'altra parte della costa. È quasi deserta», le raccontai.
Afferrai il suo zainetto e balzai giù dalla barca con un salto, poi le tesi una mano per farla scendere.
«Attenta», l'avvisai quando saltò sulla sabbia.
E glielo ripetei anche mentre attraversavamo un piccolo spiazzo boschivo oltre la riva.
Scarlett indossava il vestito, ma i rovi minacciavano di sfiorarla a ogni passo.
E io non riuscivo a stare tranquillo.
«Sembra un vero e proprio bosco sulla spiaggia», commentò sollevando il viso verso l'alto.
La luce pomeridiana filtrava pigra tra le chiome fitte degli alberi, riflettendosi sulle sue guance leggermente abbronzate.
«Lo è. Ti piace il bosco?»
«Sì. A te?» rimbalzò quella domanda, come faceva sempre. Con troppa facilità. E io mi ritrovavo costretto a rispondere.
«Sì.»
«Perchè ti piace?»
Dannazione.
Avrei potuto non risponderle, ogni volta che faceva una domanda. Avrei potuto ignorarla, evitare il suo sguardo, lasciarle il silenzio, ma... La guardai negli occhi.
Caddi, anzi, sprofondai nel suo incantesimo. Completamente.
«Nel bosco puoi avvertire lo scandire delle stagioni in modo più netto, rispetto che in città», dissi dandole le spalle, come a volermi proteggere dal suo sguardo pericoloso.
Pensai alle foglie degli alberi, ora rigogliose, e che tra qualche mese sarebbero ingiallite. O almeno così dicevano.
«Come le foglie che cambiano colore» sussurrò lei, che sembrava leggermi nel pensiero.
«E se le tonalità della natura non sono facili da distinguere, il calore del sole sulle guance lo senti. È una sensazione netta, non ti lascia dubbi.»
Scarlett sorrise e io feci lo stesso, poi abbassai lo sguardo.
Non dissi altro. Non volevo spaventarla, nè farle pena.
«La luce autunnale però è la mia preferita», aggiunse.
«Anche la mia. Credo.»
«Non sembri uno che solitamente ha dei dubbi.»
Mi girai verso di lei, lanciandole un'occhiataccia.
Ha gli occhi grandi, il naso piccolo e troppa voglia di provocarmi.
«Il bosco mi piace perchè si trova lontano dal caos della città, quindi è silenzioso. Poi i profumi, la luce, sembra tutto più semplice qui. Contenta, ora?»
«La bellezza, a volte, è anche nella semplicità» riflettè a voce alta, come assorta nell'ammirare qualcosa che io non avevo il privilegio di vedere.
«Lo penso anch'io, Scarlett. Ma la semplicità non qualcosa di facile.»
Sembrò colta da un dubbio perché arricciò il naso. «Che significa?»
«Sebbene sia intrinseco nel suo significato, vivere in modo semplice non è semplice. Togliere il superfluo è il risultato di un processo lungo, complesso. Raggiungerla è un'arte che richiede tempo.»
«Già.»
«A volte anche le cose più semplici, per alcuni non lo sono», mormorai guardandomi intorno.
Persino una cosa semplice come distinguere i colori.
«Ci siamo quasi» le dissi quando vidi l'incisione sull'albero, segno che ci stavamo avvicinando.
La notò anche Scarlett perché si fermò e sfiorò la corteccia con la punta dell'indice.
«L'hai fatto tu?»
«Sì, da piccolo», risposi avvicinandomi all'albero.
木漏れ日
«Cosa significa?»
«È un termine giapponese che indica la luce che filtra tra le foglie degli alberi.»
Scarlett innalzò lo sguardo verso l'alto, lasciò che la brezza le carezzasse il viso e io potei ammirare l'effetto quasi magico di ombre e riflessi che danzavano sul suo volto. Chiari scuri, tonalità di grigio, ma mi piacque ugualmente.
«Rappresenta un momento passeggero, qualcosa che trasmette serenità ma che è destinato a finire» spiegai. «Tutto cambia. Dal colore delle foglie, alle stagioni, alle persone.»
Scarlett allora sì girò verso di me.
«Credi in Dio, Ace?»
La guardai, forse con aria di supponenza, come se osasse chiedere un'assurdità.
«No, Scarlett. Tu?»
Torreggiai su di lei che si fece piccola contro l'albero.
«Non... non lo so.»
«Dovrei convincerti?» sussurrai abbassandomi sulle sue labbra piene.
Avevano sempre quel gusto dolce, ma non fruttato, come qualcosa di costruito in laboratorio. Il sapore della sua lingua mi ricordava il bubblegum: fragola, con l'aggiunta di un enorme quantità di zucchero. Ogni bacio era come affondare i denti in una nuvola di zucchero filato, soffice e avvolgente. Mi faceva impazzire.
Probabilmente la sua bocca era anche di un rosso acceso, un colore che sebbene non riuscissi a cogliere a pieno, lo associavo a quel profumo che aveva lei.
«Ace...» sussurrò il mio nome come un timido rimprovero e io mi distanziai dal suo corpo.
«Vieni, ti faccio vedere il motivo per cui ti ho portata qui.»
Le mostrai la strada tra i rovi, poi udii un lamento alle mie spalle.
«Ahi!»
Mi voltai e non la vidi più.
SCARLETT
Il mio vestito si impigliò da qualche parte e, mentre cadevo all'indietro, un dolore acuto mi trafisse la carne. Sentii qualcosa graffiarmi la coscia. Ace arrivò subito per aiutarmi a rimettermi in piedi, ma si accorse immediatamente del sangue che cominciava a colarmi lungo la gamba.
«Aspetta, è una spina.»
Con la testa che girava, mi appoggiai a un tronco e vidi Ace chinarsi all'altezza del mio ginocchio, sollevò appena il mio vestito, poi mi guardò dal basso.
«Prendi un lungo respiro.»
Obbedii, mentre lui racchiuse tra indice e pollice il lembo di pelle, provocandomi un piccolo bruciore. La spina lentamente fuoriuscì. La rimosse, poi premette dolcemente le labbra sopra la ferita e succhiò. Vidi la sua bocca macchiarsi di sangue.
«Grazie», boccheggiai con le guance in fiamme.
«A te» rispose dal basso.
«Dai smettila!» esclamai imbarazzata. Lui si ripulì con il dorso della mano, poi si alzò e mi afferrò dai fianchi.
Mi prese in braccio e mi trasportò per qualche metro, fino a un'abitazione che affacciava sulla spiaggia.
«È una casa abbandonata?», domandai.
Ace sorrise. «No.»
«Una casetta sull'albero?»
«Più o meno sì. Per me era come una casetta sull'albero.»
«Ma...» Rimasi senza parole quando entrammo. «È una casa vera», realizzai.
«Sì. Quando sono in vacanza, prendo la barca e vengo qui quando volevo stare lontano da tutti.»
«È bellissima. Posso vivere qui?»
Ace non trattenne la risata, le sue labbra liberarono una melodia che mi scaldò il cuore.
«Sì.»
«Sì, hai le chiavi o sì è abbandonata?»
«No, è casa dei miei. Se passi dall'altro lato c'è la strada, ma da questa parte dà sul mare.»
«Wow.» Inspirai il buon profumo di pulito delle lenzuola quando Ace mi appoggiò sul letto con un movimento delicato.
«Potrei essere venuto qui questa mattina presto per dare una sistemata», abbozzò prima di lavarsi le mani.
Poi tornò da me con una garza, dell'acqua ossigenata e un cerotto.
«Sdraiati.»
Gli lanciai un'occhiata confusa perchè non capii il suo ordine.
«Ti sei dimenticata?» M'indicò la mia gamba. Aveva smesso di sanguinare ma bruciava ancora. Così mi distesi sul letto e Ace si mise di fianco a me e potè disinfettarmi la ferita, prima di applicare il cerotto.
Mi tirai su sui gomiti, pensando che lui si sporgesse verso di me per baciarmi, invece indietreggiò.
«Sono ancora bagnato. Mi faccio una doccia, okay?»
Afferrai il mio zainetto, presi il libro e mi rilanciai sul letto.
«Va bene, io continuo a leggere.»
Lì sopra mi rilassai completamente, complice la brezza marina che mi carezzava la pelle, il materasso comodo e i soffici cuscini che sembravano avvolgermi in un abbraccio morbido. Lessi per una ventina di minuti, poi Ace tornò in stanza con addosso una felpa blu, sopra a un paio di boxer bianchi.
Ero sdraiata a pancia in giù a leggere, quando nello specchio davanti a me potei ammirare il riflesso delle sue spalle larghe. Tra le mani teneva il costume e mi scappò un sorriso.
«Ti fa ridere che indosso solo i boxer?»
Nascosi il ghigno con il libro, posizionandomelo davanti al naso, ma riuscii comunque a vedere che era uscito fuori per stendere il costume bagnato.
«Cosa leggi?» chiese tornando dentro.
«Il libro che mi hanno dato da leggere a scuola.»
«Sempre la "Lettera scarlatta"?»
«Sì. Lo conosci?» gli domandai.
«Perchè non dovrei? È uno dei capolavori della letteratura americana.»
«E di cosa parla?» Lo interrogai con un sorriso furbetto.
«È una profonda riflessione sul moralismo e sula repressione della società puritana del diciassettesimo secolo. Tratta la storia di una donna condannata per adulterio e costretta a portare sul petto una lettera "A", scarlatta, come simbolo del suo peccato.»
«Sono all'inizio, non sono ancora arrivata a quella...»
«"A"come adulterio, ma è anche l'iniziale del nome del suo amato. Il suo amante era un pastore. Lo sapevi, Scarlett?»
Sentii le mie pupille dilatarsi. Incontrai il suo sguardo affilato allo specchio e non seppi cosa dire.
«A volte ho come l'impressione dici cose per provocarmi, Ace.»
«A volte ho come l'impressione che rifuggi di proposito alle mie provocazioni, Scarlett.»
Sentii la gola bruciare, fortuna che Ace aveva quella dote innata di levarmi togliermi da quei momenti scomodi.
«Che c'è, pensavi di cogliermi impreparato con il libro?»
«Beh pensavo ne sapessi solo di informatica, ingegneria o quella roba lì insomma.»
Scrollò il capo e, sorridendo, si avvicinò al letto.
«Come va la ferita, meglio?»
«Brucia un pochino.»
«Oh davvero?» Ace salì sul materasso che si abbassò a causa della sua stazza, e sfiorò il cerotto con le dita.
«Chissà... magari un altro bacino...» accennai.
Ace non fiatò, perciò alzai lo sguardo e lo vidi fissarmi dallo specchio.
«Come si dice, signorina?»
«Per favore.»
Allora si chinò e baciò il cerotto, ma le labbra morbide si aprirono più del dovuto e presero una porzione di pelle sensibile, dandomi i brividi.
«Così?»
Annuii, incapace di rispondere a voce.
«O forse preferisci...»
Ace passò lingua tra le mie cosce strette, proprio in mezzo.
Mi agitai e tesi immediatamente le gambe.
«Troppo?» domandò.
Negai con il capo. Mi mancò il respiro e lui lo poté notare dal riflesso del mio viso arrossato allo specchio.
«Vorrei solo...» Mi voltai, come se bastasse girare il collo per avere le sue labbra.
«Un bacio che avrai, Scarlett. Ma non ora», disse sollevandomi il vestito sui fianchi.
«Stronzo...» bofonchiai.
Ace sorrise prima di assestarmi un morso sul gluteo sinistro. Strinsi le cosce, inarcai i fianchi e d'istinto chiusi il libro.
«No, ti prego non smettere di leggere per me.»
La sua voce suadente mi fece sciogliere. Riaprii il libro, ma concentrarsi, con Ace alle spalle, non era per nulla facile.
Una leggera brezza mi carezzò la schiena nuda, il vestito era ormai un mucchietto arrotolato e indossavo soltanto il costume.
Provai a leggere, fingendo di non sentire quanto fossero piacevoli i baci a sfioro che mi solleticavano la spina dorsale. Ace risalì lentamente, mi aiutò a togliere il vestito, poi raccolse i miei capelli stretti nel pugno e li sollevò, lasciandomi scoperta la nuca che baciò lentamente. Lo sentii sospirare nel mio orecchio, come volesse nascondere una leggera fatica.
«Ti voglio.»
Il respiro tiepido gli fece vibrare la voce che, solitamente profonda, divenne vulnerabile e mi causò uno sfarfallio intenso all'altezza dello stomaco.
«Allora baciami», lo provocai.
E forse il mio coraggio arrivava dal fatto che non fosse davanti a me.
Ace si issò sulle ginocchia e dallo specchio lo guardai mentre si trascinava una mano tra i capelli.
La felpa si sollevò appena, lasciando intravedere gli addominali contratti.
«Non sei tu a decidere, signorina.»
«Ah no? Davvero?», continuai a istigarlo con le stesse parole che usava lui.
Lui allora afferrò il bordo della felpa e se la levò.
Poi tornò a guardarmi, i capelli lievemente scompigliati e le labbra arrossate.
«Davvero.»
Riportai immediatamente gli occhi sul libro per evitare quella visione, ma non riuscii a leggere, persino il ronzio delle cicale riusciva a distrarmi.
«Posso?» chiese poi.
«Sì», soffiai a corto di fiato.
Ace mi baciò il retro della coscia e al contatto con il suo respiro caldo, io cominciai a tremare.
«Scarlett.»
«Sì?»
«Riesci a stare ferma?»
Lo chiese dolcemente e io altrettanto dolcemente annuii, ma non ero in grado di controllare il mio corpo ogni volta che la sua bocca vi si posava sopra. E poi, quello che leggevo non aveva senso. Sembrava avercelo solo il suo profumo intenso e la sua lingua vellutata.
Iniziò a leccare il mio interno coscia e a baciarlo, evitando in modo attento la ferita. Continuavo a serrare le gambe, a causa di quel contatto troppo piacevole.
«Aprile le cosce. Solo un po'. Fallo per me» sussurrò ammorbidendo il tono di voce.
Poi afferrò il bordo delle mutande del costume e, lentamente, me le abbassò sui fianchi.
Spinsi le anche all'indietro con un gesto istintivo.
«Vuoi che faccia male?»
«No», replicai di getto
«Allora non avere fretta.»
Ace si abbassò con la testa tra le mie gambe, superò il mio fondoschiena e scese a lusingare la mia fessura. Ci spinse la lingua dentro, separando le pieghe umide e forzandola delicatamente a sopportare quel dolce supplizio. Diventai acqua nella sua bocca. E lui alternò qualche mugolio di approvazione a risucchi urgenti.
Lo riconobbi a stento: sembrava avesse troppa fame per un essere umano. Se non fosse stato così piacevole, mi sarei preoccupata per me stessa e poi per lui, perché mi stava letteralmente divorando. Infine mi assestò un'ultima scivolata e mi leccò in modo così sfacciato, che arrossii. Non c'era altro verso, chiunque sarebbe arrossito.
Sprofondai con la faccia nei cuscini per nascondere la mia espressione sconvolta.
«Continua a leggere, Scarlett...»
Tonai a dimenare i fianchi. O forse non avevo mai smesso. «Ace...»
«Leggi.» Fu più imperativo stavolta.
«È difficile.»
«Ti starei distraendo?»
«Un po'»
Ace spinse i palmi sul materasso e risalì fino a raggiungere il mio viso. La sua erezione costretta nei boxer e tra i miei glutei.
«Leggi, non pensare a me», sussurrò nascondendo le labbra calde dietro il mio orecchio.
«È impossibile non pensare a te, Ace. Lo faccio in continuazione.»
Lui restò senza parole, esitò per un istante, perciò ne approfittai e ruotai a pancia in su, sotto di lui, che perse un battito quando scese con gli occhi a guardarmi gli slip abbassati oltre le cosce e i segni dei suoi baci.
«In continuazione?» chiese confuso.
Religiosamente. «Sì.»
Soddisfatto da quella risposta, con entrambe le mani spostò i triangolini del bikini, lasciando fuoriuscire i miei seni, poi mi abbassò le mutande oltre le caviglie.
«Sai, Scarlett...»
Deglutii, completamente inerme sotto di lui.
«So tante cose di te, ma ne vorrei sapere altre.»
«Le ricordi tutte?» chiesi con un filo di voce.
«Tutte salvate qui, come un sistema. Non in una RAM, ma in un disco rigido», disse indicandosi la tempia.
«Vorrebbe dire...»
«Che ricordo molto bene. Tutto.»
Mi sfuggì un sorriso.
«Per ora so che sei molto sensibile ai miei baci.»
Mi diede un bacio sulle labbra. Fu dolce e io chiusi gli occhi, estasiata.
«Se ripenso al capanno vicino al campo da tennis...»
Sbarrai gli occhi perché con il viso scese oltre il mio basso ventre.
«...Ricordo che ti piace l'acqua fredda.»
Si posizionò tra le mie gambe.
«Se ripenso al tuo letto...»
Mi guardò negli occhi prima di farmi vedere la lingua e lasciare una scivolata calda sul clitoride. Serrai gli occhi e lui non proseguì, attese che tornassi a guardarlo.
«...Ricordo quanto ti piace la mia bocca.»
Poi mi afferrò dai fianchi e mi riportò a pancia in giù.
«Ma ti piacciono anche le mie mani.»
Dirizzai la schiena e trattenni un urlo perchè mi arrivò una sculacciata che mi inchiodò al materasso.
«Se ripenso alla doccia, invece...»
Piantai gli occhi dritti allo specchio. Ace si alzò sulle ginocchia, mentre nei boxer bianchi, la sua eccitazione sembrava starci a fatica.
«Aspetta, non ricordo.» Lo vidi massaggiarsi il mento poiché fingeva di pensare. «Cos'altro ti è piaciuto nella doccia?»
Ero rossa, non respiravo più.
In quel momento però, un telefono squillò.
Mi voltai di scatto.
«Ace, ti stanno chiamando...»
A lui però sembrò non importare.
«Metti un cuscino sotto la pancia.»
JET
«Ti vedo distratto... con chi messaggi?» mi domandò Brick, mentre ce ne stavamo seduti al bar della spiaggia.
«Nessuno.»
Nessuno sapeva che messaggiavo con Silver.
Era nato tutto da quel "Pensavo di vederti" che le avevo mandato, al quale lei aveva risposto con un "Non avevo i soldi per venirci e poi mi hanno assunta per sostituire Scar."
La verità è che ero abituato a stare con una ragazza diversa ogni weekend, ma non succedeva dalla sera di quella festa a casa mia.
Ripensai a Rose, con quegli occhi enormi dietro le lenti spesse e la sua aria da finta santarellina. L'avevo baciata in camera mia. Che follia.
Però riconoscevo quando una desiderava che le ficcassi la lingua in gola e lei lo voleva. Cazzo se lo voleva...
Ma allora perchè mi ha tirato uno schiaffo?
«Hai scritto a Rose?» mi domandò una voce sconosciuta.
Mi voltai e vidi una tizia che non avevo mai visto prima.
«Scusami e tu chi cazzo saresti?» le domandai.
«Avete problemi di memoria nella vostra famiglia o siete solo...»
«...Stronzi? Puoi dirlo, Amber. Ti autorizzo io. Mio fratello lo è» esclamò Jade sedendosi davanti a me.
«Allora?» domandò quella che a quanto pare si chiamava Amber.
Ma i cazzi tuoi?
«Non ho nessuna intenzione di scrivere a Rose», mentii.
In realtà le ho scritto ma non mi ha risposto.
Quindi avevo iniziato con Silver, almeno lei rispondeva sempre.
Guardai Jade. «Dov'eri ieri? Te ne sei andata dalla spiaggia. Ti ho mandato un messaggio ma non hai risposto.»
Mia sorella deglutì.
«Avevi il telefono scarico, sono tornata a dormire presto.»
Certo, e io sono Theo James.
ACE
Tracciai con lo sguardo la sua pelle nuda, sotto di me, e fu impossibile non tornare con la mente a ieri sera. Li avevo impressi come marchi a fuoco, i suoi gemiti. Riuscivo ancora a percepire il calore che sprigionava tra le cosce e la voglia di risucchiarmi dentro, così forte da mandarmi fuori di testa. Ma soprattutto, non mi levavo dalla testa la visione del suo corpo esile, macchiato del mio peccato, che aveva preso a colarle lungo i seni, poi giù oltre il ventre piatto, e ancora più in basso, sulle labbra lisce e invitanti.
Tuttavia, l'espressione spaventata nel vedermi completamente nudo non mi aveva lusingato come pensavo. L'idea che mi trovasse troppo grande, avrebbe potuto sfamare il mio ego, visto che era del mio cazzo che aveva paura, ma in realtà avrei preferito non fosse preoccupata. Non le avrei mai fatto del male.
Tornai a guardarla. Con uno sguardo mi presi tutto: la forma del suo culo, i suoi respiri accelerati, il suo profumo delicato.
Fissai la crepa stretta tra le sue natiche e la sfiorai con la punta del pollice, causandole un brivido. Poi afferrai le sue mutandine abbandonate sul materasso e me le portai al viso.
Ne inspirai l'odore senza mai distogliere gli occhi dai suoi, riflessi nello specchio davanti a me. Scarlett spostò lo sguardo, imbarazzata.
D'istinto sollevai la mano e le sferrai una sculacciata.
Quel gesto la convinse a guardarmi di nuovo.
Il culo le si arrossò all'istante. Non lo vidi, ma lo dedussi dal fatto che la sua pelle si era scaldata sotto al mio palmo.
E, come in doccia, mi venne la voglia di abbassarmi i boxer e strofinarmi su di lei, tra i suoi glutei tondi, fino a venire.
Ma non l'avrei fatto. Anche perchè non mi bastava più. Volevo sentirla dall'interno, stretta e calda, tutta intorno a me.
Ma come aveva detto Scarlett... per alcuni desideri bisogna aspettare.
E io avrei aspettato.
Scarlett strinse le cosce. Bastava un tocco: sulla spalla, sulla nuca, tra le gambe, perchè il suo corpo reagisse tremando, come se un'ondata piacevole le attraversasse le vene e le perforasse i nervi. Passai l'indice lungo tutto il retro della sua coscia nuda. Il tocco fu leggero come una piuma, ma lei boccheggiò, non riusciva a stare ferma.
Ogni volta che la sfioravo, per quanto mi dimostrassi delicato, lei tratteneva il respiro, come in procinto di spezzarsi per la troppa adrenalina sotto la pelle. Gli occhi, grandi e lucidi, si socchiudevano, mostrandomi quanto fosse fragile la sua sensibilità. E io, consapevole di tutto ciò, ero dilaniato in due a causa della mia ossessione. Ero torturato da un dilemma.
Avevo paura di distruggerla.
Morivo dalla voglia di distruggerla.
«Metti un cuscino sotto la pancia.»
Scarlett afferrò uno dei cuscini sparsi sul letto e se lo infilò sotto lo stomaco. Il cuscino le spinse i fianchi verso l'alto, regalandomi quella visione proibita. Mi bruciò il petto.
Scarlett però non riusciva a stare ferma. Forse era davvero troppo sensibile o forse era solo la voglia di sentirmi dentro a non darle pace.
«Non so se è il caso...» dissi tra me e me.
I suoi occhi mi rivolsero un'occhiata interrogativa. Dallo specchio, mi chiesero il perché.
«Guardati, finirei per scoparti.»
Indietreggiai e mi allontanai da lei. Mi alzai in piedi, non solo per prendere fiato, ma anche per raggiungere l'armadio.
Non dissi una parola, aprii l'anta, afferrai ciò che mi serviva e tornai da lei.
Cercai i suoi occhi nello specchio. Notai le sue ciglia muoversi impazzite quando mi sorprese con la cintura stretta tra le mani.
«Posso?» domandai con voce ferma.
Le restituii l'occhiata nello specchio e la vidi annuire timidamente.
Senza distogliere lo sguardo dal suo, feci aderire la pelle della cintura attorno alle sue gambe, la lasciai scorrere sotto di esse e con l'altra mano portai la fibbia verso l'estremità. Strinsi un po' e la infilai nel passante.
«Così meglio, no?» le suggerii.
Scarlett non sembrò respirare. Provò a muovere le gambe ma queste non poterono aprirsi, perché strette nella cintura.
Non mi chiese come mai, probabilmente lo aveva capito. Le avevo detto di stare ferma troppe volte.
Mi persi qualche momento ad ammirarla, mentre mi passavo una mano tra i capelli, forse per alleviare la tensione che mi causava quella vista.
Stava sollevata sui gomiti, con i seni tondi e gonfi compressi tra le braccia e i capezzoli tesi. Li fissai impassibile. Come se quella visione non mi mandasse fuori di testa. Come se non sentissi il bisogno viscerale di morderli fino a farla urlare.
Tornai ai suoi occhi e mi accorsi che teneva lo sguardo basso.
«Guardami.»
Finalmente sollevò gli occhioni nei miei.
Ingoiami con quegli occhi.
Le sue labbra si schiusero appena, come colte da un sospiro.
E con quelle labbra dimmi che mi vuoi dentro, fino in fondo.
Presi un lungo respiro e tornai sopra di lei.
«Però non farmi essere geloso di un dannato cuscino», mugolai.
Sorrise imbarazzata e io finalmente potei infilare la mano tra il suo ventre piatto e il cuscino. Il mio palmo scottò sulla sua pelle liscia quando coprii la totalità della sua intimità.
«Così?»
Glielo chiesi sapendo già la risposta.
Certo che è così che ti farò venire.
Volevo però assicurarmi che fosse presente e convinta.
«Sì.»
Il mio tocco fu delicato. Era così piccola che l'avvolsi interamente con il palmo della mano.
Tornai a guardarla nello specchio. Le pupille dilatate di Scarlett mi fecero affogare. Le mancò il fiato quando la sfiorai con la punta delle dita. E mancò anche a me.
Mi aveva contagiato con qualcosa che io non conoscevo.
Ondeggiò con i fianchi, appena, come a richiedere un tocco più svelto, così cominciai a sfregare le dita in circolo, assecondando i suoi movimenti.
«Ace...»
Scarlett provò a distanziare le cosce, ma queste erano imprigionate nella cinghia, iniziò quindi a dimenare i fianchi e lì iniziò la mia tortura, perchè i suoi glutei sbattevano contro i miei boxer, ogni volta che oscillava per trovare sollievo contro la mia mano. Strofinai con più foga e sentii le mie dita inzupparsi e la sua pancia contrarsi.
Era ormai al limite. Le sue gambe tremavano.
«Stai mettendo a dura prova il mio autocontrollo, lo sai?» la provocai.
Lei schiuse le labbra piene, ma non riuscì a parlare. Cominciò a gemere, quindi, con una leggera pressione, spinsi le dita contro il clitoride e lo strinsi forte tra indice e medio. Venne così intensamente che nella stanza si liberò una sinfonia indecente.
Scarlett smise di tremare e mi guardò esterrefatta, accaldata, i capelli scompigliati che ricadevano sui seni inturgiditi dall'orgasmo.
Avvicinali le labbra al suo orecchio e lei sussultò.
«Piu del solito, non è così?»
Scarlett annuì, incapace di respirare.
«E come mai? È perchè ti ho legata?»
Il suo corpo si rilassò, ma non per molto perché mi bastò sentire il suo respiro accelerato per capire che ne voleva ancora. Ero sempre sopra di lei, quando le sollevai dolcemente il mento per fare allineare i nostri sguardi allo specchio.
«Ancora una volta. Puoi farlo per me?»
La mia voce si sciolse in un lamento debole che le fece mordere il labbro inferiore.
«Sì» gemette, provando a recuperare fiato.
Stavolta con la mano scesi più in basso. Dov'era più morbida, calda e così maledettamente bagnata... Il suo corpo voleva di più. E
io volevo darglielo. Tutto.
I nostri sguardi s'incontrarono ancora una volta nello specchio. I suoi occhi m'imploravano di darle sollievo. Scarlett sollevò fianchi e tese i polpacci, mentre il suo culo puntava verso l'alto e mi invitava a fotterla.
Non l'avrei fatto.
«Non sei pronta», le ricordai.
E lo ricordai anche a me stesso, dato che ero ormai sull'orlo della follia.
Con i polpastrelli cercai ossessivamente la sua carne liscia e bagnata, torturandola poi con movimenti lenti. Scesi con lo sguardo a perlustrare le cosce per controllare eventuali segni. Non vidi nulla, ma la pelle sembrava compressa sul lato esterno, creando un attrito con il cuoio duro.
«Ti fa male?»
«No.»
Mossi le dita in circolo e lei spinse i fianchi contro i miei boxer, soffocando la mia erezione con la curva soda dei suoi glutei.
«Non così», mugugnai accaldato.
Non facevo che ansimare nel suo orecchio e sembrava proprio quello a mandarla fuori di testa.
Il movimento delle mie dita su di lei cominciò a farsi sempre più necessario, liberando un rumore lascivo nella stanza.
Il mio cuore accelerò disperato.
Avevo bisogno di farlo.
Avevo bisogno di scoparla.
Il solo pensiero mi stordì di piacere.
«Scarlett...»
Strinse le cosce e io sentii il suo ventre contrarsi contro la mia mano. Forse mi stava chiedendo di più. O forse, la volevo così tanto che la mia follia stava contagiando anche lei.
Con l'erezione tesa e dolorante mi spinsi più in basso a cercare la sua parte più sensibile che si aprì dolcemente per me. La frizione di quel movimento piacevole mi bagnò i boxer dei suoi umori. Fradicia. Io l'avevo resa io così. Ora avevo solo bisogno di fare una cosa.
Scarlett dondolò il bacino con più urgenza e io divenni sofferente, dovetti nascondere la bocca dietro il suo orecchio. Lei gemette nell'udire il mio respiro accelerato contro il lobo sensibile e io persi il controllo.
Non voglio più aspettare.
Le strappai un lamento quando le spinsi il medio dentro, perforandole la carne morbida come il burro. Sprofondò lento, dentro di lei, ma solo poco più di metà, perché Scarlett si chiuse, soffocandomi in una morsa d'acciaio. Dovetti fermarmi da quanto era stretta. E lei dovette prendere un lungo respiro per adattarsi alla larghezza del mio dito.
La guardai in viso, provai a concentrarmi e a non pensare quanto fosse calda lì dentro. Scarlett chiuse gli occhi. Sembrava sopraffatta.
Non volevo farle male, perciò non mi mossi, aspettai che si rilassasse. Quando le sue carni divennero più cedevoli, cominciò ad accennare un movimento ritmico di bacino che indusse la sua fessura ad aprirsi, risucchiandomi ad ogni affondo.
Con il dito imprigionato in quella morsa dolorosa, abbassai lo sguardo e osservai la mia erezione spessa racchiusa nei boxer. Mi mancò un battito al pensiero che forse non sarei mai riuscito ad averla come la desideravo io.
Ma i suoi gemiti presto mi riportarono alla realtà e cominciai a riempirla e svuotarla più rapidamente.
«Sì, così. Proprio così», le sussurrai tra i capelli.
Mi ritrovai ad ansimare ancora, tanto che non riconobbi la mia voce. Scarlett spalancò gli occhi, colta dall'imbarazzo, quando si accorse dell'immagine nello specchio.
Vide me, dietro di lei, avvinghiato al suo corpo tremante. Mi strinsi tra i suoi glutei nudi, il calore del suo corpo e il profumo dei suoi capelli mi mandarono in estasi. Sembrava la stessi scopando in quel modo. Esattamente come avrei voluto io. E l'idea mi diede una scarica letale che mi attraversò l'addome e pompò dritta nella mia erezione. Il piacere traboccò dalle mie vene turgide e minacciò di fuoriuscire, perciò chiusi gli occhi e frenai quella corsa, prima di riversarmi sul suo culo con tutto il mio orgasmo.
Per poco non dovetti abbassarmi i boxer.
Per poco non le venni addosso.
Riaprii gli occhi e mi concentrai sul movimento dentro di lei. Il medio era bagnato e scivolava piacevolmente, ma quando provai ad avvicinare un altro dito alle sue pieghe umide, capii che era troppo. Lei si morse il labbro, ancora, e io fui scosso da un altro brivido.
Rallentai leggermente, quasi a fermarmi.
«Ace...»
«Di più?»
«Sì»
«Come lo senti, Scarlett? È piacevole?»
«Sì...per te lo è?»
Spinsi l'eccitazione dura sul suo corpo e lei boccheggiò.
«Quali sono i tuoi dubbi? Dimmi tutto, Scarlett.»
Lei si ammorbidì, tant'è che riuscii a spingermi più a fondo e ad aumentare il ritmo.
Con la mano libera le circondai la gola e l'obbligai a guardarci nello specchio.
Io ero il bravo ragazzo. Quello che le mamme volevano per le proprie figlie. Ottimi voti, ottimo conto in banca e ottima educazione. Lei era la brava ragazza, troppo buona con gli altri e spesso ingenua. Ma ora...
«Cosa ti sta dicendo l'immaginazione, piccola Scarlett?»
«Ace...» gemette sopraffatta.
Vidi il suo petto riempirsi e svuotarsi d'aria in modo convulso, e la sentii stringersi sempre più intorno alle mie falangi.
«Ti piace come ti sto scopando?»
Fu inevitabile.
Immaginai di starci io, dentro di lei.
Mi avrebbe ucciso.
«Dillo.»
«Sì, Ace», gemette senza fiato, le labbra piene leggermente socchiuse.
«Brava.»
Il suo corpo era un cumulo di tremori, non si rilassò nemmeno per un attimo, continuava a contrarsi. Il piacere le inondò le vene come un veleno che la portò sull'orlo del baratro.
Scarlett serrò i pugni sulle lenzuola e io desiderai sentirle addosso le sue mani.
Desiderai che mi mangiasse con quelle.
Lei mi guardò. Proprio l'attimo prima di lasciarsi andare completamente.
«Ace...»
Tremò di piacere, gli occhi nei miei.
Gli occhi, Dio mio. Voleva uccidermi con quelli.
SCARLETT
L'ondata di estasi che mi aveva riempito il bassoventre mi aveva lasciata completamente inerme e senza forze.
Ace si assicurò che avessi finito, poi la mano stretta intorno alla mia gola si rilassò, e lentamente si staccò da me.
Quando sollevai il mento lo vidi fermo sulle ginocchia, alle mie spalle.
Setacciai il suo corpo ancora teso.
I nostri occhi si incontrarono e mi espolose qualcosa nello stomaco.
Era quello l'amore, o ero solo ubriaca da tanta perfezione?
Ace scese più in basso e mi slegò le gambe, così io potei rinfilarmi le mutande e sistemarmi il pezzo di sopra del costume.
«Ti ricordi quando ho detto che amo la forma delle tue labbra?» chiese mentre mi sedevo davanti a lui.
Interdetta, rimasi ad ammirarlo mentre passava il pollice sul mio labbro inferiore.
Mi fissò intensamente e io sentii le farfalle nello stomaco.
«Baciami.»
Mi issai sulle ginocchia ed eseguii quell'ordine perché morivo dalla voglia di farlo. Gli baciai le labbra morbide, che però lui tenne ferme.
«Di più.»
Scesi sul petto nudo e lo guardai dal basso.
«Di più, Scarlett.»
Cascai sui talloni e con la bocca carezzai il suo torace lasciandogli una leggera scia di baci. Inspirai il suo buon profumo.
«Di più», mugolò dall'alto.
Sembrava a un passo dal perdere il controllo. Trattenne il respiro e i suoi addominali si contrassero, quando con la punta del labbro inferiore sfregai sulle vene dure che gli attraversavano il bassoventre.
Morivo dalla voglia di sapere cosa gli frullasse in quella testa. Cosa lo eccitasse così tanto. E invece no, il telefono riprese a suonare.
E mi fece tornare alla cruda realtà.
Ace allungò una braccio sul materasso e stavolta lo prese.
«Mia madre», bofonchiò prima di tirare un lungo sbuffo.
«È la seconda volta, forse è importante», azzardai.
«Sì, rispondo. Non vorrei fosse successo qualcosa.»
Lo vidi alzarsi in piedi.
«Mamma?»
«Ace, finalmente. Ho saputo di Maize» la udii dire.
«Okay.»
«Hai sbattuto fuori di casa Sienna...»
«Sì ma alla fine sta ancora con noi.»
«Hai fatto festa tutte le sere...» La donna prosegui con l'elenco con voce dura.
«Mamma...»
«Ma la cosa che non mi spiego è...»
Ci fu una breve pausa.
«Perché ti sei portato Scarlett?»
«Come lo sai?»
«Ace, è una ragazzina, devo aggiungere altro?»
«Non è necessario che tu aggiunga altro.»
«Invece lo faccio. Non ha una famiglia, non so da dove arriva e non capisco che ti è preso!»
Ace si allontanò, forse aveva paura che io ascoltassi, ma avevo sentito ugualmente.
«Non credo siano cose che ti riguardano. O sbaglio?»
«Da quando non mi riguardi? E poi hai chiamato il coach? Quando cominci alla fine?»
«Non lo so ancora.»
«Inizi a fine Agosto, che cosa stai aspettando?»
«Va bene. Ora devo andare.»
«Aspetta. Stanotte danno temporale. Mi raccomando, chiudi le finestre e...»
«Sì, mamma.»
Ace terminò la chiamata in modo brusco. Rimase con lo sguardo perso nel vuoto per qualche istante, infine tornò a guardarmi.
«Stai bene?» mi chiese.
E io avrei voluto fargli la stessa domanda, invece mi limitai ad annuire, perchè non sapevo se gli andava di parlarne.
«Ti sta piacendo o no?» disse indicando il libro ormai abbandonato sul letto.
«Mmmh... a dirla tutta è un po' noioso.Preferisco quelle storie in cui pensi di leggere una cosa, ma la trama inaspettatamente finisce da tutt'altra parte.»
«Mi ricorda qualcosa...» bofonchiò controllandomi la ferita sulla gamba.
«Pensavo fossi diverso», dissi di getto.
Sei molto meglio dannazione
Ace innalzò lo sguardo. Il sole stava tramontando e la stanza era immersa in una luce dorata che impreziosiva i riflessi ambrati delle sue iridi. Mi persi nei suoi occhi.
«Anch'io», sussurrò.
Sorrisi «Cioè? Cosa pensi?»
«Penso che si nasconda molto di più dietro a quegli occhioni.»
Fummo abbastanza vicini per un bacio. Bacio che io desideravo e che sarebbe stato perfetto per quel momento, ma... Ace abbassò il capo.
«Si sta per mettere a piovere, è meglio se torniamo.
AMBER
Quel pomeriggio raggiunsi Jade che mi aveva dato appuntamento alla palestra poco distante da casa di Ace.
Non conoscevo quel posto ma mi feci guidare dal rumore metallico e ritmico che riempiva lo spazio. Raggiunsi una sala in cui due ragazze si allenavano a scherma con movimenti fluidi. Indossavano delle tutine grigie e aderenti con una maschera che nascondeva i loro visi. D'un tratto una delle due si levò la maschera e la riconobbi: era Jade. Salutò l'altra ragazza e accennò una corsetta per venire da me.
«Ma che fai qui?» le chiesi.
«I miei genitori sono fissati con il tennis, ma io ho sempre preferito lo scherma.»
«Pensavo fosse uno sport... violento?»
«Assolutamente no. Vieni, ti faccio vedere.»
Jade mi offrì la spada. «Vuoi provare?»
«Ehm...»
Io e lo sport? Due rette parallele.
«Punta la lama verso di me, dritta, così.»
Ero un po' titubante, ma decisi di fidarmi ed eseguii.
«Ora piega la gamba anteriore e inclinati verso di me.»
«Okay ma non voglio...»
«Amber, non mi fai male, tranquilla.»
Jade parò il mio attacco con sicurezza, deviando il mio affondo e fu fulminea nell'eseguire la mossa.
«Che riflessi», commentai.
Lei sorrise e io mi sciolsi. Aveva delle fossette davvero profonde.
«Che sport fai?», mi chiese poi.
Io?
La guardai stranita.
«Nessuno. A meno che le olimpiadi di matematica non valgano qualcosa. Quelle le ho vinte quasi tutte.»
«Quanti studenti ha la vostra scuola?»
«Molti. Circa cinquecento.»
«Be, non male, no?»
Anticipai il movimento di Jade e lanciai un colpo mentre era ancora in fase di attacco. Non so come, ma la presi sul fianco.
«Impari in fretta!» scoppiò a ridere, prima di prendere un lungo respiro.
Jade posò la spada e ci sedemmo sul bordo del materasso.
«Sei venuta qui in Francia solo per Scar, vero?» domandò levandosi i guanti.
«Sì.»
«C'è qualcuno che ti sta simpatico o...»
Sì, tu
«No, nessuno. I tuoi amici sono... boh.»
«Sei di poche parole...» commentò.
«Dipende», sbuffai.
«Con le tue amiche sembri spigliata, ma poi...»
Divento ghiaccio con gli estranei che non mi piacciono.
«Cosa vuoi sapere, Jade?»
«Cosa pensi dei miei amici?»
«Io, Mauve e Scar veniamo da famiglie umili. I tuoi amici invece sono ricchi, di conseguenza viziati e cresciuti tra il lusso e l'arroganza, con la convinzione che il mondo sia ai loro piedi. I loro genitori da generazioni hanno sempre avuto tutto senza dover lottare, come se ogni desiderio fosse un diritto. Il privilegio li acceca, non conoscono il valore del sacrificio. Tutto ciò che faccio io è il frutto di giorni e notti spesi a costruire da zero quello che loro ricevono su un piatto d'argento. Cosa devo pensare? Che per loro è tutto scontato mentre per me, il traguardo, anche il più insignificante, ha un peso che loro non possono comprendere. Loro non conosceranno mai la soddisfazione di aver ottenuto qualcosa con le proprie mani. Cosa potremmo mai avere in comune?»
Arrossii perché mi accorsi di aver parlato troppo. E credetti seriamente che Jade si sarebbe arrabbiata. Invece mi rivolse un sorriso furbetto.
«Ah, però... Quando vuoi parli.»
Mi imbarazzai. I suoi occhi verdi erano davvero luminosi.
«Amber, lo pensi anche di me?»
Mi masticai la guancia, mi rendeva nervosa.
«In teoria sì, in pratica non l'ho mai pensato, Jade.»
«Cosa? Che fossi una stronza?»
«Sì.»
«Sai, Amber... non penso sia il conto in banca a determinare quanto la vita ti renda stronza o meno.»
Mi sentii in colpa per averla giudicata troppo in fretta.
«E poi..»
«Cosa?» le chiesi.
Volevo che continuasse.
«I miei non se la stanno passando bene.»
Con la voce mimai un verso diffidente.
«Che c'è, non mi credi?»
«Scar ha detto...»
Jade mi guardò incuriosita. «Cosa?»
«Niente. Quando parla delle vostre case sembra siate tutti principi e principesse.»
«Mio padre è un primario rinomato. Prima di lui lo era mio nonno.»
«Tuo nonno lavora ancora in ospedale?»
«Sì. È il direttore. Mia mamma è capo nel consiglio di amministrazione»
«Tutto in famiglia...» borbottai, sottolineando ancora una volta la mia tesi.
«Forse non hai così torto... Ma in passato ci sono casi dei casini in ospedale che minacciano di venire a galla.»
«Che casini?»
«Casi di falsificazione di alcuni documenti medici per coprire degli errori professionali che avrebbero potuto distruggere le loro carriere. I miei sarebbero i primi a pagare se sta cosa esce fuori.»
«Sono stati loro?»
«Non lo so, sono i miei genitori. E sono i primi a voler evitare scandali e mantenere la reputazione», spiegò.
«E tu cosa c'entri?»
«C'è questo consigliere comunale, ha diverse connessioni con il mondo della politica e della sanità. Vogliono frequenti suo figlio.»
«Ma siamo nel medioevo?», esclamai costernata.
«Funziona ancora così per certe famiglie, Amber. Mio padre ha insistito per farci conoscere.»
«Lui... ti piace?»
«Assolutamente no. Ecco perchè te lo sto dicendo.»
Sentii le guance prendere fuoco, perciò abbassai lo sguardo.
«Ah, scusa.»
«E a te piace?», mi domandò all'improvviso.
Lentamente, sollevai gli occhi e fui abbagliata dai suoi smeraldi.
«Cosa?» chiesi faticando a reggere quell'occhiata intensa e ravvicinata.
Jade si sporse verso di me e mi lasciò un bacio a stampo. Nient'altro. Forse voleva che realizzassi. Ma io non realizzai affatto. Mi sfiorai le labbra, come scottata da quel contatto.
«Sì o no?» chiese sfacciata.
Annuii deglutendo.
Allora mi colse impreparata ancora una volta, tornò verso di me e dopo l'attimo di impaccio iniziale, fu brava a schiudere le labbra contro le mie, invogliandomi a fare come lei. Le nostre lingue si sfiorarono dolcemente, e un'ondata piacevole m'indusse a chiudere gli occhi, scaldandomi la pancia.
Non l'avrei mai ammesso, ma quello era il mio primo bacio.
Maledizione, avevo appena baciato Jade, la sorella di quel maleducato del migliore amico del tizio troppo alto che piaceva a Scarlett.
SCARLETT
Di ritorno, Ace non disse una parola. Ma un po' avevo imparato a conoscerlo. Sua madre sapeva manovrare bene i suoi sensi di colpa e, di conseguenza, anche il suo umore.
Era ormai tardo pomeriggio, stava per mettersi a piovere e i nuvoloni sopra le nostre teste si facevano sempre più pensanti.
«Non preoccuparti per me. Io resto qui a farmi una nuotata» , disse quando tornammo a casa sua.
Mi rifugiai in soggiorno e chiamai la nonna, ma quando i tuoni cominciarono a essere troppo ravvicinati, mi spaventai perchè Ace non era ancora rientrato.
«Ace!» Corsi sotto la pioggia per richiamarlo.
Un tuono mi fece sobbalzare e mi strinsi contro il muro, sotto la tettoia. Ace però non mi aveva sentita, quindi presi coraggio e mi avvicinai alla piscina.
La pioggia era battente e solo allora lui mi notò.
«Che fai lì? Ti bagni», disse riemergendo dall'acqua.
«Volevo chiederti una cosa.»
Ace posò un palmo sul bordo e si issò fino a fuoriuscire completamente.
«Ti stai inzuppando. Cosa devi chiedermi?» domandò facendomi cenno di rientrare.
«Ti ricordi quando hai detto che non vuoi essere solo una distrazione per me...»
«Sì, lo ricordo.» Afferrò un asciugamano nascosto sotto l'ombrellone aperto, poi me lo offrì.
«Io lo sono per te?»
Si accigliò nel vedermi a braccia conserte.
«Scarlett, entriamo dentro.»
«Perché non rispondi?»
«Sta piovendo e ti prenderai un accidente.»
Ace si avvolse il bacino con l'asciugamano pulito, poi, quando rientrammo, afferrò una coperta dal divano e me la sistemò sui capelli bagnati.
«Non si rovina?», chiesi confusa, nel notare il tessuto pregiato.
«Non fa niente.»
La casa era ancora immersa nella quiete, sembravamo essere soli.
«Cosa c'è?» domandai nel vederlo silenzioso.
Ace abbassò lo sguardo, mentre la pioggia battente rigava le vetrate.
«È inutile far finta di niente, ha ragione mia madre.»
Mi ghiacciai.
«Ace.»
Sollevò lo sguardo e mi rivolse un'occhiata sofferente. «Cosa stiamo facendo?»
Lo chiese a me, o forse a se stesso.
«Non lo so, ma da come hai reagito, inizio a pensare che mi stai usando per fuggire dai tuoi problemi, Ace.»
«No, tu mi stai aiutando a fuggire dai miei problemi. Il che è diverso, Scarlett.»
«Che vuoi dire?»
«Non sei uguale a niente che conosco e sei diversa da tutto ciò che ho conosciuto finora e che probabilmente conoscerò mai in vita mia. E sì, la cosa mi distrae e mi attrae.»
Trattenni il respiro.
«Ma so che in fondo lei ha ragione.»
Mi sentii sprofondare.
Abbiamo passato una giornata perfetta. Perchè devi rovinare tutto?
Mi voltai di scatto.
«Scarlett, io non voglio farti...»
«Non ricominciare, Ace! L'hai già detto che non vuoi farmi del male. Tua madre ti ha fatto sentire in colpa e ora fai così.»
«Sì, ma non posso darle torto. Non andiamo da nessuna parte con questa cosa, io e te.»
Con le lacrime agli occhi non riuscii a vedere la sua espressione quando mi voltai e chiesi:«Perché? Solo perché tra qualche settimana me ne torno a casa mia?»
Forse ero un'illusa, forse lui nemmeno ci aveva pensato che me ne sarei andata dalla sua città. Ero la sua distrazione estiva, una delle tante. Caddi dalle nuvole e fece dannatamente male.
«Stai gelando. Ti preparo un bagno caldo?» domandò quando mi vide tremare.
Volevo mandarlo al diavolo, ma non ci riuscivo. Iniziai a singhiozzare e lui mi risistemò la coperta addosso per coprirmi al meglio.
«Scarlett.»
Avevo già capito.
«Parla per favore», mormorai senza fiato.
«Dirlo senza fare lo stronzo non è facile.»
«Provaci.»
«Lo vedo come mi guardi e sarebbe facile approfittarne.»
Giocherellò con i capelli che mi cadevano umidi sulle spalle nude.
«Potrei passare questi giorni con te, a dirti quanto ti voglio, che tra parentesi e la verità, e raccontarti tante cose belle solo per...»
Le sue parole mi dilaniarono lo stomaco.
«Okay, ho capito», lo interruppi.
Lui continuò ugualmente.
«...Per poi dirti addio e per dirti che te l'avevo detto. Ma non sono così, non ci riesco.»
«Ti sei pentito per oggi, vero?»
«No. Ma sono contento che non siamo andati fino in fondo.»
Non seppi come reagire.
«Mi hai chiesto di essere sincero, no?» aggiunse poi.
Sì, ma non così tanto.
«Scarlett, ogni volta che mi avvicino a te, è come se alimentassi nuovamente qualcosa che non dovrei.»
Perché mi metteva in quella situazione? Capivo il suo punto di vista e da un lato apprezzavo la sua sincerità, ma mi metteva in difficoltà. Qualsiasi mia scelta sarebbe stata quella sbagliata.
«Allora non farlo più. Non avvicinarti mai più a me.
BRICK
Scesi per cena con il morale sotto i piedi.
Dopo il pomeriggio trascorso al mare, Mauve non mi parlava e mio padre mi aveva appena fatto una sfuriata al telefono.
«Tuo padre? Come sta?» chiese Ace quando mi sedetti sul divano accanto a lui e accesi Netflix.
«È nervoso, pare che sia successo un casino.»
«Ah, sì?»
Jet si unì a noi con una sigaretta in bocca e Ace gli fece subito cenno di non fumare in casa.
«Sì. Aveva bisogno di me in ufficio in questi giorni e io invece me ne sono andato in vacanza. Come al solito trova una scusa per avercela con me», sbuffai.
«Mi dispiace», mormorò Ace, le spalle basse, i gomiti sulle ginocchia. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, sembrava in pensiero per qualcosa.
«Poi dovevano cominciare il progetto di rinnovo del quartiere a breve... ma a quanto pare gli tocca rimandare.»
«Oh, davvero?»
Jet guardò Ace. Bastò un'occhiata fulminea.
«Che hai fatto, Ace?» chiese Jet.
A quel punto i miei occhi passarono rapidi da Jet a Ace.
«Ace?» Saltai su, tant'è che la mia voce uscì stridula.
Lui sembrava fatto di ghiaccio. Non un'emozione sul viso, il solito animale a sangue freddo.
«Dimmi.»
«Che stai tramando? Guarda che è il lavoro di mio padre.»
«Fattelo dire da lui, allora. No?»
«Io non voglio essere complice, eh», s'intromise Jet alzando le mani. «La vita da galera non mi emoziona.»
«Non mi dire...» borbottai.
«Anche perché ho delle situazioni qua fuori che mi mancherebbero in carcere.»
«Si può capire chi sono queste fidanzate fantasma?» gli domandai.
Era da un po' che Jet faceva tutto in segreto. Non era da lui.
«Madre e figlia dell'allenatore?» ipotizzò Sienna, sorprendendoci alle spalle. Si appoggiò con le mani sullo schienale del divano.
«No.»
«Fai tanto il misterioso...» commentò lei.
«Già. Ma io lo scoprirò», lo presi in giro.
Poi mi voltai verso Sienna che era in piedi e mi stava guardando.
«È una sfida?» domandò.
«Può darsi...»
«Accettata.»
«Sì bravi, divertitevi alle mie spalle», bofonchiò Jet prima di uscire per fumare una sigaretta.
Anche Ace si alzò in piedi e si allontanò.
«Che succede tra te e la ricciola?» m'interrogò Sienna quando rimanemmo da soli.
«Niente.»
In realtà avevo bisogno di parlarne con qualcuno. Ma Ace era troppo preso da non si sa cosa, Jet invece era un buon amico, ma con i consigli in ambito sentimentale non era il massimo.
Guardai Sienna.
Mi trattava come un bambino e mi prendeva in giro da quando avevo memoria.
«Avanti. Parla»
«Non so che fare...» confessai.
Avevo bisogno di un consiglio.
«Che è successo?»
«Non lo dici a nessuno, vero?»
Lei si sedette sul divano accanto a me.
«Che hai combinato, Brick?»
SCARLETT
Se c'era una cosa che non riuscivo a fare, era odiare Ace.
Nel bagno in camera mi aveva fatto trovare la vasca piena di acqua calda fino all'orlo e, come se non bastasse, qualche cioccolatino insieme a un frullato alle fragole.
Ero tremante con il gelo nelle ossa, quindi decisi di approfittarne: mi spogliai e dopo essermi immersa nell'acqua bollente, mi sentii subito meglio. Il cielo oltre le finestre era scuro e il temporale non dava cenno di smettere.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai con la nuca contro la ceramica. Il mio corpo era ancora cullato dalle sensazioni piacevoli provate qualche ora prima, ma la mia mente era in guerra.
Pensai ai romanzi che leggevo, ai problemi di fiducia del protagonista di turno che non si voleva avvicinare alla ragazza per non restarci ferito. Ma in verità non era questo il caso. Il problema ero solo io: che non ero abbastanza bella, intelligente e interessante o, forse grande, se lui non mi voleva più.
Uscii della vasca dopo circa un'ora che ero stata ammollo. Mi avvolsi nell'accappatoio morbido, raccolsi i capelli in un asciugamano, poi uscii dal bagno.
Mi sedetti sul letto e cominciai a squadrare il phon che Ace mi aveva lasciato sul materasso per capire come metterlo in funzione.
Sentii il naso formicolare, finchè non iniziai a starnutire. «Eccì»
«Ti stai ammalando.»
Alzai gli occhi perchè Ace era appena entrato in stanza.
Scattai in piedi non appena lo vidi.
«Dove vai?» mi domandò.
«Non voglio stare qui con te.»
«Perchè fai la bambina?»
«È così che mi tratti. Poi non ti ricordi cosa mi hai detto poco fa?»
«Va bene, ma puoi restare qui. Non sei comoda a dividere il letto con le altre.»
«Non lo voglio dividere con te», affermai decisa.
Lui dapprima inarcò il sopracciglio, ma alla fine cedette.
«Okay, signorina come vuoi. È tutto tuo.»
Lo vidi avvicinarsi alla porta che era già aperta.
«Ti sei sentito in colpa dopo il nostro primo bacio?»
«No», disse con lo sguardo rivolto al corridoio.
«Come ti sei sentito?»
«Non voglio rispondere.»
«E dopo ieri?»
Ace abbassò il capo.
«Però quando me lo chiedi tu, io devo rispondere.»
Poi starnutii di nuovo.
«Asciugati i capelli.»
Ace varcò la soglia e io notai subito che fuori c'erano i ragazzi.
«Eccì»
«È solo uno starnuto, rilassati», sogghignò Jet quando passò di fianco a Ace, dandogli una pacca sulla spalla.
Ace si voltò verso di me e le mie parole fuoruscirono incontrollate.
«Non abbastanza però.»
«Cosa, Scarlett?»
«Hai detto di volermi. Ma non abbastanza.»
«No, non è...»
«Lascia stare.»
Avrei potuto prendere le mie cose e andarmene da lì. Invece sbattei la porta e lo chiusi fuori da camera sua.
«Giochiamo?»
Dopo cena, Sienna sembrava l'unica a non essere d'accordo con la proposta di Cinnamon.
«Perché no?», ribattè Honey.
«Sono solo scuse per farvi chiunque, io non sono come voi» puntualizzò la rossa con il suo tono acido.
Noi ragazze eravamo in cucina, stavamo riponendo i piatti nella lavastoviglie, ma la situazione si stava scaldando, tant'è che Ace e Brick vennero a controllare cosa stesse accadendo.
«Sai cosa? Mi hai stufata. Quella è la porta», sbottò Cinnamon.
Sienna guardò Ace che si strinse nelle spalle.
«Se non ti piacciamo, te ne puoi andare, Sienna» la rimbeccò Honey.
«Patetiche», fece Sienna lanciando lo strofinaccio sul bancone.
Ma prima di andarsene, puntò Cinnamon con sguardo efferato.
«Tu dovresti andare a vedere come sta la tua migliore amica, e invece vuoi passare la serata a ubriacarti.»
Sienna si riferiva a Jade, che non si era vista per tutta la sera.
Si voltò verso Honey. «Tu invece non dovevi nemmeno essere qui.»
Honey arricciò le labbra con una smorfia. «Ace mi ha invitata.»
«Brick ti ha invitata. Solo perchè vuole infilarsi nelle tue mutande da quando andavate alle medie.»
Poi si girò verso Mauve. «E no, tu non gli piaci.»
Honey ridacchiò.
«Fossi in te non riderei. Vale lo stesso per te: Ace non ti guarda nemmeno per sbaglio.»
Infine i suoi occhi chiari caddero su di me.
«E tu non ti illudere, lo sanno tutti che non state insieme eppure tu sei partita completamente per lui.»
«Ah perchè tu no?» salto su Amber per difendermi.
«Sì, ma a differenza vostra, ho un po' di amor proprio. La facilità con cui voi vi infilate nei letti dei ragazzi io non ce l'ho. »
Non capii da dove arrivasse tutto quell'astio.
Cinnamon si agitò appena, ma fu Mauve ad affrontare Sienna.
«Qual è il tuo problema?», la sfidò arrivandole a un soffio dal viso.
«Non lo so, ti sei attaccata a Brick come una cozza. Almeno Scarlett lo sta facendo penare, mentre tu pensavi di conquistarlo finendoci a letto?»
Il gelo cadde in quella cucina.
Guardai Mauve terrorizzata.
«Di cosa... Di cosa sta parlando, Mauve?»
«Oh oh», ridacchiarono le altre due.
«No, io non...»
«Mauve, cosa sta dicendo?»
Sienna scrollò il capo, infine si rivolse a me.
«E tu svegliati!»
Poi oltrepassò le sagome di Ace e Brick fermi sulla soglia e se ne andò.
«Ma è pazza? È notte e fuori c'è una tempesta», esclamò Brick quando udì la porta d'ingresso chiudersi con un tonfo.
«Cosa devo fare? Fermare la pioggia?» sbuffò Ace.
Brick scrollò il capo e seguì Sienna. Vidi Mauve abbassare lo sguardo mortificata, e io sentii le ossa diventare di ghiaccio quando anche lei se ne andò dalla cucina. Ma invece che uscire di casa, andò a rifugiarsi in bagno.
«Mauve, ti prego... parla», la supplicai, raggiungendola.
«Scar, smettila okay?»
«Non diceva sul serio, vero?»
I suoi occhi color pece si riempirono di lacrime.
«Mi stai giudicando?»
«No Mauve, ma non puoi aver...»
«Dio, a volte penso che Silver abbia ragione su di te!»
Spalancai la bocca ma non uscì un suono. Ci misi un po' a formulare una frase di senso compiuto.
«Mi preoccupo solo che ci resti male, se poi lui ti spezzerà il cuore», spiegai con la voce tremolante.
«Vale lo stesso per te e Ace.»
Perchè è tutto nella tua mente, Scarlett.
Sentii gli occhi bruciare. Dovetti andarmene per non scoppiare a piangere davanti a lei.
Mi fiondai in salotto, riavviai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e presi un lungo respiro per calmarmi.
Poi mi girai di scatto e Mauve mi stava venendo incontro.
«Scusa» le dissi di getto.
«No, scusami tu» fece lei.
«Non me ne frega niente di me, voglio solo che qualcuno non ti faccia soffrire, Mauve.»
Lei mi abbracciò. «Scusa per quello che ho detto su di te, di Silver.»
«Pensa davvero che la giudico?» le domandai.
«Lei dice così, ma chi non la giudicherebbe...» s'intromise Amber.
«Forse a volte siamo un po' dure con lei» ammisi.
«Sì, mi dispiace non sia venuta» bofonchiò Mauve.
In quel momento sentii una mano posarsi dolcemente sul mio fianco. La presa fu sicura e la riconobbi subito. Ace doveva passare proprio da lì e mi spostò con delicatezza.
Mi turbò il suo tocco. Come mi spiazzava ripensare a quel pomeriggio. Non era quello che avevamo fatto alla casetta la mare, ma i discorsi in barca, la pietra e... mi aveva fatta sentire davvero speciale.
Mentre ora... non sapevo cosa pensare. Con la coda dell'occhio sbirciai nella sua direzione e vidi che stava aiutando Honey ad aprire una bottiglia.
«No, voglio fare da sola» cinguettò lei.
Lui le fece vedere il movimento, lei eseguì e il tappò uscì.
«Brava.»
Sentii la morsa della gelosia divorarmi lo stomaco. Honey poi, era sempre così bella che era impossibile non notarlo.
«Silver ti sta sostituendo in caffetteria», disse Mauve.
Chi? Ah già.
Ritornai sul pianeta terra. «Come scusa?»
«Gliel'ha chiesto la mamma di Rose. Rose però non era contenta, non so cosa c'è tra quelle due.»
Cinnamon si inserì tra noi e ci offrì da bere.
«Scusate per Sienna. Pace, okay?»
Io e Mauve ci guardammo, infine decidemmo di accettare.
Ace ripassò accanto a noi in quel momento.
«Stai facendo la brava?» mi sussurrò nell'orecchio, gli occhi sul mio bicchiere.
«Perchè non lo chiedi alla tua amichetta?»
Vidi Amber nascondere il ghigno dietro al bicchiere.
Ace allora scrollò il capo sorridendo. I suoi occhi divennero piccoli e io sentii un tuffo al cuore.
Indietreggiai appena, quanto bastò per distanziarmi dalle mie amiche e parlare con Ace.
«La signorina è gelosa?»
«Non la reggo a volte», confessai riferendomi a Honey.
«E come mai?»
«Vuole essere a tutti i costi la tua preferita.»
«Non può.»
«Perché?»
«Avanti, lo sai perchè.»
No, no, no no, devo stargli lontano.
Ace tornò sul divano insieme ai suoi amici e io tornai a respirare.
«Che succede tra voi?» chiese Mauve, riavvicinandosi.
«Oggi era tutto un "dobbiamo stare distanti, tra non finirà bene" e ora...»
«Ci prova, ma non riesce a starti lontano», costatò Mauve con un sorriso.
«È un ragazzo Scar, e come tutti i ragazzi non vuole trovarsi a fine serata da solo» si intromise Amber, come al solito più cinica.
«Allora perché sempre lei? Le altre gli muoiono dietro, perché deve tormentare sempre Scar?» sussurrò Mauve per non farsi sentire dagli altri.
Sienna aveva ragione? Mi stavo illudendo perchè volevo illudermi?
«Qual è la tua tesi?» domandai a Mauve.
«Gli piaci per davvero. Te l'ho sempre detto.»
«Non abbastanza Mauve.»
«Perché dici così, Scar?»
«Perchè sennò la finirebbe con la storia del "siamo solo amici"», intervenne Amber.
«Be' ma noi siamo solo ...»
«Scarlett!» Le mie amiche mi rimproverarono in coro.
In quel momento però, calò il buio più totale.
«Cosa diavolo succede?» sbottò Mauve.
Inizia ad boccheggiare.
«In questa zona, quando piove troppo, succede che va via la luce. La casa è vecchia», commentò Jet.
Ero terrorizzata. Non riuscivo a respirare.
«Il contatore è molto vecchio» spiegò Ace.
Poi azionò la torcia del telefono. «Vado giù a dare un'occhiata» lo sentii dire.
«No, aspetta. Perchè devi andare di sotto?» chiese Cinnamon. O forse Honey.
Le voci cominciarono a confondersi tra loro.
«Scar?» mi chiamò Amber.
«Che fretta c'è?» domandò Jet.
Mi sentivo soffocare e il cuore mi martellava nelle orecchie.
«Ace, ma che fai?»
«Sto cercando una candela.»
«Approfittiamone per giocare, no?»
«Nascondino?»
D'un tratto qualcuno mi porse una candela accesa e io ricominciai a vederci qualcosa.
«Tutto bene?»
Sollevai lo sguardo e ammirai il viso di Ace illuminato dalla luce fioca della fiammella. Riuscii soltanto a bisbigliare un «Grazie.»
E finalmente il mio respiro cominciò a regolarizzarsi.
«Guardate chi è tornato, l'eroe di guerra.»
Brick fece il suo ingresso in salotto e riuscii a vedere quanto fosse fradicio dalla luce della torcia che Maize gli puntò addosso.
«Finiscila, Maize!»
«Giochiamo o no?», insistette lui.
«Vi sembra il momento?!» obiettò Amber.
«Per una volta mio fratello ha ragione, può essere divertente», intervenne Cinnamon.
«Ace?»
Lo interpellarono, ma lui esitò.
«Niente nascondino perché mammina ti ha detto di non rispolverare i suoi scheletri negli armadi?» ridacchiò Cinnamon.
Ace continuava a fissarmi, chiaramente aveva visto e capito quanto fossi impaurita.
«No, devo... andare di sotto e sistemare il contatore.»
«Ma perché devi sempre fare il guastafeste?»
«È okay» sussurrai io.
Gli altri mi guardarono confusi.
«Sicura?» mi domandò Ace.
Annuii. «Sì.»
«Va bene, prepariamo gli shottini. Honey sei l'incaricata per questo» impartì Maize. «Poi li nascondiamo per la casa e una volta iniziato il gioco, mentre cerchiamo il nascondino, collezioniamo gli shottini che troviamo. Sono i pass per non uscire dal gioco, quando veniamo beccati.»
«Cosa fai quando vieni beccato?» domandò Mauve.
«Bevi lo shot. Sono le vite che ti rimangano per salvarti» spiegò Brick, causandole un'espressione infastidita.
Mauve si girò dall'altra parte pur di non dovergli parlare.
«Chi li nasconde però?» chiese Honey, già intenta a sistemare i bicchierini sul tavolino e a riempirli con della vodka alla fragola.
«Io» si offrì Amber. «Tanto non gioco.»
La vidi dare un'occhiata al cellulare, poi al piano di sopra.
Honey intanto ci invitò a bere qualche sorso ancor prima di cominciare il gioco. Ne buttai giù un paio: la vodka aveva un sapore dolciastro e bruciava nel petto.
Maize finì di spiegare le regole mentre Amber era andata a nascondere gli shottini al piano di sopra, aiutata dalla torcia del telefono.
«Si nascondono tutti tranne chi cerca. Ogni volta che il cercatore trova qualcuno, entrambi bevono. Dopo aver bevuto, il giocatore trovato diventa "cercatore" e il precedente si nasconde. Ma solo se ha vite, altrimenti viene eliminato.»
Amber tornò annunciando di aver nascosto i bicchierini.
«Cerchi tu Brick», decise Cinnamon.
«Ma perchè io?» si lagnò lui.
«Perchè così non finisci tutti gli shottini.»
«Dov'è Jade?» domandò Jet.
«Non le andava di uscire dalla stanza questa sera», spiegò Honey.
«E Amber?» chiesi quando non la vidi più.
«Okay, via tutti i telefoni ora», annunciò Maize indicando la mia candela accesa.
Guardai Ace spaventata, lui mi fece cenno di stare tranquilla.
«Non vale, si gioca al buio», si lamentò Honey.
Jet mi indicò. «Avevamo detto...»
«È casa mia e decido io, Jet. Ecco cos'ho detto.»
Jet ridacchiò nell'udire il tono risoluto di Ace.
«Grazie», sussurrai ad Ace con il labiale.
Aveva fatto due cose carine nell'arco di dieci minuti. E se ripensavo alla vasca e all'avermi lasciato camera sua... no, meglio non pensarci. Non dovevo cedere.
I ragazzi salirono al piano di sopra in rigoroso silenzio, nel buio più totale.
La candela tremava tra le mie dita.
«Maize.» Ace lo richiamò per comunicargli qualcosa sottovoce. Udii solo Maize dire: «Come ti pare, tregua.»
Mi feci coraggio e salii a passo lento al piano di sopra, facendo attenzione a non inciampare. Ovviamente inciampai, fortuna che mi ressi al corrimano in tempo.
Una volta al piano superiore, provai a orientarmi, ma quel corridoio si allungava spaventosamente. Non lo ricordavo così grande.
D'un tratto andai in panico perchè qualcuno mi passò a fianco e bastò un soffio che la mia candela si spense. Riconobbi però la risatina di Maize che si allontanava.
Mi voltai. Ero tutto buio intorno a me e avevo lasciato il telefono in stanza.
Okay, Scarlett. Puoi farcela.
Sentii dei rumori in lontananza, qualcuno aveva parlato. Forse qualcuno era stato trovato, la pioggia battente però, copriva quasi tutti i suoni.
Decisi quindi di voltarmi e proseguire nella direzione opposta. Avanzai con le mani in avanti, sfiorando tutto ciò che incontravo, quando finalmente mi ritrovai in una stanza. Poteva essere una camera da letto o forse una lavanderia. Tastai delle ante e mi accorsi che quello che stavo toccando era un armadio. Proseguii oltre, ma d'un tratto dei passi si fecero vicini.
Non riflettei, aprii le ante e mi infilai dentro.
Non sapevo chi cercava, ma qualcuno di sicuro era appena entrato lì insieme a me.
All'improvviso il cuore cominciò a pulsare disperato nel mio petto. E non solo perchè era entrato qualcuno, ma perchè riconobbi immediatamente il suo profumo.
M'individuò subito perchè aprì le ante e, nello spazio ristretto, sentii il suo petto caldo contro il mio.
«Ti sei fatto beccare subito, non eri quello che vinceva a tutto?»
La mia voce tremò nell'oscurità.
«Sono quello che si è fatto beccare subito in modo che nessun altro dovesse cercarti.»
Ace lo disse sulle mie labbra, rubandomi il fiato.
«Che ti importa se qualcuno mi trova al posto tuo? Tanto non andiamo da nessuna parte io e te. No?»
Ace chiuse le ante alle sue spalle e portò l'indice sulla mia bocca.
«Shhh... Stai parlando troppo.»
Era tutto buio intorno a me, sentii solo le sue mani sui miei fianchi e il poco alcol ingurgitato mi faceva girare un po' la testa.
«Perché fai così, Ace?»
«Non riesco a non farlo, è difficile da capire? E ti sembro tanto perfetto? Be' non lo sono. Ho un casino in testa da quando ti ho conosciuta.»
Maledizione.
«Mi stai dando la colpa per i tuoi cambi di idee?»
«Voglio davvero starti lontano, è inutile che mi prendi in giro, signorina.»
«Ma fallisci. Quindi a qualche gioco sai perdere.»
Ace sorrise contro il mio orecchio e il respiro tiepido mi diede i brividi, così come il suo corpo grande che mi avvolgeva.
«Quando si tratta di te... »
Le sue mani mi strinsero in vita.
«Manderei tutto e tutti a farsi fottere. Anche quello che ho detto cinque minuti fa.»
«Anche te stesso?»
Lo sentii sorridere per la mia audacia e lo feci anch'io.
«Ti fa ridere, Ace?»
«Anche tu stai sorridendo, Scarlett.»
Ero con me spalle contro l'armadio e nel buio sembrava tutto più eccitante. Per un attimo pensai di aver superato quella paura. Non ero più paralizzata a causa dell'oscurità, era quasi piacevole.
«Sì, ma io ti odio...» mormorai con tono provocatorio.
«Mi odi?»
Sentii la sua mano scivolarmi tra le cosce, mi sollevo il vestito e s'infilò nelle mie mutandine.
«Però... Mi piace il modo in cui mi odi.»
Ritrasse subito la mano.
«Hai così tanta paura di prendere la mia virtù a mani nude?», lo sfidai.
«Scarlett?»
«Scu...scusa.»
«Dio mio. Non bere più.»
Con il dito seguii la linea della sua vena turgida che, dal polso, gli percorreva il braccio. Salii sempre più in alto, fino a sfiorargli il collo. Premetti dolcemente sulla gola e sotto i polpastrelli sentii la sua arteria pulsare rapida. Il suo cuore, forse, batteva forte tanto quanto il mio.
«Lo sto sentendo per davvero?»
«Di cosa parli, Scarlett?»
«Tutto questo è reale? O ti voglio così tanto che mi sto immaginando tutto?»
«È reale» sussurrò nel mio orecchio prima di risucchiarmi lobo tra le labbra e spingermi contro la parete.
«Però è tutto un gioco per te...» mi lamentai, tentando di nascondere quanto fosse piacevole la sua bocca tra i miei capelli.
«Riesci a giocare con me?», ansimò contro la mia guancia.
«No, perché non riesco a starti dietro e mi stai facendo uscire di testa, Ace»
A quel punto sentimmo un rumore.
«C'è qualcuno, devi beccarlo», dissi sottovoce.
Ace allora mi lasciò un bacio sul collo, poi uscì dall'armadio.
«Ace, oddio!» esclamò una voce femminile.
Honey.
«Hai altri shot?» le chiese.
«No. Ho perso» disse lei.
«Oh okay.»
Sentii il rumore dei tacchi muoversi e poi fermarsi.
«È vero quello che ha detto Sienna?»
«Mhm?»
«Non mi avresti invitata?»
«Sì, è vero. »
«Perché ho detto qualcosa o ...»
«No.»
«Lo so che Brick... voglio dire, so che non vuoi ferirlo, Ace...»
«Honey, non è per Brick. È "no" e basta.»
«Vuoi farmi credere che io sia pazza?»
Appiccicai l'orecchio all'anta.
«Non ho detto questo.»
«Quando tu e Sienna vi siete lasciati, mi hai fatto credere... »
Honey abbassò la voce.
Cosa? Parla. Parla!
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«Quella volta, mi hai guardata per tutta la sera...»
«Sarà, ma non lo ricordo nemmeno.»
Chiusi gli occhi. Per quanto non avessi alcune simpatia per Honey, non riuscii a non mettermi nei suoi panni.
Lei se ne andò, Ace aprì la porta e io uscii dall'armadio.
«È vero?»
«Cosa, Scarlett?»
«Le hai fatto credere che avesse una possibilità?»
Come hai fatto con me?
«Io e Sienna abbiamo smesso di frequentarci più di un anno fa. Non mi è mai interessata Honey, cosa devo dirti?»
Sospirai. Ero confusa. Parecchio confusa.
«Sì, ma com'è possibile? Lei è bellissima e perfetta...»
«Pensi che mi interessi questo?»
Non seppi come rispondere.
«Se lo pensi, ti sbagli. E poi...»
Resisti, Scarlett.
Nel buio le sue labbra mi sfiorarono la fronte.
«Tu lo sei molto di più.»
Deglutii e fortunatamente non risposi "Grazie, anche tu."
«Ora voglio tornare di là», soffiai incurante.
«Ti accompagno.»
«Non ce n'è bisogno...»
All'improvviso la luce tornò.
Mi trovai in difficoltà. Quasi più di stare al buio stretta a lui, perchè alzai il mento e sprofondai nei suoi occhi scuri.
Devo resistere.
Non so per quanto tempo io e Ace eravamo rimasti nell'armadio, ma alla fine la corrente era ricomparsa e gli altri avevano perso interesse a giocare a nascondino.
Quando tornai in salotto, trovai i ragazzi seduti intorno al grosso tavolo in legno.
Mandai un messaggio a Mauve.
dove sei?
tornata in camera. sono stanca e non ho voglia di vedere lo stronzo
domani possiamo parlare?
sì Scar e scusa ancora per prima
ti voglio bene
ti voglio bene anch'io.
Non avevo sonno e non sapevo come liberarmi del pensiero di Ace, perciò mi sedetti con i ragazzi al tavolo.
Jet mi squadrò sbuffando una grossa nuvola di fumo e si beccò l'occhiataccia di Ace.
«A cosa giocate?» chiesi guardando le carte che giravano tra le loro mani svelte.
Con la coda dell'occhio notai che Ace era sparito scendendo le scale che portavano allo scantinato, forse per controllare che fosse tutto okay in casa.
«A carte», rispose Brick.
Li squadrai con aria diffidente. C'era pure Maize, ma per qualche motivo la tregua che aveva stabilito con Ace lo rendeva innocuo. Forse momentaneamente.
«Nessuno si spoglia, è un gioco normale», puntualizzò poi Jet.
«Devo crederci?»
«Ma per chi ci hai presi?» esclamò Brick facendomi ridere.
Così giocai a Blackjack ma ero una frana e finii per bere più del dovuto.
L'unica cosa che mi divertì è che riuscii a vincere alcune partite contro Maize e la cosa mi esaltò parecchio.
«Mi hai spento la candela, prima. Ben ti sta» dissi a Maize.
«Scommetto che poi, grazie al mio gesto, sei finita a sbaciucchiarti da qualche parte con il tuo amichetto» mi prese in giro lui.
«Non sono affari che ti riguardano.»
Maize si voltò verso Brick «Ah, ma quindi se la fa per davvero?»
«Be'...»
«Benjamin.»
Brick drizzò la schiena.
«Perchè lo chiedi a me, Maize? Io cosa ne so», si corresse.
Ace mi sfilò alle spalle e mi levò il bicchiere dalle mani.
«Jade ieri è tornata in quello stato. Non mi sembra in caso di esagerare», sussurrò nel mio orecchio per non farsi sentire dagli altri.
Notai nella sua voce una nota leggermente oscillante.
«Hai bevuto anche tu» sottolineai.
«Sì, ma quello è novanta chili di muscoli» ridacchiò Maize.
«Quello ci sarà tuo padre, che dovrebbe farsi tua madre un po' più spesso, invece di rompere le scatole alla mamma di Ace.»
Le parole mi uscirono un po' troppo concitate e mi stupii di me stessa.
«Scarlett!»
Spalancai gli occhi e mi portai una mano alla bocca.
«Scu.. scusa Maize, davvero non volevo...»
Tranne Ace, tutti i ragazzi scoppiarono a ridere, Maize compreso.
«Posso sapere chi ha invitato la gente che c'è fuori da casa mia?» chiese Ace passando in rassegna i suoi amici. Tutti puntarono Brick.
«Dov'è Sienna?», chiesi a quel punto, ricordandomi di come se n'era andata.
«L'ho riaccompagnata in hotel dai suoi.»
Qualcuno bussò alla porta e dopo poco alcuni ragazzi fecero il loro ingresso. Bastarono una manciata di minuti per trasformare quel salotto in una vera e propria festa.
C'era musica e baccano, perciò decisi di rifugiarmi in cucina dove sorpresi Honey a bere da sola, appoggiata al bancone.
«Come va?» le domandai.
«Serataccia» commentò allungandomi un bicchiere, mentre stava con la guancia spalmata sul palmo della mano, l'espressione annoiata.
La luce del lampadario cominciò a lampeggiare.
Non fiatai, mi limitai a sorseggiare quel bicchiere alcolico che sapeva di menta, mentre lei recuperava due candele posate sul davanzale e le accese.
«Ti dico un segreto», sussurrò posando le candele sulla superficie di marmo della cucina.
«Spara.»
«Mi sa che mi sono innamorata», biascicò fissandomi dritta negli occhi.
Non provai rabbia, invidia o rancore. Nei suoi occhi blu vidi solo tenerezza.
Ma non seppi cosa rispondere. Eravamo ubriache.
«Già...»
Poi la luce calò del tutto, fortuna che le candele rischiaravano la cucina.
«Che ne dici andiamo di là a ballare?»
Mi guardai intorno e Honey si accorse che ero titubante.
«Okay, prendi la mia mano», disse afferrando la mia.
Seguii Honey e mi accorsi che Ace aveva posizionato delle luci a batteria sparse per il salotto, illuminando debolmente l'ambiente.
«Hai mai ballato su un tavolo?»
La sua domanda mi lasciò sbigottita.
«No e non ci tengo» urlai per sovrastare la musica.
Se salgo su un tavolo ora, c'è il serio rischio che io mi rompa una gamba.
«Scarlett, è buio, non devi vergognarti. E poi Cinnamon è andata a cambiare la musica!»
«Okay ma niente tavoli per me», suggerii.
Guardai i suoi capelli tinti di castano ondeggiare mentre si muoveva a tempo di musica. Mi sentii goffa, quasi fuori luogo, quando nella penombra abbassai lo sguardo sul suo fisico snello e slanciato, racchiuso in un paio di jeans aderenti.
Mi avvicinai al suo volto, volevo chiederle: "Secondo te sono pazza a fidarmi di Ace?"
Sono solo un'illusa?
Ma non fui abbastanza svelta da farle la domanda, che anche Honey si accostò al mio viso.
Io trasalii perché con una naturalezza disarmante portò le mani sui miei fianchi, invitandomi a ballare insieme a lei.
«Che diavolo sta succedendo?»
Udii la voce di Brick poco distante ma non me ne curai.
«Taci, lasciale fare» disse Maize.
Honey mi vide esitare ancora, quindi ritrasse le mani, ma ormai mi aveva coinvolta a ballare. La musica fluiva dolcemente nelle mie vene, o forse era solo l'alcol.
«Scarlett, prima ho sentito che hai detto una cosa. Hai detto che sono bellissima.»
«Ho detto solo la verità» rivelai.
Honey curvò le labbra rosee e io, dietro di me, avvertii una presenza e una presa sui fianchi. Era troppo ferma e sicura, non poteva essere lei.
«Non te lo ripeterò, signorina. Puoi fare la brava?»
La sua voce, densa e suadente mi avvolse dolcemente. La sentii fluire calda sul mio collo, quando vi posò le labbra.
«Altrimenti?»
«Non starò a guardare.»
Mi voltai e a fatica vidi le sue iridi scure nella penombra.
«Sbaglio o hai detto che quando non mi vede nessuno, posso fare tutto ciò che voglio?»
«Sì ma ora sei ubriaca e...»
Dalle casse partì Britney Spears.
Diedi le spalle ad Ace e vidi Honey fare un cenno di approvazione a Cinnamon, prima di scatenarsi.
«Scarlett mi stai ascoltando?», chiese lui.
«Amo Britney.»
Iniziai a muovere e fianchi, ma Ace non sembrò apprezzare il fatto che i nostri corpi fossero troppo vicini.
«Io no, quindi smettila.»
Non potei fare a meno di sorridere nel sentirlo così rigido.
Ma se lui era tutto d'un pezzo... a causa della vodka, la mia lingua era troppo sciolta.
«Chi ti credi di essere, Ace? Non me l'hai mai detto. Solo perché hai le spalle larghe, sei alto e grosso il doppio di me - e assomigli vagamente a un dio - non penserai di potermi dire cosa fare?»
Ace mi adocchiò dall'alto, divertito.
«Vagamente? Davvero?»
«Hai capito.»
«Lo sai signorina, si fa sempre come dici tu, ma ora hai bevuto troppo», asserì prendendomi il bicchiere dalle mani. «E anche io.»
Sbuffai tornando a guardare Cinnamon e Honey, ma loro erano troppo impegnate a contemplarsi con occhi languidi.
Poi si scambiarono un bacio e io rimasi esterrefatta.
«Ma...» Era con la lingua?
«È solo un bacio» sorrise Honey nel vedermi confusa.« Vuoi provare?»
«No, non vuole», rispose Ace al posto mio.
Veramente no, ma Ace sta impazzendo. Chi sono io per fermare questa cosa?
Ace fece scivolare un braccio davanti al mio corpo, e in un attimo mi strinse a sé. Il suo calore mi avvolse completamente, e il suo respiro tornò a carezzarmi la gola. Era come se mi stesse proteggendo da qualcosa di invisibile, ma era troppo buio e io troppo intossicata per pensare.
«Non voglio che la baci» ansimò facendomi rabbrividire.
Sentii nel suo respiro il gusto fresco della vodka alla menta, mescolato a una nota più dolce.
«Sei geloso.»
«No, è solo... lo dico per te.»
«Ah okay, allora se la metti così...»
Mi mossi appena e sentii il suo corpo premere contro il mio, levandomi il respiro.
«Mi stai facendo incazzare.»
«Ti piace però.»
«Mi piaceresti di più a piegata a novanta sul mio divano.»
«Ace.»
«Il mio cazzo dentro.»
«Ace!»
Mi voltai senza fiato.
«Va bene, forse è meglio che non stiamo vicini» asserì, dopo essersi reso conto di ciò che aveva appena detto.
«Sì, anche perchè non voglio ballare con te», gli intimai prima di tornare a ballare con le ragazze.
Honey mi portò le braccia al collo e in quel momento mi resi conto che forse avevo davvero bevuto troppo perchè la testa girava e confondevo i visi nella penombra.
Ace però non sembrava intenzionato a lasciarmi in quello stato.
Venne davanti a me, se ne fregò delle ragazze e mi inchiodò le labbra con le sue.
«Ti prego, Scarlett. Ti prego.»
«Sei carino quando preghi», sorrisi.
Passò lingua sul mio labbro inferiore e io chiusi gli occhi.
«Tu molto di piu però.»
Maledizione.
«Smettila di farmi impazzire, Ace.» sussurrai senza scollate la bocca dalla sua.
Mi chiesi come mai fossero così vicine, dato che avevamo una differenza di altezza notevole.
«Che ne dici se ti accompagno in camera? Hai bevuto abbastanza, è stata una giornata lunga e...»
«Ma mi sto divertendo qui.»
«Lo so,» sussurrò con la voce che tradì la sua preoccupazione. «Ma non voglio che tu faccia qualcosa per cui domani ti pentirai.»
Sembrava che la sua missione fosse proteggermi da me stessa e mi resi conto solo allora di quanto avesse ragione. In quel momento non stavo pensando alla nonna, alla questione della casa e al fatto che non l'avrei più rivisto alla fine dell'estate. Stavo scappando dai miei problemi e probabilmente sarei finita a fare qualche sciocchezza.
Mi tastai la fronte. «Sono troppo... Non so come... Puoi accompagnarmi in camera da letto, Ace?»
Vidi il suo petto avvolto dalla camicia riempirsi di un lungo respiro che però non fuoriuscì, sembrò bloccarsi lì, nel suo torace.
«Sì.»
Mi prese la mano e mi condusse verso le scale.
«Non possiamo dormire insieme stanotte, Ace.»
«No, infatti.»
«Però non mi piace dormire da sola, se piove», realizzai.
Lui mi guardò dall'alto, come se stesse combattendo una guerra, tutta nella sua testa. Esitò per un attimo, poi lentamente mi accarezzò la guancia. Il tocco era lieve, così piacevole che bastò a farmi chiudere gli occhi.
«Mi prometti che mi dirai di no, Scarlett?»
«Ti dirò di no quando proverai a infilarti dentro a un letto che ormai è diventato mio.»
In quel momento tornò la corrente. La luce mi colpì le pupille e mi diede quasi fastidio.
Riuscimmo però a intravedere Jade che usciva dalla cucina.
«Jade» Ace la fermò.
«Stai bene?» le chiesi io.
Poi la scrutai brevemente: indossava una maglietta e i pantaloncini del pigiama.
«Sì. Sono scesa solo per prendere dell'acqua.»
«Puoi accompagnare Scarlett in camera mia?» le domandò.
Jade mi squadrò preoccupata. «Sì, certo.»
«Falle bere dell'acqua e assicurati che stia bene.»
«Ace, ma...»
Ace mi lasciò un bacio sul collo.
«Mando via tutti, poi arrivo.»
La mattina seguente mi tirai su dal letto confusa, con la testa dolorante e la gola secca.
Mi stropicciai gli occhi e mi accorsi di avere un bicchiere d'acqua fresca sul comodino. Bevvi una sorsata unica e mi sentii subito meglio. Poi misi a fuoco intorno a me. Ace dormiva sul piccolo divano che si trovava sulla parete opposta al letto.
Perchè dormiva lì?
Ma certo... Ace dormiva lì perchè, quando è arrivato ieri, io stavo già dormendo e lui non ha potuto chiedermi il permesso di stare nel letto insieme a me.
La sua sagoma ingombrante, avvolta solo dal lenzuolo, riempiva tutto lo spazio del divano. Fui catturata dalla sua pelle liscia e dorata, sembrava una divinità, mentre la luce che filtrava dalla finestra, scolpiva il suo addome asciutto. Il petto si alzava e si abbassava lento e i capelli disordinati gli cascavano sulle ciglia lunghe.
Scesi con lo sguardo, e mi accorsi che sul pavimento, proprio accanto a lui, c'era il computer portatile. Era aperto. Perciò mi spinsi fino al bordo del letto e diedi un'occhiata più attenta: sembravano scritte. Dovevo avvicinarmi e scoprire cosa fossero.
Quando poggiai il piede sul pavimento di legno, questo scricchiolò appena. Trattenni il respiro e guardai Ace. Dormiva beato.
Scesi giù, mi accovacciai davanti al computer e lessi la chat aperta. Il layout sembrava appartenere a un software insolito, uno di quelli che non si trovano facilmente online. Le parole erano quelle di una chat tra Ace e uno sconosciuto. L'utente dall'altro lato aveva come nickname una sequenza numerica e la conversazione sembrava criptica, frammentata.
Poi Ace si mosse appena, perciò innalzai subito lo sguardo. Schiuse le labbra e sollevò il bacino avvolto dal lenzuolo con un gesto involontario.
«Vieni sopra di me.»
D'un tratto mi resi conto che mi guardava. Mi arrampicai sopra di lui che abbassò il lenzuolo mostrandomi quanto fosse eccitato. Mi alzò la t-shirt e con l'altra mano stretta intorno alla mia coscia mi invitò a sollevarmi e cadere sul suo corpo duro che mi riempì la pancia e mi dilaniò le ossa.
«Brava, così», ansimò.
Chiusi gli occhi.
«Scarlett?»
Li riaprii di scatto.
Oh porca miseria.
«Sì?»
«Stai bene? Cosa fai lì per terra?»
Il suo timbro mattutino, rauco e profondo, mi rispedì alla realtà.
«Ehm, io...»
Lanciò il lenzuolo sul divano e si erse in tutta la sua altezza. Notai che indossava soltanto un paio di boxer scuri.
«Stai curiosando nel mio computer?»
«Cos'è?» chiesi indicando lo schermo.
«Sto provando a comprare alcune sostanze da un tipo della zona. Ho bisogno di risalire a chi ha drogato Jade.»
Lo fissai sbigottita.
«Che c'è? Non credevi ci sarei mai arrivato?»
«È illegale, Ace. Non è così?»
«Certo.»
«Ma come...»
«Scarlett, ascoltami. Jade era chiaramente intossicata l'altra sera e non ricordava niente.»
«Non hai detto nulla però...»
«No perchè non volevo farti preoccupare», confessò abbassando lo sguardo.
Quindi aveva capito tutto?
Ace si chiuse in bagno e quando udii lo scroscio dell'acqua nella doccia, mi vestii e scesi al piano inferiore.
«Hai parlato con Ace?» chiesi a Jade quando la vidi fare colazione al tavolo della sala da pranzo.
«No, perchè?»
«Ace sa tutto. Non è meglio se provi a parlarci?», le suggerii.
Jade posò il cucchiaio con cui stava mangiando il suo porridge.
«Ma come fa a...»
«Sospetta che qualcuno ti abbia drogata di proposito, Jade.»
«Tipo chi?» domandò lei spalancando gli occhi.
«Non lo so, tu non sei andata da Philipe l'altra sera?»
«Certo, era casa sua, ma era pieno di gente. Ho bevuto dei drink, mica è stato lui. No?»
Jade mi guardò con occhi lucidi, così mi sedetti accanto a lei e provai a prendere un lungo respiro.
«Non possiamo esserne sicuri, Jade.»
«Però Philippe ieri mi ha chiamato per chiedermi se stavo bene.»
Iniziai a pensare.
«Lui e il suo amico sono stati gentilissimi con me, Scar.»
«Sì, anche con me.»
A parte quando mi ha mollato tra gli scogli.
«Immagina accusare qualcuno di innocente. O peggio, immagina che gli succeda qualcosa. Jet impazzirebbe. Scarlett, ti prego, non devi dire nulla.»
Jade si agitò e provò a trattenere il pianto, ma io lo vedevo che era profondamente scossa.
«Va bene, se è questo che vuoi, io non dirò nulla, ma...»
Mi bloccai perchè Ace entrò in cucina e mi rivolse uno sguardo torvo.
Jade si alzò in piedi e si vaporizzò all'istante.
«Te l'ho chiesto per favore, Scarlett» disse Ace quando restammo soli.
«Cosa?»
«Di non avere segreti. Ma fammi indovinare...»
«Ace...»
«Lo sapevi?»
«Volevo rispettare la volontà di Jade.»
«Dov'è stata?»
«Non ... Ace, deve essere lei a parlartene.»
Non me la sentii di continuare. La situazione era già abbastanza delicata e sebbene provassi a non darlo a vedere, aveva scosso anche me.
«Sei riuscito a capire chi è stato a vendere quella droga in zona?», gli chiesi quando lo vidi allontanarsi.
«Ancora no. È anonimo e protetto, ma lo scoprirò.»
«Quando, Ace?»
«Ho bisogno di mezza giornata.»
«E poi?»
Ace tornò davanti a me. Posò le mani sul tavolo e mi guardò dritta negli occhi.
«Jet non deve sapere niente di questa storia», bisbigliò. «Non ancora. Voglio prima assicurarmi che le cose siano andate in questo modo.»
Annuii, mentre lui mi voltava di nuovo le spalle.
«Dove vai?»
«Oggi vado ad allenarmi.»
«Okay, quindi hai deciso...»
«Sì, voglio provarci comunque.»
«Mi sembra un'ottima idea.»
Lui voltò soltanto il capo. «Davvero?»
«Sì, sono sicura che ce la farai.»
Ero ancora turbata per la questione di Jade, quindi quel pomeriggio me ne restai in camera per proseguire con la lettura del romanzo, quando d'un tratto udii un trillo. Proveniva dal laptop lasciato aperto sul divano. Lo afferrai immediatamente e mi accorsi che sullo schermo era apparso qualcosa. Era un'indirizzo di casa, con un nome.
Pietrificata, fissai la schermata.
Philippe Cousteau
Non ebbi il tempo di metabolizzare perchè perchè udii delle voci provenire dal corridoio.
«Quello che mi ha detto Sienna è vero, Jade?»
Oh, no era Jet.
Uscii dalla stanza con il computer tra le mani.
«Cosa ti ha detto?»
«Jade, qualcuno ti ha fatto del male?»
«No. Ho solo... ho partecipato a una festa e ho avuto un momento di blackout...»
«Perchè non me l'hai detto?» sentii la voce di Jet spezzarsi.
Gli occhi di Jade oltrepassarono il fratello e si cristallizzarono sulla mia sagoma. Jet si voltò.
«Che c'è, Scarlett?»
«Nie... niente.»
«Cos'è?» chiese indicandomi il computer.
Non riuscii a mentire.
«Ace stava facendo delle ricerche. È sulle tracce di chi vende quella droga.»
«Mi stai dicendo che Ace sa di questa storia?»
Oh, no.
«No, Jet. Ace non...»
Lo vidi strofinarsi la testa rasata con entrambe le mani.
«Non posso crederci.»
Stava per succedere un casino.
«Ace ha detto che...»
Jet mi fulminò con un'occhiata spietata.
«Vuoi dirmi che Ace voleva agire alle mie spalle?», ripetè alzando la voce.
Ed era tutta colpa mia.
«No, no.»
Jet però aveva smesso di ascoltarmi, si avvicinò e lesse l'indirizzo sullo schermo.
«Aspetta, Jet. Non è detto che sia...»
«Chi è Philippe?» chiese rivolgendosi a sua sorella.
Jade mi guardò incredula e lui perse il controllo.
«Jet!» lo richiamai. «Fermo, Jet.»
Jet ignorò i miei richiami e scese le scale di corsa.
Jade invece sembrava paralizzata nella sua paura. Forse si era fidata di quel ragazzo e avrei voluto fermarmi e dirle che non era stata colpa sua, ma sapevo che stava per succedere il finimondo al piano di sotto, quindi lasciai il computer di Ace in camera e corsi giù.
«Cosa succede?» chiese Brick, spaventato nel vedere il suo amico furibondo.
«Vieni con me, Brick.»
Vidi Jet prendere le chiavi della macchina che avevano affittato.
«Oh okay.»
Brick posò il suo latte e cereali. Era ancora assonnato per via del suo riposino pomeridiano e dovette ricevere qualche richiamo, prima di muoversi.
«Dove cazzo è Ace?», urlò Jet uscendo in giardino.
«È andato via presto. Penso sia ad allenarsi al polisportivo», spiegò Brick.
«Cosa succede?» mi chiese Mauve sottovoce.
«Ho fatto un casino», bisbigliai.
Jet aggiunse l'auto parcheggiata fuori dal cancello della villa e io lo seguii.
«Vengo anch'io» dissi ai ragazzi.
«Te lo scordi», sputò Jet aprendo la portiera.
«Invece sì.»
Brick guardò l'amico con aria terrorizzata.
«Non possiamo portarla. Ace non è qua e...»
Jet allora corrugò la fronte, come colto da un pensiero e d'un tratto sembrò cambiare idea.
«Sai cosa? Sì, tu ci vieni.»
Mauve, senza chiedere il permesso, si unì a noi.
E quando Jet mise in moto e cominciò a guidare in modo spericolato, io pregai soltanto di arrivare viva a fine giornata.
«Okay, l'indirizzo è questo», borbottò Jet guardando fuori dal finestrino. Lo aveva memorizzato alla perfezione.
«Come hai fatto a scoprire l'indirizzo?» Brick si voltò verso di me, che stavo seduta vicino a Mauve, sul sedile posteriore.
«Era nel computer di Ace...»
Brick sembrava sconvolto. «Ace si è fidato a lasciare il suo computer con te nei paraggi, Scar?»
«Già, perchè si è fottuto il cervello», sbottò Jet innervosito, già alla seconda sigaretta.
Eravamo giunti a destinazione e quando Jet parcheggiò davanti alla villa, ci accorgemmo che c'erano fiumi di persone che entravano dal portone principale.
«Ma questi non smettono mai?», commentò Mauve.
In effetti era il tramonto e facevano già festa.
«Okay, voi restate qui», annunciò Jet levandosi la cintura.
«Dove cazzo vai?» lo fermò Brick. «Vuoi ammazzarlo di botte? È questa la tua soluzione?»
«Ne hai un'altra?», lo sfidò l'amico.
«Chiamiamo la polizia, tipo?»
«Certo. Prima lo riempio di botte, poi chiamiamo la polizia», puntualizzò Jet.
«Non sappiamo nemmeno cos'è successo...»
«Non lo voglio sapere. Perchè solo al pensiero mi viene voglia di ucciderlo.»
Jet era fuori di sè e la cosa non prometteva bene.
«Non puoi entrare così, sei troppo arrabbiato. Qui finisce male, Jet. E sarai tu ad andare nei guai»
Provai a farlo ragionare, ma quello che fece lui fu voltarsi e guardarmi con aria sprezzante.
«E cosa suggerisce l'estranea seduta sul mio sedile posteriore?»
«Jet...» lo rimproverò Brick.
«Vado io», mi offrii.
Una risatina nervosa fece capolino sulle labbra di Jet.
«Non fa ridere», si affrettò a commentare Brick.
«Non sappiamo se è stato lui. Potresti entrare lì dentro e prendertela con un innocente. Magari lui vendeva la droga, sì, quindi lo denunciamo. Ma se non fosse lui a somministrarla? Se l'avesse venduta a qualcuno che poi, successivamente, l'ha offerta a Jade? Qualcuno che potrebbe spaventarsi e farla franca, nel momento in cui tu te la prenderai con Philippe.»
Jet mi fissava con occhi vuoti, perciò guardai Brick che annuiva.
«Ha senso, Jet. Se non è stato lui e tu lo aggredisci ugualmente, finisce che il colpevole se la dà a gambe se ti vede massacrare questo Philippe. Così non lo becchiamo mai più.»
«Va bene, Scarlett. Mi hai convinto. Vai. Voglio proprio vedere.»
Jet mi sfidò incrociando le braccia al petto. La sua voce era nervosa. Ce l'aveva con me. E sicuramente con Ace.
Poggiai la mano sulla maniglia che scottò al tocco.
«Ragazzi, però non così. Io ve lo dico, questa è la cazzata più grossa che abbiamo mai fatto, eh» sputò Brick.
«No, Scar. Non andrai a rischiare la pelle» disse Mauve con occhi pieni di paura.
«Lasciala andare» fece Jet accendendosi la terza sigaretta. «Hai il telefono con te?»
«Sì.»
«Noi siamo qui fuori. È pieno di gente lì dentro. Non andare in una stanza da sola con lui. Ci riesci?», mi chiese.
«Sì.»
«Dieci minuti, quindici al massimo e poi entriamo. Riesci a cavargli qualcosa in questo lasso di tempo?»
«Ci provo, magari ho bisogno di più...»
«No, di più è rischioso», ringhiò Jet a denti stretti.
A quel punto aprii la portiera e Brick realizzò che stavamo facendo sul serio.
«No, Scarlett. No, no, no... Così Ace ammazza prima Philippe, e poi noi che te l'abbiamo permesso.»
«Sono l'unica con cui parlerebbe. Se entrate voi, finisce male.»
«Quindici minuti, Scarlett. Poi lo ammazzo io», concluse Jet.
E io uscii dalla macchina.
Che dire... poteva finire peggio.
Un'odissea, ma ce l'abbiamo fatta. Sarei curiosa di sapere quanto ci avete messo a leggerlo ✨
Spero vi sia piaciuto 🙏🏻 Nel caso mettetemi una stellina 🩷
Vi consiglio di seguirmi su insta (stefaniasbooks) perché ci saranno delle novità nelle prossime settimane... sì, altre 🤧🎀
A prestissimo, vi amoooooo (esaurita dopo questo capitolo) 🎻
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