𝖉𝖎𝖊𝖈𝖎 - 𝐡𝐚𝐯𝐞𝐧'𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐡𝐞𝐚𝐫𝐝 𝐰𝐡𝐚𝐭 𝐛𝐞𝐜𝐨𝐦𝐞𝐬 𝐨𝐟 𝐜𝐮𝐫𝐢𝐨𝐮𝐬 𝐦𝐢𝐧𝐝𝐬?


🔴🪟🔴


🍓SU INSTAGRAM il recap dei
capitoli precedenti...🍓





TW: violenza/manipolazione psicologica/abuso






You ask me what I'm thinking about
I tell you that I'm thinking about







🍓JET🍓



Cinque minuti prima dell'arrivo di James

Sentii uno strano sfarfallio all'altezza dello stomaco, poi la guancia che bruciava. Quella santarellina del cazzo mi aveva appena tirato uno schiaffo.

Quella santarellina del cazzo mi aveva appena tirato uno schiaffo?

«Ma sei impazzito?» Rose urlò in preda al panico.

Si agitò così tanto che per poco non le caddero gli occhiali giù dal naso.

«Che cazzo urli?»

«Urlo quanto mi pare!» strepitò lei, incurante di Silver, che invece dormiva beata nel mio letto, proprio alle nostre spalle.

Rose saltò in piedi e mi minacciò con un'occhiata contrariata.

«Tu prova solo a toccarmi un'altra volta...»

«Ti ho baciata», la canzonai divertito.

«Non dirlo nemmeno per scherzo!», replicò voltandomi le spalle.

«Quale scherzo? Ma dove cazzo vai...»

Rose scappò da camera mia, lasciandomi come un idiota a fissare la porta.

«Ma che cazzo...»

D'un tratto mi accorsi del trambusto che proveniva dal giardino, quindi mi affacciai alla finestra. I miei occhi curiosi si fermarono su Maize e Scarlett. Parlavano vicino alla piscina mentre, da lontano, Ace li puntava con uno sguardo tutt'altro che rassicurante. Guardava Maize con la faccia di uno che se lo sarebbe mangiato vivo.

Non era un'espressione che Ace aveva spesso, lui non era come me, che invece scattavo per qualsiasi cosa. Erano ormai incalcolabili tutti gli occhi neri che mi ero procurato durante i litigi al pub, davanti a un calice di birra e una partita di rugby. A volte non c'era nemmeno bisogno di un vero motivo, mi sfogavo in quel modo, anche se non sapevo cosa ci fosse da sfogare. Magari ero nato violento, o forse, come sosteneva Jade, i motivi erano più reconditi. Odiavo il mondo? No, ma un po' lo detestavo... perché certe malattie dovrebbero colpire gli adulti, magari gli anziani e non una bambina di sette anni. Non la mia sorellina.

Devo scendere di sotto, mi dissi, dopo aver appurato quanto fosse tesa situazione tesa tra Ace e Maize.

Ma non potevo lasciare una ragazza nel mio letto.

O forse sì?

Mi avvicinai e, sfiorando il gomito di Silver, provai a svegliarla.

«Ti puoi alzare? Io devo andare.»

Lei però si giro dall'altra parte.

«Ti tocca il divano stanotte», fece una voce cristallina alle mie spalle.

Lav entrò con un ghigno stampato sul volto.

«Mi spieghi chi è questa?», chiese poi rimirando la sagoma informe spalmata sul materasso.

«Ehm... una ragazza.»

Lei mi guardò dal basso con un'aria cinica che sembrava dire "Ah, davvero? Grazie per l'informazione, non ci sarei mai arrivata da sola!"

«Però non è la stessa ragazza che è uscita sconvolta da qui...»

Eh... no.

«In che situazione ti stai cacciando, Jet?»

Mi stavo davvero facendo rimproverare da una bambina di tredici anni?

«Nessuna.»

Provai a passarle di fianco, ma Lav mi bloccò con la ruota, impedendomi il passaggio oltre la porta.

«Ti piacciono entrambe», asserì assottigliando le palpebre, come a studiarmi con più attenzione.

«Ma figurati. Come ti vengono in mente queste cazzate, Lav? Non mi piace proprio nessuno.»

Delle voci attirarono la mia attenzione e dovetti affacciarmi nuovamente alla finestra.

Ace e Maize si stavano per aggredire. Stavolta sul serio.

«Cazzo. Devo scendere.»

«Resto io», si offrì Lav. «Metti che si sveglia e inizia a stare male?»

La guardai. Mia sorella era piccola, costretta su una sedia rotelle... eppure un profondo senso di tranquillità mi invadeva quando la guardavo.

«Davvero lo faresti?», le domandai sottovoce.

Lei annuì. «Vai, prima che Ace renda il nostro giardino una scena del crimine.»

Scoppiai a ridere e arrivai alla porta, infine mi voltai. «Grazie, Lav.»

Le ricambiò il mio sorriso scaldandomi il cuore.

«Tanto sai già che te la farò pagare, vero Jet?»


🍓SCARLETT🍓


Infilai la mano nella tasca posteriore dei jeans e recuperai la chiave. I discorsi con Ace mi avevano disorientata, ma anche l'arrivo del cugino di Jet.

Perché avevo una chiave?

Ah, già. Perché lo stesso ragazzo che aveva promesso che mi avrebbe solo usata, mi aveva anche chiesto di seguirlo in una stanza sconosciuta per parlare.

Guardai Ace dritto in volto e.... Maledizione, se mi piace quello che vedo.

Le sue labbra rosee erano così invitanti e i suoi occhi così profondi, che per poco non ci cascai dentro. Ma un moto di ribellione improvvisa mi scosse. Se Ace desiderava continuare con quel gioco ambiguo, non gli avrei permesso di farlo con me.

«Tieni, puoi andarci con qualcun'altra», gli restituii la chiave senza nemmeno chiedergli che stanza aprisse.

Lui mi osservò confuso, perciò decisi di prendere un lungo respiro e parlare ancora.

«È pieno di ragazze che non vedono l'ora di essere ignorate da te. Io non ho questa aspirazione al momento.»

Non so con quale coraggio dissi ad Ace una cosa del genere. Di sicuro con la voce tremante.

Poi uscii da quel salotto e lui fu così stranito dalla mia reazione, che non si mosse. O forse, più semplicemente, aveva capito che in quel momento non avevo voglia di essere rincorsa.

Ma quando arrivai in giardino, l'aria fredda mi solleticò le guance e mi imbattei in qualcun altro. Cedar.

«Dov'è Mauve?», gli feci la prima domanda che mi venne in mente, forse per sviare l'attenzione dai miei occhi lucidi.

«Non lo so. Scar, stai bene?»

«Vorrei tornare a casa», confessai.

«Okay, provo a chiamare Mauve. Anche se non so dove si sia cacciata. È da mezz'ora che la cerco.»

«Cosa? Mauve non ti risponde?» Mi preoccupai.

«No, ma l'ho vista con quel tizio...»

«Brick.»

«Sì, e...» Cedar si fermò per squadrarmi da capo a piedi con un'aria apprensiva. «Vieni, bevi un bicchiere d'acqua. Sicura di stare davvero bene?»

Seguii Cedar nel giardino sul retro e mi feci versare da bere. «Non proprio», ammisi a denti stretti.

«Che succede?»

Abbassai gli occhi e bastò quel gesto a fargli capire tutto.

«Ancora lui?», sbuffò Cedar guardando in una direzione precisa.




Mi girai e, tra i gruppetti che gremivano il giardino, vidi Ace salutare alcuni ragazzi con noncuranza, come se non avesse giocato con il mio umore per tutta la sera, fino a rendermi un foglio sottile.
Mi sentii in trappola. Volevo tornare a casa per non vedere Ace, ma nello stesso tempo, il solo pensiero di casa della nonna mi rattristava.

Se mai la nonna dovesse scoprire che abbiamo i giorni contati, sarebbe la fine; non riuscirebbe a reggere un colpo simile.













🍓JET🍓

Abbracciai James e finsi riluttanza quando mi strinse tra i suoi bicipiti abbronzati. In realtà ero felice di vederlo.



«Vieni, ti presento gli altri», dissi emozionato.

«Finalmente incontro quegli stronzi dei tuoi amici. Voglio proprio vedere che razza di gente ti tiene così impegnata da non farti nemmeno rispondere alle mie chiamate.»

«Jamie, guarda Jet sa intrattenersi già di suo. Prima la moglie del coach, poi la figlia», mi smascherò mia sorella Jade, lanciandomi un'occhiataccia proprio sull'ultima parte.

«Ma cosa cazzo dici? La figlia l'ho solo accompagnata a casa», mi difesi mentre Jade e James si abbracciavano.

«Stanno tutti un po' nervosi stasera. C'è stata una mezza rissa e un tizio è finito in piscina. C'era sangue ovunque», spiegò Jade.

«E me lo sono perso, cazzo?»

James nel frattempo aveva già adocchiato il ragazzo che era vicino a Jade e, dopo avermi seguito in una zona più appartata del giardino, me lo chiese.

«Chi era quello?»

«Quello chi?», gli domandai cercando una sigaretta nelle tasche dei jeans.

«Il tipo con Jade.»

«È il suo ragazzo»

«Non sembrano intimi.»

Non mi andava di parlarne, James era arrivato da soli cinque minuti, non potevo trascinarlo in nuovo guaio.

«È una lunga storia. Perchè non mi dici di te? La mamma mi ha detto che ti sei fidanzato.»

«Incredibile», commentò. «Jordan non ama mai farsi i cazzi suoi!»

«Allora è vero», esclamai divertito.

Lui annuì con una sigaretta tra le labbra.

«E com'è?», dissi allungandogli il mio accendino.

«Jordan? Uno stronzo che rimorchia ancora le ventenni», fece lui.

«No, James. Parlo della tua ragazza.»

Lui piegò le labbra in una curva enigmatica, l'attimo prima di accedersi la sigaretta.

«Lei è...»

James fece una pausa.

«Bella, intelligente, mi fa ridere...»

«Sicuro che esista?», lo presi in giro.

Lo guardai espirare e una grossa nube di fumo finì nel cielo scuro.

Poi mi osservò leggermente impensierito, con un mezzo sorriso a curvargli le labbra..

«Voglio vederla», gli dissi.

«Eh?»

«E dai, James! Una foto!»

«Te la puoi proprio scordare, cazzo.»






🍓SCARLETT🍓



«A...B...A...A... c'è un errore. Questa rima non segue lo schema.»

I miei occhi s'incrociarono sui versi. Riconobbi la mia scrittura, ma non riuscii a leggerla.

Poi quella litania s'interruppe. Il muro era così freddo e il mio zigomo così dolorante. Poi la lana ruvida mi graffiò la pelle. Il collo, la guancia, la coscia... Non voglio stare qui.

«Va tutto bene?»

Cedar.

Mi guardai intorno. Ero nel giardino di Jet e per un attimo avevo dimenticato dove mi trovavo.

«Non voglio. Non voglio stare qui», dissi di getto, ancora invischiata nella rete di quei ricordi.

«Scarlett?»

Mi girava la testa. Confusa e con il cuore a mille, non riuscivo a distinguere la realtà dalla fantasia. I ricordi dall'immaginazione.

Battei le palpebre e vidi Cedar allungarmi un altro bicchiere d'acqua. «Ah, grazie.»

«Stai sudando, sicura che non sia successo qualcosa?»

Annuii distrattamente e mentre bevevo, i miei occhi intercettavano la figura di Ace. Stava seduto dall'altra parte del giardino insieme ai suoi amici, con un broncio marcato a fior di labbra.

«Perchè non lo lasci perdere?» borbottò Cedar.

«Ci proverò, Ced.»

Lui mi osservo incredulo. «Quando?»

«Da oggi. Tu come stai?»

«Sono in pensiero per Silver.»

«Anch'io», replicai svelta.

«Vorrei che i nostri genitori tornassero insieme. Mio padre è fin troppo orgoglioso e sembra non capire che in realtà, quella donna ha solo una gran paura. Ecco perché l'ha allontanato. Silver però non vuole parlarmi e quando le chiedo di suo padre...»

Sbattei le palpebre nervosamente, fu un riflesso involontario. «Non puoi obbligarla Ced. So che vuoi aiutarla, ma non così.»

«Scar, tu che la conosci da più tempo... Suo padre è davvero così pericoloso?»

Deglutii. «L'ho visto solo qualche volta.»

«Hai avuto paura?»

Il mio mento si mosse guidato da un filo invisibile, gli feci cenno di sì.

«Le ho anche detto che può stare da me, eppure sembra non interessarle», confessai.

Cedar annuì e sembrò condividere le mie stesse preoccupazioni.

«Ho come l'impressione di perderla. La riconosco in certi momenti, in altri è come se non sapessi più chi sia. È come se indossasse una maschera davanti a me, come se temesse il mio giudizio. E io non riesco a capire chi sia la vera Silver», scandii.

«E tu la giudichi, Scar?»

«Ho sempre provato a non farlo. Ho provato a difenderla dalle mie amiche, anche quando ha sbagliato con Oliver o con Clem e...»

Ripensai alla battuta fatta ad Ace.

Era solo brilla, non ha fatto nulla di male.

«Le chiederò di stare con me dalla nonna.»

«Da noi non ci vuole stare, Scar. Ma sei sicura che tu possa farlo?»

«Una persona in più non graverà sulla nostra economia, poi io lavoro», lo rassicurai.

In quell'istante una sagoma si avvicinò a noi. Era Mauve che mi guardò preoccupata. «Tutto okay?»

«Dov'eri?», le chiesi.

Mauve guardò Ced , sembrava non avesse voglia di parlare davanti a lui.

«Ero... A cercare una cosa. Comunque Silver dorme qui.»

«Qui?», mi allarmai. «Ma sta bene?»

«Jet ha detto che non c'è problema e che può stare qui.»

La scrutai con aria smarrita. «Jet?»

«Sì, le ha lasciato la camera perchè lei era piuttosto andata. Stava con un ragazzo e questo era sotto l'effetto di qualcosa, fortuna che c'erano Jet e Rose...»

«O mio dio. Non possiamo lasciarla qui, così. Io vado da lei», dissi balzando in piedi.

«Scar!»

Non diedi retta a nessuno e corsi in casa per cercare quella che doveva essere la camera di Jet. Le porte del piano superiore erano chiuse e quando udii delle voci provenire da una stanza, bussai proprio lì.

«Parole d'ordine!», annunciò la voce di una bambina.

«Ehm... Non la so.»

«Risposta errata.»

«Sono Scarlett e sto cercando Silver»

Magicamente la porta si aprì e una ragazzina bionda mi guardò dal basso.

«E così tu saresti la famosa Scarlett.»

«Non mi definirei ehm... Tu invece chi sei?»

«È Lav, la sorella di Jet», fece Silver alle sue spalle.

La vidi sdraiata sul letto. Aveva i capelli sgualciti, le guance pallide e le labbra sottili.

«Che è successo?»

«Devo aver bevuto qualcosa di troppo», replicò lei.

«Riesci ad alzarti?», mi avvicinai per aiutarla.

«Mi gira tutto. Preferisco rimanere sdraiata.»

«Posso prepararti qualcosa, magari...»

Silver fece cenno di no, voleva restare lì.

«Perchè stai in camera di Jet? Non pensavo nemmeno vi parlaste.»

«Storia lunga», fece Silver.

Poi mi girai perchè mi accorsi che avevamo una spettatrice. Lav non si perdeva una sola battuta.

«Silver, non è meglio se torni a casa con noi? Vieni a dormire da me. Oppure da Cedar. Lo sai che siamo preoccupati e ...»

«Non sei arrabbiata con me, vero Scar?»

Corrucciai la fronte, confusa. «Perchè dici così?», le chiesi.

«Non lo so, avevo quest'impressione ma non ricordo cos'è successo.»

«No, è tutto okay. L'importante è che tu stia bene, Silver.»

«Non mi va di venire da te»

Sentii una morsa al cuore. «Oh...»

Ci rimasi male? Molto. Ma non gliene feci una colpa.

«Può restare qui», intervenne la ragazzina.

«Grazie», dissi prima di uscire con una strana sensazione nelle ossa.

Silver si voltò sul fianco. M'ignorò e io sentii qualcosa sgretolarsi dentro di me.








🍓JET🍓


«Maize è andato a casa», annunciò Brick, mentre fumavamo guardando la gente che se ne andava da casa mia.

«Andrà da papino a piagnucolare», commentai. «Cosa facciamo?»

Brick mi squadrò con lo sguardo perso. «E io cosa cazzo ne so?»

«Infatti non chiedevo a te.»

Guardai l'unica persona che poteva risolverci i problemi. Ma non ci stava ascoltando.

«Ace?»

Forse perchè lui guardava Scarlett, che si avvicinava al cancello insieme ai suoi amici.

«Qual è il problema?» chiese James d'un tratto. «Lo stronzo non può prendersi un altro pugno e la facciamo finita?»

«No, è il figlio del giudice.»

«Hai fatto arrabbiare Scarlett?», chiese Brick ad Ace.

«Se c'è una persona che domani sarà incazzata , è tua madre Ace», intervenni io. «Quando verrà a sapere di Maize.»

«Questo casino è solo per la ragazzina che ha continuato a guardarti per tutta sera?», s'intromise James, riaccendendo gli animi.

«E tu cosa ne sai?», lo fulminò Ace, che finalmente aveva ritrovato il dono della parola.

«Se una fissa me, me ne accorgo. Ma se una guarda quello che mi sta a fianco, bè me ne accorgo ugualmente.»

Ace lo squadrò confuso.

«James, Ace ha qualche problema relazionarsi con ragazze che gli piacciono», enunciai. «Le spaventa.»

Ace mi lanciò addosso la prima cosa che trovò, cioè la borsa di Jade.

«Oh, e gli piace tirarmi oggetto addosso.»

«Ehi!» esclamò mia sorella che si era appena unita a noi. «Finitela! E tu, Ace, chiedi consiglio a James. Ha esperienza e può insegnarti come non far scappare Scarlett»

«Non me ne frega un cazzo di Scarlett.»

James ridacchiò nell'udire le parole di Ace. «L'ho già sentita questa.»

«A sì?»

«Sì.»

Gli occhi di Ace si ridussero a due fessure. «E poi cosa dovresti insegnarmi?»

«Se mi parli con quel tono del cazzo proprio niente», replicò James, scaldandosi appena.

«Ehi, calmiamoci», fece Jade.

Ace si alzò in piedi. «Ho bisogno di pensare, voi parlate troppo.»

«Come vedi, da queste parti avevamo la simpatia disciolta nel biberon», ironizzai estraendo una sigaretta dal pacchetto che mi offrì James.

«L'avevo notato», disse lui.

«Maize a quest'ora l'avrà detto a suo padre. E domani dovrai parlare con tua madre, Ace» Jade sembrava l'unica preoccupata.

«E quindi?» s'inserì James.

«La mamma di Ace è un avvocato che si sta occupando di un caso molto importante e il padre di Maize è il giudice.»

James sembrava non capire come mai il figlio di un giudice lavorasse. «Perché allora questo Maize lavora in un ufficio?»

«Nessuno qui ha bisogno di lavorare o di studiare, ma i nostri genitori sono esperti nel rompere le palle, quello sì» puntualizzò Brick.

«E chi è quello?» chiese James indicando il ragazzo con cui Jade aveva passato la serata.

«Te l'ho già detto. Il suo ragazzo, non ci credi?» mi innervosii.

«Finiscila Jet», mi zittì lei.

«Ci esci, no?» la provocai.

«Con quello? E perché?» la interrogò James.

«Come perché? Cosa c'è di strano?»

James la guardò con la fronte corrucciata. «Perchè ha un cazzo tra le gambe, Jade.»

«Mi va di sperimentare qualcosa di diverso, okay?»

«Cosa c'è sotto?», mi chiese James sottovoce.

«Niente» tagliò corto Jade. «Mi piace. Smettetela voi due di voler trovare sempre un pretesto per mettervi nei guai.»

Ma io e James ci eravamo già scambiati uno sguardo d'intesa.




🍓LAV🍓

«Mi apri?»

Jas mi guardò confuso, oltre lo spiraglio della porta socchiusa.



Forse si stava chiedendo come aveva fatto una ragazzina su una sedia a rotelle a raggiungere il suo hotel o forse non mi aveva nemmeno riconosciuta. Fortuna che Silver aveva pensato di aiutarmi, a modo suo. Ci eravamo infilate in un taxi e avevamo raggiunto l'hotel di James.

Lui era ancora alla festa e, siccome mi era proibito scendere a fare casino, avevamo approfittato di un momento in cui erano tutti sul retro, per sgattaiolare via. E poi a me interessava vedere Jas.





«Allora? Mi apri sì o no?»

Solo a quel punto Jas sorrise: mi aveva appena riconosciuta.

«Hai due secondi per farmi entrare», lo minacciai ridendo.

Aprì la porta e non si perse in abbracci o smancerie, mi porse subito un piccolo marchingegno fatto di cavi e ferro.

«Che modi strani per dirvi che vi siete mancati», constatò Silver.

«Mio cugino è il campione del torneo di robot di Laguna Beach.»

Quindi chiudi la bocca.

Jas s'imbarazzò dei toni rudi che rivolsi a Silver, ma a me non importava. Nessuno doveva toccarmi Jasper.

«Io non ti ho preso niente. Il mio regalo sarà quando domani ti porterò nella migliore gelateria italiana della città.»

Vidi i suoi occhi blu scintillare appena. Lo sapevo che il gelato era tra i suoi cibi preferiti.

«Passerete la serata a far funzionare il robot?», si lamentò Silver, che intanto aveva cominciato a curiosare qua e là per la stanza.

«Sì», dissi come fosse la cosa più ovvia del mondo. E con quella risposta strappai un altro sorriso a Jas.

Silver sbuffò, forse pentita di avermi accompagnata. Io la tenni d'occhio: non la conoscevo, nè mi fidavo di lei. Poteva sempre essere una di quelle che rubava e scappava, o chissà cos'altro.

Tra Rose e Silver, quest'ultima non era di certo la mia preferita. Eppure rimase lì, una bottiglietta d'acqua in mano per farsi passare la sbornia e non disse altro.

Dopo un'ora trascorsa con Jasper e il suo robot, decisi che era arrivato il momento di andare.

«Cenerentola deve rientrare. La carrozza c'è l'ho», commentai. Poi mi girai a guardare Silver. «La sorellastra pure.»

«Ehi!»

Lei si stizzì appena, ma non m'importò. Non mi andava a genio. Rose era carina con me, lei no.

Era però bella, e anche molto magra, perciò capii perchè Jet ci era cascato.

«Leviamo le tende prima che ci becchino. Domani puntuale eh, Jas»

Lui mi rivolse una smorfia e io mi reputai soddisfatta perchè quello era a tutti gli effetti un altro sorriso.




«Ma tu non hai una casa tua?» domandai a Silver quando il taxi ci scaricò e lei mi seguì in casa.

«No», bofonchiò.

In quell'istante notai Scarlett attraversare il giardino e dirigersi verso il cancello.

«Vai con loro? Se ne stanno andando.»

«Non posso», disse Silver.

«Perché?»

«Ho una fatto una cosa...»

«Se ti riferisci a Jet...»

«No, Jet non c'entra niente. Ho fatto una cosa che Scarlett non deve sapere.»

Silver mi rivolse uno sguardo mesto, quindi decisi di non infierire oltre.

Gli ospiti, o meglio, gli incivili, si erano dileguati da casa mia ed era rimasto solo il gruppetto di Jet in giardino. Con mia sorpresa però, quando entrammo in casa, ci imbattemmo in Ace.

«Che fai, Ace?»

«Provo a trovare un posto pulito dove dormire», sbuffò senza nemmeno guardarci. Sollevava cuscini a ripetizione, sapeva solo lui il perchè.

«Non sembri uno pronto a dormire fuori casa senza il suo pigiamino di seta», lo provocai.

Silver ridacchiò, ma lui non parlò. Ace rimase a testa china, le mani sui fianchi a studiare il nostro divano.

«Che c'è? Non puoi tornare a casa?»

«Non mi va di tornare a casa», specificò con il suo tono scorbutico.

«Hai picchiato Maize. È per questo?»

«Era solo un pugno.»

«Chi è Maize?», gli chiese Silver.

Ace ci rivolse un'occhiata distratta e quando si accorse di lei, disse qualcosa che non decifrai.

«Scarlett è tornata a casa.»

Non capii cosa c'entrasse quella frase, ma Silver sembrava averlo capito, perchè salì le scale e si dileguò.

«Lo so perchè non torni a casa. Hai picchiato Maize e così facendo hai compromesso i rapporti lavorativi di tua madre.»

Ace si sedette sul divano e, congiungendo le mani sulle ginocchia, mi fissò. «E tu cosa ne sai?»

Feci slittare le ruote e mi avvicinai a lui.

«Pensi di essere l'unico stalker della storia?»

Fui abbastanza vicina da vedere le sue sopracciglia sollevarsi in segno di sorpresa.

«Senti Lav, non tormentarmi. Stasera ho anche litigato con...»

Oh senti, senti.

Lui però si fermò sul più bello.

«Puoi parlarmene, Ace. Sai che avevo una cotta per te, ma ora mi è passata?»

Vidi il suo labbro superiore sollevarsi insieme alle guance. Mi guardò riluttante.

«Tranquillo. Ora che sono grande ho capito che non voglio passare il resto della mia vita in psichiatria, oltre che bloccata qui sopra.»

Mi fissò, ma non imitò il mio sorriso. Forse il suo dispiacere nei miei riguardi era troppo. Nessuno accettava il mio black humor, nemmeno mio fratello. Solo James.

«Lav, senti... Tuo fratello si arrabbia se gli rubo la camera?» Ace cambiò discorso.

«Ci dorme Silver lì.»

«Con lui? Ma se Jet è fuori con suo cugino.»

«Svegliati, Ace. Credo che quei due abbiano già dormito insieme.»

Imitai le virgolette e lui si massaggiò la fronte. Sembrava stanco.

«Okay, abbiamo socializzato a sufficienza, Lav. Riesci a salire in camera tua, oppure...?»

Ecco perchè tra gli amici di Jet, Ace era il mio preferito. Stronzo perchè mi stava mandando via, ma dolce perchè si preoccupava che arrivassi in camera mia sana e salva.

«Sì, Ace» Gli mandai un bacino volante con la mano. «Buonanotte.»







🍓SCARLETT🍓


Erano da poco passate le undici quando rientrai in casa. Passai davanti alla camera da letto della nonna e vidi che lei dormiva, quindi le rimboccai le coperte e mi avvicinai alla porta a passo leggero.

«Scarlett, sei già qui?»

Mi voltai. «Scusa non volevo svegliarti. Volevo solo assicurarmi stessi bene, ora vado a dormire.»

«Aspetta» mi fermò la nonna.

Ero ancora scossa, non ero capace a nasconderlo.

Mi sedetti quindi sul bordo del suo letto, attorcigliando le dita tra loro.

«C'è qualcosa che ti preoccupa, tesoro?»

Il petto mi bruciò quando tirai fuori quelle confessioni. «Sono così affezionata a questa casa...»

«Anch'io, Scar, infatti voglio vivermela fino all'ultimo giorno.»

Le presi le mani, erano gelide e sottili. «E se così non dovesse essere, nonna?»

«Perchè non dovrebbe essere così?»

«Tipo, se dovessimo... trasferirci?»

«No, non posso trasferirmi. Questa casa è l'unico bene materiale che posso lasciarti, Scar. Desidero che rimanga a te e voglio che ti ricordi di me, anche quando io ci sarò più.»

Una lacrima mi rigò lo zigomo.

Dovevo dirglielo, ma non sapevo trovare le parole adatte, così augurai la buonanotte alla nonna e, con il cuore pesante, mi nascosi in camera mia. Mi rannicchiai sotto le coperte, poi controllai il telefono. Silver non mi aveva risposto e Ace non mi aveva scritto.

Avevo sbagliato io o aveva sbagliato lui?

Non feci altro che indossare la sua felpa e macchiarla di lacrime, fino a quando non mi addormentai.







🍓MAUVE🍓


Mi svegliai nella notte vicino a qualcuno che aveva lo stesso profumo di Brick. Allungai una mano e la immersi in un cespuglio di capelli morbidi. Proprio come Brick.

Spalancai gli occhi. O porca miseria, è Brick.

«Devo andare subito a casa!» esclamai la prima cosa che mi venne in mente e a Brick per poco non venne un infarto. Si issò con le mani strette al petto, lo sguardo stralunato.

«Cosa succede?»

«I miei si arrabbiano se scoprono ho passato la notte fuori, senza avvisare in tempo»

Vidi il suo petto nudo svuotarsi. Sospirò, rilassando di nuovo le membra sul letto.

«Ci parlo io con loro»

«Sei impazzito?» O solo adorabile?

«Perchè?»

«Brick sei carino, ma no.»

«Posso riaccompagnarti ora però.»

«No.»

Io non avevo bevuto, ma Brick sì. Così mi alzai in piedi e, nel vedermi, un dubbio lo assalì. Lui era mezzo nudo e io vestita.

«Mauve, io e te abbiamo...?»

«Certo che no, Brick. Dormi. Ora chiamo mia sorella.»

Gli lasciai un bacio sulla guancia e uscii dalla stanza di Jade.

In corridoio vidi Silver barcollare fuori dalla camera di un ragazzo, molto probabilmente quella di Jet.

«Non ricordo nulla di ieri notte», bofonchiò.

«E ti pareva», commentai sottovoce.

Lei mi guardò ferita.

«Vieni, dai, ti accompagno a casa», le dissi. «Perchè non sei tornata con Scar?»

Silver però non rispose alla mia domanda.










🍓BRICK🍓


Il giorno seguente mi ero dato appuntamento con i ragazzi al campo da tennis, quello vicino a casa di Ace.

«Stai davvero accompagnando Jet e Lav a prendere un gelato? Ma guarda che ragazzo per bene che sei diventato, Jamie! Merito della tua nuova fidanzatina?»

Jet era impegnato a prendere in giro suo cugino per telefono. Io invece ero ancora senza macchina, quindi Candy mi aveva accompagnato.

«Devo passare a riprenderti?» domandò lei prima di sporsi dal finestrino. «Ciao Ace»

Candy lo salutò sventolando la mano.




Lui finse di non sentirla.

«Che cazzo, ma quella non sa darsi un contegno? Mai una volta che saluti me poi», commentò Jet quando Candy mi scaricò per andare a parcheggiare.

«Finiscila.»

«Che è successo alla festa? Hai dormito con Mauve?»

Jet come al solito doveva mettere il naso negli affari miei. Dopotutto, io lo facevo con i suoi.

«Sì ma non è successo niente», confessai.

Dopo poco mi accorsi che non eravamo soli. Oltre la rete, vidi mio padre insieme alla mamma di Ace. Parlavano tra loro, Candy invece era leggermente in disparte, al telefono.

Sicuramente parlavano di ciò che era successo a Maize e proprio in quel momento, lui apparve sul campo da tennis.

Tremai quando lo vidi. Avevo baciato Honey la sera prima. Ero ubriaco, ma non così tanto da ignorare che lo fosse anche lei, e quando finimmo in camera da letto, presi tutto il mio buonsenso e la mandai via. Con Mauve non era successo niente, eppure non l'avevo cacciata, mi piaceva passare del tempo con lei.

«Non è una splendida giornata?», annunciò Maize con fare spavaldo.

«Che cazzo ci fai qui?» gli chiese Jet. «L'avevamo prenotato noi il campo.»

«Non è fantastico?»

Maize continuava a guardare il cielo, ma si era posizionato proprio davanti alla sagoma di Ace.

«Cos'è fantastico?»

«Che da oggi la musica cambia», fece Maize. Poi si avvicinò ad Ace, gli andò sotto il mento.

Ace non reagì, eppure ci ghiacciammo tutti quanti. C'erano Fawn e mio padre a pochi metri. Non potevamo muovere un muscolo e Maize lo sapeva bene.

«Perchè?»

Maize si accostò subdolamente all'orecchio di Ace. «Perchè da oggi tu non potrai più toccarmi. Ma io potrò toccare lei».

Vidi Ace abbassare il viso. I due erano già vicini, ma lui gli si accostò ancora di più, probabilmente voleva mordere la faccia di Maize. L'attimo prima che facesse la sua mossa però, la voce di sua madre lo fermò in tempo.

«Che fate ragazzi?»

Ace strinse la mandibola.

«Niente, parlavamo della festa che darò stanotte. Ho invitato anche loro», sogghignò Maize.

«Ho già capito che dovrò chiamare James e ci dovremo sporcare le mani...», bofonchiò Jet.

Io annuii. Ma invece che chiedermi se ci sarebbe stata Honey, alla festa, ora pensavo a Mauve.



🍓SCARLETT🍓

Mi trovavo nell'ufficio di Fawn da circa un'ora.
Ace non era in casa e forse sua madre aveva scelto di farmi lavorare quel giorno, proprio perchè sapeva della sua assenza.

Ma d'un tratto la porta d'ingresso si aprì e io non riuscii a resistere. Tenni il capo chino, sollevai solamente gli occhi e quando Ace passò dal corridoio, lo intercettai in pieno. Sembrava arrabbiato.

Mi voltai verso Fawn che, dietro la sua scrivania, mi stava già fulminando.

«È solo Ace. Non farti distrarre», disse con voce dura, prima di tornare ai suoi documenti.

Facile a dirsi se non sei Scarlett.

Ma io ero Scarlett e in quanto tale, mi agitai. Non riuscii a stare seduta, sentii la pancia farmi male al solo pensiero di vederlo.

Poi però mi accorsi di alcune voci maschili farsi sempre più vicine. Fawn si alzò in piedi e io allungai di nuovo il collo.

«È tutto okay?» azzardai.

«Sì», mi ammonì con un'occhiataccia. «Ace avrà perso la partita.»

La donna a quel punto uscì dallo studio e fermò il figlio nel corridoio.

«Ace, che succede?» gli chiese. «Brick, Jet. Lasciateci un attimo da soli.»

Udii i passi dei ragazzi farsi lontani, poi di nuovo la voce di Ace.

«Niente, mamma.»

«Che è successo con Maize?»

«Abbiamo avuto una discussione al campo da tennis.»

«Un'altra?» si allarmò la donna.

«Non l'ho toccato stavolta.»

«Ace, controllati per favore.»

«Maize è un idiota e tu lo sai.»

«Certo che lo so, ma è il figlio dell'uomo per cui lavoro.»

«Sai anche che se non fosse stato raccomandato, non avrebbe ottenuto quel posto nell'ufficio del padre di Brick. Spaccia. Sai anche questo, mamma?»

«Questo lo sai anche tu, no?»

Percepii l'attimo di gelo da metri di distanza.

«Non ti sto chiedendo molto, Ace. Solo di lasciarlo stare.»

«Due ragazze volevano denunciarlo per molestie. Tu sai tutto, eppure fai finta di niente.»

«Io, non.... Non conosco la situazione. E poi non sai come ci si sente a essere genitori.»

«Però avere genitori per cui il denaro viene prima di tutto... Sì, questo lo so bene.»

«Ace non parlami in questo modo!»

La pausa durò qualche istante. «Scusa.»

«Io farei qualsiasi cosa per proteggerti e il padre di Maize farebbe lo stesso per il figlio. Maize avrà commesso degli errori, ma noi ci sosteniamo a vicenda. Difenderei Brick allo stesso modo.»

«È un atteggiamento egoista. Pensare solo a noi.»

«Da quando la pensi così, Ace?»

Sentii le guance scottare. Non devo ascoltare.

Però poi mi alzai in piedi e appiccicai l'orecchio alla porta.

«Ace, credi che Maize non vorrebbe vendicarsi se scoprisse che...» La donna abbassò la voce «Che sei stato tu a manomettere i sistemi informatici dell'ufficio?»

«Maize non sa che sono stato io.»

«Lascialo in pace, allora. Non renderlo ovvio.»

Percepii un'altra pausa.

«Mamma, tu come lo sai?»

«Tesoro, io ti conosco molto bene. E so che hai bisogno di una pausa. Vai in Francia. Rilassati, riposati e poi torni più concentrato di prima.»

Ace sembrò indugiare.

«Quello che succede oltre questa porta non ti riguarda. Scarlett è qui per lavorare», puntualizzò la donna.

Non udii la risposta di Ace, ci fu solo il silenzio.

«Vedi di non fare cavolate. Ora ho una telefonata importante. Ci vediamo a cena.»

Sentii i tacchi allontanarsi, poi un ridacchiare diffuso.

«Ma che cazzo fate?» chiese Ace, «Avete sentito tutto?»

«Tua madre non ha ancora capito che in Francia faremo peggio che mai? E che ci andiamo apposta, così lei molla il guinzaglio?», sghignazzò Jet.

Ace in quel momento passò davanti alla porta dell'ufficio, questa era socchiusa e mi beccò in pieno.

«Oh guarda chi c'è.» Brick mi sorrise.

«Sempre al momento giusto al posto giusto», aggiunse Jet.

«Che cazzo vorrebbe dire?» lo fulminò Ace.

Ma io non li ascoltai nemmeno. Ace indossava solo un paio di pantaloni della tuta, da cui svettava la sua pelle dorata e leggermente lucida.

«Boh, non si dice così?»

«Voi andate in giardino, io vi raggiungo.»

Ace mandò via i suoi amici, poi entrò nello studio della madre, dove la mia temperatura corporea salì alle stelle. Si avvicinò a me e il suo buon profumo mi circondò completamente, intrappolandomi al muro. O forse, era il suo corpo contro il mio a farmi quell'effetto.

Posò una mano sopra la mia testa e ruotò collo come volesse divorarmi la bocca, ma non lo fece. Si fermò l'attimo prima, regalandomi quell'illusione perfetta.

«Sei solo uno stronzo», soffiai con le guance in fiamme.

«Però le stringi quelle gambe quando mi vedi.»

Deglutii. Sicuramente ce l'aveva con me per essere scappata via, alla festa di Jet, ma non mi importava.

«Lasciami andare».

Gli indicai  la porta alla mia sinistra con un cenno del capo, ma non mi spostai di un centimetro. Le sue labbra rosse erano troppo invitanti.

«Se non ti lascio andare che fai?» mi provocò lui.

«Vuoi che tua madre mi senta urlare?»

Vidi la tensione scorrere sulla sua bocca piena, che si tese in un sorrisetto diabolico.

«Mhm... come siamo sfacciate oggi.»

Arrossii. Mi sentii bruciare, intanto avevo già chinato il capo, quindi Ace ne approfittò per  accostarsi dolcemente al mio orecchio.

«Sì, ma non smettere sul più bello...», sussurrò suadente.

Mi leccai le labbra e mi dedicai alla mia prossima mossa, senza mai alzare lo sguardo.
Posai la mano sul suo addome compatto e il mio palmo si incendiò a contatto con la sua pelle abbronzata.

Il respiro di Ace accelerò piacevolmente sotto le mie dita, mentre il mio andava in rotta di collisione.

«Continua, dai

Gemette e io non ero preparata a tanta tensione. La piccola supplica che scaldò il mio orecchio mi fece tremare.

Ace, perché fai così? Fermai la domanda sulla punta della lingua.

No, non l'avrei detto. Nelle mie fantasie, Scarlett l'avrebbe messo alle strette e disorientato, proprio come faceva lui con me. Quindi ci provai.

Lasciai strisciare la mano sul suo petto nudo, dove i muscoli si ingrossavano appena.
Lo sentii sussultare, quando con il palmo tremolante gli carezzai la V che tagliava il suo basso addome tassellato.

Incredulo, Ace seguì con lo sguardo la traiettoria della mia mano, fino a quando non scesi così tanto da sentire le vene turgide che scomparivano dentro i suoi pantaloni.

«Scarlett.»

Mi afferrò il polso con un gesto delicato.

«Ti prego, non farlo», supplicò togliendomi la mano.

Mi morsi il labbro e lo guardai.

«Chi è particolarmente sensibile, oggi?», lo presi in giro.

«Mhm... fammici pensare.»

Poi le sue labbra caddero sul mio collo, creando una scia irresistibile. Mi dimenai appena per quel contatto troppo piacevole, ma mi arresi in fretta. A lui bastò afferrarmi una gamba. Mi strinse tenendomi ferma contro il muro e cominciò a risucchiare la pelle. Uno, due, tre, quattro... persi il conto dei secondi che dedicò a provocarmi quella chiazza violacea sulla gola. Mi sentivo andare a fuoco, perciò strinsi le cosce tra loro e Ace se ne accorse, perché il suo polso restò intrappolato lì in mezzo e io iniziai a boccheggiare sempre di più.
Applicò un po' di pressione e con le dita risalì appena, solleticandomi l'interno coscia. Lo fece senza uno scopo preciso, forse era solo una provocazione, perchè nascose un ghigno sodisfatto dietro il mio orecchio.
  
«Io ti fermo, ma tu non lo fai mai», ansimò sulla mia guancia, rendendola rovente.

«Perchè dovrei, Ace?»

«Perchè sennò inizio a pensare di piacerti sul serio, Scarlett.»

Fu sfacciato e io arrossii con così tanta violenza, che il mio stomaco si capovolse e il suo profumo divenne una sostanza di cui non potevo più fare a meno.

Ace mi passò le labbra morbide sulla mandibola, ma prima che arrivasse alla bocca, si ritrasse, non mi baciò.

«Vuoi sapere chi è sensibile?», ricalcò la mia domanda. «Direi sempre tu, signorina.»

Che stronzo.

Entrambi ci voltammo verso la porta. Sua madre stava per tornare. Riconobbi il rumore dei suoi tacchi.

Poi Ace mi prese il mento con due dita, richiamando tutta la mia attenzione. «Dipende da te, Scarlett. Se vuoi giocare, io sono qui. È solo che...»

Con il pollice, Ace fece scendere il vestito che mi si era alzato sulle cosce.

«...Non so se ti conviene.»












Quella sera, in caffetteria, ero più agitata del solito. Fuori era già buio e i tuoni tagliavano l'aria estiva, facendomi sobbalzare a ogni squarcio che formavano nel cielo.
Ero tesa anche a causa del mio rapporto con Silver. Lei non mi aveva più richiamata, i miei incontri con Ace erano ambigui e io non riuscivo a pensare ad altro se non a lui, alle sue mani, al suo profumo...

Ma c'era anche un altro motivo che mi portava ad essere così nervosa. Dopo il turno avevo l'appuntamento in chiesa.

E quasi me ne dimenticai quando Ace e i ragazzi entrarono in caffetteria. Era tardi, forse la loro non era una deviazione programmata perché erano fradici, segno che si erano nascosti qui per ripararsi dalla pioggia che aveva cominciato a cadere imperterrita.
La porta si era appena aperta, facendo entrare una folata gelida, sporcata dal suo buon profumo.

«Mentre che siamo qui, ci porti un caffè?» chiese Brick a Flora.

«Per favore», lo corresse lei.

Io mi ero in procinto di levarmi il grembiule, quando incrociai lo sguardo di Ace. Si era accorto che stavo staccando, ma non venne a salutarmi.
Gli altri mi salutarono, lui mi guardò soltanto quando gli passai di fianco e uscii in strada.

Pioveva a dirotto, quindi mi coprii la testa con lo zaino e saltellai fino alla bici. Lo zaino però mi cadde dalle mani e scivolò in una pozzanghera che mi zampillò addosso. Ero un disastro. Lo recuperai e mi alzai il cappuccio sulla testa che s'inzuppò d'acqua dopo pochi secondi. Afferrai il manubrio della bici, ma pioveva così tanto che non ci vedevo un accidente e la mia goffaggine era amplificata. Anche la bici mi cadde a terra e le cascai dietro con tutto lo zaino.
Quando mi rialzai, vidi Ace che mi guardava attraverso la finestra rigata di pioggia.

Mi aveva dimostrato più volte che potevo contare su di lui, sia con la nonna che con i miei problemi... ma nonostante ciò, non riuscivamo ad essere amici. E questo complicava le cose.

Con mia sorpresa, in quel momento arrivò un taxi e si fermò proprio davanti a me. Gli feci cenno di no.

Il tassista abbassò il finestrino. «Hai chiamato un taxi?»

«Ehm...»

Se fossi rimasta ancora un po' su quel marciapiede, mi sarei presa una broncopolmonite. Pioveva troppo, quindi decisi di non farmi domande ed entrai nel taxi

«Dove devi andare?»

Gli diedi l'indirizzo della chiesa e quando arrivai, non dovetti pagare. Era già stato fatto.





🍓BRICK🍓


Stavamo tornando dal campo di basket a piedi e siccome pioveva a dirotto, avevamo fatto una deviazione in caffetteria. La noia era palpabile, eravamo seduti al tavolino attendendo che spiovesse, perciò iniziai a tormentare Ace.

«Che ti ha fatto Scarlett? Se siete così amici, allora cos'è quella faccia?»

«Non la capisco» disse Ace con la faccia rivolta alla finestra rigata di pioggia.

«Che guardi?», gli chiesi poi.

«Niente.»

«Lo sappiamo, è inutile che fai finta di niente...» lo stuzzicai, provocandogli uno sbuffo annoiato.
«Le hai chiamato un taxi.»

«Pioveva», si giustificò. Non dovette nemmeno dare un colpetto di spalle, il suo tono piatto lasciava intendere quanto poco gli importasse.

Jet scoppiò a ridere, Ace invece rispose a una chiamata, dicendo solo: «Va bene grazie.» poi mise giù.

«Sì, "pioveva"... certo.»

Jet continuava a ridacchiare, poi però la sua faccia cambiò all'improvviso, perchè Ace se ne uscì con una frase inaspettata.

«Sto pensando non andarci in Francia.»

«Cosa cazzo stai dicendo?» Jet parve quasi furioso.

«Dico che potrei rimanere qui.»

Quando mi accorsi che Ace non stava scherzando, non riuscii a trattenermi nemmeno io. «Cosa? Sei impazzito?»

«Ehi, fermi tutti. No, no, no. In Francia si va, cazzo», s'impose Jet.

«Ah, ma siete qui! In California noi i cellulari li usiamo, voi che li tenete a fare? Vi dovevo mandare un cazzo di piccione viaggiatore?»

Quando il cugino di Jet entrò in caffetteria, ci voltammo tutti verso l'ingresso. E non fummo gli unici, alcune ragazze dal tavolino di fianco si girarono. Forse perchè aveva una personalità magnetica e non riusciva a fare una frase di senso compiuto senza metterci un "cazzo".

Jet si distrasse a raccontare a James della Francia, perciò io tornai alla carica con Ace.

«Sei strano.»

Lui non parlò.

«Più del solito, intendo. Che vuoi fare, Ace?»

«Ho un brutto presentimento», rispose sottovoce.

«Non ti vorrai appostare per tutta l'estate sotto casa sua a spiarla, solo perché non ti vuole dentro?»

Jet ridacchiò.

«Dentro casa. Dai finiscila, Jet», lo sgridai.

Poi Rose uscì dallo sgabuzzino, catturando l'attenzione di Jet.

Ace serrò la mandibola. «Abbassate la voce.»

Approfittai dell'ennesimo attimo di distrazione di Jet, così spinsi i gomiti sul tavolo e mi avvicinai ad Ace. «Cosa ti preoccupa?»

«Non mi parla mai della sua famiglia. Non lo so, ho una strana sensazione. Forse quando la riporto a casa, non dovrei andarmene subito.»

«Darai una sbirciata come al tuo solito, no?» suggerì Jet addentando una ciambella.

James ci guardò con aria confusa, ma anche riluttante.

«No.»

Ace negò risoluto, ma a Jet venne da ridere.

«Seriamente, non lo farei con Scarlett.»

«Oh, chissà come mai.»

«Non per quello che pensate voi. Solo perché lei non me lo perdonerebbe.»

«Invece se te stai sotto casa sua, è tutto normale», commentò James, sarcastico come al suo solito.

Jet finì la ciambella, poi si alzò per andare a ordinare altro, o forse lo fece solo parlare con Rose.

«La città conterà circa cinquanta, forse cento pub. Rinfrescami la memoria, che ci fai sempre qui?»

Rose non le mandava a dire, specialmente se si trattava di Jet.

«Magari mi è piaciuto l'altra sera», rispose lui, ancora più sfacciato.

«Chiudi quella boccaccia, Jet!»

«Ti vergogni di avermi baciato?»

Fummo tutti risucchiati dalle loro battutine.

«Baciato? Tu sei pazzo! Eri ubriaco e non c'è stato alcun bacio.»

«Bacio vero», sogghignò lui. «E per ora», aggiunse.

«Devo sapere come si è fatta quel livido sull'avambraccio. Ma soprattutto... devo sapere come si è fatta quella cicatrice.»

Ace riprese a parlarmi sottovoce, incurante dei battibecchi di quei due.

«Eh?» Ero confuso.

«Brick, Scarlett continua a dirmi bugie.»

Poi si zittì quando Jet tornò da noi, io mi strofinai la fronte corrucciata. «Ma ne sei sicuro, Ace?»

Ace però non rispose, si alzò per andare a pagare.

«Scarlett ha già finito» lo avvisò Rose, con piglio sbrigativo.

«Devo pagare. E poi cercavo te.»

«Che vuoi?»

Vidi Ace provare a mantenere la calma. Gli sarebbe bastato poco per sapere tutto di Scarlett, della sua famiglia.

«Rose, per caso tuo padre stasera ha una delle sue.. come si chiamano? Funzioni?»

Rose squadrò Ace con diffidenza. «Sì, perchè?»

«Per sapere.»

«Ehi, ma tu non eri quello che si stupiva perchè "la gente va ancora in chiesa?"»

Rose però non ottenne risposta, perché Ace tornò al tavolo.

«Hai il sospetto che qualcuno le faccia del male? Seriamente? Tipo quel Cedar? È l'unico ragazzo che frequenta», ipotizzai.

«Quel tipo è ancora vivo, quindi ovvio che non pensa sia stato lui.», s'intromise Jet.

Forse per Jet questo era uno scherzo. Lui prendeva sempre tutto alla leggera e io facevo lo stesso, ma solo se si trattava di me, dei miei esami... Non ci riuscivo con i miei amici, tantomeno con Ace. Non riuscivo a vederlo così afflitto.

«Ascolta, Ace... Stiamo pur sempre sparlando di Scarlett.» Provai a farlo ragionare. «È una brava ragazza, ma l'hai vista: prima è inciampata cinque volte in un minuto, è molto più probabile che se lo sia fatta da sola quel livido.»

«Perché le hai chiamato il taxi? Dove andava?», c'interruppe James.

Ace lo fulminò con un'occhiataccia, poi, con aria pensierosa, prese a massaggiarsi il collo nervosamente.

«Senti, Ace... noi ti vogliamo bene. Ci servi libero, non ti vogliamo in una prigione federale prima dei venticinque, smettila di pensarci», lo spronai io, mentre fuori la pioggia cominciava a diminuire.

Jet si alzò in piedi. «Sei paranoico, nessuno le ha fatto un cazzo. Ora andiamo?»

Ace sembrò farsi convincere, ma io sapevo che non era così. Quando si metteva in testa qualcosa, ci voleva ben altro per dissuaderlo.






🍓SCARLETT🍓

Da inguaribile sognatrice quale ero, le mie canzoni preferite erano sempre state Fearless e Sparks Fly, forse perchè non ero abbastanza romantica da apprezzare Enchanted e Love Story come lo facevano gli altri.

E sebbene The Bolter non fosse la scelta migliore, descriveva alla perfezione come mi sentivo. Nemmeno la caduta più grande mi aveva uccisa, a farlo era stata solo la noia. E la fuga sembrava l'unica opzione. Fuggivo con la mente, rifugiandomi in storie di cui non avevo il controllo. Nella mia testa, sembravano essere le migliori, dovevo solo trovare il coraggio di renderle reali.

Seduta all'ultima panca, rimasi in disparte per tutta la durata del sermone. Però, a differenza di quando ero più piccola, stavolta ascoltai attentamente ogni singola parola. Ivory parlò dell'importanza di ritrovare la propria strada, in seguito a un periodo di smarrimento, nonostante la paura del vuoto e del timore di rifare le scelte sbagliate. Tutto quel parlare teorico mi portò a riflessioni concrete.

E se avessi solo bisogno di una luce da seguire?

Ace era ambiguo, sì, ma lo ero anch'io. Non riuscivo a far pace con me stessa, e finché i demoni che albergavano dentro di me non si fossero dissolti, sapevo che non avrei mai potuto aprire il mio cuore a nessuno.

«Che ne dici? Sono ancora convincente?»

Quando lui mi venne vicino, sorrisi abbassando gli occhi.

«Erano per me quei discorsi?», chiesi indicando il piccolo palco sopra il quale aveva tenuto la funzione.

Lui annuì. «Vedi, ti è sempre piaciuto stare qui. Per una volta mi hai anche ascoltato.»

Poi si sedette accanto a me, su quella fredda panca di legno, mentre la chiesa si svuotava di fedeli.

Mi massaggiai il braccio, forse per mitigare il disagio, mentre Ivory seguiva i miei movimenti.
«Ti sei fatta male?»

Sollevai il capo e lo guardai. Stava dicendo sul serio?

Il livido che contornava il mio avambraccio era ormai tratteggiato.

Ma allora non era stata quella colluttazione... Forse me lo sono fatto da sola.

«Sì, ma non ricordo come...»

Ritornai con la mente a casa della nonna.

«Devi fare attenzione. Sei sempre così sbadata..»

Forse lui non mi aveva strattonata. O forse sì?

No, non è possibile, mi sono immaginata tutto...

Poi lo vidi puntare lo sguardo avanti a sè. «Raccontami un po', come va?»

Non fu un compito difficile. L'avevo sempre fatto, ero sempre stata totalmente onesta con lui, senza filtri. E anche ora avevo bisogno di sfogarmi. Magari il vero problema ero io, che riuscivo sempre a crearmi nuovi problemi.

«Non so come comportarmi con Silver. Tento di essere una buona amica, ma a volte non ci riesco e me la prendo per delle sciocchezze...»

Ivory non parlava, si limitava a muovere il capo ricambiando il saluto delle persone che ci sfilavano accanto, prima di uscire dalla chiesa.

«Silver è sempre diffidente con tutti, forse per quello che le succede in famiglia... Ma quando le dico che posso starle vicino, che può venire a dormire da me... sembra sempre che abbia di meglio da fare.»

«Con i ragazzi?»

«Sì», dissi senza esitazioni. Era proprio così.

Iniziai a giocherellare con le punte delle ciocche che mi cascavano sulle spalle e, nel farlo, spostai i capelli, lasciando il mio collo esposto.

«Puoi aiutarla, puoi starle vicina, ma quella ragazza non ha mai avuto una buona influenza su di te. Sai, Scarlett...»

I suoi occhi assunsero i colori dei mosaici che decoravano le pareti. E si posarono proprio su un punto preciso della mia gola.

Fece una pausa, poi le sue labbra si schiusero lente. «Hai iniziato a frequentare quel ragazzo.»

La mia guancia pizzicò.
Ace non c'entrava nulla.
Non volevo parlare di Ace.
Non con lui.

Mi strinsi una mano al grembo. «Non...»

«È una distrazione.»

«Distrazione da cosa?» Gonfiai le guance per trattenere una risata amara. «In alcuni casi distrarsi significa sopravvivere.»

Lui si rivelò freddo, mosse solo le labbra.

«Il lavoro e la salute della nonna sono la tua priorità ora. O forse ho capito male?»

Quell'attacco mi disintegrò.

Annuii con aria mesta. «Sì, certo. Sì.»

«Perché tanta riluttanza nel venire qui?», m'interrogò alzandosi in piedi.

Dice sul serio? Non lo sa quanto mi sento in colpa?

«Tu come stai?», azzardai seguendolo in quei corridoi gelidi.

«Bene, non devi preoccuparti per me.»

D'un tratto mi sentii guardata da tutte quelle immagini impresse sulle pareti. Capitava sempre. Forse avevo solo paura mi vedessero dentro e capissero che poi, in fondo, tanto buona non lo ero.

«Li conservo ancora», annunciò Ivory, mentre apriva il cassetto della sua scrivania.

Ero stata distratta dagli affreschi e da quegli occhi dipinti che volevano rubarmi l'anima. Così tanto che la fitta mi colpì in ritardo. Realizzai in ritardo. Eravamo nel suo ufficio.

«Cosa sono?», domandai confusa.

Ma subito dopo riconobbi i fogli con la mia scrittura.

O no.











-TRE ANNI PRIMA-





your wife waters flowers, I wanna kill her









Era tardo pomeriggio e io sfrecciavo con la bici per le vie di campagna, quando, con la coda dell'occhio, vidi un gattino dal pelo color avorio camminare sul bordo di un fosso.
Era così bello che mi chiesi se fosse solo una mia allucinazione. Aveva il manto soffice e immacolato, sembrava uscito dalle pagine di una favola, con i suoi occhi di un blu fulgido e la sua eleganza nei movimenti. L'incanto però, lasciò il posto alla paura. Ebbi il timore che potesse cadere e ciò mi impedì di proseguire la pedalata in tranquillità. Mi avvicinai e lo seguii con lo sguardo, ma d'un tratto trotterellò troppo vicino all'oblio, così frenai di colpo.
Ovviamente fui io a cascare nel fosso.

Fortuna che la bici balzò dal lato opposto e non mi finì addosso.

«Ti sei fatta male?», chiese una voce maschile.

Mi guardai le gambe, poi le braccia. Ero illesa.

«No, sto bene», dissi continuando a cercare il gattino con lo sguardo.

Non avevo ancora sollevato il capo e l'attimo prima che lo facessi, finalmente, il piccolo batuffolo di pelo bianco mi saltò in grembo. «Eccoti!»

Scoppiai in una risata liberatoria perchè il gatto strofinò la fronte sul mio mento causandomi il solletico.

«Scarlett», mi richiamò la voce maschile. «Sei tu?»

Mi massaggiai il fianco e ci misi un po' a rendermi conto che l'uomo mi stava parlando. Mi offrì la sua mano per aiutarmi ad uscire dal fosso e io fui attenta a sorreggere il gattino e a portarlo con me.

Quando balzai in piedi mi accorsi che si trattava del pastore, il padre di Rose.

«Fammi vedere, hai qualche graffio?», chiese con aria preoccupata.

«No, sto bene. Grazie.»

Fui forse un po' troppo sbrigativa e disinteressata, ma tutte le mie attenzioni erano rivolte al gattino. Pensavo solo a lui, immaginavo di portarlo a casa della nonna, non vedevo l'ora di dargli da mangiare e di farlo dormire al fondo del mio letto. Come potrei chiamarlo?

La coda morbida mi solleticò il naso e, osservandolo, fu impossibile non pensare al Bianconiglio. Aveva la stessa aria misteriosa, come se fosse in grado di condurmi in qualche mondo incantato. Sì, l'avrei portato a casa. Avrei avuto compagnia e, finalmente, qualcuno che non mi avrebbe abbandonata alla prima occasione.

Ero tutta concentrata a coccolare il gattino quando l'uomo parlò. «Ti piacciono i gatti?»

«Di più i cani, ma i gatti affascinano. Sono misteriosi. Solitari.»

«Rose si è diplomata, le abbiamo preso un gatto», fece lui.

«Sì, me l'ha detto la nonna. Verremo alla festa, voglio dire... al barbecue, questa sera.»

«Quando sei arrivata?»

«Ieri.»

«Sei cresciuta così tanto che non ti avevo nemmeno riconosciuta. Senti, Scarlett... questo gatto ha proprio tutta l'aria di somigliare a quello di Rose.»

A quel punto sollevai il mento e lo guardai.
Due rughette gli contornavano gli occhi, così intensi che sembravano dello stesso colore del cielo.

«Ah sì?», chiesi stupita.

L'uomo sorrise guardando il gattino che stringevo tra le braccia. E io d'un tratto capii.

«Ah, ma è vostro? Cioè è di Rose? Oddio scusa!»

Glielo restituii immediatamente.

«Grazie per averlo salvato», disse l'attimo prima di portarmelo via.

Perché non potevo essere Rose?





🍄





Quel pomeriggio aiutai Rose e sua madre ad organizzare il barbecue per la festa del diploma. Rose aveva provato a dissuadere i suoi genitori, dicendo loro che non aveva bisogno di festeggiamenti, ma i Sanders coglievano qualsiasi occasione per dare feste nel loro giardino, invitando tutto il vicinato. E io non facevo che chiedermi perchè gli adulti stessero così tanto tempo intorno al barbecue, a parlare tra di loro. Cosa c'era sempre di così interessante da dirsi? Perciò, con il tempo, cominciai ad ascoltare i loro discorsi.

C'era una crepa nel muretto che separava il barbecue dai tavoli. Quando mi sedevo al mio posto, vicino al muro, arrivavo perfettamente alla crepa e sbirciare era facile. Spesso, mi ritrovavo ad osservare Rose e la sua famiglia. Erano molto uniti e un sentimento che non mi apparteneva iniziava a germogliarmi nelle vene. Mi avvelenava gli occhi e mi rattristiva il cuore.

«Se proprio ci tieni, ti presto mio padre.»

La voce di Rose mi fece sobbalzare, strappandomi ai miei pensieri. Si sedette accanto a me e, offrendomi degli spiedini, mi beccò a fissare gli adulti da lontano.

«Ma che dici...» mormorai sottovoce.

Mangiavo con lo sguardo basso, forse per evitare le occhiate delle vicine curiose, ma il mio essere silenziosa non le scoraggiava affatto.

«Tua nonna dov'è, Scarlett?»

«È stata qui fino a un attimo fa, mi ha aiutata tutto il pomeriggio, santa donna. Ora è andata a riposarsi», fece la mamma di Rose, venendo in mio soccorso.

Posizionò il vassoio fumante in mezzo alla tavolata e tutti cominciarono a mangiare. Ogni tanto giravo il capo verso il muretto, oltre il quale alcuni uomini erano rimasti a cuocere la carne.

Fortuna che Rose e una sua compagna di scuola si sedettero accanto a me, perchè gli altri erano adulti e sconosciuti. La nonna aveva deciso di lasciarmi sola all'ultimo, ma non ce l'avevo con lei. Era venuta ad aiutare con i preparativi, poi però, dopo diverse ore in piedi, si era stancata ed era andata a riposare.

Continuavo a tenere la testa bassa a ogni boccone, solo i miei occhi guizzavano oltre la crepa, curiosi. Ero stata paziente, forse l'avevo cercato troppo, ma finalmente incontrai il suo sguardo, fisso su di me.

«Scarlett, so che sei la nipote di Margaret», borbottò un'altra donna del vicinato.

Mi limitai ad annuire e a tornare al mio piatto.

«I tuoi come stanno? Sei qui da sola?»

«I suoi genitori vivono a Rivers, no?», chiese qualcuno dall'altra parte del tavolo.

Mi imbarazzai quando l'attenzione dei presenti cadde tutta su di me.

«Ma è la figlia...»

«Possiamo tornare al discorso del restauro della chiesa?», s'intromise Ivory, levandomi quel fardello di dosso.

Poi mi sorrise. Sentii le prime farfalle, l'odore dell'erba appena tagliata e il calore dei suoi occhi.

Finalmente a tavola si cambió discorso, ma ciò non fu sufficiente a impedire a quelle donne di continuare a fissarmi e borbottare tra loro.

A fine cena Rose si avvicinò al mio orecchio. «Mi dispiace per la tua famiglia.»

«Come lo sai?», le chiesi.

«Tua nonna è preoccupata, ne ho sentito parlare con mio papà», sussurrò.

«Lo sanno tutti», aggiunse la sua amica, una ragazza che non avevo mai visto prima.

La guardai preoccupata. «Cosa sanno?»

«Della tua famiglia. Penso che lui e tuo padre andassero a scuola insieme. Molto prima che sparisse, intendo.»

«Rose, andate ad aiutare tua madre.» Ivory intervenne per redarguire le ragazze, io invece rimasi ferma con i piatti in mano, senza sapere bene cosa fare.

«Scarlett, tutto bene?»

Lo fissai dritto negli occhi. «No.»

Sembrava che qualcuno gli avesse strappato le parole di bocca, perchè si guardò intorno per qualche istante.

«Vieni, andiamo.»

Oltrepassammo il cancello e lo seguii fino alla stradina buia che costeggiava casa sua e portava dalla nonna.

«Dove andiamo?»

«Ti riaccompagno a casa.»

«Grazie.»

«Mi dispiace per prima. Purtroppo la gente ama chiacchierare»

«Lo fanno anche di te», mormorai causandogli un cipiglio.

Lui mi guardò dall'alto. «E tu cosa ne sai?»

«Li sento parlare.»

«E li ascolti?»

«Talvolta. Ma è solo curiosità la mia.»

«Perchè non vieni mai in chiesa insieme alla nonna?»

Negai con il capo. Da piccola mi annoiava andarci, ma dirlo a voce alta non era molto carino.

«Possiamo parlare ogni volta che ne hai la necessità», aggiunse lui, una volta arrivati davanti al cancello della nonna.

«Del perchè mi hanno mandata qui? No, grazie...», dissi ferita.

«I genitori fanno del loro meglio, Scarlett. Non si nasce conoscendo il mestiere. Nessuno ce lo insegna.»

Già ma tu sei perfetto con Rose.

Chinai il capo e non seppi cosa rispondere.

«A volte non siamo cattive persone, ma solo persone che affrontano momenti difficili, Scarlett.»

Annuii. «Okay.»

Forse, se gli do retta, nessuno parlerà più di me.

«Quindi ti ho convinta?»

«Ci verrò» annunciai risoluta.

La mia gola bruciava di sete e lui mi aveva convinta con qualche goccia di pioggia.

«Stai bene con tua nonna?»

«Sì. Mi piace stare qui...»

Amavo passare del tempo con lei, adoravo ascoltare le storie del passato e andavo pazza per la sua torta di fragole.

«Ma...?» m'incalzò lui nel vedermi dubbiosa.

«Ma non posso raccontarle tutto tutto.»

«Proprio per questo motivo, se hai bisogno di parlare, la mia porta è sempre aperta.»

Non si avvicinò per salutarmi, si limitò a stringermi la spalla con una stretta affettuosa.

Le mie membra avevano freddo e a lui era bastato soffiarci sopra.

Poi se ne andò.

Perché non potevo essere Rose?




🍄



Passai l'estate dei miei quattordici anni a Castle Rouge e ogni tardo pomeriggio lo trascorrevo in chiesa, insieme alla nonna. Lo facevo perchè mi ero convinta che frequentare quell'ambiente potesse rendermi una brava persona, quando in realtà mi annoiavo, non mi piaceva stare lì. E poi... ero obbligata a guardare lui, ogni giorno.

Finii, forse per gioco, a chiedermi se lui guardasse me, qualche volta. E l'idea cominciò a balenarmi in testa, anche perché avevo come l'impressione lo facesse per davvero. Ma era risaputo, "Scarlett viaggia troppo con la fantasia"... e in un'ora di funzione, l'unica cosa che mi teneva sveglia era contare le volte che i suoi occhi carezzavano il mio viso.

Era solo un giochino, come quelli che si fanno da bambini. "Camminerò senza mai calpestare le linee del pavimento..." Ma nessuno mi aveva avvertita. Nessuno mi aveva detto che giocare con gli adulti poteva rivelarsi pericoloso.

Poi però, cominciai a creare mondi immaginari, sempre per combattere la noia di quelle funzioni religiose e, farlo tra una sua occhiata e l'altra, divenne ancora più rischioso. Tanto da perdere il confine tra realtà e fantasia.

Dopo la messa, la nonna spesso si fermava ad aspettare Ivory, quindi lui ci dava un passaggio fino a casa, soprattutto se pioveva o se era già buio.

«Rinnoveremo quest'ala e rifaremo la facciata», spiegò Ivory indicando la parete davanti a noi.

«Ma è già molto bella. Perchè vuoi rifarla? Non vedo difetti», commentò la nonna.

D'un tratto lui si voltò verso di me. «Cosa ne pensi, Scarlett?»

Il mio stomaco si capovolse.

«Penso sia un po' troppo vecchia, Signor Sanders. Io la rifarei.»

«Vedi, Margaret?», sorrise lui.

«E poi ci dovrò passare il resto dei miei giorni qui dentro, voglio essere circondato da pareti appena affrescate.»

«Non ti capirò mai, tu dai troppa importanza all'estetica», lo rimproverò la nonna, infischiandosene del fatto che stesse parlando con il pastore.

«Vuoi farmene una colpa? I miei occhi amano posarsi su ciò che è bello e delicato. Cosa c'è di sbagliato?»

Volli sprofondare quando spostò lo sguardo su di me.

Mi fissò nel pronunciare quella frase io e mi sentii terribilmente in colpa.

Perchè l'aveva fatto? No, non è possibile, mi sono immaginata tutto...

E continuai a ripetermelo anche in auto, mentre eravamo diretti verso casa. Mi vergognai. Come avevo potuto pensare che guardasse me? Mi spaventai di me stessa. Non ero mai stata presuntuosa o sfacciata... Lo stavo diventando?

Se a scuola ero quella strana, qui ero decisamente quella folle.

Così decisi di ritornare alla mia monotonia, avrei accettato la noia perchè quel sentiero si stava rivelando troppo pericoloso. Avevo paura.

Volevo smetterla di pensare a lui, ma ormai era fatta: le volte che la nonna non poteva venire in chiesa a causa delle visite, lui mi riaccompagnava a casa. Restavamo in silenzio e, nella sua macchina, potevo giurare che si sentisse il mio cuore battere come un tamburo.

«Avanti, Scarlett. Cosa c'è?» domandò una sera.

Ero seduta sul sedile del passeggero e non avevo fiatato per tutto il tragitto.

«Niente.»

«A volte sembra che tu voglia chiedermi qualcosa, ma non lo fai»

«Sono cavolate», minimizzai.

«Tipo?»

Era davvero interessato a cosa mi passava per la testa?

«Be' hai sempre quella tunica e quando la togli, hai quel maglione. Non hai caldo?»

Sorrise. «Era questa la domanda? Davvero?»

«Sì, pensavi altro?»

Lui si fece serio e io mi sentii colpa.

«Sono abituato. Certo, se potessi, metterei anch'io quei pantaloncini, ma ahimè, non posso farlo.»

La sua era una battuta, ma l'occhiata che mi gettò addosso mi rese irrequieta.

«Fa caldo» mi giustificai, quando capii che parlava di me.

«Lo so, ma dovresti coprire almeno le spalle quando vieni in chiesa.»

Mi sentii così in colpa, che non riflettei nemmeno sul fatto che lui avesse notato il mio abbigliamento, mi sembrò tutto normale.

«Mi dispiace, di solito c'è la nonna, mentre oggi ero fuori in bici e sono venuta così com'ero, non ci ho pensato.»

Lui fermò la macchina e realizzai che eravamo arrivati.

«Scarlett.»

Mi voltai a guardarlo. «Sì?»

«Smettila.»

La sua richiesta arrivò come un pugno nello stomaco.

«Di fare cosa?»

«Questo. Con me. Smettila.»

Lo guardai confusa.

Ti sei offerto tu di accompagnarmi.

Lui mi fissò senza dire una parola e sebbene non capissi cosa io avessi fatto di sbagliato, mi sentii di nuovo colpevole.

«Scusa. Io non volevo... scusa», abbassai lo sguardo.

Allora capii. Ma certo, era tutta colpa mia. Se n'era accorto. Si era accorto che invidiavo Rose e la sua famiglia. Che lo volevo io il gattino bianco. Che la volevo anch'io una festa dedicata a  me. Che li volevi anch'io due genitori amorevoli.

Non dissi altro e scappai in casa con la promessa che sì, avrei smesso. Non seppi cosa, ma l'avrei fatto.



🍄





Avevamo riso così tanto che lo stomaco cominciava a farmi male. Kaden era un ragazzino simpatico e quasi più goffo di me. Lo era sempre stato, ma Ivory ci beccò a ridere proprio durante il suo sermone.

«Basta, non lo vedi che stiamo facendo casino?», lo rimproverai.

Mi dimenai perchè Kaden però mi pizzicò il fianco. «Soffro il solletico sui fianchi, smettila per favore.»

«Hai paura di lui, Scar?»

«No, perchè dovrei?»

«Dicono soffrisse di dipendenze da giovane... dicono anche che soffra di crisi di rabbia»

Lo guardai male. «Ma che dici?»

Che avesse un passato turbolento, me lo aveva raccontato la nonna... E se fosse tutto vero?

«Si sta incazzando secondo te?» mi domandò Kaden avvicinandosi al mio orecchio.

«Secondo me sì, finiscila. Dai.»

«Magari se si incazza cambia l'antifona, mi sto per addormentare qua. Scopriamolo.»

"Tanto a quanto pare mi odia" avrei voluto dire a Kaden, ma quando arrivammo alla fine del sermone e ci alzammo per raggiungere gli altri ragazzi nel cortile, Ivory ci fermò.

«Scarlett, aspettami di là.»

«Ma...»

«Vai nel mio ufficio. Devo parlare con Kaden. Da soli.»

Obbedii. Mi chiusi nel suo ufficio con lo stomaco in subbuglio. Tremante, iniziai a guardarmi intorno e una strana sensazione s'impossessò delle mie vene. Mi sentii potente. Aveva lasciato che io rimanessi nel suo ufficio, da sola, e ora mi potevo sedere alla sua scrivania. E così feci. I miei occhi perlustrarono documenti, fogli di giornale, finché non trovai un quaderno rilegato in pelle bordeaux. Lo aprii scoprendo che le pagine erano bianche. Sembrava aspettassero me. Così non ci pensai, afferrai la prima penna che trovai e provai a buttare giù i miei sentimenti. Mi sentivo così confusa...


Nemmeno vedere le mie sensazioni messe nero su bianco mi aiutò, anzi, fece sembrare tutto spaventosamente reale. Perché mi accorsi che io, in realtà, non volevo nulla da lui.

I minuti e passavano e Ivory non tornava, perciò decisi di uscire da lì.
Andai alla zona in cui si celebravano le funzioni e mi appostai dietro a un angolo. La gente stava andando via, e quando rimasero solo lui e Kaden, mi nascosi vicino a una colonna per non farmi vedere. Non assistetti, ma udii uno schiocco sordo che mi fece sobbalzare.

No, non è possibile, mi sono immaginata tutto...

«Stai bene?» domandai spaventata, quando Kaiden mi passò davanti a testa china. Lui però non si fermò e uscì piangendo.

«Cos'è successo? Sta... sta bene?»

«Kaden non potrà più venire», annunciò Ivory proseguendo a passo svelto verso il suo ufficio.

«È successo qualcosa? Perché non potrà più venire?»

«Kaden ha un percorso difficile. È meglio che per un po' di tempo si astenga dal venire in chiesa.»

Perché faceva così? Era davvero preoccupato per me?

«Non capisco.»

«Non devi capire, Scarlett. Devi solo accettarlo. Quel ragazzo ha dei problemi e non voglio ti stia vicino.»

Nessuno si era mai preoccupato così per me.

Ecco cosa mi piaceva. Ecco cosa volevo. Aveva il potere di farmi sentire come Rose.

«Non sei più arrabbiato con me?», gli chiedi confusa.

«No, perché dovrei? Hai fatto qualcosa di male, Scarlett?»

Infatti, perché dovrebbe? Ho fatto qualcosa di male?

Negai con il capo.

«Hai detto qualcosa?», continuò lui.

Riguardo a cosa?

«No, a nessuno.»

Si avvicinò e, passando il pollice sulle mie labbra, spinse via il rossetto rosso che le tingeva.

«Non ti sta bene. È troppo volgare.»

«Scusa.»

«Non metterlo più.»

Forse lo diceva per il mio bene, ma a me venne voglia di piangere.

«Che cos'è quello?» chiese nel vedere il foglietto accartocciato che fuoriusciva dalla tasca dei miei jeans.

Ingoiai il primo singhiozzo.

«Niente.»

«Posso?»

«Ma no, l'ho scritto io», indietreggiai spaventata, non volevo mi toccasse.

Ma lui me lo strappò di dosso e se lo prese.






-PRESENTE-





Riconobbi subito quelle pagine sgualcite tra le sue mani.

«Io... devo andare.»

«Volevo restituirti i tuoi racconti.»

Non li volevo. Indietreggiai e fuggii via da lì.

«Scarlett, aspetta. Vieni anche domani sera?»

Quando ero ormai lontana, acconsentii con un rapido cenno di capo, ma era una bugia. Stavolta non l'avrei fatto. Desideravo stare il più lontano possibile da lui.









Mauve era venuta a stare qualche giorno da Ced e quando me la ritrovai in caffetteria con la missione di convincermi ad andare a una festa, non potei direi di no.
Si trattava di una festa in una casa abbandonata e secondo Mauve non potevo esimermi dall'andarci, soprattutto perché l'horror era il mio genere preferito.
Non le chiesi di Ace, la situazione mi elettrizzava a sufficienza.

«Certo che potevi stare da me» mi dimostrai un po' offesa, mentre camminavamo nel bosco, in direzione della festa.

«Cedar mi fa dormire sul divano. Ti conosco, Scar. Tu mi lasceresti il letto e finiresti per dormire sul pavimento a causa mia.»

Scrollai il capo.

«Tu hai già la nonna a cui badare e poi Mauve mangia per tre», aggiunse Ced, che si beccò una gomitata dalla mia amica.

«Davvero, ci manco solo io, Scar»

«Guarda che per me non è un problema... »

Poi mi fermai. I miei amici avevano davvero paura che io non avessi nemmeno i soldi per offrire loro un pranzo? Avrei sgraffignato qualcosa in caffetteria piuttosto. Dopotutto spesso facevo così. Mangiavo gli avanzi e tornavo a casa senza cena.

Quando sollevai il capo, mi accorsi che avevamo raggiunto la casa abbandonata. Era buio, ma nonostante l'assenza di luci, notai subito Brick e Jet.

«Che succede con Brick?», chiesi a Mauve, le cui guance divennero dello stesso colore del mio rossetto.

«Sinceramente? Niente. Siamo solo amici...»

Inarcai un sopracciglio. Mauve scivolò vicino al mio orecchio. «Noi per davvero.»

Poi mi passò davanti per raggiungere Brick. Si scambiarono un saluto amichevole e io non potei fare a meno di accorgermi che mancava qualcuno.

«Ace?» chiese Mauve al posto mio.

«Non lo so.» Brick fu stranamente freddo nel parlare del suo amico.

«Avete litigato?» Mauve non ci provava nemmeno a nascondere la sua curiosità.

«Lascia perdere» tagliò corto lui. «Venite a sedervi con noi?»

Mauve annuì, poi tornò a guardare me.

«E tu ci hai litigato?» chiese la mia amica.

«Con Ace? No. Mi ignora.»

«Lo vedo come ti ignora», alluse lei, indicandomi il collo.

Diventai viola, Ced scrollò il capo e l'imbarazzo sembrò non avere più fine.

«Io vado... ehm...dentro. Vado un attimo a cercare un bagno», tentennai.

«Ti accompagno?» chiede Cedar.

«Cedar ewwwh» Mauve finse un verso schifato.

«Che c'è? Non voglio che Scar si perda lì dentro. Sarà pieno di ragnatele e ragazzi ubriachi!»

«Appunto, l'accompagno io», disse Mauve.

«Sono adulta. Ci vado da sola, tranquilli.»

E dopo essermi allontanata dai miei amici, mi avvicinai alla casa. Era avvolta dall'oscurità e un brivido mi scosse la pancia.

Con un po' di timore, mossi qualche passo e mi addentrai in quella dimora. C'era tanta gente, sentivo i sussurri e le risate, ma era impossibile vedere: intorno a me era tutto buio. Sembrava non ci fosse elettricità, ma dopotutto si trattava di una casa abbandonata. Di cosa mi stupivo?

Una cosa in realtà mi stupiva, il fatto che Ace non fosse presente. Forse non era venuto perché aveva litigato con Maize, e la festa era stata lui a darla. Il pensiero che non ci fosse mi rese irrequieta. Volevo vederlo.

D'un tratto trasalii perché fu proprio Maize a incutermi timore nell'oscurità.

«Stai cercando Marchesi?»

«Non... No, cercavo un bagno.»

«Io cercavo te», contrattaccò lui.

«Maize lasciala stare», intervenne Jade, alle sue spalle.

«Non voglio farle niente», sogghignò Maize.

Poi si girò verso di me. «Voglio solo dirti che mi dispiace per l'altra sera.»

Non era sincero, ma non mi importava volevo andarmene da lì.

«Scuse accettate. Ciao.»

Stavo per defilarmi, quando lui mi trattenne dal gomito.

«Ma non sono abituato a farmi rifiutare da bambinette come te... quelle che tra un paio di mesi saranno senza un tetto sulla testa.»

Rimasi senza fiato. Dietro la sua sagoma riconobbi Honey, Cinnamon e Sienna. Ridevano tra loro.

«Come... come lo sai...»

E se lo sapessero tutti?

Mi sentii umiliata. Che stupida... che cosa ci facevo li? Jade era simpatica, sì, ma io ero una sconosciuta e di sicuro non mi sarei mai integrata nel loro gruppo.

Scappai il più lontano possibile da Maize, varcai un corridoio buio e mi infilai in bagno. Non mi scappava, ma restai comunque chiusa lì dentro, soprattutto quando sentii dei passi e delle ragazze parlare vicino ai lavandini.

«Ace non l'ho visto» Fu la voce di Honey.

«Non hanno fatto pace. Ace non lo perdonerà mai e mio fratello lo sapete com'è», disse Cinnamon.

«Ancora con queste cazzate? Ma figurati se litigano per una così...» intervenne Sienna con il suo solito piglio velenoso.

Non riuscii più a resistere lì dentro. Mi sentivo soffocare. Uscii dal bagno e loro si zittirono all'istante nel vedermi.

«Bel... ehm... bella fantasia... particolare»

Guardarono il mio abito e a stento trattennero le risate.

A parlare fu Cinnamon, ma a prendermi in giro e a condividere il suo pensiero, erano tutte e tre. Honey nascose il ghigno sotto i denti, Sienna invece mi fissava riluttante.

Non risposi nemmeno, uscii da lì e decisi di proseguire senza meta. Come al solito, mi ero già pentita di essere andata a una festa.
Continuai per i corridoi bui. Forse dentro di me speravo di perdermi, speravo di trovare la tana del bianconiglio e cascarci dentro per finire in un'altra dimensione, magari una in cui io non ero quella strana. Sarebbero stati tutti come me.

Ma ben presto mi ritrovai davanti a una porta, l'umidità rivelava note conosciute: quelle del legno e del suo profumo. Spinsi la mano e la porta si aprì.


Vidi Ace, sdraiato su un letto a leggere.

«Sei qui.»

«Anche tu», replicò senza sollevare gli occhi dalle pagine.

Mi guardai intorno. La stanza era buia. A stento avevo riconosciuto i suoi ciuffi castani e le labbra carnose.





«Perché stai chiuso qui dentro?»

«Devo tenermi lontano casini.»

La sua voce bassa e vellutata mi scaldò le guance.

«Potevi stare a casa allora.»

Lui a quel punto sollevò il capo, lentamente, e io mi sentii incapace di incamerare aria.

«Pensavi davvero che ti avrei lasciata da sola?»

Mi ammutolii, forse arrossii.

Ace quindi proseguì. «Mi cercavi, Scarlett?»

Mi morsi il labbro e avvertii il gusto metallico del sangue. «Sì»

Ero stata sincera con lui ma non con me stessa.

«Ho preparato una torta e l'unica persona che volevo l'assaggiasse, non c'era» aggiunsi causandogli un'espressione di sorpresa.

«Hai fatto una torta per me?»

Ace pronunciò quella domanda con voce esitante, poi chiuse il libro.

Finalmente.

«No, non proprio, voglio dire...»

«Hai fatto una torta per me.»

M'imbarazzai nell'udire la verità pronunciata con quella voce profonda.

«Bè...»

«Andiamo, mi è venuta fame.»

Incredula, lo guardai alzarsi dal letto. Sollevai il mento e lo ammirai dal basso. Nel buio individuai i suoi occhi color nocciola, ma a fatica potei scorgere le sue emozioni.

Decisi comunque di seguirlo.

«Non ho idea di dove l'abbiano messa, l'ho data a una ragazza all'ingresso e...»

«Hai riflettuto su ciò che ti ho detto?», mi chiese mentre proseguivamo l'uno di fianco all'altro.

Mi massaggiai il collo con la mano. «Quando, ieri?»

«Lo sai quando.»

Abbassai lo sguardo.

Sì ma non possiamo essere davvero amici, ecco qual è il problema.

«Se la pensi così, forse allora è meglio smetterla di vederci del tutto», dissi di getto.

Camminando vicino a me, Ace si accigliò senza scomporsi.

«Mi hai cercato però.»

«Volevo parlarti, Ace.»

«Parlami allora.»

Presi un lungo respiro. «Credo che tu abbia ragione.»

Finirei solo per farmi male con te.

«Perciò saresti disposto a essere mio amico e basta?»

Ace frenò la camminata e mi puntò in un modo che non riuscii a decifrare.

Cosa avevo detto di male? Non era lui a volerlo?

«Non credo che riusciremo a essere solo amici, e nemmeno tu lo credi, Scarlett.»

«Io penso sia impossibile, però ... ci proveresti? Per davvero, stavolta.»

Abbassò lo sguardo su di me, lo lasciò ondeggiare con fare curioso, forse elettrizzato, come se quello, tra di noi, fosse un nuovo gioco.

«Ci posso provare» rispose, «Tu, Scarlett?»

«Anch'io.»

«Comincerei assaggiando la tua torta. Che ne dici?»

Io annuii, così proseguimmo in quella stanza, forse un vecchio salotto, dove c'erano ragazzi che pomiciavano nel buio. Passammo di fianco a diverse coppie in atteggiamenti disinibiti. Potei udire ansimi e la cosa mi agitò.

«Ti da fastidio?», domandò quando si accorse della mia reazione impacciata.

«Be, potrebbero essere più discreti.»

Ace non diede segnali di distrazione, di emozione, e io non potei fare a meno di provare a mettere a fuoco le sagome nel buio.

«Non è quello che penso... Spero.»

«E cosa pensi, Scarlett?»

Sentii le guance ardere. «Niente.»

Il mio imbarazzo lo portò a sorridere con gli occhi bassi.

«Vengono qui apposta perché non si vede niente?»

«Esatto. È buio e non ti vede nessuno. Puoi fare tutto quello che vuoi, signorina.»

Sollevai il mento e lo guardai. I suoi occhi, le sue labbra, la sua voce...

Esserti davvero amica sarà la cosa più difficile della mia vita.

Fortuna che lui si voltò e cambiò argomento. «Il cibo dev'essere qui.»

Ace indicò la superficie sulla quale erano situate bottiglie di ogni genere e, tra queste, la mia torta avvolta dalla stagnola, ancora intonsa.

«Crostata di fragole», commentò.

Non c'era un coltello perciò Ace ne dovette rubare un pezzo con le mani. Se lo portò alle labbra e chiuse gli occhi quando la dolcezza gli esplose in bocca.

Il gemito profondo che gli risalì la gola fu peccaminoso, quasi quanto quelli degli sconosciuti che avevo udito poco prima.

«È buona?» gli domandai, tentando di non rivelargli quanto fossi tesa.

Lui mi carezzò dall'alto con uno sguardo intenso. «Molto.»

«E con quale presunzione pensi l'abbia fatta per te?»

Ace si morse il lato del labbro e la sua bocca si piegò in modo impercettibile, ma riuscii comunque a scorgere il sorrisetto malizioso. Estrapolò una fragola dalla glassa e me la portò alle labbra.

«Non morderla», sussurrò, gli occhi ben saldi sulla mia bocca.

Mi stupii del suo ordine, ma obbedii ugualmente.

«Ora fammi vedere la lingua.»

Non udii nient'altro, sentivo solo le sue parole. E le sentii come una carezza calda nel bassoventre.

Forse era colpa dell'atmosfera, appesantita dall'eccitazione altrui, forse era merito del buio o forse del suo buon profumo... ma continuai ad accontentarlo, anche quando fece slittare la fragola sulla mia lingua, che pizzicò alla dolcezza del frutto.

Ace non distolse lo sguardo nemmeno quando io richiusi la bocca e fu lui ad assaporare la fragola. Solo dopo averla divorata, si accostò alle mie labbra.

«Mhm, sì. Sembra proprio fatta apposta per me.»

Abbassai gli occhi sul tavolo e cercai una porzione di superficie libera. Mi ci sedetti sopra, ma non fu sufficiente a stemperare l'imbarazzo.

«Stai bene?», domandò Ace.

«Sì, tu?»

«Ho litigato con Brick», disse prima di imboccarmi con una fetta di crostata.

Ne morsi un pezzetto senza farmi domande. Era come se Ace avesse appena dato il via a quel gioco, insieme alle confidenze amichevoli. Non so con quale coraggio continuasse a parlarmi, forse non sapeva quanto io morissi dalla voglia di trasformarmi nel cibo che gli addolciva le labbra.

«Sei sempre così freddo...», commentai.

Mi passò il pollice sotto il labbro per raccogliere un po' di glassa zuccherata, poi lo succhiò.

«Che significa?»

Con quale disinvoltura mi stai ammaliando?

Iniziai a boccheggiare. Fare quei discorsi non era un problema, era quello che ci eravamo prefissati, "essere amici", ad essere difficile.

Avanti Scarlett, questo è il momento in cui puoi dimostrare al mondo intero che puoi essere spigliata anche tu. Che non gli muori dietro e che non vivi solo di figuracce.

«Se al posto tuo io avessi litigato con la mia migliore amica, ora sarei un po' in apprensione», constatai.

«Il fatto che tu non lo veda, non significa non esista», replicò svelto.

Poi prese un tovagliolo da una confezione sigillata. «Questo è rosso no?», chiese mostrandomelo.

Io annui, ma non capii dove volesse arrivare.

«Il fatto che non si veda, non significa che non esista. Mostriamo quello che vogliamo», spiegò Ace.

Quindi ci stai male per Brick, ma non lo dai a vedere? Ricevuto.

Ace nascose la bocca dietro il mio orecchio e in un attimo chiusi gli occhi assaporando tutta la dolcezza dello zucchero.

«In piscina, a casa mia, stavo tremando all'idea di a toccarti.»

La sua voce raschiata si ruppe e una vampata di calore mi riempì il petto. Fu forte e mi fece sentire così potente che lo trovai ingiusto. Perchè fai così?

«Te ne sei accorta?»

Feci cenno di no, ma l'imbarazzo m'impedì di parlare.

«Vedi», proseguì «Non l'hai visto, eppure è andata così.»

M'inumidii le labbra, ormai secche, e mi lui mi carezzò lo zigomo, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Amici, ricordatelo.

Ace si ritrasse immediatamente quando si accorse di stare per infrangere una promessa.

«Scusa.»

«Non illudermi, Ace.»

Fu tutto ciò che riuscii a dire con voce spezzata.

«Fallo tu, ne sei capace, Scarlett?»

«Co... cosa?»

«Illudimi.»

La mia bocca si curvò in un sorriso.

«Vieni», gli dissi prendendolo per mano.

Ace si stupì della mia intraprendenza, se così si poteva chiamare. Con la mia solita goffaggine lo stavo trascinando dal polso, non dalla mano, ma andava bene ugualmente.

Lasciammo la torta, la casa e uscimmo a guardare le stelle.

«No, che fai? Devi sdraiarti!» esclamai quando vidi Ace sedersi sul prato.

«Sei tu a decidere» fece lui, acconsentendo di stendersi di fianco a me.

Eravamo in disparte rispetto alla festa, in una piccola radura vicino al bosco. Qui gli alberi erano più diradati e non oscuravano la visuale del cielo tempestato di piccoli diamanti luminosi.





«Le vedi le stelle?» gli chiesi.

«Sii più precisa», mormorò con la testa vicina alla mia.

«Le stelle formano delle figure che si uniscono con delle traiettorie immaginarie.»

«Traiettorie immaginarie?» lo sentii pronunciare con voce riluttante. «Pensavo volessi mostrarmi una costellazione»

«No. Guarda lì. La vedi?»

Gli indicai le stelle che si ammassavano in una porzione di cielo.

«La vedo», ribattè lui poco convinto.

«È una figura femminile.»

«Veramente quella è la cost...»

«Sh..» lo zittii. «Vedi che è in disparte?»

«Perché è in disparte?»

Iniziai distanziare pollice e indice, come se volessi fare uno zoom e ingrandire quella parte di cielo. «Lo vedi? Ora è più grande.»

Ace rimase in silenzio e io potei solo immaginare la sua espressione confusa.

«Non lo vedi, eh.»

«Lo vedo. Sorrise. «E dimmi... Lei sta in disparte a fare cosa?»

«Sta leggendo. E quando chiude il libro, immagina mille modi in cui potrebbe continuare la storia.»

«E non ne ha una sua? Di storia dico», sussurrò con voce profonda.

Iniziai a sentire le palpebre pesanti.

«Sì ma non è bella.»

«Preferisce leggere quelle altrui?»

«Certo.»

«Quindi quell'insieme di stelle si chiama Scarlett?»

Scoppiai a ridere, ma le guance bruciavano per l'imbarazzo.

«Non è l'unica. Se guardi bene, anche lì c'è qualcuno in disparte», disse Ace indicando una costellazione molto distante.

«Perché?» gli chiesi.

«Anche lui ha paura di tuffarsi. Lo fa solo se è sicuro di farlo alla perfezione.»

«Ma se non si tuffa, come fa a raggiungerla?» domandai.

Eravamo entrambi sdraiati quando Ace si voltò verso di me e i nostri occhi si allinearono.

«Questa è un'ottima domanda, signorina.»

La forza di gravità spinse i nostri sguardi sulle rispettive labbra.

«Dopotutto... potrebbe sempre evitarlo. Tanto nessuno vuole amare un cuore pieno di graffi e cicatrici», azzardai.

«Scusa», borbottai quando mi accorsi che il discorso stava prendendo una piega troppo drammatica.

«No non scusarti, io...» Ace non seppe cosa dire.

«Non volevo metterti a disagio. E poi... Tutto si può riparare no?» gli chiesi.

«Non lo so, perché lo chiedi a me?»

«La tua vita è perfetta, Ace. I tuoi genitori si vogliono bene.»

«Te l'ho detto. Non è tutto come sembra.»

Il suo sguardo si macchiò di un velo scuro, sembrava triste, ma il mio cuore... Dio, il mio cuore stava per esplodere.

E gli stava per esplodere faccia. Mi immaginai i suoi zigomi macchiati di un arcobaleno di colori, i suoi capelli, l'erba, le mie mani... Chiusi gli occhi.

Ma quali amici? Io voglio solo baciarti...

Ace però sembrò fiutare il bacio nell'aria, perchè si tirò su di scatto.

«Andiamo.»

Mi alzai anch'io, ma dopo qualche passo nel buio e nel bosco, inciampai.

«Attenta.»

«Alla fine mi piace essere tua amica, a quest'ora sarei già caduta due volte se non ci fossi stato tu.»

«Così mi offendi. È solo per questo?», scherzò.

«Be', hai trascorso la serata con me.» Indicai le ragazze davanti alla casa. «Potevi passarla con loro, magari ti saresti divertito di più.»

«A che tipo di divertimento fai riferimento, signorina?»

Mi morsi la lingua.

«Ah, forse ho capito quale», suggerì lui nel mio orecchio.

Arrossii e le guance si scaldarono ancora di più perchè passammo davanti a un falò appena acceso. Sul suo viso vidi i riflessi delle fiamme e mi accorsi che il buio ci stava aiutando a tenere quelle distanze così fragili.

«Che c'è Ace?», chiesi quando mi accorsi che i suoi occhi mi perforavano le labbra.

«Il tuo rossetto. È...»

«Rosso?» Scoppiai a ridere. «Smettila di prendermi in giro.»

«Non ti sto... Perché non lo metti mai?»

«Lo metto spesso, ma mai una tonalità così.»

«È molto accesa. Lo vedo.»

«Qualcuno mi ha detto che le ragazze come me non dovrebbero.»

«Che significa?», chiese accigliato.

«Boh, che è volgare...»

«E chi te l'ha detta questa cazzata?»

Abbassai gli occhi e non riuscii a rispondergli.

«E poi... perché allora hai fatto un'eccezione questa sera?», m'incalzò con la sua voce calma e profonda.

«Hai detto che devo sempre fare un'eccezione per te, Ace.»

«Quindi ogni tanto fai anche ciò che ti dico...»

Mi levò il ciuffo d'erba che era rimasto incastrato tra i miei capelli e, nel farlo, mi sfiorò il collo con il pollice.

«Non penso sia una buona idea», dissi io fissando le sue labbra.

«No, infatti non dovremmo...» Lui curvò il capo e sentii il suo respiro tiepido scivolarmi sulla gola.

«Non dovremmo proprio...», mugolai chiudendo gli occhi. «E poi...tua madre vorrebbe che ti lasciassi in pace.»

Ace si morse il labbro ma era troppo vicino. «Sapevo te lo avrebbe detto prima o poi. Quindi ti sei lasciata convincere da lei...»

«Mi sono lasciata convincere da te e da quello che mi hai detto alla festa, Ace»

«Cioè la verità?»

Tu mi piaci e lo sai, maledizione.

Sentii il suo polpastrello sfiorare il succhiotto che mi aveva lasciato, proprio con quelle labbra peccaminose.

«Dimmi una cosa. Fai così anche con le altre?»

«Tu non sei le altre.»

Sospirai, ormai sfiancata da quella tensione.

«E perchè dovrei crederti?»

Lo vidi abbassare il capo. «Perchè le stesse ferite colpiscono in modo diverso, Scarlett.»

Per un attimo, ebbi come l'impressione che Ace fosse così protettivo e trattenuto, per qualche motivo preciso. Non solo perché avevo diciassette anni e pendevo in quel modo osceno dalle sue labbra.

«Comunque...» Ace si schiarì la gola. «...evitiamo di fare danni prima che sia troppo tardi»

Lo guardai.

«Per entrambi», puntualizzò.

E stavolta non era una battuta, riconobbi il suo tono serio e l'espressione decisa.

«Va bene.»

«Magari non ci riesco a esserti amico per davvero, ma ci posso provare. Che vuoi fare, ora?»

«Voglio andare ad esplorare la casa», ribattei con una punta di eccitazione.

«Non hai paura?»

«Non se ci sei tu.»

Le sue guance si bucarono di due piccole fossette quando sorrise. «Cazzo.»

«Questa cosa di essere amici sta funzionando più del dovuto», commentai sorridendo.

«Ti dispiace o ti piace, Scarlett?»

«Tu mi piaci.»

Sbarrai gli occhi. Oh no.

«Cioè ,voglio dire...»

Ace sorrise e mi fece strada. «Andiamo dentro, hai freddo.»

In casa la situazione era degenerata, così come la musica e gli schiamazzi.
Ace mi circondò le spalle con il braccio e mi strinse a sè. «Resta di fianco a me.»

«Ti sto vicina.»

Allora si accostò al mio orecchio. «Non troppo vicina.»

«Perchè?»

«Scarlett..» Un rimprovero morì sulle sue labbra perfette. «Proviamoci almeno per... non lo so, una sera...»

«Però sei sempre qui con me...», lo provocai posando la tempia contro il suo petto rassicurante.

E stavolta lui perse il controllo. In un attimo mi sollevò con le sue mani grandi e mi fece sedere sulla spalliera di quello che sembrava essere un divano. Sentii il vestitino alzarsi appena, fu troppo brusco.

«Piano... piano», ansimò nel mio orecchio.

«Lo stai dicendo a te stesso, vero?»

Ace mi rivolse un altro sorriso e io sentii una vampata bollente corrermi lungo la spina dorsale.

«Ti piace provocarmi, signorina.»

«Quasi quanto a te piace stare da solo con me.»

«E cosa dovrei...» Sussultai quando riversò il suo respiro eccitato sul mio lobo «...farci con te?»

Tutto quello che vuoi.

Non lo dissi, ma nell'oscurità vidi le sue ciglia vibrare. Il suo sguardo s'indebolì appena e le sue mani si fecero più forti intorno ai miei fianchi, tanto che anche i nostri nasi si sfiorarono.
Dovetti sforzarmi con tutta me stessa per girare il capo ed evitare quel bacio.

I miei occhi caddero su una macchinetta del caffè. «Ci sarà della cioccolata calda?»

Ace si avvicinò al dispensatore di bevande e mi preparò un bicchiere di cioccolata.
Prima di passarmela però, la bevve. «Tieni.»

Non seppi se quel gesto fu per controllare che la bevanda non fosse troppo ustionante o per assicurarsi che fosse davvero cioccolata, ma fu carino e mi scaldò il cuore.

«Grazie.»

La sua premura mi spedì sulle nuvole così tanto che la mia mano tremò e, ovviamente, mi rivelai, come al solito, sbadata. Feci oscillare il bicchierino e il liquido caldo zampillò sulla mia gamba. Sobbalzai, ma bruciò solo per un breve istante. Ace indietreggiò e per poco non sporcai anche lui.

«Mi sono distratta, scusa» Mi guardai in giro. «Abbiamo dei fazzoletti?»

Ma quando tornai su di lui mi accorsi che si era abbassato tra le mie cosce.
Sollevò gli occhi, l'attimo prima di mostrarmi la lingua. Leccò via la cioccolata calda dalla mia gamba e io rimasi senza fiato.

«Fatto, non hai bisogno di...»

Fu Ace a restare senza parole quando piegai il bicchiere e lasciai zampillare qualche altra goccia sulla mia coscia.

«Ops», dissi.

Strinsi i denti, ma il dolore fu come spilli e durò un soffio.

«Cazzo, perche mi fai questo...» ,mugugnò.

Ace sembró soffrirne, ma non per questo si tirò indietro: succhiò la mia pelle e io chiusi gli occhi godendo la morbidezza delle sue labbra.

L'attimo di debolezza di Ace fu breve, perché ben presto mi sollevò il vestito sui fianchi e conficcò lo sguardo tra le mie gambe.

«Scarlett, se hai voglia di giocare...»

Trattenni il respiro.

«Dammi qualcosa di meglio.»

Con la voce sporca di lussuria, guardò le mie mutandine e si leccò labbra.

Stavolta mi paralizzai e non riuscii a muovere nemmeno il braccio.

«Farebbe male», ipotizzai con il cuore a mille.

«E pensi che questo mi fermerebbe?»

«Che fate?»

Nel buio, una voce ci raggiunse.

Maledizione.

«Niente, che hai da guardare?»

Ace si voltò con occhi serrati verso Cinnamon, che capì immediatamente di non essere la benvenuta perché passò oltre.

Altre persone ci sfilarono di fianco, intanto Ace mi aveva già abbassato il vestito e aveva posato entrambe le mani sul tavolo, intorno ai miei fianchi. Con il corpo leggermente inclinato verso di me, forse per nascondere eccitazione improvvisa, si accostò al mio orecchio.

«Scusa, non avrei dovuto», mormorò.

Il suo tono di voce mi deliziò la pelle, caldo ed eccitato com'era. Mi riempì la pancia.

«È tutto okay...»

«Vieni, ti faccio vedere una cosa», disse poi.

E mi trascinò via da lì.





La porta cigolò e si aprì regalandoci la visuale di una stanza illuminata soltanto dalla luce della luna. Sembrava la stanzetta di un bambino: sulle pareti c'erano decorazioni infantili, ormai mangiate dal tempo. Notai una bambola abbandonata sul copriletto ingiallito, aveva i capelli raggrinziti e un occhio penzolante.

«Mio dio...», commentai.

«Quando mi preoccupo troppo per qualcosa... provo sempre a cercare la prospettiva giusta in cui guardare le cose», disse Ace.

Non capii. «Cosa significa?»

«Anche chi viveva qui si preoccupava del giudizio altrui... E ora? Guarda.»

La stanza era silenziosa. Una foto rovinata catturò la mia attenzione: ritraeva una famiglia felice. Una famiglia che non esisteva più.

D'un tratto le prese in giro delle ragazze, le parole di Maize e tutte le piccole preoccupazioni si dissolsero.

«Perdiamo di vista il quadro generale, ma alla fine, tutti siamo destinati a morire. Questa visione permette di ridimensionare le paure.»

«Pensarla in questo modo ti aiuta?», gli domandai.

«È solo un sollievo momentaneo. Ma è meglio di niente», replicò inginocchiandosi sul pavimento impolverato.

Ace spostò il tappeto e il solco nel legno rivelò una stanza segreta. Mi chinai di fianco a lui, i suoi occhi però, finirono sulla cicatrice che mi tagliava il ginocchio.

«Dicono che qui sotto ci fosse una presenza ultraterrena. E che la famiglia sia stata uccisa in seguito a eventi paranormali.»

«Tu credi sia vero, Ace?»

«Non molto. Tu, Scarlett?»

«Non lo so...»

«Poi, ora ho la prova che sei brava a raccontare storie...»

La sua allusione fu fin troppo chiara.

«Perchè stiamo parlando di me, Ace?», mi freddai.

«Sto provando a essere il meno invadente possibile, Scarlett.»

«Ecco non esserlo grazie», sbottai alzandomi in piedi.

Lui mi guardò dal basso.

«Sembra profonda.»

«Sono caduta dalla bici, te l'ho detto.»

Si sentì tradito, lo vidi infastidito, quasi imbarazzato. 

«Perché hai questa ossessione di voler sapere?»

«Ci sono cose che non tornano.»

«Levatelo dalla testa. Non sono un segreto da risolvere, quindi smettila.»

Ci fu un altro attimo di gelo. Poi Ace si alzò, facendomi ombra con la sua altezza.

«Come ti pare. Qui non c'è più niente da vedere», tagliò corto.

«Ma...»

«Andiamo.»



🍓ROSE🍓



Ero seduta con Mauve e Cedar intorno al falò, quando una sagoma mi si avvicinò.

«Sei ancora incazzata?»

Jet si sedette accanto a me con la scusa di farsi una sigaretta. In realtà voleva solo farmi dannare.

«Dipende», dissi criptica.

«Da cosa?»

«Se mi baci un'altra volta mi arrabbio.»

«Te lo scordi! E poi quello era un bacio per te? Sei più grande di me di due anni e li chiami baci quelli?»

«E come sarebbe un bacio vero?», lo istigai.

«Mai provato?» Mi restituì il colpo e io arrossii.

Poi però la sua attenzione si spostò su una figura che si era appena avvicinata a Mauve.
Silver.

La ragazza indietreggiò in modo sgraziato e calpestò il piede a Jet che non si lamentò come al suo solito. Non disse nulla.

«Scusa.» Lei si girò e lo riconobbe. «Ah sei tu»

«Vi conoscete tu e Jet?», le chiese Mauve.

Ebbi di nuovo quella sensazione strana.

«Ehm...»

«No», negò Silver, che sembrò zittire Jet prima che lui potesse parlare.

Poi si sedette accanto a lui e io improvvisamente divenni di ghiaccio.

Forse era solo i una casualità, ma da quel momento Jet smise di parlarmi.

E sebbene io non lo sopportassi, il suo comportamento mi deludeva.

«Hai un accendino?», gli chiese lei.

"C'è il falò" le avrei voluto dire. "Mentre che ci sei, buttatici. Le streghe come te ardono facilmente"

Mi sentii male solo all'idea di aver partorito un pensiero così meschino. Perciò mi alzai da lì.
E la cosa più triste? Jet probabilmente e non se n'era nemmeno accorto.






🍓BRICK 🍓



«Mi annoio. Facciamo un giro di strip poker?»

Eravamo dentro la cucina della casa abbandonata e Cinnamon, seduta di fianco a noi, se ne uscì con quella proposta assurda.

«No, Ace è troppo bravo a Poker», mi lamentai. «Facciamo un altro gioco.»

Honey, che era in braccio a me, mi ignoró e invece andò appresso a Cinnamon e alle sue idee strampalate.

«Magari si leva quel maglione che ha sempre addosso», commentò facendo ridere l'altra.

«Si spoglia chi perde e lui non perde.»

«Vabbè, finiremo noi in mutande, è un problema?»

Honey sogghignò di nuovo nel dire quella frase ma a me non faceva ridere, affatto.

Poi le ragazze si zittirono perchè Ace e Scarlett passarono lì di fianco.

«Ace, giochi con noi?»

Honey gli rivolse quella domanda dandomi sui nervi. Scarlett abbassò gli occhi.

«No», rispose lui.

«Ma perchè?»

Ace si stizzì. «Non sapete nemmeno le regole del gioco»

«Non è questo il punto», esclamò Honey, prima di voltarsi verso Cinnamon e dirle sottovoce: «Ma che problemi ha?»

Ero ubriaco, oltre che fatto, quindi ci misi un po' a capire che, come al solito, mi stavano escludendo.

Finalmente mi alzai in piedi, solo che nel farlo diedi uno spintone al vecchio tavolo in legno.
Honey, in braccio a me, perse l'equilibrio e battè il fianco contro lo spigolo.

«Brick», mi redarguì Ace.

«Che vuoi?»

«Le hai fatto male»

«Non l'ho fatto apposta.»

Non lo sopportavo più. Era come essere perseguitati dal fantasma del mio migliore amico.

Mi allontanai dal gruppetto, mentre Honey si massaggiava il fianco.

Ace mi seguì. «Che sta succedendo, quanto hai bevuto?»

«Che ti frega?»

«Brick...»

«Scusa, ma... Vuoi scopartela? Fallo, tanto sta già a gambe aperte anche lei, le basta vederti!»

«Non m'importa un cazzo di Honey, non pensavo nemmeno di dovertelo dire.»

«Ti sta sempre intorno, parla solo di te. Sii più chiaro allora!»

«Più chiaro?»

«La verità è che ti fa piacere.»

Lo vidi trasalire. «Scusami?»

«Tutte ti muoiono dietro e tu vuoi questo.»

«Quando l'avrei detto, Brick?»

«Non lo dici, ma si capisce. Se iniziassero a non darti attenzioni, non ti farebbe strano?»

Mi guardò con compassione, facendomi salire il nervoso. «Che hai preso Brick? Sicuro di aver solo bevuto?»

«Non voglio la tua pena. Fai tanto il superiore, ma ti piace.»

«Sei fatto, non è così?»

Io gli voltai le spalle e lui mi inseguì. «Brick a lei non gliene frega un cazzo di te»

«Bell'amico»

«Sono sincero, è inutile che...»

In quel momento il cugino di Jet ci arrivò incontro con addosso un paio di pantaloni della tuta e nient'altro.

Ace lo guardò da capo a piedi. «I vestiti?»

«Ha parlato. Non hai caldo con sto golfino?»

«Ci sono tredici gradi fuori», puntualizzò Ace.

«Senti mister perfettino del cazzo, io vorrei tornarmene a casa, chi può darmi uno strappo?»

Poi James mi guardò.

«Non guardare lui, Brick non è in condizioni per guidare», gli disse Ace.

«Andiamo», feci io.

«Benjamin non fare cazzate.»

«Smettila di fingere, Ace», strepitai esasperato.

«Fingere di fare cosa?»

«Di preoccuparti per me, cazzo! Lasciami in pace», sbraitai.

«Non lo faccio guidare, guido io. Non ho toccato alcool.»

James rassicurò Ace, che continuava a guardarmi e a scrollare il capo, deluso.

«Ah, e la ragazzina che prima stava con te...»

Ace sbuffò. «Non ho chiesto il tuo parere, James.»

«Vuoi mangiartela? Non credo»

«Che cazzo vorrebbe dire?»

«Smettila di fare il coglione e baciala.»






🍓SCARLETT🍓


Quando uscii e mi avvicinai al falò, vidi Ace seduto in disparte.

«Tutto bene?», gli chiesi.

Mi fece spazio sul tronco, di fianco a lui. «Non proprio.»

«Che succede?»

«A quanto pare Brick ce l'ha ancora con me.»

«Per Honey, vero?»

Ace mi guardò esterrefatto. «Come lo sai?»

«Be' lei lo rende un po' troppo palese che le piaci e Brick ci sta male.»

«Quindi è colpa mia?»

«No, ma ciò non cambia il suo stato d'animo»

«Qual è la soluzione?»

Ace fu così serio nel chiedermelo, che mi strappò un sorriso.

«Non è un problema di logica, devi solo lasciargli il tempo di capire che lei non è interessata a lui.»

«Io gliel'ho detto, ma qualcosa mi dice che ho sbagliato.»

Sorrisi di nuovo, ma stavolta tremai, la temperatura si era abbassata drasticamente.

«Sei preoccupata?»

«È un po' tardi», dissi controllando l'ora sul telefono.

«Non è nemmeno mezzanotte.»

«Lo so, ma ho sempre paura la nonna abbia bisogno di me... forse è una paura stupida.»

«No, non lo è. Ti porto a casa.»

Non dovetti nemmeno chiederglielo. Fui contenta della proposta di Ace. Non volevo più stare lì e poi aveva ricominciato a piovigginare.

Dopo aver salutato Mauve e Rose, ci dirigemmo verso la zona del bosco in cui avevamo lasciato le macchine. Ace aprì la portiera della sua auto e mi permise di entrare, poi fece il giro di corsa e si sedette al posto del guidatore.

«Scusami» dissi indicando il tappetino che avevo appena sporcato con le scarpe piene di terra

«Nessun problema.»

Ace posò una mano sul volante, ma non mise in moto. Ci guardammo nel buio, tagliato a intermittenza dalle luci della festa. Il rumore della pioggia era un crescendo e il suo buon profumo dilagava nell'abitacolo.

Gli occhi attenti guizzarono sulle mie labbra nervose e scesero a perlustrare il mio corpo, fino al ginocchio.

«Perché vuoi sempre sapere...» accennai con un filo di voce.

«Se voglio sapere, è solo perché tu mi interessi davvero.»

La pioggia cominciò a battere imperterrita e io mi avvicinai a lui, forse per sentire il calore del suo corpo.

«Era meglio se questa non è la dicevi, Ace.»

«Perché, Scarlett?»

Non riuscii più a trattenermi.
Mi avventai su di lui, Ace non se lo fece ripetere due volte: affondò una mano tra i miei capelli sciolti e quel gesto deciso mi causò uno spasmo alla nuca.

Fui costretta a reclinare il collo e a guardarlo negli occhi. «Quindi mi porti a casa?», sibilai tra i denti, tesa come non mai.

«Sì, è un problema?», mugugnò con i miei capelli stretti nel pugno.

«No.»

L'odore legnoso del bosco si unì al suo, causandomi una fitta profonda che lacerò il mio buon senso. Forse era solo il mio corpo che mi diceva di smetterla di fare resistenza. Così mi sporsi ancora un po' verso di lui, ma fu Ace ad abbassare il viso sul mio.

Rilassò la presa e lasciò che le nostre labbra si sfiorassero per un istante.
Invece che concedermi quel bacio, mi strattonò appena, obbligandomi di nuovo a piegare il collo.

«E questo? È un problema?»

Schiusi le labbra, ma prima ancora di ascoltare la mia risposta, Ace mi causó un gemito sofferto, perché addentò il mio labbro inferiore con avidità e quando lasciò scivolare la lingua soffice sulla mia, io persi la ragione, completamente.
Chiusi gli occhi e lo baciai. Lo baciai come non lo avevo mai baciato prima. Ed ero così presa da quel bacio, che non mi accorsi delle sue mani, di come mi scavavano i fianchi, invitandomi a sollevarmi. Così seguii i suoi movimenti e mi sedetti sopra di lui.

Con il braccio mi accerchiò la schiena e m'invitò a distanziarmi dal volante per slittare in avanti. Mi strinsi al suo corpo, e lui premette entrambe le mani sulle mie natiche, mi spinse contro di lui a tal punto che la pressione del suo corpo contro il mio inguine divenne totalizzante. Mi mancò il fiato. Eravamo troppo vicini, io desideravo prendere fiato, ma Ace non me lo permise.
Sembrava aver un disperato bisogno di quel bacio, perché mi divorò senza tregua, con la lingua e con le mani, senza mai stancarsi.

Fu difficile sopportare l'intensità di quel bacio, reclinai il collo all'indietro per incamerare aria, ma divenne una lotta.
Ace mi teneva così stretta che pensai volesse entrarmi dentro. Dovetti prendere l'iniziativa e affondare una mano tra i suoi capelli per invitarlo a smettere. O non sarei sopravvissuta.

Lui se lo lasciò fare, mi guardo con occhi languidi, le labbra piene e le guance rosse. Mi sentii divinamente nel vederlo sotto di me, con il bisogno che gli sgorgava dalle iridi in modo così sfacciato.
Rimase in quel modo a guardarmi, mentre con il pollice mi carezzava la coscia e con l'altra mano risaliva svogliatamente il mio corpo per raggiungere il seno e stringerlo in una presa lussuriosa. Infine si sporse in avanti e tornò a baciarmi, ma non per zittire me, bensì per placare i suoi stessi gemiti.

Era eccitante il modo in cui vorticava la lingua nella mia bocca. Lento, delicato, ma anche deciso e a volte osceno, come se stesse dissacrando la mia innocenza con qualche colpo di lingua ben assestato.

E il modo in cui possedeva i miei fianchi, mi faceva sentire viva e mi causava le vertigini nello stomaco. Desideravo poter trovare sollievo contro una qualche superficie fredda, ma il suo petto era bollente, esattamente come le sue mani instancabili. Non sembravano conoscere tregua. Distruggermi, forse era quello il loro obiettivo, o forse ingannarmi, perché cominciarono delicate e poi sempre più bisognose di avermi.

«Abbiamo appena fallito», realizzai con il fiato corto.

«Non amo perdere, ma così... Cazzo, lo farei tutti i giorni», disse risucchiando sotto i denti il suo labbro gonfio.

«Però mi piace parlare con te», aggiunse poi.

«Anche a me» sorrisi. «Non voglio smettere di parlare con te.»

«Nemmeno io, è solo che ora... Ho bisogno anche di questo, Scarlett.»

La sua mano scese lenta sul mio fianco.

«Dammi una tregua. Mezz'ora quello che vuoi», ansimò.

«Una tregua dalla nostra amicizia?» Mi finsi scandalizzata.

Ace strinse i miei zigomi tra i pollici e posò gli occhi sulle mie labbra, che fissò intensamente.

«Che c'è?»

Utilizzò l'indice per tracciare la forma della mia bocca e lo fece con una lentezza eccitante.

«Mi piace la forma delle tue labbra, non credo di aver mai visto nulla di così perfetto.»

Socchiusi la bocca e lui ci spinse il pollice dentro, proprio tra le mie labbra. Il polpastrello lusingò la mia lingua dandomi i brividi, finchè non cominciai a succhiarlo. Sperai non vedesse l'imbarazzo stampato sul mio viso, ma sembrava che la cosa fosse solo di suo gradimento.

«Cazzo.»

S'insinuò come un supplizio d'acciaio tra le mie pieghe morbide e sembrò che i pantaloni non riuscissero a contenere la sua reazione.

Infine ritrasse il dito, eravamo entrambi ansimanti.

«Ace?»

«Sì. Dimmi.»

«Stai bene quando sei qui, così, con me?»

«Molto. Hai dubbi?»

«E ti basta?»

Le sue sopracciglia si distesero appena, in una forma di completa necessità.

«Sono un egoista, ma con te.... Non è così facile esserlo, Scarlett.»

«Che vuoi dire?»

Sbuffò.

«Per favore», lo pregai.

«Se ti tocco, non riesco a pensare a me, o ad altro.»

«Non capisco.»

«Quando stiamo insieme, sono così dannatamente attratto dal modo in cui reagisci...»

Il mio respiro accelerò ancora di più.

«Non ho solo bisogno di questo, Scarlett. Ho proprio bisogno di te.»

Ace sollevò appena il bacino e fu doloroso per entrambi.

«...Lo senti quanto

Chiusi gli occhi. Avevo provato in tutti i modi a sopravvivergli, ma... mi aveva appena uccisa.

«Se continuiamo così... Impazzirò e tu lo sai, Scarlett.»

Deglutii, incapace di parlare. Riuscii solo a sfiorargli la guancia con la punta delle dita. La sua pelle era bollente.

«Quando dico che non riesco a dormire e che non riesco a smettere di pensarci.. è la verità.»

Mi morsi il labbro nel ricordare il nostro incontro nel ripostiglio vicino a casa sua. «È successo solo una volta.»

«Già, però basta che io ti sfiori, o che ti dia un bacio sul collo... Sembra di sentirti venire ogni volta.»

Abbassai il capo in modo repentino, i capelli mi oscurarono il volto, ma Ace mi riportò le ciocche dietro l'orecchio.

«Se tutto questo ti piace così tanto, Ace... allora come fai a dire che mi ignorerai, il giorno dopo?»

Ace incassò quella sconfitta, sembrava non gli importasse che smontassi le sue parole. Forse perchè ne aveva sempre di nuove.

«Testa e corpo possono volere una cosa. Le azioni possono essere tutt'altro. E poi resistere è sintomo di virtù, l'hai detto tu o sbaglio, Scarlett?»

«Quindi mi ignoreresti solo perché hai lo studio, il nuoto, ma nella tua testa continueresti a... pensarmi?»

«A pensarti, sì.»

Spostai di nuovo lo sguardo.

«E probabilmente te lo lasceresti fare, non è così, Scarlett?»

Arrossii.

«Perché siamo finiti a parlare di questo?»

«Perché più mi trattengo e più tu ti insinui dentro. E poi, perché tu non sei pronta e sei anche un po' troppo curiosa, signorina.»

Sorrisi. «Di solito non ti trattieni?»

Fu lui a distogliere lo sguardo stavolta.

«Non so che idea tu ti sia fatta di me, ma te l'ho detto, anche per me è tutto nuovo.»

«Sì, nel senso che hai avuto tante ragazze e tutte con più esperienza.»

«Perché dai scontata questa cosa? Non capisco.»

«Perché è stato tutto perfetto...»

Lui mi guardò confuso, perciò provai a spiegarmi.

«Voglio dire... da te in piscina, nel ripostiglio, al castello...»

Lo sentii sorridere sulla mia guancia. «Stanotte nel tuo letto...»

«Ace...»

«Magari non sono io, magari siamo io e te.»

Non riuscii più a resistere: adoravo lui, la sua bocca e la sua voce. Gli tirai il labbro, glielo succhiai come un frutto maturo.

E Ace si stupì del mio atteggiamento incoerente.

«È un gioco per te?», chiese di getto.

«No, anche perché non saremmo pari»

«Che vuoi dire?»

«Tu mi hai vista...»

«Cosa Scarlett?»

«Mi hai vista perdere.»

«Ti ho vista perdere il controllo, sì.»

Lo vidi corrucciare le sopracciglia, come se un pensiero l'avesse sfiorato per la prima volta.

«Aspetta un attimo. Tu vorresti ... Vorresti vedermi in quel modo?»

Con voce suadente mi aveva appena promesso qualcosa di proibito.
Posai una mano sul suo petto e mi accorsi che il suo respiro era accellerato. Sentii la sua erezione pulsare, tant'è che dovette chiudere gli occhi per un breve attimo. E il calore che si sprigionò tra le mie gambe fu così piacevole che non riuscii a sopportarlo.

Mi sentii accaldata, dolorante, mentre il piacere sembrava segnarmi l'interno coscia. Forse era solo l'umidità del bosco, o forse era lui.

«Scarlett?»

Non riuscii a rispondere, mi lasciai incendiare dal suo sguardo sottile, come uno spiraglio che bruciava le mie guance rosse.

Ace passò le labbra calde sul mio orecchio. «E così vorresti guardarmi...»

Mossi soltanto il capo, non ebbi l'ardire di dire sì a parole.

«Mhm, non credo sia possibile, Scarlett.»

Deglutii perché sentii la sua lingua scivolarmi lungo la gola.

«È che siamo amici, perciò...»

Leccò il succhiotto, il marchio indelebile delle sue labbra su di me. «...forse potrai, ma solo se te lo meriti.»

Quel gioco mi fece incendiare le vene. Ace tornò a divorarmi la bocca con i suoi baci e con la sua lingua incalzante. Provai a seguire quel ritmo, ma il fiato venne meno quando la sua mano s'insinuò sotto il mio vestito e mi strinse la coscia fino a farmi gemere.

In quell'istante la vibrazione di un telefono si diffuse nella macchina. Era il mio.

Provai a ignorarlo, ma l'idea che poteva essere la nonna mi balenò in testa.

«Scarlett, rispondi.»

E quando buttai gli occhi sullo schermo, lessi un nome inaspettato.

«Mamma?»

Guardai Ace, ancora seduto sotto di me. Lasciò la nuca contro il poggiatesta e sbuffò.

«Scar, dove ti sei cacciata?»

Vidi il pomo d'adamo di Ace salire e scendere rapido.

«Da.. ehm... da un'amica»

Lui rimase in quella posa rilassata, ma sentii le sue dita fredde cercare la mia pelle, sotto gli strati dell'abito. Scavalcò le cosce, scivolò oltre la pancia e con i pollici raggiunse il reggiseno. Tirò giù entrambe le coppe e io cominciai a respirare in modo convulso.

«Quale amica, Scarlett?»

Spalancai gli occhi perchè Ace si avvicinò ai miei seni esposti.

«A... Ehm....»

Il suo respiro caldo mi fece irrigidire la schiena, che si ammorbidì quando lo sentii piantare entrambi i palmi sulle mie cosce divaricate intorno al suo bacino marmoreo.

«Tua nonna è in pensiero.»

«Va bene, non userò le mani», sussurrò lui con il labiale.

Il bacio fu dolce, il morso che impresse sulla mia pelle un po' meno. Sentii il capezzolo bruciare.

«O dio.»

«Torna subito a casa!»

«Ah, sì, certo. Ti ha chiamata la nonna?»

«No, Scar.»

Ace tese la lingua, che s'inturgidì nel passare intorno al mio capezzolo gonfio.

«E chi...»

Poi scese sulla mia pancia. Guidata dall'istinto, mi spinsi all'indietro e gli diedi modo di sollevarmi il vestito e infilare la testa lì sotto per raggiungere la porzione di pelle intorno al mio ombelico. La leccò avidamente facendomi tremare.

«Scarlett, ho ricevuto una telefonata che non mi ha fatto piacere.»

Ace scivolò con la lingua sempre più in basso e il bordo delle mie mutandine sembrava essere il suo interesse principale, perchè scalpellò il mio basso ventre con la sua lingua e ne fece scivolare la punta sotto l'orlo di cotone, giocandoci in modo indecente.

«Scarlett?»

Stavo trattenendo il fiato.

«Sì, mamma?»

«Mi ha chiamato Ivory.»

In quel momento gli occhi di Ace sfrecciarono nei miei.

«Ha detto che stai attraversando un periodo difficile. Scarlett per favore, non farmi preoccupare.»

Mi sentii tradita. La salutai e misi giù chiamata, mentre Ace sistemava il mio reggiseno e mi abbassava il vestito.

«Scarlett?»

Mi sentii soffocare.

«Come fa quell'uomo a sapere tutte queste cose?»

«Di che parli...»

Mi agitai. All'improvviso la temperatura in quell'abitacolo fu insostenibile, mi mancava l'ossigeno.

«Ti ho fatto una domanda.»

«Sì, ma non penso che la risposta ti riguardi.»

Tornai dalla parte del sedile del passeggero e provai a prendere aria.

Ace si passò una mano tra i capelli e tirò fuori un lungo respiro.

«Vorrei che fossi sincera con me, almeno la metà di quanto io lo sono con te.»

«Gliele ho dette io, okay?»

«Quando?»

«Non...»

«Quando, Scarlett?»

Rimasi in silenzio.

«Gli hai detto di me, non è così?», mi domandò esterrefatto.

«L'ha capito da solo. Ti da fastidio, Ace?»

«No, ma perchè dovrebbe importargli, Scarlett?»

«Non lo so, io...»

«Scarlett, chi è quell'uomo?»

«Il pastore»

«Questo l'hai già detto. Perché sei andata da lui l'altra sera?»

Spalancai la bocca. Come faceva a saperlo?

«Non ci credo...»

Ace non si scompose, non gli importò un accidente della mia reazione.

«Tu come lo sai?!»

Lui si morse il labbro e io capii.

«Hai chiamato tu il taxi...»

Mi toccai il collo. Il succhiotto. Capii tutto. E mi sentii una marionetta nelle sue mani.

«Portami a casa.»

Ace sbuffò, aveva ancora i capelli arruffati e le guance rosse, ma io mi sentivo una stupida.

«Mi sono preoccupato», disse mettendo in moto

«Non mi interessa»

«Già, questo l'avevo capito.»

«Non devi fare così... Me le devi chiedere le cose!»

«Tu non me le dici le cose, Scarlett!»

Mi trincerai nel mutismo più assoluto e rimanemmo in silenzio per tutto il tragitto. Finché non si fermò davanti al cancello della nonna.

«Non volevo ferirti, ero solo preoccupato.»

«Ma l'hai fatto.»

«Se avessi voluto invadere la tua privacy, l'avrei fatto per davvero.»

Scrollai il capo. «Ah ecco, ancora meglio»

«Sei davvero incazzata con me?»

«No però... Stanne fuori»

«Fuori da cosa?»

Scappai dalla sua auto e mi affrettai in casa.
Erano le undici e mezza quando guardai l'ora.
La nonna dormiva, così mi feci un lungo bagno caldo. Avevo bisogno di scacciare i demoni dalla mia testa. Erano solo pensieri, ma tornavano con troppa insistenza.

Mi rilassai nell'acqua calda, poggiai la nuca contro la ceramica e chiusi gli occhi.








-TRE ANNI PRIMA-


I just want to know
If rusting my sparkling summer was the goal


Quel pomeriggio mi rifugia nel suo studio. Pioveva e la funzione era più noiosa del solito. Mi ero nascosta lì e avevo rubato dei fogli dal suo taccuino rosso.
Avevo scoperto che amavo scrivere.

«Ti piace scrivere poesie?»

Trasalii quando udii la sua voce rieccheggiare tra quelle mura spoglie.

«Non credo di essere molto brava, però mi piace.»

«Alzati», disse brusco indicando la sedia sui cui stavo appollaiata. Studiai i suoi occhi per capire se fosse arrabbiato o meno.

«Ti puoi sedere sulle mie ginocchia.»

La proposta mi sembrò ragionevole, un po' meno il fatto che volesse leggere i miei deliri sconclusionati.
Perciò mi alzai e mi risedetti su di lui.

Ivory lesse in silenzio e io rimasi immobile ad aspettare che finisse.

«Perchè non provi con un racconto?»

«In realtà... scrivo anche quelli», confessai senza voltarmi.

«Davvero?»

Annuii.

«Di cosa scrivi?»

«Di un amore impossibile», dissi titubante. Poi ruotai la testa e studiai i suoi occhi per capire se fosse arrabbiato.

«Che tipo di amore impossibile?»

«Non lo so. Ma lui non può averla.»

«E tu cosa ne sai di amori impossibili?»

«Me lo invento», risposi stringendomi nelle spalle.

Non è questo che si fa quando si scrive?

Lui seguitò a leggere, si fermò solo per chiedere: «Perché la sua voce è "ruvida"?»

«Non è davvero così, è lei che la percepisce così»

«È una sinestesia», spiegò.

«Non lo so, so solo che lei vorrebbe che lui fosse più dolce»

«Perché?»

«Perché lei lo ama.»

Sentii i suoi occhi scavarmi la guancia, ma non mi voltai.

«Davvero?»

«Sì»

«È troppo vago, rimettici mano. Non si capisce.»

Con il dorso mi diede un colpetto sulla coscia e capii che desiderava mi alzassi dalle sue ginocchia.

«Sii più esplicita», mi suggerì quando ero ormai in piedi.

«Okay.»

«Scarlett?»

Lo guardai con aria speranzosa, aspettando mi desse altri consigli. «Sì?»

«La poesia non fa per te.»




«Ma Dio non dovrebbe amare tutti in modo incondizionato?», mi chiese Kaden.

«Boh» commentai con la bocca piena di caramelle.

Per saltare la messa mi ero chiusa nello sgabuzzino delle scope, quello accanto alla sala principale. Era un posto che mi faceva paura. E rinchiudermici insieme a un ragazzo forse non era stata una buona idea. Ma stavamo giocando a nascondino e io avevo avuto la brillante idea di usare la chiesa.

«Perché se Dio dovesse tenere conto dei nostri gusti...»

«Se a me non interessa che ti piacciono i ragazzi, nemmeno a Gesù dovrebbe», dissi seria.

Kaden scoppiò a ridere.

«Se ci becca lo stronzo però siamo finiti»

«Stai dicendo parolacce in chiesa!»

«Okay, cazzo!»

Trattenni le risate con entrambe le mani davanti alla bocca.

«Ti ricordo che non sono ben accetto qui.»

«Ma perchè hai così paura di Ivory?»

«Perchè lo chiami Ivory? Quello è uno stronzo. Non dovresti essergli amica.»

«Shhh» Lo invitai al silenzio con l'indice premuto sulle labbra.

«Una volta mi ha picchiato e io non l'ho mai detto a nessuno, perché nessuno mi avrebbe creduto»

Lo guardai sbigottita. «Allora era vero...»

Le nostre voci attirarono l'attenzione di qualcuno, perchè sentimmo dei passi rintoccare e l'eco espandersi tra quelle mura fredde.

Ci accucciammo e rimanemmo in silenzio.

«Vieni più in qua, Scar.»

«Dove? Non c'è spazio»

Mi strinsi vicino a lui.

«Ti da fastidio?», disse appiccicando il braccio al mio.

«Non lo so, ma come al solito mi fai il solletico.»

«Ah davvero? E così?»

Iniziai a ridere, il pacchetto di caramelle si rovesciò, la mia gonna si alzò, e la porta si spalancò.

Oh no.

I suoi occhi mi caddero addosso come due fulmini.

«Cosa stai facendo?» Ivory mi afferrò dal braccio e mi tirò su.

Mi si fermò il cuore, fui incapace di muovermi.

«Scarlett, nel mio ufficio.»

«Ma...»

«Vai.»

Indietreggiai nel suo ufficio, mentre guardavo Kaden scappare via spaventato.

«Perchè fai così?», tuonò con voce grave.

«Scusa, mi...»

«Perché devi sempre fare così?»

Provai a indietreggiare ancora, ma Ivory mi afferrò dai capelli e io battei lo zigomo contro la colonna di legno. Fu un dolore sordo. Così forte che per un secondo non sentii nulla. Poi arrivò pulsante, mi riempì il cervello e per un attimo pensai di perdere i sensi.

Ero terrorizzata, tremante e gli occhi colmi di lacrime. Non riuscii a vedere bene, però riuscii a sentire le sue mani.

«Smettila, devi smetterla.»

«Scusa» Avvertii la prima lacrima rigarmi la guancia.

«Sei arrabbiato perchè ho usato la chiesa per giocare a nascondino?»

«Cosa stavate facendo?»

«Niente.»

«La chiesa non è un posto in cui giocare o peggio ancora... pomiciare.»

«No, non stavo facend...»

«Torni a casa tua, dillo alla nonna»

«No, non posso! Se glielo dico mi rimanda a Rivers! Non voglio!», lo supplicai strattonandogli la manica.

«È per il tuo bene, Scarlett. Glielo dirò io.»

«No, non dirglielo. Io voglio passare l'estate qui.»

Lui sembrò perdere la ragione per un attimo. «Con me?»

«Cosa?»

«Con me?» lo ripetè, facendomi tremare.

Io annuii, allora sembrò calmarsi.

«Non voglio vederti fare una cosa del genere, mai più.»

«Scusa, stavamo solo....»

La sua rabbia si placò mentre mi carezzava il viso.

«Hai battuto, fai attenzione la prossima volta».





Il pomeriggio seguente lo passai girovagando in bici con Rose poi, verso le otto, andammo a cena da lei.

La mamma di Rose, indaffarata ai fornelli, mi salutò senza nemmeno degnarmi di un'occhiata. Io e Rose apparecchiammo tavola parlando del più e del meno, ma quando Ivory rincasò io mi ammutolii completamente.

Diede un bacio sulla fronte a Rose e l'invidia mi divorò lo stomaco.

«Scarlett non mangiarti le unghie», disse passandomi davanti.

«Rimani a cena?», gli chiese la moglie.

«No, ho già mangiato.»

Poi la mamma di Rose mi guardò.

«Cosa è successo, Scarlett?»

«Eh?»

Lei mi fissava preoccupata. «Lo zigomo.»

La faccenda di aver giocato in chiesa mi faceva sentire così in colpa. Se l'avesse saputo la nonna...

«Ho battuto.»

«Facendo la ruota? Vi ho viste prima, fate attenzione», ci rammendò la donna.

Annuii e mi lasciai andare a un sospiro di sollievo.

«Ma se le fai da sempre!» sbuffò Rose, che non se l'era bevuta nemmeno quando mi aveva vista in quello stato.

A fine cena salutai Rose e sua mamma, poi uscii. Ivory era sul portico a leggere, ma io passai oltre e non mi fermai.

«Scarlett, aspetta. Ho letto il racconto.»

«Okay.»

«Levami una curiosità. Perchè sono fratellastri?»

Mi strinsi nelle spalle. «Ti è piaciuto?»

«No. La scrittura è infantile, i sentimenti non hanno profondità e tutto il racconto manca di rabbia, di lussuria.»

Deglutii, ma quell'umiliazione mi rimase impressa in volto, come un marchio a fuoco.

«Ora devo tornare a casa.»

Scappai via con le lacrime agli occhi, probabilmente lui non se n'era nemmeno accorto, ma ora io odiavo tutto ciò che avevo scritto. Desideravo solo dargli fuoco.

È così feci. Con l'accendigas rubato alla nonna, all'imbrunire mi sedetti sul muretto esterno e, nel freddo, bruciai tutte le mie stupide parole infantili.

Il fumo però, attirò l'attenzione della signora Sanders.

«Ma che fai Scarlett?» mi chiese affacciata al balcone.

La detestai.

«Ivory vai a vedere, prima che questa dia fuoco al nostro giardino»

Il piccolo falò si spense in fretta, lasciando spazio ai miei pensieri ridotti in cenere.

«Scarlett... Hai bruciato i tuoi scritti?»

Non parlai quando me lo ritrovai davanti.

«Non era mia intenzione infrangere i tuoi sogni. Sempre che tu ne abbia...»

«Cosa vorrebbe dire?»

«Non hai aspirazioni, non me ne hai mai parlato.»

«Non sei... non sono tenuta a farlo.»

Si chinò alla mia altezza e fece allineare il suo viso al mio.

«Con quegli occhi, avrai tutto dalla vita. E lo avrai senza nemmeno fare sforzi.»

Non capii.

«Ma ora, perchè non provi a lottare per prenderti ciò che vuoi?», domandò.

«Non avrei dovuto bruciarli? Hai detto facevano schifo»

«Non puoi abbatterti così facilmente, Scarlett.»

«Quindi non pensi dovrei lasciare stare la scrittura?»

«Assolutamente no. Sei giovane e hai tempo per scrivere con profondità, di sentimenti complessi e...»

«Che è successo a Kaden oggi?»

«I ragazzi sono così, Scarlett.»

«Non ne conosco molti, ma lui è simpatico.»

«Devi stare più attenta.»

«A lui? Ma che hai capito? A Kaden piacciono...»

Il mio cuore si fermò. Di nuovo. Stavolta perché mi aveva dato un bacio sulla fronte.

Rimasi senza fiato e in quel momento capii.
Gli avrei lasciato fare qualsiasi cosa per solo un attimo di quel affetto.




-PRESENTE-

Non so quanto tempo rimasi a mollo, avevo ormai i polpastrelli raggrinziti e le labbra livide.
Quando uscii dalla vasca tornai in camera e trovai un messaggio di Ace.

stai dormendo?

Decisi di non rispondergli.

Forse Ace si preoccupava davvero per me, ma non c'era motivo. Me lo ripetei un paio di volte.
Mi misi a letto e provai ad addormentarmi, ma i ricordi mi assalivano come morsi di un serpente. Da quando ero stata in chiesa, mi ero di nuovo infettata con un veleno sconosciuto. E appena chiudevo gli occhi, il dolore tornava ad ondate.








-TRE ANNI PRIMA-


I fight with you in my sleep



L'odore del legno che bruciava nell'aria estiva mi colse di sorpresa.
Mi avvicinai con cautela al gruppo di uomini intorno al barbecue.

«Posso chiederti una cosa?», gli domandai.

Ivory si voltò verso di me, e dopo avermi guardata, fece finta di niente.

«È tua figlia?», domandò un tizio.

«Ho trovato un gattino, è caduto dall'albero. Penso sia ferito, vorrei...»

«Non ora, Scarlett.»

«Ivory...»

L'uomo al suo fianco rise di me. «Da quando i ragazzi della tua chiesa ti chiamano per nome?»

In quel momento lui lasciò il forchettone a un altro. «Scusate un attimo.»

Poi mi prese da parte. «Scarlett, ma che ti prende?»

«Ti volevo chiedere se puoi aiutarmi con il... ahi.»

«Non chiamarmi per nome, quante volte devo dirtelo?»

«Non me l'hai mai detto...»

Non ricordavo me l'avesse detto.

«Scusami, hai ragione. Comunque ho trovato questo gattino. È zoppo. E lo so che hai detto "non ora", ma dobbiamo fare qualcosa. Per favore.»

«Scarlett, perchè non mi stai a sentire? Non fare mai più una cosa del genere.»

«Ma cosa...»

Se ne andò lasciandomi confusa, quindi decisi di tornare ai piedi dell'albero in cui avevo visto il gattino ferito, ma lui non c'era più. Provai a cercarlo nei dintorni, ma era ormai buio e di lui non c'era traccia. Temetti il peggio, quindi, con una stretta al cuore, tornai dalla nonna.

«Domani lo cerchiamo e poi chiamiamo il veterinario, Scar», mi rassicurò la nonna che mi viziava con una fetta di crostata e una tazza di tè caldo.

«Vuoi aiutarmi con la pasta fatta in casa?», mi domandò nel vedermi affranta.

«No, vado a letto.»

Dopo aver dato la buonanotte alla nonna, mi sdraiai sul letto e spensi la luce. Dall'esterno proveniva un chiacchiericcio piacevole e l'odore del legno bruciato mi faceva pensare che lui fosse lì fuori, mentre io ero in casa da sola. Non doveva importarmi.

Poi però qualcuno bussò alla porta di camera mia. Mi sedetti e rimasi in attesa.

Non era la nonna. E quando vidi Ivory entrare con in braccio il gattino ferito, il mio viso s'illuminò.

«Scarlett, non puoi salvare sempre tutti. A volte certe persone non vogliono essere salvate.»

Non l'ascoltai nemmeno perchè il gattino mi saltò in braccio e si posizionò tra le mie gambe.

«Lui sì però», dissi carezzandolo.

«Gli ho disinfettato la zampa, ora sembra stare meglio», disse Ivory sedendosi sul mio letto.

Gli lanciai le braccia al collo «Grazie, grazie, grazie.»

Non mi accorsi però che con quelle unghie, il gattino mi aveva graffiato le gambe.
Ivory lo notò subito. «Ti ha graffiato», disse passando i polpastrelli sui segni rossi appena formati.

Io però non lo ascoltai nemmeno. Stavo già pensando al nome da dargli. Il gattino mi si arrampicò sulla spalla e cominciò a farmi le fusa.

«Domani lo portiamo dal veterinario», annunciò.

Il batuffolo di pelo mi annusò la guancia facendomi il solletico. E io ripensai a Cat, il gatto di Rose.

«Senti, stavo pensando... se per caso volessi confessarmi...»

«Nella nostra chiesa non hai bisogno di un intermediario per l'assoluzione.»

«Okay.» Abbassai lo sguardo sulla mia gamba lasciata scoperta dai pantaloncini, aspettando che lui togliesse la mano.

«Ma a me puoi dirlo.»

«Ho sognato di rubare il gattino a Rose»

«Ma non l'ho mai fatto.»

«Però l'ho pensato.»

Sorrise. «C'è qualcos'altro?»

Sentii il calore del suo palmo ruvido carezzarmi la pelle, più intenso di un graffio.

«Ho sognato di rubare altre cose a Rose... cose che volevo anch'io.»

«Stiamo parlando sempre di animali domestici?»

Spostai gli occhi.

«I pensieri negativi puoi sconfiggerli con la
forza d'animo, non lasciarti sopraffare. Le nostre azioni sono la cosa più importante, Scarlett.»

In quell'istante si avvicinò e carezzò il gattino, senza mai levarmi gli occhi di dosso.

«Ti piaceva di più l'altro, vero?»

«No, cioè... Era solo più bello. Ma vorrò bene anche a lui, anche se è un po' cieco e ora pure zoppo, poverino.»

Ivory sorrise.

Magari se l'è dimenticata, ecco perché non la toglie.

«Cat è troppo carino, ci avrei passato un giorno insieme e avrei voluto dormire con lui almeno una volta, quello sì.»

«È sbagliato desiderare le cose altrui, lo sai?», mi rimproverò.

«Lo so, ma...»

Il mio cuore cominciò a correre disperato e non riuscii a capire da dove arrivasse quella paura. Era solo un piccolo rimprovero, fatto con voce affettuosa. Non è arrabbiato, mi dissi.

«Ma... Se tu me l'avessi chiesto, io avrei raccontato una scusa a Rose e te l'avrei portato qui.»

Le mie guance presero colore e un sorriso m'irradiò il volto. Quei cerchi pesanti che disegnava sulla mia pelle svanirono. Non li sentii più.

«L'avresti fatto?»

«Sì»

«Anche se è sbagliato?»

«Anche se è sbagliato, Scarlett.»

Sorrisi. Potevo fidarmi di lui.

D'un tratto si alzò. E io mi accorsi che i miei pantaloncini erano sollevati fin sopra l'inguine, spostati a lato, così tanto da lasciar intravedere l'intimo.

No, non può essere. Mi sono immaginata tutto.





-PRESENTE-

Nel letto mi rigirai un paio di volte, ma alla fine, dopo circa un'ora, gli scrissi.

non riesco a dormire

Ace visualizzò dopo poco, ma non rispose.

Che stupida, perchè gli ho scritto?

Chiusi gli occhi e provai a scacciare tutti i ricordi e le sensazioni intense della serata. Rimaneva una sola cosa positiva. Ace.
Spostai il lenzuolo perché iniziai a sentire caldo, poi freddo. Infine è ricontrollai il telefono e sbuffai.

Sarà sicuramente alla festa.

Ma in quel momento un clic nel buio mi fece rabbrividire. Udii un rumore provenire dalla finestra. Qualcuno era appena entrato in camera mia.

Vidi una sagoma scura materializzarsi al centro della stanza.
Stavo sognando?
Perché non avevo paura?

Forse perché lo riconobbi subito: Ace indossava una t-shirt aderente e un paio di pantaloni della tuta. Avvertii la nota di bagnoschiuma maschile e il suo profumo indelebile. Non parló.
E nemmeno io lo feci.
Mi venne istintivo farmi piccola nel letto per dargli lo spazio necessario, ma lui spostò il lenzuolo a lato e non si posizionò di fianco, ma scelse di mettersi sopra di me. Le farfalle m'incendiarono lo stomaco perchè nella penombra vidi i suoi occhi nocciola combaciare con i miei.

«Sei qui», sospirai sulle sue labbra carnose, stretta contro il suo corpo.

«Era il tuo modo per dirmi che hai bisogno di me, no?»

«Ace...»

Mi zittì affondando la lingua tra le mie labbra, dolcemente. E altrettanto dolcemente lasciai che prendesse confidenza con il mio corpo, che si spingesse con le anche tra le mie gambe tremanti.

Gli sfiorai il collo con la punta delle dita e la sua pelle era bollente. Ace era sempre trattenuto, ma quando mi baciava, riuscivo a sentire tutto il fuoco che nascondeva dentro.

«Scarlett, ferma...»

Non lo ascoltai, proseguii con la mia incursione: gli infilai le mani sotto la maglietta e continuai a baciarlo. I muscoli s'inturgidirono sulle mie dita inesperte e il suo basso addome si contrasse quando gli respirai sul collo. Sentii la vena tendersi contro le mie labbra socchiuse.

«Ferma. Ti prego.»

«Cosa c'è?», gli domandai.

«Hai detto che non riuscivi a dormire, quindi ho pensato ci fosse qualcosa che ti facesse stare male o in pensiero.»

La sua voce esitò appena e io capii che la sua debolezza era la mia.

«Ace, ho capito che tutto questo smette solo quando sto con te.»

Battè le palpebre, confuso.

«Non so a cosa ti riferisci, ma... Ho pensato che avessi bisogno di parlarne. Puoi farlo se ti va»

«No.»

«Oh...», s'irrigidì a causa del mio rifiuto. «Allora cosa vuoi che faccia?»

«Tu cosa vuoi fare?»

Avvertii il suo petto svuotarsi completamente.

«Non penso sia...»

Questa volta fui io a zittirlo, gli circondai la nuca con le braccia e lo baciai. Ace perse ragione, mi infilò la mano nei pantaloncini e io glielo concessi.

«Perchè sei qui? E non dire che se qui solo per parlare», sussurrai mentre uno spasmo mi contraeva il ventre.

«Te lo dico, ma solo se mi racconti un tuo segreto», mi provocó iniziando a giocherellare con il bordo dei miei pantaloni.

«Non riesco ad essere arrabbiata con te per più di cinque minuti. Ecco il segreto», dissi io.

«Non è un segreto...Avanti, sai fare di meglio. Stupiscimi.»

Ace abbandonò le labbra sul mio collo e io cominciai a pensare.

«A volte, quando ti penso, perdo completamente la cognizione del tempo. Non so nemmeno più dove mi trovo.»

«Lo so io dove ti trovi, Scarlett.»

Lui allineò lo sguardo con il mio e potei fissarlo confusa. «Dove?»

«Sei nella mia testa. Nella mia fottuta testa. Sempre.»

Le nostre labbra si cercarono nel buio, dando il via a un bacio delicato. Ci sfiorammo appena, perché parlare sembrava un'opzione più eccitante.

«Dimmi che sei venuto a fare.»

«Avevo bisogno di vederti ancora.»

Ace leccò il mio labbro inferiore. «E poi...»

Respirò nell'incavo del mio collo dandomi i brividi. «Mi chiedevo come sarebbe stato infilarmi nel tuo letto, di notte.»

Gli sfiorai il viso che, nella penombra, risultava sfumato. «È tutto vero?»

«Sì», soffiò sulle mie labbra.

Forse questo era solo uno dei miei sogni lucidi. Ace non poteva essere davvero con me. L'avevo immaginato così tante volte....

«Sei davvero qui?»

«Sono qui, Scarlett.»

Ace tracciò la mia gola di baci e io sentii il mio corpo andare a fuoco.

«Ora fa' la brava e apri le gambe per me.»

Restai senza fiato quando mi raccolse i polsi e, con delicatezza, mi aiutò a sollevare le braccia. Strinsi la testiera del letto sotto le dita, la maglia del pigiama si alzò appena e lui, soddisfatto, scese a baciarmi la pancia scoperta.

«Dimmi una cosa.»

Deglutii.

Ace mi solleticò la coscia sfregandoci sopra le labbra «Qualcuno ti ha mai baciata qui?»

«No.»

«Qui?», chiese avvicinandosi all'inguine.

«No, Ace.»

«...qui?», respirò sulle mie mutande dandomi i brividi.

Negai con il capo.

«Ora respira. Non devi fare niente...  Solo sentire

Rilassai le membra e mi concentrai sul movimento ansante del mio petto, come per rallentarne la corsa, ma quando Ace mi abbassò i pantaloni, realizzai. Realizzai che non avevo paura.

Lo fece lentamente, aspettando che io prendessi consapevolezza di ciò che stava per accadere. Sollevai prima un piede, poi altro così lui potè sfilarli. Avvertii dapprima la morbidezza della sua bocca sulle mie mutande, poi la sua voce.

«Sai cosa mi piace di averti su un letto?»

Mi sporsi con la testa in avanti per incontrare i suoi occhi.

«Cosa?»

«Che non devo inginocchiarmi.»

Diede una passata di lingua sul cotone, facendomi sentire più umida del previsto, poi, con le stesse labbra calde, arpionò il mio clitoride nascosto dal tessuto e lo succhiò con foga, tanto da farmi cascare con la testa sul cuscino. Sbarrai gli occhi.

«Hai un buon sapore. Proprio quello che una brava ragazza dovrebbe avere.»

Affondò le mani nelle mie cosce e le tenne ferme quando passò la punta della lingua sulla mia fessura, coperta da un piccolo strato umido e ormai inutile. Ci giocherellò, con le mie mutande, tintinnando le mie pieghe sensibili e bisognose di frizione.  Sentii uno spasmò all'altezza del ventre. Era piacevole, ma il tessuto bagnato iniziava a darmi fastidio, quindi strinsi le cosce intorno alle sue guance. Ace spinse entrambi i pollici sulla mia pelle e mi divaricò le gambe. Mi aprì dolcemente, come se quel modo osceno in cui mi desiderava fosse necessario. Lo guardai e avvertii un rivolo colarmi lungo la gamba.

«È così che si bagnano le brave ragazze?»

Annaspai quando con i polpastrelli tiepidi spostò le mie mutande a lato. La sua lingua divenne bollente su di me. Dentro di me. L'affondò piano, e lentamente, sentii i primi centimetri lacerarmi con dolcezza.
Sollevò la testa. Avevo ancora le mani strette intorno alla testiera di legno, le nocche bianche e le labbra socchiuse. La visione gli fece arcuare la bocca in un sorrisetto sadico, perché la maglietta corta lasciava intravedere i miei seni nudi.

«Troppo?», parlò facendomi arrossire.

Tremai quando passò il pollice sul mio clitoride e mi accorsi che anche lui aveva il fiato corto.

Troppo piacevole.

Feci cenno di no, quando in realtà mi sentivo morire.

«Ti piace, sì?»

D'un tratto dei passi mi fecero trasalire.

«Oh no» Tirai su le coperte e finsi di dormire.

La nonna controllò che fossi rientrata poi uscì richiudendo la porta.
Nell'oscurità non vide nulla, ma per poco non morii d'infarto, perchè Ace non si fermò nemmeno per un attimo. La sua lingua era affamata, come se desiderasse farlo da tempo, troppo tempo. Gli schiocchi morivano in mezzo alle mie cosce umide, insieme ai suoi gemiti. La sua lingua scivolava tra le mie pieghe e cadeva languida nel baratro, come risucchiata dal mio calore. Provai a dimenarmi per trovare sollievo, ma Ace strinse la presa e i polpastrelli bruciarono sulla mia pelle. Mi tenne ferma e io sentii tutta la sua forza.

Strinse tra le labbra le mie carni che, cedevoli, si aprirono accogliendo la sua bocca instancabile.
Ace vi riaffondò lentamente la lingua, stavolta turgida. La spinse più a fondo, riempiendomi, e fu così piacevole che persi il contatto con la realtà.

«Scarlett.»

«Sì?»

Sollevò il capo e mi guardò con gli occhi ridotti a due fessure.

«Continuerò a scopartela con la lingua, ma voglio essere certo di averti qui con me.»

«Vieni... Vieni vicino a me», sussurrai.

Lui allora si sollevò e si sdraiò alle mie spalle.
Infilò una mano nelle mie mutandine e mi sentii contrarre quando mi sfiorò il clitoride con i polpastrelli tiepidi.

«Così?» soffiò sulla mia nuca.

«Sì»

Le sue dita cominciarono a muoversi in circolo e io sobbalzai sul materasso. Ace mi posò una mano sul fianco e mi tenne ferma, ma non bastò perché iniziai a tremare, a dimenarmi, quindi fece passare un braccio sotto di me e raggiunse il mio collo. Lo strinse con una presa possessiva. Divenni sua.

«Scarlett...»

Sembrava sempre sul punto di spingersi dentro di me, con le dita. Ma non lo faceva mai. E io in quel momento lo desiderai. Sollevai il bacino, gli andai incontro, lo invitai a diventare parte di me.

«Cazzo... lo vuoi così.»

La sua voce scivolò morbida sul mio lobo, che prese a mordere, a baciare senza pudore.
Sfiorò più volte la mia fessura ma si ritrasse prima che diventasse una tortura troppo indecente.

«Non ora.»

«Ace...»

Sentii la presa intorno al mio collo stringersi.

«Non sei pronta», sussurrò nel mio orecchio.

«Non puoi saperlo.»

«Sto diventando attento a capire ogni piccola cosa che ti riguarda», disse aumentando il ritmo con cui le sue dita strofinavano sul mio punto sensibile.

«E cos'hai capito?»

«Che dopo quel giorno al castello mi hai sognato qui sotto, con la testa seppellita tra le tue cosce.»

«Ma ancora non mi hai detto come tu hai sognato me, Ace»

«Non ero io quello in ginocchio stavolta.»

Sentii la sua erezione sconfinare e premere contro i miei glutei.

«Hai detto che volevi vedere com'è stare nel mio letto... Quindi com'è?»

«Dolce, molto dolce.»

Ace risucchiò il mio lobo tra le labbra morbide e io chiusi gli occhi.

«Ora basta parlare, fammi sentire.»

Continuò a tormentarmi con quel movimento cadenzato delle sue dita, fino a mandarmi in estasi.

«Ace...»

«Brava, così.»

Gemetti il suo nome, lo implorai finché non mi ritrovai senza fiato, la pancia contratta e la fronte madida. La pressione si fece insopportabile e con l'orecchio deliziato dalle sue parole ansimate, mi lasciai andare. Il mio corpo venne attraversato da una scarica piacevole. L'orgasmo mi inondò, totalmente. Rimasi senza fiato per una manciata di secondi.

Quando finamente ripresi i sensi e mi voltai, lui tolse lentamente la mano dalle mie mutande, mentre con l'altra mi accarezzava i capelli.

«Che fai?», gli chiesi sorridendo.

«Mi piacciono i tuoi capelli.»

«Quando vai in Francia?»

«Fra qualche giorno.»

«Mentre sarai via io lavorerò a casa tua. Posso entrare nella tua stanza?»

Lui si accigliò. «Perché dovresti?»

«Magari voglio riprendermi le mie cose»

Scrollò il capo sorridendo.

«Le mie mollette, il nastro per capelli» Poi abbassai la voce. «Le mutande.»

«Non ho buttato niente, se ti servono...»

«Perché le hai tenute?»

«Magari sono geloso delle cose che ti stanno addosso.»

«Serial killer.»

«Sembri un po' troppo tranquilla in questo momento per essere una che sta a letto con un serial killer.»

Scoppiai a ridere e mi rifugiai sul suo petto accaldato, la sua t-shirt aveva sempre un buon profumo.

«Camera tua è molto carina.»

«Non l'hai nemmeno vista tutta...»

«Già, ma mi sono fatto un'idea.»

Strinsi le gambe, perchè come al solito le sue parole assunsero una sfumatura ambigua. E per una volta, mi sentii bene con me stessa e non in colpa.

«Non mi fai mai sentire sbagliata.»

«Non lo sei, e vorrei me lo dicessi se qualcuno prova a farti sentire sbagliata. Ci penso io.»

«E poi che fai?», lo stuzzicai.

«Tu non preoccuparti. "Ci penso" io significa che ci penso io.»

«Rimani qui a dormire?», gli domandai chiudendo gli occhi dolcemente.

«Vuoi che rimanga?»

Sentii le membra perdere forma, mi sarei addormentata anche subito.

«Sì.»

«È meglio se vado. Altrimenti so come finisce.»

Non glielo permisi perché mi strinsi a lui e lo baciai.

«Resta.»

«Scarlett... io rimango, ma inizia a essere una tortura per me» mugugnò eccitato quando gli lasciai un bacio sul collo.. «E poi tu devi dormire.»

Rimasi a guardarlo mentre si alzava in piedi e si risistemava la maglietta.

«Pensi che potrai dormire ora, signorina?»

Si scoppiai a ridere. «Rimani, così puoi constatarlo di persona», lo presi in giro.

«Scarlett.»

«Sì?»

«Davvero, è meglio se vado.»

Misi il broncio, ma lui si avvicinò alla mia finestra e la richiuse.

«E questa è meglio se la tieni chiusa.»

«Okay, ma come fai ad entr...»

Aspetta, anche prima era chiusa, ma lui è entrato lo stesso.

«Sono perdonato?», chiese passandosi una mano tra i capelli scompigliati.

Sorrisi. «Ti ho perdonato per il taxi.»

Ma il sorriso svanì in fretta, perchè dopo che Ace si infilò le scarpe, mi guardò.

«Perché in chiesa non ci vai di giorno come tutti gli altri?»

Indossai i pantaloni e mi alzai dal letto. Solo allora mi accorsi che il mio corpo si era ammorbidito così tanto che a malapena mi sorreggevo in piedi.

«Di giorno lavoro.»

Non gli dissi che non sarei piu tornata, Ace aveva già abbastanza sospetti. E io non volevo alimentarli, anche perchè non c'era proprio nulla di cui preoccuparsi.

Uscimmo da camera mia a passo felpato e raggiungemmo la porta d'ingresso.

«Con Rose vai d'accordo?», chiese poi, quando uscimmo in giardino.

«Sì. Tu partirai davvero?»

«Non lo so ancora... che mi consigli?»

Lo guardai dal basso e quando i miei occhi si fermarono sulle sue labbra rosse e lucide, l'impulso di baciarlo ancora m'inondò le vene.

«Penso tu ne abbia bisogno, Ace.»

«E tu...»

«Resto qui con la nonna, sia per il lavoro che per le sue visite.»

Lo vidi annuire con la testa china.

«Ci vediamo prima che parti?», gli domandai.

Ace abbassò il capo su di me e premette le labbra soffici sul mio collo. Mi lasciò un bacio, così dolce che fece vibrare la mia spina dorsale e riempì la mia pancia di farfalle.

«Certo. Siamo amici, no?» , sogghignò prima di indietreggiare fino a scomparire nel buio.


Tornai in camera con le guance calde e la testa leggera, ma quando vidi il suo maglione abbandonato al fondo del letto, lo afferrai subito. Scesi di corsa in giardino, ma Ace era già andato via.

«Margaret mi ha parlato di sua madre.»

Quella voce mi sfiorò subdolamente. Spostai lo sguardo verso la recinzione e oltre l'edera serpeggiante, lo vidi. Ivory stava nel suo giardino e le sensazioni piacevoli in cui il mio corpo era immerso, cominciarono a vacillare.

«Cosa c'entra la mamma di Ace?»

«Lavora con l'uomo che vuole ristrutturare la città.»

«E quindi? Non capisco.»

«Lo sapevi che non ti hanno detto tutto?»

A quel punto mi avvicinai alla recinzione e bisbigliai. «Di cosa parli?»

«Quella donna sa della casa, ma non ti ha detto niente. Lo sai che c'era anche lei dietro a questo progetto?»

Scrollai la testa.

«No, e poi Ace me l'avrebbe detto»

«Anche lui lo sa. Ma se te l'avesse detto, non gli avresti mai permesso di stare nel tuo letto fino alle tre di notte.»

Rabbrividii.

«No.»

«Te l'ho sempre detto, Scarlett. I ragazzi sono fatti così.»

Indietreggiai. «No», ripetei spaventata.

«Non gli importa di te o di tua nonna.»

Le stilettate mi colpirono il fianco, le guance, la pancia. Non riuscii più a respirare.

E poi Ace era sempre stato così brutalmente onesto... Sentii un vuoto dentro e dovetti aggrapparmi alla staccionata di legno per non svenire.

«A lui importa di me», esalai senza fiato.

«A lui importa solo una cosa e quando l'avrà ottenuta, tu non gli servirai più a nulla»

No, non è possibile, mi ero di nuovo immaginata tutto?





Grazie di cuore a chiunque sia arrivato fino a qui ♥️

Ci vediamo su Instagram 🙌🏻

Vi voglio tanto tanto tanto bene 🫶🏻

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top

Tags: